Dodici

Adriana Santini, in maniche di camicia, gonna stretta sui fianchi e sigaretta in bocca, li salutò agitando appena una mano. «Sedetevi» disse, spiccia com’era di solito. «Vi dà fastidio il fumo? Apro la finestra?»

«No, grazie. Va bene».

«Siete qui per Lidia Morandi?» Guardò prima uno e poi l’altra, come se fosse plausibile un ragionevole dubbio.

«Sono l’avvocato Licasi».

«Dottor Aziz Bernardini».

«Bene, ora che ci siamo presentati… come sta Gilardi?»

«Le porto i suoi saluti. Invece noi siamo qui per Loris Gunter».

«Lei ha assunto la difesa di Loris Gunter?» Adriana Santini spinse fuori dalla bocca una nuvola di fumo e fece una smorfia. «Stravagante… È accusato di aver ucciso Lidia Morandi, il vostro Gilardi che cosa dice?»

«Non ci risulta che ci sia un’accusa, ma soltanto un sospetto, da cui è già stato scagionato quattro anni fa. Noi siamo sicuri invece che sia una vittima. Ci sono prove contro di lui? Siamo qui per questo».

Adriana Santini premette con forza il mozzicone nel posacenere di vetro viola che era sul suo tavolo. «Ragionevoli dubbi. Comunque l’abbiamo messo in condizione di non scappare. Come invece ha fatto la volta che se ne è andato in Svizzera. Noi stavamo indagando su di lui, e il bell’architetto era scappato a Ginevra. Non si lasci incantare, avvocato. Quello è più furbo di noi tre messi insieme. Non si lasci incantare».

Laura Licasi si alzò di scatto, e Aziz dopo di lei. «Ero venuta a sentire quali accuse avete contro di lui, quali prove. Non a ricevere una lezione di comportamento. Le dispiace, dottoressa, farci recapitare nel più breve tempo possibile, e se esiste, la definizione dell’accusa a carico di Loris Gunter?»

«Rimettetevi a sedere, per favore. E non badate a me, io sono talmente scocciata da questa storia… Scusate, sono i miei modi. Gilardi doveva avvertirvi che non sono una principessa. Scusatemi, avanti… ma quell’architetto, con i suoi modi gentili, mi sta sui coglioni. Non gli credo, ecco».

«Non basta» disse Aziz a mezza voce.

«Lo so. Lo so che non basta. Allora, abbiamo ripreso le prove dell’investimento. Stiamo rivedendo tutta la situazione di allora, c’è stata molta fretta. Quel carrozziere…» Cercò un foglio sulla scrivania, spostando altri fogli e cartellette. «Eccolo, tale Aristide Brunetti… l’avete?» Spostò il foglio verso di loro e Laura disse di sì. «Bene, stiamo interrogandolo di nuovo. Ha molti dubbi sulla data, soprattutto sulle ragioni per cui stava risistemando la carrozzeria. Era stato pagato da una cliente straniera che voleva quel Suv in fretta… Insomma, c’è stata confusione, lo capite anche voi. Forse abbiamo fatto le cose troppo alla svelta. Ci era sembrato tutto chiaro e lampante. Alla luce di questi nuovi fatti, quella poveretta ammazzata con sette coltellate, i dubbi sono riaffiorati. Lui aveva molte ragioni per volerla morta, lei non gli dava pace. Quelle sette coltellate sono il gesto sconsiderato di una rabbia repressa. Non c’è premeditazione. Ha trovato un coltello e l’ha massacrata».

«Chiunque avrebbe potuto farlo. Perché doveva essere proprio lui, che stava per partire per Dubai dove lo aspettava un lavoro molto interessante, un matrimonio vantaggioso in vista… In che cosa la Morandi avrebbe potuto interferire con questi progetti, al punto di volerla morta? Mi sembra che causa ed effetto siano molto discordanti, dottoressa».

«Sarà. Lei continui a credere nella sua innocenza, io cercherò di incastrarlo con solidi motivi. Appena avrò pronto il suo biglietto d’invito…» Sorrise, le sembrò di essere stata spiritosa. «…glielo farò pervenire. Avrò bisogno di interrogarlo, le dirò quando. Gli sconsigli di nascondersi, perché…»

«Nessuna intenzione del genere. Loris Gunter è reperibile nel suo studio ogni giorno. E anch’io».

«È un sollievo» disse l’altra, alzandosi. Tese la mano e strinse con forza quella di Laura Licasi. «Ci rivediamo, avvocato. Mi saluti Gilardi». Sorrise a Bernardini. «Lei si è cercato l’inferno, giovanotto. Laureato con chi?»

«Carli e Giustiniani».

«Centodieci e lode» aggiunse Laura Licasi.

«Accidenti, ma chi è? Gilardi è un’ottima scuola, complimenti».

Quando richiuse la porta alle loro spalle, Adriana Santini si accese una sigaretta e per un attimo restò a fissare le sedie smosse, la sua scrivania, il suo soprabito di cammello appeso al muro. Il pensiero di Loris Gunter la distrasse. Un osso più duro, se c’era di mezzo Gilardi. Doveva prepararsi a difendere le proprie convinzioni. Perché di questo era sicura: Loris Gunter era colpevole.

Aveva chiare in testa le ragioni per cui lo sentiva colpevole anche di quella morte. Quattro anni prima aveva investito Lidia e lei l’aveva riconosciuto. In seguito era riuscito a tenerla quieta, magari frequentandola di notte, quando era sola. Lei lo aveva amato al punto di illudersi che sarebbe stato per sempre. Ma nel momento in cui lui le aveva annunciato il suo prossimo matrimonio con una ragazza giovane, che metteva fine al loro rapporto, lei lo aveva minacciato. Forse aveva delle prove che l’avevano spaventato, e in un momento di disperazione l’aveva uccisa. Senza premeditazione. Questo poteva concederlo. Aveva trovato il coltello e l’aveva uccisa, nella speranza di liberarsi di lei. Di uscire da quell’incubo.

I morti ti accompagnano per sempre. Non te ne liberi mai.

Spense la sigaretta nel posacenere di vetro viola e si rimise a sedere dietro la scrivania.

Ora doveva provarlo.