Trentanove

«Che cosa ci fai, qui?»

«Scusa, sì. Avrei dovuto telefonarti, ma sono passata. Sei libera?»

«Stavo uscendo, ma posso rimandare. Che cosa c’è, perché mi sembri agitata?»

Carmen si tolse il giubbotto e lo lasciò cadere sul divano. «Sono agitata, sì. Accidenti. Ho scoperto una cosa terribile».

«Gesù… e di che si tratta?» Luisa tolse il giubbotto dal divano, che essendo bianco era delicato, e lo fece scivolare sul tappeto. «Che verità hai scoperto? Ma dimmela in fretta».

«Quella si è fatta investire dalla mia macchina per dare la colpa a me».

«Ma tu sei pazza nella testa». Luisa prese il giubbotto e glielo mise tra le mani. «Rivestiti, che non sei normale. Io devo uscire».

«Aspetta. Perché dici che non è vero, che ne sai?»

«Perché ho buon senso, accidenti. Figurati se quella sa chi sei. Non sa con certezza se quella era la macchina di Loris né che in quel momento fosse tua, è stato un incidente, non un suicidio. E poi, fai ragionare quella testa: una si ammazza, perché c’è mancato poco, per fare un dispetto a te. Ma tu sei completamente scema, bella mia. Forse in Brasile, ma qui ognuno pensa alla vita sua. Vattene, va’, che devo uscire».

Stava in piedi, con il giubbotto in mano, e non si decideva a muoversi. «Però io il dubbio ce l’ho. Lei è ancora innamorata di Loris, non lo vuol perdere…»

«Figuriamoci. Con quegli strilli, le telefonate, la Volante… Allora per farti dispetto si fa mettere sotto dalla tua macchina per mandarti in galera». Luisa ebbe una breve risatina nervosa, stava facendo tardi. «Sai come si dice in veneziano: è peggio el tacon del buso».

«E che vuol dire?»

«Te lo spiego un’altra volta. Vieni, usciamo».

«Tu la conosci, vero?»

«Sì, la frequentavamo quando stava con Loris. Poi, quando lui l’ha scaricata e sei arrivata tu, tutti le hanno girato le spalle. Lei era come impazzita».

«Dillo a me. Io dormivo con le cuffie per non sentirla».

«Sì, era impazzita. Chissà che cosa voleva».

«Loris, voleva. E lui ha avuto tanta pazienza. Scendeva in strada, la coccolava, la riaccompagnava a casa… Abbiamo visto l’inferno. Poi la disgrazia e tutto è finito di colpo».

«Si è calmata, ma ha continuato a soffrire, povera donna».

«Tu che ne sai?»

«Scusa, devo andare. Ci sentiamo, ciao».

Luisa Manfredini salì in macchina, mise in moto e uscì dal garage. Salutò con la mano Carmen, che era rimasta sul marciapiedi, e proseguì.

Non aveva voglia di raccontarlo. Era una faccenda sua, una scelta personale che non voleva condividere: ogni tanto lei, la sola di tutto il gruppo, andava ancora a trovare Lidia.