Il tempo degli altri

Per loro non era facile uniformarsi al tempo degli altri e degli orologi. Ma una volta fuori il loro metabolismo accelerava, tale è l'adattabilità dell'essere umano. A pensarci bene mancavano molte ore all'incontro del pomeriggio, non a caso era mattina.

«Andiamo da lei» disse Camilla. «È l'unica che è rimasta.»

Giulia capì subito a chi si riferiva l'amica. Si trattava di raggiungere una casa di riposo per anziani ricchi, dall'altra parte del fiume. Lì stava Lucrezia.

«Purché sia ancora viva, e così via» disse Giulia.

«E perché dovrebbe essere morta.»

Non c'erano taxi, la civiltà si stava ritirando, sostituita dall'acqua.

Decisero di attraversare il ponte a piedi.

Procedevano a testa china, senza guardare il fiume, una dietro l'altra lungo lo strettissimo marciapiede del lungarno delle Grazie.

Dall'Arno veniva un fragore immane.

«L'acqua cheta rovina i ponti» disse Camilla.

«Non mi sembra cheta.»

«Rischiamo di buscarci una broncopolmonite» disse Camilla sistemandosi lo scialle.

«O la tosse canina» disse Giulia. Non che sapesse bene cos'era la tosse canina, ma quelle due parole la atterrivano da sempre.

Eccolo, il ponte.

Per i loro parametri era un ponte di pessimo gusto, ma si adattarono a passarlo.

Il rombo dell'acqua faceva tremare la strada. Alzarono la testa.

Sui lungarni si aggiravano i mezzi dei vigili del fuoco, della protezione civile e della Croce Rossa.

«Sfaccendati» disse Camilla.

«Ma se esce il fiume questi cosa fanno?» chiese Giulia.

«Nuotano» rispose Camilla.

Stavano in due sotto l'ombrello. Cominciavano ad avere freddo. Prima non lo notavano, per via delle preoccupazioni legali, ma ora, in mezzo al ponte, l'umido e il vento le riportavano alla realtà.

Tutto attorno a loro c'erano le tenebre.

Giulia si degnò di guardare il fiume.

«Hai visto come è alta l'acqua, cara? Tra un po' succede come nel '66. Ti ricordi il '66?»

«Vagamente: uscì un po' d'acqua e poi fecero un sacco di storie perché non avevano voglia di lavorare. Non mi dirai che hai paura di un po' d'acqua.»

Nonostante queste parole spavalde, attraversando il ponte Camilla non osava guardare sotto. Il rumore del fiume era impossibile da descrivere con le parole.

«Guarda sotto» le disse Giulia, «io direi che potremmo andare più svelte.»

Finalmente anche Camilla guardò. Le onde sembravano vive. In certi punti bollivano come il caffè nella caffettiera infernale e anche l'odore che ne veniva non era migliore.

 

Più che fiume era un magma nero che trascinava tronchi e plastica.

«Buon tempo e mal tempo non dura tutto il tempo» disse Camilla, che voleva sempre fare la disinvolta.

«Almeno portasse via l'associazione canottieri» disse Camilla. Suo marito Ernesto aveva fatto parte dell'associazione canottieri, secoli prima, e non c'erano mai stati dissapori. Ma i desideri di Camilla non sempre avevano una ragione spiegabile con banali ragionamenti. Viveva in un mondo dove erano più gli effetti delle cause.

Giulia notò una fila di topi grassi che risaliva le sponde e si allontanava chissà dove. Alcuni si issavano con i sederoni su quel che rimaneva di una specie di spiaggetta.

«Guarda come trottano» disse.

A monte, il fiume balzava dalla pescaia di San Niccolò come una lastra in movimento di ossidiana: nera, lucida. Sprigionava enormi dita di vapore e pulviscolo. Sacche d'aria calda si attorcigliavano poco sopra.

Dietro le loro spalle, sulla sponda da cui erano venute, la sponda della Biblioteca nazionale, videro che oltre ai pompieri che si aggiravano vanamente c'erano altre persone che le guardavano e gesticolavano in modo grossolano. Uno era un vigile con dei baffi enormi. Sappiamo quanto i vigili possano essere ridicoli. Ma questo vigile baffuto mise loro paura: forse le forze dell'ordine avevano già scoperto il disordine nel cortile allagato.

Ma tra loro non se lo dissero.

«Ci staranno dicendo di sbrigarci, perché è pericoloso» sentenziò Camilla.

 

Dall'altra parte del ponte, se lo ricordavano benissimo, c'era un bar, in una piazzetta un po' più in là.

«Prendiamo un tè per riscaldarci?» disse Giulia.

In realtà era anche una mossa astuta per depistare eventuali inseguitori.

Il bar in effetti esisteva ancora ma davanti avevano messo dei ridicoli tendoni bianchi e il bello era che sotto, nonostante la pioggia, si assiepavano un sacco di giovani debosciati. Le due principesse si fecero coraggiosamente largo nella marmaglia. Alcuni in effetti non erano affatto giovani, ma si abbigliavano come giovani straccioni.

«Questi hanno cent'anni per gamba» mormorò Camilla.

Si erano sedute a un tavolino accanto alla stufa a fungo. Un posto di pessimo gusto. Ma come nascondiglio era perfetto.

Certo dovettero sopportare delle conseguenze spiacevoli. Il tè era simboleggiato da due bustine scialbe. Loro che erano ormai abituate al gusto forte della caffettiera del diavolo non sentirono neanche il sapore.

«Ma questi non lavorano?» disse Giulia facendo roteare lo sguardo.

Camilla alzò le spalle. Non che fossero contrarie al fatto che qualcuno non lavorasse, loro per esempio non avevano mai lavorato. Ma erano contrarie al fatto che tipi come quelli non lavorassero. Se ne stavano lì, la mattina di un giovedì qualsiasi, a ubriacarsi, ma che mondo era?

Nel tavolino accanto c'erano due ragazze straniere, chiassose. Con una loro coscia avresti potuto sfamare una tribù africana. Indossavano dei cappellini che avrebbero reso ridicola Greta Garbo. E quelle non erano Greta Garbo. Ci davano dentro coi tramezzini.

«Che Dio gli conservi la vista, che l'appetito pare non gli manchi» fece Giulia.

«Non starò qui un minuto di più» annunciò Camilla alzandosi e stringendo la borsetta.

«Hai paura ti rubino la borsa che ti regalò Ernesto?» chiese Giulia. «Guarda che sono imbottite di dollari.» "Imbottite di dollari" lo aveva sentito in un telefilm.

Camilla assunse la sua aria furba:

«No, ma potrebbero mangiarsela, la mia borsa. Considera che è pelle di coccodrillo.»

Poi si rivolse alle due americane perché non la facevano passare, con quelle coscione:

«Yankee go home.»

Il cameriere la guardò con uno sguardo che lei non capì.

«Ma che ti metti a dire? E poi secondo me erano tedesche» chiese Giulia quando furono di nuovo fuori, due vecchie nella tempesta del tempo.

«Mi è venuta così, cara, l'ho sentita dire e la volevo ripetere anche io. Mi ricorda qualcosa.»

«Ah, i ricordi!» esclamò Giulia.