VII
Voglio l’oceano che non ha memoria,
non voglio piú la storia, visto
che tutto il tempo è eterno
tempo del presente, mentre
il vuoto, sempre piú vuoto,
si riversa dove tutto è vuoto.
E scavo e scavo e scavo
e il vuoto si fa piú vuoto ancora,
s’ingrossa il buco, di secondo
in secondo, di minuto
in minuto, di ora in ora.
Cosí, cosa ci resta? Ci restano
le piccole ossessioni. Sono
quelle a puntellare tante giornate
amare, mentre nelle grandi arcate
di ferro cedono le viti,
si arrugginiscono le travi,
non tengono i bulloni.
Il mio tormento del momento?
Le condizioni del mio cuore.
Come sta? Va meglio?
Batte ancora? È scompensato?
E se sí, quanto? Dimmi la verità.
Tu parli sempre di ultime
questioni, ma qui a tenere banco
sono i tic, sono le fissazioni.
Che vanno e vengono. Occupano
tutto il campo e poi scompaiono.
Per un corpo da curare, c’è una pancia
da riempire. Certo, fa bene camminare,
ma diciamola tutta: com’è bello poltrire.
Notizie per informarsi,
notizie per stordirsi.
Fumare o non fumare?
Smettere, ricominciare.
È sufficiente distrarsi (ancora)
col crudo verso di cornacchia
(cra cra cra) e dai tarli
fisici e mentali si passa
al magro conto in banca,
al cinghiale (è il turno suo
stavolta) nascosto nella macchia.
È una tortura persistente,
sottile, che si spera di spegnere
in una quiete termale:
massaggi, docce, inalazioni,
fanghi – salutistico
ritorno nei ranghi.
… Meaning and moaning – oltre a tutto
il resto, tu mi hai insegnato
pure questo terribile gioco di parole,
senso e lamento, un’endiadi
involontaria che apre allo sgomento:
cerchiamo un varco, una ragione,
per l’appunto un senso,
ma sprofondiamo poi in un malessere
insidioso che procura il pianto.
E proprio non c’è da menar vanto
a vivere in un mondo
che non conosce vie d’uscita –
cominciare a giocare sapendo
che hai già perso la partita.
Per questo voglio l’oceano
che non ha memoria
e non voglio piú la storia.
Se storia poi è questa
mediocrissima vicenda
in cui siamo impigliati.
Una frivola bufera incapace
perfino di dare sepoltura
agli annegati.