Di nuovo fuori

«Non ti sembra che Senzafaccia si sia mosso?» disse Camilla.

«Sarebbe un miracolo se mangiassero i corpi» sospirò Giulia pensando con orgoglio alla voracità dei Lorocari.

La questione dei cadaveri era una vera noia.

Le principesse avevano vagliato varie possibilità ma non erano soddisfatte. Andare alla polizia neanche a parlarne, c'era il rischio che volessero interrogarle.

«Se bruciassimo il palazzo?» aveva detto Giulia con gioia infantile negli occhi. Già si figurava la scena grandiosa. «Questo cancellerebbe le prove.»

Per un fenomeno difficile da spiegare, Giulia era la più tecnica tra le due, era l'unica per esempio in grado di aprire una bottiglia di vino, e si narrava che una volta, nell'esistenza precedente, avesse cambiato la ruota a una macchina. Ciò non era in contrasto con una deliziosa tendenza alla vaghezza mentale.

«Brava, e poi dove andiamo a vivere se bruciamo il palazzo? Ci ritroveremmo senza regno né re. Senza contare che piove: non verrebbe un bel fuoco. Non hai fatto il boy scout, cara?»

Giulia non aveva mai fatto il boy scout e non raccolse la provocazione.

«Taci. Su le soglie / del bosco non odo / parole che dici / umane» recitò con aria ispirata. Era il suo modo per non riconoscere che un rogo generale poteva essere un'idea eccessiva.

 

Camilla ogni tanto era un po' irritata da queste citazioni. Erano abbastanza inutili. Per parte sua, invece, cercava un suggerimento in qualche detto, fiorentino o non fiorentino (in fondo siamo tutti italiani!), serbatoio di ogni saggezza.

«Chi ben comincia è alla metà dell'opera» sentenziò entusiasta. Il concetto non faceva una piega.

«Ma non sappiamo da dove cominciare» disse sgomenta Giulia.

L'acqua era dotata di vita propria, aveva quasi sommerso la grata. Ma il corpo di Senzafaccia per caso era finito in un punto in cui la grata faceva una gobba verso l'alto, certo per colpa dell'imperizia del fabbro, e con la faccia rivolta verso il cielo sembrava quasi che respirasse.

«E se fosse vivo?» insiste Camilla con orrore. «Forse dovremmo fare qualcosa, incoraggiare la natura.»

Ne parlarono serenamente.

Cosa potevano fare? Calarsi sulla grata e affogarlo? Alla loro età? Col piede dolorante? Con quella pioggia da fine del mondo? E poi erano delle signore. Non erano assassine. Non fecero nulla.

Camilla pose fine alle incertezze:

«Sottraiamoci a questa visione spiacevole, andiamo in cucina.»

La caffettiera emanava quel caratteristico odore di bruciato che avrebbe disgustato una volpe, una di quelle volpi puzzolenti che ogni tanto Ernesto portava a casa. La caffettiera del diavolo, la chiamavano. Sarebbe bastato cambiarle la guarnizione per tramutarla in una caffettiera ordinaria, ma era una possibilità che non prendevano in considerazione.

La cucina non era particolarmente fornita, visto che di solito il cibo glielo portava il povero Emiliano. Ma c'era una scorta di caffè e biscotti che poteva bastare mesi.

Giulia parlò:

«Liberarci dei cadaveri, stornare i sospetti, trovare cibo.»

In certi momenti le piaceva ribadire cose ovvie.

«Mi piacciono queste necessità primordiali» disse Camilla.

Per la pozione magica al momento potevano stare tranquille, Senzafaccia aveva lasciato loro in eredità una piccola scorta. Ma in prospettiva poteva diventare un problema. Dovevano trovare una fonte di approvvigionamento sicura, costante, come ai tempi di Piero, Dio l'abbia in gloria.

Camilla, mentre sorbiva quel caffè sgorgato dall'inferno e mangiava i biscotti, ebbe un lieve soprassalto.

«Cara, lo sai che giorno è oggi?»

«Che giorno sarebbe» disse Giulia.

«Giovedì!»

Il giovedì pomeriggio, si tenevano gli incontri letterari e loro non mancavano mai, senza saper perché.

«Come facciamo?» disse Camilla. «Diamine, proprio oggi che dobbiamo sbrigare queste faccende.»

«Andiamo, sarà il nostro alibi» disse Giulia, con una di quelle illuminazioni di cui non si capiva il senso.

L'astuzia era così vaga che apparve subito convincente.

In verità, nonostante le recenti uscite eroiche, erano ancora incapaci di separare la propria identità dalla casa.

Ma questo non bastò a fermarle.

 

L'ombrello cigolava sotto il diluvio.

«Due povere vecchie» disse Camilla.

L'acqua ruscellava lungo il marciapiedi.

Svoltato l'angolo Camilla strinse il braccio di Giulia con una forza inaspettata, che veniva da ere antidiluviane.

«Che c'è?» disse Giulia. Poi lo vide. Davanti al negozio di Emiliano c'era la moglie di Emiliano, e accanto alla moglie di Emiliano c'erano dei poliziotti. Parlavano.

«Torniamo indietro» disse Camilla.

«Ma no, andiamo avanti» disse Giulia. «Se torniamo indietro se ne accorgono. Com'è che si dice? O la va o la specchia.»

«O la spacca, Giulia, o la spacca.»

Camilla capì che Giulia aveva fatto apposta a sbagliare, per gratificarla un po' in quel momento difficile, e gliene fu talmente grata che acconsentì ad andare avanti.

Nessuno le fermò.