I fasti del Rinascimento

Le due principesse si ritrovarono commosse nel corridoio e risalirono al primo piano. A giudicare dal rumore, gli energumeni esplodevano colpi all'impazzata. Quei brutti ceffi sembravano cacciatori toscani contemporanei all'inseguimento di un fagiano d'allevamento.

Ma a cosa sparavano? Forse alle porte, nel tentativo di aprirle. Solo che erano appena state rinforzate dal fabbro. E poi magari quei due presi dall'agitazione non riuscivano neanche a colpire la serratura. Non è che fossero dei veri tiratori. Grandi e grossi, al massimo erano buoni a colpire i drogati sulle panchine da distanza ravvicinata. Ma neanche quelli. Le pistole più che altro gli servivano per far colpo sulle aspiranti veline della periferia, che in attesa di raggiungere la maggiore età battevano irretendo i turisti.

Il marito di Camilla invece era in grado di colpire un camoscio da cinquecento metri di distanza.

Comunque, quando le principesse furono nella loro stanza preferita, si sentirono più tranquille.

«Uff» disse Giulia parlando a Camilla ma anche ai Lorocari, «è stato faticosissimo ma ce l'abbiamo fatta.»

Camilla si sistemò il vestito, che si era un po' stropicciato nella foga dell'azione, e chiese:

«Ritieni che i vicini avranno sentito gli spari?»

I rapporti di buon vicinato le erano sempre stati a cuore, per quanto non fosse facile mantenerli.

«Ormai si fanno tutti i fatti propri» disse Giulia. «E poi se li hanno sentiti meglio: possono testimoniare che siamo state aggredite. Due povere vecchie.»

Erano distrutte, avevano avuto due giornate faticose. Tuttavia non potevano lasciare le cose in sospeso, per via dei rischi. E poi una signora non lascia cose in sospeso.

«Allestiamo lo spettacolo rinascimentale, cara?» disse Giulia, che pregustava il gioco come una bambina.

«Inviti la lepre a correre» disse Camilla.

 

I prigionieri, laggiù nella gabbia, cominciavano a realizzare che per loro non si era messa tanto bene. Quando ti svapora la furia omicida, di solito emergono le preoccupazioni. Cercarono ancora di sfondare le porte. Niente. Cercarono di sfondare la grata. Niente.

Sollecitati dalla salariata, presero a sparare al lucchetto della grata.

«Arrivano dopo il semaio» disse Camilla.

Infatti avevano scaricato le pistole con la sfuriata di poco prima.

Che potevano fare?

Senzafaccia si illuminò tutto. «Il cellulare» disse, «chiamiamo rinforzi.»

La ragazza madre fu fiera della genialità del figlio: anni di studio all'Istituto Tecnico non erano passati invano.

Tutti quanti frugarono nelle tasche alla ricerca dell'arma finale: i cellulari.

 

«Secondo te Lorenzo il Magnifico usava le sistole?» disse Camilla.

«Lo escluderei, ma noi siamo l'evoluzione della specie.»

L'ansa ombrosa del salotto era attraversata da tantissime sistole, come serpenti. Ogni rubinetto della casa - e in quella casa non mancavano i rubinetti - era stato collegato a una sistola, come previsto dal piano Alfa.

«Bisogna che il piano Alfa funzioni, perché non disponiamo di un piano Beta» aveva detto Giulia qualche ora prima, durante il briefing.

Insomma fecero penzolare le sistole dal davanzale della finestra, come capelli grassi di una principessa trascurata. Dopodiché aprirono i rubinetti.

Quando si affacciarono per godersi lo spettacolo videro i prigionieri che armeggiavano goffamente coi cellulari.

«Forza, prendine una» disse Giulia.

Brandirono una sistola a testa e giocarono a "spegni il cellulare".

«Quella contro i cellulari è una battaglia di civiltà» disse Camilla.

Poi lasciarono aperti i rubinetti.

«Eccoci all'acqua» disse Camilla.

E per una volta l'espressione andava intesa alla lettera.

 

«Meno male che Emiliano è rotolato nel cortile, prima, altrimenti non avresti potuto chiudere la numero uno» disse Giulia.

«Sono io che l'ho fatto rotolare dentro» le chiarì Camilla, «sono una ragazza atletica.»

«Hai avuto paura?»

«E te?»

«Cara, adesso non parliamo di queste cose.»

Molte ore dopo, l'orco galleggiava a pancia in giù come un mammifero marino.

«Grasso che cola» disse Camilla.

L'acqua era alta, ma aveva tutta l'aria di voler salire ancora, niente da dire sull'acquedotto cittadino, per il momento arrivava al mento degli oranghi muti,

mentre Senzafaccia e la donna del popolo si erano aggrappati alle sbarre e cercavano di respirare. Solo che le due principesse avevano ripreso una sistola a testa e giocavano a colpire il volto dei prigionieri. Per cui respirare non era facile.

 

«Alla fine Lei è arrivata, ma non è venuta per noi» disse Camilla.

«Ma è ovvio, cara, io l'ho invitata a entrare dalla carta da parati. Non si presenterà certo in un putrido cortile, quando si tratterà di noi. Cosa credi.»

«Io per primo libererei il mio Ernesto, se sei d'accordo» disse Camilla.

Giulia fece segno di sì, non c'era neanche bisogno di dirlo.

Camilla afferrò il retino, lo calò nell'acquario e prelevò con attenzione religiosa il pesce della taiga più grosso.

«Vai amore mio» gli disse, e dopo averlo baciato lo buttò nella gabbia piena d'acqua.

Quello dapprima sembrò interdetto per la confusione e si rifugiò in un angolo, ma poi cominciò a nuotare a mezz'acqua, come per valutare la commestibilità di quanto gli stava intorno.

«Ora sta a me» disse Giulia.

E con tutto il sentimento possibile tirò su un bel pesce, un po' più piccolo del precedente, ma molto battagliero. Infatti anche se nella caduta andò a sbattere contro un ferro della grata non si scompose e sembrò adattarsi subito alla nuova situazione.

E così, un pesce per volta, un caro a testa, liberarono nel cortile tutti i Lorocari.

«Ora avranno più spazio» disse Camilla. «Secondo te hanno fame?»

«Loro hanno sempre fame» rispose Giulia. «È giusto che l'animale totemico mangi il nemico, si legge in tutti i libri. E poi, con tutti gli avanzi di Emiliano che hanno mangiato in questi anni, rimane solo che mangino Emiliano.»

«Quello che non ammazza ingrassa» chiosò Camilla. Si immaginava che, dentro, l'orco fosse fatto di gamberi fritti e altri avanzi: la sua anima. Appena fosse stato aperto dai pesci, avrebbero visto l'anima cadere sul fondo.

Camilla sorrise con affetto, vedendo i suoi cari che nuotavano, guidati da Ernesto: un condottiero e un pioniere, come sempre.

Rimasero a guardare e applaudire, dall'alto, come dame rinascimentali.

«Che spettacolo, ne valeva la pena» disse Giulia.

«Il lusso sfrenato dei papi» commentò Camilla commossa.

Per festeggiare stapparono uno Château d'Yquem. Dell'86, naturalmente.

«Un soffio di ottimismo» sussurrò Camilla mentre brindavano.