XLII
Il corpo di Salvigni era ancora dove lo aveva lasciato, riverso sul pavimento del suo studio, ma adesso era più livido e più freddo.
Mastro Daniel entrò, camminando al centro di una rosa di ombre, si inginocchiò e lo esaminò borbottando a voce alta.
«È morto da circa due o tre ore», disse dopo averlo studiato con attenzione. «Ha i denti anneriti. La lingua è bianca. Non ha vomitato, ma…», si chinò ancora sul corpo e annusò la veste di raso, «…ha sudato copiosamente negli istanti in cui agonizzava».
«Istanti, dite?»
«Non deve essere durata molto».
«Riuscite a capire quale veleno lo abbia ucciso?»
«Qualcosa di molto potente, non c’è dubbio. A giudicare dalle condizioni della mucosa nasale e della gola il veleno gli è stato somministrato sotto forma di polvere, per inalazione. Una polvere sottile e facilmente solubile, presumibilmente di origine minerale. Ma ancora una volta devo dirvi che è difficile stabilirlo con certezza».
«Potrebbe trattarsi dello stesso veleno che ha ucciso il rettore?»
«Non direi. Come vi ho detto fin dal primo momento, io credo che il rettore sia stato ucciso con un lento dosaggio di arsenico e digitale, combinati insieme in chissà quale modo e, soprattutto, somministrati chissà come. Quest’uomo, invece, ha avuto una morte pressoché istantanea e il veleno è stato somministrato per inalazione. Non ci sono dubbi su questo. Però non è facile risalire alla sostanza tossica usata. Posso dirvi, senza paura di sbagliarmi, che non si tratta di una soltanto. Anche qui siamo di fronte a una composizione da maestro. Questo assassino non è meno abile di quello del rettore».
«Potrebbe essere la stessa persona».
«Può darsi. Pochi sono in grado di maneggiare le sostanze tossiche con tanta abilità».
«Ne conoscete, qui a Roma?»
«Personalmente no. Certi talenti si esercitano in segreto. Ma sono convinto che se cercaste ne trovereste più d’uno. Roma è da sempre la capitale mondiale del veneficio, fin dai tempi degli imperatori, e continua ad attirare gli esperti migliori, o i peggiori, se preferite».
«Sarebbe comunque come cercare un ago in un pagliaio, dunque».
«Temo di sì». Mastro Daniel si rimise in piedi e si fermò a riflettere osservando il cadavere di Salvigni. «So chi era».
«Tagliava le barbe, e a chi non aveva ancora la barba tagliava qualcos’altro».
«Lo so».
«Un dente marcio di un ingranaggio perverso».
«Perché dovrebbe essere stato ucciso dalla stessa persona che ha avvelenato il rettore? Non si conoscevano neppure».
«Ne siete sicuro?»
«Più di quanto sia sicuro di trovarmi qui, adesso. Il rettore Giuliani non usciva mai dal Collegio, non lo faceva da anni. Ultimamente io ero spesso insieme a lui e non l’ho mai visto ricevere ospiti, né gli ho mai sentito parlare di persone che non fossero uomini e donne di Chiesa. E poi avrebbe disprezzato un personaggio simile, come disprezzava la mania della gente, e della Chiesa cattolica, per i cantanti evirati. No, sarei disposto a scommettere qualunque cosa che il rettore ignorava l’esistenza di quest’uomo».
«Voi, come lo conoscevate?»
«Non personalmente, soltanto di vista e per sentito dire. Lo conoscevano tutti. Non ha mai fatto mistero della sua attività. Era il migliore, così si diceva. Molti dei cantanti più in voga sono usciti dalla sua barberia».
«Sì, è quello che sapevo anch’io».
«Perché il corpo è ancora qui?»
«Ci resterà ancora», disse Bellerofonte. «Voi non lo avete visto. E adesso usciamo da questa casa».
Mastro Daniel lo seguì volentieri. «Ora che ho fatto ciò che mi avete chiesto, potrò lasciare la città domattina?»
«No, mi servite ancora qui».
«Ai vostri ordini, signore».
Bellerofonte si fermò e si voltò. «Siete un ebreo. Fatelo per i vostri fratelli».
«Non vi capisco».
«Lasciando Roma adesso, alimentereste i sospetti su di voi e anche su tutta la comunità ebraica di Roma. Come avete potuto vedere, c’è chi all’interno del Santo Uffizio sta cercando in tutti i modi di scaricare la responsabilità su qualcuno di voi».
La pelle del viso di mastro Daniel s’increspò attorno a due occhi attoniti.
«Hanno arrestato una donna», continuò Bellerofonte. «Non è ebrea, ma le hanno fatto confessare di aver venduto suo figlio a dei giudei. Di certo verrà uccisa a colpi di mazza e poi squartata pubblicamente, e presto saranno molti gli ebrei che faranno la sua stessa fine. Dunque, non aiutate soltanto me, restando a Roma, ma anche voi stesso, i vostri parenti e i vostri amici».
«Io, semmai, sarei sospettabile per la morte del rettore, visto che ho avuto a che fare con lui e avrei potuto somministrargli il veleno che lo ha ucciso, ma non vedo perché dovrei essere sospettato di aver dissanguato dei bambini castrati. Che relazione può esserci tra questi due crimini? Solo perché sono un giudeo?»
«Devo deludervi. Stavo indagando sugli infanticidi quando sono venuto qui e ho trovato il barbiere avvelenato. Se non bastasse questo a dimostrare che i delitti dei bambini e del rettore sono legati fra loro, ho trovato una lettera nella corrispondenza di mastro Salvigni che toglie ogni dubbio. Dunque, voi siete sospettabile per entrambi i crimini».
«Ma, colpevoli oppure no, gli avvelenatori del rettore sono già stati giustiziati».
«È vero, ma sotto tortura potrebbero aver fatto i nomi dei loro complici. E magari hanno fatto proprio il vostro. Per il Santo Uffizio siete un bersaglio fin troppo facile. Non lo avete detto voi stesso? Quei due poveri fruttivendoli non potevano disporre di un veleno così sofisticato. È più che probabile che stiano cercando qualcun altro, per rendere più attendibile la loro versione e coprire i veri assassini. Voi, mastro Daniel, siete la persona ideale: avevate i veleni, l’occasione di somministrarli al rettore e allo stesso tempo potreste essere stato voi a dissanguare i bambini. Non sono gli speziali che praticano i salassi? Non sono gli speziali che preparano intrugli e pozioni? Chi meglio di uno speziale ebreo saprebbe dissanguare un bambino cristiano, preparare il sangue per il consumo rituale e poi venderlo ad altri giudei? Ecco cosa escogiteranno: il rettore vi aveva scoperto e voi lo avete eliminato. Non solo, avete eliminato anche lo speziale del Collegio, padre Bartolomeo, in modo da prendere il suo posto e realizzare lauti guadagni servendo i padri del Collegio. Non vi pare facile?».
Mastro Daniel annuì, pensoso. «Voi sospettate di me?»
«Dovrei».
«Credete davvero che io abbia a che fare con il dissanguamento e la morte dei bambini?»
«Se escludessi questa possibilità, non starei facendo bene il mio lavoro».
«Ma allora perché quelli del Santo Uffizio non mi hanno ancora arrestato?»
«Temo che non tarderanno a farlo».
«Cosa aspettano?»
«Da sempre, l’Inquisizione agisce in modo imperscrutabile. In questo caso, tuttavia, credo che stia soltanto dosando con attenzione i suoi proiettili e che stia volutamente mirando nella direzione sbagliata. Perché, ora più che mai, non sta cercando di portare alla luce la verità, ma di coprirla».
«Se le cose stanno così, non siete al sicuro neppure voi».
«Lo so bene».
«Sospettate di me, dunque?»
«No».
Mastro Daniel sospirò e fece un piccolo inchino. «Grazie».
«Seguite il mio consiglio. Evitate di esporvi. Posso mettervi a disposizione un appartamento per la notte, finché non avrò risolto il mio rompicapo. È di notte che vengono effettuati gli arresti. Di giorno, fatevi vedere a casa di tanto in tanto. Approfittate del carnevale e uscite sempre mascherato, ma solo se strettamente necessario. Verrò io da voi quando ne avrò bisogno e provvederò a non farvi mancare niente».
«Contate su di me, signore», disse mastro Daniel a testa alta, «ma preferisco stare a casa mia anche di notte. Se proprio dovesse accadere, vorrei che la morte mi cogliesse lì, vivo fra i miei alambicchi e i miei libri».
«Non è così che vi concederanno di morire. Sarete arrestato, gettato in un carcere buio e poi sottoposto a tortura e infine giustiziato sulla pubblica piazza. Datemi ascolto».
«Io non ho niente da nascondere».
«Come desiderate». Bellerofonte infilò la chiave e aprì il portone. Controllò la strada. In quell’istante sopraggiungeva una carrozza, c’erano due persone a piedi e una terza arrivava nella direzione opposta. Ma che importanza aveva? Dalla casa di Salvigni stavano uscendo due uomini mascherati.
Vale a dire, nessuno.