Quindici

«Lei mi ha detto…» Laura sapeva che Gilardi le avrebbe consentito di interrogarlo, quindi fece la prima domanda. «… che durante la vostra relazione frequentavate molte persone. Non le chiederò chi, se non sarà necessario. Ma la domanda invece è questa: quando vi siete lasciati, qualcuno di loro ha continuato a frequentarla? Prima e dopo la disgrazia?»

Loris Gunter restò a fissarla un attimo, perplesso. Come se fosse necessario pensare la risposta. «No. Quando ci siamo lasciati i miei amici, tutti, hanno smesso di frequentarla. Lei ha tormentato anche loro. Telefonate, appostamenti, lettere… Chiedeva, pretendeva mie notizie: chi frequentavo, se avevo una donna… Insomma, nessuno di loro ha voluto alimentare questo assedio fastidioso. Le hanno chiuso tutte le porte, e lei mi odiava anche per questo».

«Lei è sicuro? Assolutamente sicuro che nessuno di loro abbia voluto approfittare della situazione? Lidia era una bella donna, ricca, spiritosa… perché no?»

«Perché era noiosa e ossessiva. A nessun uomo piace avere rapporti con un problema, neppure se profuma di Chanel. Con le sue continue scenate li ha spaventati e allontanati definitivamente. No, nessuno».

«Sicuro?»

«Sicuro, sì. Si sarebbe saputo, questi circoli esclusivi sono maledettamente pettegoli. L’avrei saputo, me l’avrebbero detto».

«Quando vi frequentavate, capitava che vi riuniste anche in casa sua? Vi invitava?»

Loris Gunter si rivolse a Gilardi cercando di interpretare la domanda. Che cosa voleva chiedergli? «Sì, naturalmente» rispose. «Lidia aveva una bella casa, una coppia di indiani, lui un cuoco eccellente… Qualche volta è capitato, mai in troppi e sempre molto affiatati».

«Chi, per esempio?»

«Non vorrete andare a interrogare i miei amici, per favore. Non potete farmi anche questo».

Laura gli prese una mano. «Cerchi di capire, architetto. Stiamo cercando di scoprire chi ha ucciso Lidia e dobbiamo arrivare al processo con l’assoluta certezza che nessuno dubiti di lei. Che lei sia definitivamente escluso. Quindi le rifaccio la domanda dell’avvocato Gilardi: chi, tra i vostri amici, era presente in quelle serate?»

«Perché uno di loro avrebbe dovuto ammazzarla? Sono ricchi, tranquilli… ottima posizione, famiglia felice… che ragione avrebbero avuto?»

«Esattamente quello che lei ci ha detto: il terrore di essere ricattati da una donna che aveva perso ogni controllo».

«Ma, avvocato, lei cercava me».

«Appunto. Pensi che occasione golosa per una donna che aveva perduto qualsiasi ritegno: tradirla con un suo amico consapevole del fatto che lei lo avrebbe saputo. Quale, tra i suoi amici?»

Loris Gunter scosse la testa. «Non lo so… Non sono giovani, la maggior parte di loro ha superato la cinquantina».

«Anche lei, mi pare».

«Sì, scusi. No, non me ne viene in mente nessuno».

«Bene, allora la prego di pensarci con calma. Mi mandi in studio un elenco il più dettagliato possibile e noi penseremo a fare domande appropriate senza coinvolgerla, con discrezione».

«Sì, grazie. In questo momento non ho proprio bisogno di perdere i miei amici. Grazie». Si alzò di colpo, scusandosi. «Io ho un paio di foto… Ecco, da lì potete vedere se sono uomini d’assalto». Sorrise, andando verso lo scrittoio. Aprì, sbattendoli, un paio di cassetti. «Ecco, queste… Voi conoscete la casa di Lidia? Sì? Ecco, allora la riconoscerete. Qui siamo a casa sua, nel salone». Allungò un paio di fotografie a colori verso Gilardi. «Qui ci siamo tutti. Dietro posso scrivervi i nomi di ciascuno».

Le foto a colori mettevano in evidenza la straordinaria bellezza di Lidia Morandi, esuberante e diversa da tutte le donne che la circondavano. La sua eleganza stravagante. La sua passione per Gunter, in ogni posa sempre avvinta a lui, tra le sue braccia o accucciata ai suoi piedi, come una bestiola in cerca di una carezza. Meno evidenti gli uomini. Calvi cinquantenni, esuberanti di forme e di gesti. Persino impropri in una foto di gruppo con bicchieri di champagne nell’atto di un brindisi.

«Belle foto» mormorò Laura. «Solo questi e sempre gli stessi?»

«Direi di sì. Siamo stati a casa di Lidia non più di tre o quattro volte. Più spesso lei ci invitava a qualche festa o ne organizzava in ristoranti di lusso. In questo era molto americana: la casa era un luogo privato. Il suo, il nostro».

«Le dispiace scriverci quei nomi?» tagliò corto Gilardi.

«Sì, certo». Alla scrivania, con la penna e consultando le foto per non sbagliare, l’architetto scrisse i nomi di tutti quelli che erano stati ripresi in quei gruppi. Accanto a un paio di loro aggiunse anche il cellulare. Le date erano già state stampate sulle foto. «È tutto» disse alla fine. «Spero davvero che non vogliate rovinarmi questi rapporti… So che sarete discreti».

«Di solito sì». Gilardi si era alzato e gli aveva girato le spalle: questo era un giochino che con Laura facevano spesso, lei la buona e lui il cattivo. E spesso funzionava.

«La ringrazio per la sua collaborazione» gli disse, duramente. «Qualcuno le ha piantato un coltello con una lama di tre dita nel cuore, sette volte. E io voglio sapere chi è stato».

«Anch’io, avvocato. Anche se so che lei non ci crederà mai».

«Perché non dovrei crederle, architetto? Mi sarà solo più facile quando avrò le prove».

Erano sulla porta, stavano congedandosi, quando Laura esitando gli chiese: «Ha notizie della sua fidanzata?»

«Sì, anche questa». Stavolta l’architetto riuscì a ridere. «Lettera di congedo, non mi vuole più. E il padre non ha più bisogno di uno come me per realizzare il maxiprogetto di una città satellite, che mi aveva affidato. Messo alla porta. Se Lidia può vedere questo mondo di pazzi, esulterà: mi sta rovinando. E io ho il solo torto di averla amata. Non male. Ma state tranquilli, non mi suiciderò per questo, troppo vigliacco». E richiuse la porta alle loro spalle, quasi sbattendola.

In macchina, Laura prese dalla busta le foto di quelle feste in casa di Lidia Morandi. Due cartoncini abbastanza grandi, probabilmente ognuna di quelle persone fotografate ne aveva di uguali: per ricordo di una serata di festa, persino sguaiata.

«Rassicura il tuo architetto, nessuno di loro».

«Li conosce?»

«Alcuni sì. Ma quella non è gente che arriva in una casa, va in cucina a prendere un coltello, colpisce una donna sette volte, poi rimette il coltello nella lavapiatti… Al massimo avrebbero potuto usare una rivoltella. O, meglio: pagare qualcuno perché lo facesse al posto loro. Sono intoccabili. No, nessuno di loro».

«Ma lui sì?»

«Non importa quello che pensiamo tu e io. Tu dovrai dimostrarmi senza possibilità di dubbio che non è stato lui. Anche se aveva buoni motivi per odiare una donna che gli stava rendendo la vita un inferno. Questo è il lato peggiore della faccenda, lo capisci? Lui la odiava…»

«Non è vero. Lui l’ha amata e poi ne ha avuto pietà. Ha tentato di dimostrarglielo e lei lo ha respinto…»

«Alt, Laura. In questo modo gli stai già mettendo la corda al collo. Non ti far mai scappare questa idea. Lui aveva una fidanzata giovane, molto bella e molto ricca. Non aveva nessuna ragione per rimpiangere Lidia. Concentrati su questo: lui non aveva nessuna ragione per ammazzarla, perché Lidia era uscita dalla sua vita e lui ne aveva una nuova, meravigliosa. Di questo devi convincerti».

«Di questo sono convinta. Ma è la verità?»

«Io non lo so. Tocca a te dimostrarlo. E farmelo vedere».