CAPITOLO 13
NELLA BRECCIA
SOTTO I LABKOB
Le navette della LEP sono a forma di lacrima, col retro appesantito dai propulsori e un muso capace di attraversare l'acciaio. Naturalmente i nostri eroi non erano su una navetta della LEP, ma sul panfilo dell'ambasciatore. Che favoriva la comodità a scapito della velocità. Perciò il velivolo aveva un muso simile al didietro di uno gnomo e una griglia del radiatore dove si sarebbe potuto arrostire un bufalo.
«In parole povere, dovrò volare dentro una fenditura che resterà aperta solo per un paio di minuti? È tutto qui il piano?» domandò Spinella.
«Esatto» annuì tetro Tubero.
«Be', almeno saremo stritolati dentro sedili imbottiti. Questo catorcio ha l'agilità di un rinoceronte con tre zampe.»
«Che ne sapevo io?» brontolò Tubero. «In teoria doveva essere un viaggio di tutto riposo. E qui c'è un eccellente sistema stereo.»
Leale alzò una mano. «Ascoltate... cos'è questo rumore?»
Ascoltarono. Il rumore veniva dal basso e sembrava un gigante che si schiarisse la gola.
Spinella consultò le telecamere sulla chiglia. «Vampa in arrivo» annunciò. «Bella grossa. Ci arrostirà la coda da un momento all'altro.»
La parete rocciosa davanti a loro scricchiolava e gemeva, nel suo sempiterno espandersi e contrarsi. Parecchie crepe si allargarono, simili a bocche ghignanti piene di denti cariati.
«Ci siamo. Diamoci una mossa» esclamò Bombarda. «Quella fessura si chiuderà più svelta di un puzzoverme...»
«Non c'è ancora abbastanza spazio» sbottò Spinella. «Questa è una navetta, non un grasso nano con un paio di ali rubate.»
Bombarda aveva troppa fifa per fare l'offeso. «Partiamo lo stesso. Si allargherà via via che andiamo avanti.»
Di solito Spinella avrebbe aspettato che Tubero le desse il via, ma questo era il suo campo. Nessuno si metteva a discutere col capitano Tappo su come si pilota una navetta.
Vibrando, la fessura si allargò di un altro metro.
Spinella strinse i denti. «Reggetevi» disse, mettendo i propulsori al massimo.
I suoi passeggeri strinsero i braccioli dei sedili, e più di uno chiuse gli occhi. Non Artemis, però. Proprio non poteva. C'era un che di morbosamente affascinante nel tuffarsi a capofitto in un tunnel inesplorato, basandosi solo sulla parola di un nano cleptomane.
Spinella si concentrò sugli strumenti. Le telecamere e i sensori rovesciavano informazioni in quantità su schermi e altoparlanti. Il sonar era ammattito e mandava un gemito continuo. I fari di posizione mostravano immagini terrificanti, e il radar-laser tracciava una linea verde 3D sullo schermo nero. Naturalmente c'era anche il parabrezza al quarzo, ma fra le cortine di polvere rocciosa e i detriti più grossi non è che a occhio nudo si vedesse granché.
«Temperatura in aumento» annunciò, con un'occhiata allo schermo posteriore. Una colonna di magma arancione riempì l'ingresso della fenditura e si riversò nel tunnel.
Era una corsa contro il tempo. La fessura si richiudeva dietro di loro e si espandeva davanti. Il rumore era terrificante. Come un tuono in una bolla.
Bombarda si tappò le orecchie. «La prossima volta scelgo Picco dell'Ululo.»
«Zitto, detenuto» grugnì Tubero. «È stata un'idea tua.»
La discussione fu interrotta da un orrido suono raschiante. Il parabrezza si ricopri di scintille.
«Spiacente» si scusò il capitano Tappo. «È appena partito il nostro sistema di comunicazioni.»
Sterzò di lato, passando fra due placche rocciose in movimento che si scontrarono subito dietro di loro. Un battimani assordante. Il magma si spalmò sulle rocce, incollandole insieme. Un masso seghettato pareggiò il retro della navetta. Leale tirò fuori la Sig Sauer, tanto per farsi coraggio.
E di colpo furono fuori della fenditura, in una caverna dominata da tre smisurati pilastri di titanio.
«Eccoli» balbettò Bombarda. «I pilastri delle fondamenta.»
Spinella sbuffò. «Ma non mi dire» brontolò, azionando i morsetti d'atterraggio.
Bombarda aveva disegnato un altro schema, che pareva un serpente con la gobba.
«Stiamo seguendo un idiota munito di pennarello» disse Tubero con calma ingannevole.
«Fin qui ti ci ho portato, no, Julius?» protestò Bombarda, immusonito.
Spinella stava finendo l'ultima bottiglia di acqua minerale. Un buon terzo le era finito sulla testa.
«Non permetterti di fare il broncio, nano» lo avvertì. «Per come la vedo io, siamo bloccati al centro della Terra, senza una via d'uscita e senza possibilità di comunicare.»
Bombarda fece un passo indietro. «Capisco che siate un po' tesi, dopo il volo. Perché non ci rilassiamo un momento, eh?»
Nessuno sembrava molto rilassato. Perfino Artemis aveva l'aria vagamente turbata. Quanto a Leale, non aveva ancora rinfoderato la Sig Sauer.
«Il difficile è fatto. Ora siamo nelle fondamenta. Non ci resta che salire.»
«Davvero, detenuto?» disse Tubero. «E come suggerisci di procedere, esattamente?»
Bombarda ripescò una carota dalla dispensa e la puntò sullo schizzo. «Questo è...»
«Un serpente?»
«No, Julius. Un pilastro delle fondamenta.»
«Uno di quei pilastri di titanio compatto che affondano in rocce inespugnabili?»
«Proprio loro. Però uno non è compatto. Non esattamente.»
Artemis annuì. «Come pensavo. Hai tirato via col lavoro, eh, Bombarda?»
«Lo sai come sono i regolamenti edilizi» replicò imperturbabile il nano. «Pilastri di titanio compatto? Hai un'idea di quanto costano? Ci sballavano troppo il preventivo. Così il cugino Nordio e io abbiamo preferito soprassedere sul ripieno di titanio.»
«Ma dovete pur averlo riempito di qualcosa, quel pilastro!» intervenne il comandante. «Koboi avrà fatto un controllo.»
Bombarda annuì con aria imbarazzata. «Ci abbiamo collegato i tubi degli scarichi per un paio di giorni. Il controllo sonar è filato liscio come l'olio.»
Spinella ingoiò un'ondata di nausea. «Scarichi. Vuoi dire...»
«No, no. È roba di cent'anni fa, ormai è solo argilla. E di ottima qualità, quanto a questo.»
La faccia di Tubero avrebbe potuto far bollire un pentolone d'acqua. «E ti aspetti che noi ci arrampichiamo attraverso venti metri di... letame?»
Bombarda alzò le spalle. «Fate come vi pare. Restate qui per tutta l'eternità, se volete. Io preferisco il tubo.»
Artemis non era entusiasta di come si erano messe le cose. Corse, salti, ferite. D'accordo. Ma... scarichi? «È questo il tuo piano?» riuscì a balbettare.
«Che c'è, Fangosetto?» sogghignò Bombarda. «Paura di sporcarti le mani?»
Era solo un modo di dire, Artemis lo sapeva, però era vero. Si guardò le dita affusolate. Ieri mattina sembravano quelle di un pianista; oggi quelle di un muratore.
Spinella gli diede una pacca sulle spalle. «Coraggio» disse. «Muoviamoci. Prima salviamo gli Strati Inferiori e prima andiamo a salvare tuo padre.»
Notò un cambiamento istantaneo nell'espressione di Artemis. Come se i suoi lineamenti non sapessero bene come posizionarsi. Esitò, ripensando a quello che aveva detto: per lei era stato un normale incoraggiamento, il tipo di commento che un ufficiale fa ogni giorno, ma a quanto pareva Artemis non era abituato a far parte d'una squadra.
«Non pensare che siamo diventati amiconi tutt'a un tratto» si affrettò a chiarire. «È solo che quando do la mia parola mi piace mantenerla.»
Artemis preferì non rispondere. Si era già beccato un pugno, oggi.
Uscirono dalla navetta usando una scala retrattile.
Artemis scese sulla superficie e cominciò a farsi strada fra i massi aguzzi e i rifiuti abbandonati da Bombarda e da suo cugino un secolo prima nella caverna illuminata dallo scintillio stellato delle rocce fosforescenti.
«Questo posto è una meraviglia geologica» esclamò. «Quaggiù la pressione dovrebbe schiacciarci, e invece no.» Si inginocchiò a esaminare un fungo spuntato su un'arrugginita latta di vernice. «C'è perfino vita!»
Bombarda strappò i resti di un martello all'abbraccio di due sassi.
«Dunque è qui che era finito. Dobbiamo avere esagerato con gli esplosivi, quando preparavamo gli alloggiamenti dei pilastri. Ci siamo lasciati dietro un po' di... spazzatura.»
Spinella era sbigottita. Inquinare è un abominio, per il Popolo.
«Bombarda!» sbottò. «Quaggiù hai infranto una tale quantità di leggi che non ho dita sufficienti a contarle. Quando avrai quei due giorni di vantaggio, farai meglio a muoverti in fretta perché sarò io a darti la caccia.»
«Eccoci arrivati» disse Bombarda, ignorandola. Ormai alle minacce aveva fatto il callo.
In una delle colonne c'era un foro. Bombarda ne accarezzò affettuosamente i bordi. «Una taglierina a diamante laser. Una batteria nucleare piccola così. Quella pupa poteva affettare qualunque cosa.»
«Me la ricordo anch'io, quella taglierina» disse Tubero. «Una volta mi ci hai quasi decapitato.»
Bombarda sospirò. «Bei tempi, eh, Julius?»
La risposta di Tubero fu una pedata. «Chiacchiera meno e mangia più terra, detenuto.»
Spinella infilò la mano nel foro. «Una corrente d'aria. Nel corso degli anni, il campo di pressione della città deve aver compensato questa grotta. Ecco perché adesso non siamo piatti come sogliole.»
«Chiaro» dissero all'unisono Leale e Tubero. Un'altra bugia da aggiungere alla lista.
Bombarda sbottonò la patta posteriore.
«Io scavo fino in cima e vi aspetto lassù. Spostate più detriti che potete. Cercherò di spargere attorno il riciclaggio per evitare di chiudere il tunnel.»
Artemis gemette. L'idea di strisciare in mezzo al riciclaggio di Bombarda era quasi intollerabile. Solo il pensiero di suo padre lo faceva andare avanti.
Bombarda infilò la testa nel foro. «Indietro» avvertì, sganciandosi la mascella.
Leale fu svelto a spostarsi: non aveva intenzione di beccarsi altro gas gnomesco.
Bombarda s'immerse fino alla vita nella colonna al titanio e sparì nel giro di pochi istanti. Dal pilastro cominciarono a sgorgare suoni poco invitanti, inframezzati dal tonfo di pezzi d'argilla contro le pareti. Un soffio ininterrotto di aria pressurizzata e detriti uscì turbinando dal foro.
«Stupefacente» sussurrò Artemis. «Cosa non potrei fare, con dieci come lui. Fort Knox sarebbe una bazzecola.»
«Non pensarci nemmeno» lo avvertì Tubero. Poi si rivolse a Leale. «Che cos'abbiamo?»
La guardia del corpo estrasse la pistola. «Una Sig Sauer con dodici colpi nel caricatore. Nient'altro. La tengo io, anche perché sono l'unico in grado di sollevarla. Voi due prendete quello che potete strada facendo.»
«E io?» chiese Artemis, anche se già conosceva la risposta.
Leale lo guardò dritto negli occhi. «Tu resti qui. Questa è un'operazione militare. Finiresti per farti ammazzare.»
«Ma...»
«Il mio compito è proteggerti, Artemis, e questo è probabilmente il posto più sicuro del pianeta.»
Artemis non discusse. In effetti, se n'era già reso conto da solo. Certe volte era un peso, essere un genio.
«D'accordo, Leale. Resterò qui. A meno che...»
Leale socchiuse gli occhi. «A meno che cosa?»
Artemis gli rivolse il suo miglior sorriso da vampiro. «A meno che non mi venga un'idea.»
CENTRALE DI POLIZIA
Alla Centrale, la situazione era disperata. Il capitano Algonzo e i suoi avevano formato un cerchio, riparandosi dietro le scrivanie rovesciate. I goblin sparavano a casaccio attraverso la soglia e a nessuno degli stregomedici era rimasta una goccia di magia. D'ora in poi, i feriti sarebbero rimasti feriti.
I Consiglieri stavano stretti l'uno all'altro dietro una muraglia di soldati. Tutti, tranne la comandante di squadriglia Vinyàia, che aveva richiesto uno dei laser Nasomolle recuperati: fino a quel momento non aveva sbagliato un colpo.
I tecnici, rannicchiati dietro le scrivanie, provavano una combinazione dopo l'altra nel tentativo di accedere alla CabOp. Grana non nutriva molte speranze su quel fronte: se Polledro chiudeva una porta, di solito restava chiusa.
Intanto, nella cabina, il centauro non poteva fare altro che scalpitare frustrato. Permettergli di assistere alla battaglia era un altro segno della crudeltà di Brontauro.
Era una situazione disperata. Anche se Julius e Spinella avessero ricevuto il suo messaggio, era troppo tardi per fare qualunque cosa. Polledro aveva labbra e gola secche. Tutto gli era venuto meno. Il suo computer, il suo intelletto, le sue battute sarcastiche. Tutto.
SOTTO I LABKOB
Qualcosa sbatté contro la testa di Leale. «Che cos'era?» sibilò a Spinella, che chiudeva la fila.
«Non chiederlo» gracchiò il capitano Tappo. Nonostante i filtri dell'elmetto, la puzza era atroce.
Il contenuto della colonna aveva avuto un secolo per fermentare e puzzava come il giorno che era finito là dentro. Peggio, probabilmente. Almeno, si consolò la guardia del corpo, non mi tocca mangiare questa schifezza.
Tubero era il primo della fila e le luci del suo elmetto sforbiciavano l'oscurità. Il pilastro aveva un'inclinazione di quaranta gradi, con scanalature regolari che in teoria sarebbero servite ad ancorare il ripieno di titanio.
Bombarda aveva fatto un buon lavoro, quanto a sbriciolare il contenuto del tubo, ma il materiale riciclato doveva pur finire da qualche parte. Anche se, gli va dato atto, masticava bene ogni boccone per evitare i grumi.
I nostri eroi avanzarono decisi, sforzandosi di non pensare a dove si trovavano. Quando lo raggiunsero, il nano stava aggrappato a una sporgenza e aveva la faccia contorta dal dolore.
«Che c'è, Bombarda?» chiese Tubero in tono involontariamente ansioso.
«Ddate su» gemette Bombarda. «Ddate su 'ubbio.»
Tubero sbarrò gli occhi con un'espressione molto simile al panico. «Su!» sibilò. «Tutti quanti su!»
Strisciarono in fretta oltre il nano. Appena in tempo. Bombarda si rilassò, sparando una scarica di gas gnomesco che avrebbe potuto gonfiare il tendone di un circo.
«Così va meglio» sospirò, riagganciandosi soddisfatto la mascella. «Quell'argilla era piena d'aria. Ti dispiacerebbe togliermi quel raggio dalla faccia, Julius? Lo sai che sono sensibile alla luce.»
Il comandante lo accontentò, passando all'infrarosso.
«Bene, ora che siamo qui, come facciamo a uscire? Mi pare di ricordare che non hai la tua taglierina.»
«Nessun problema. Un buon ladro progetta sempre una seconda visita. Guarda qui.» Indicò una sezione di titanio che sembrava identica al resto. «L'ultima volta ci ho lasciato un tappo. Gommaflex.»
Tubero fu costretto a sorridere. «Sei un delinquente ingegnoso. Com'è che siamo riusciti ad acchiapparti?»
«Pura fortuna» replicò il nano, tirando una gomitata al tubo e aprendo un foro vecchio di cent'anni. «Benvenuti nei LabKob.»
Uscirono in un corridoio poco illuminato. Carrelli librati stracarichi erano ammassati in quadruplice fila lungo le pareti. Sopra di loro, splendevano fioche strisce luminose.
«Conosco questo posto» disse Tubero. «Sono venuto a ispezionarlo quando hanno chiesto i permessi per l'armamento speciale. Siamo a due corridoi dal centro computer. Forse abbiamo una possibilità di farcela.»
«E che mi dice di quei cannoni DNA?» indagò Leale.
«Ingegnosi» ammise il comandante. «Se il computer respinge il tuo DNA, sei spacciato. Possono essere programmati per eliminare intere specie.»
«Ingegnosi» concordò la guardia del corpo.
«Però scommetto che sono disattivati. Primo: se questo posto è pieno di goblin, difficilmente sono entrati dall'ingresso principale. Secondo: se Polledro dev'essere accusato della rivolta, Koboi farà finta di essere senz'armi, proprio come la LEP.»
«Ha un piano?» chiese Leale.
«No» ammise il comandante. «Appena svoltiamo l'angolo, siamo sulle telecamere. Perciò filiamo nel corridoio a tutta velocità e stendiamo chiunque ci intralci la strada. Se ha un'arma, gliela confischiamo. Bombarda, tu resta qui e allarga il tunnel... può darsi che dobbiamo filarcela alla svelta. Pronti?»
Spinella tese una mano. «Signori, è stato un piacere.»
Il comandante e Leale vi poggiarono sopra le loro. «Altrettanto.»
Si diressero verso il corridoio. Duecento goblin contro tre eroi praticamente disarmati. Sarebbe stata dura.
LABKOB, UFFICIO PRIVATO
«Intrusi nell'edificio» squittì deliziata Opal Koboi.
Brontauro si portò davanti allo schermo di controllo. «Ma quello è Julius! Sorprendente. A quanto pare, generale Sputacchio, la tua squadra d'assalto ha esagerato.»
Sputacchio si leccò furioso le pupille. Il tenente Nilo avrebbe perso la pelle prima della stagione di muta.
«Possiamo attivare i cannoni DNA?» bisbigliò Brontauro all'orecchio di Opal.
La folletta scosse la testa. «Non subito. Vanno riprogrammati per il DNA goblin. Ci vorrà qualche minuto.»
Brontauro si voltò verso i generali. «Fate venire due squadre armate, una dall'alto e una di fianco. Li intrappoliamo sulla porta. Non avranno via di scampo.» Fissò rapito lo schermo. «È perfino meglio di quanto avessi progettato. Adesso, Julius, mio vecchio amico, sarò io a umiliarti.»
Artemis meditava. Era tempo di concentrarsi. Stava seduto a gambe incrociate su una roccia, passando in rassegna le diverse strategie di salvataggio che potevano essere applicate di ritorno nell'Artico. Ma se per allora la Mafia avesse già trasferito suo padre al punto di consegna, non avrebbe avuto che un piano a sua disposizione. Un piano altamente rischioso. Si frugò nei meandri del cervello alla ricerca di un'alternativa.
Le sue riflessioni furono disturbate da una cacofonia sgorgata dal pilastro di titanio. Sembrava una nota sostenuta emessa da un gigantesco fagotto. Gas gnomesco, dedusse. Il pilastro aveva una bella acustica.
Quello che gli serviva era un lampo di genio. Un'intuizione tagliente come un rasoio che avrebbe reciso il nodo nel quale aveva finito per avvolgersi, e risolto la situazione.
Dopo otto minuti fu di nuovo interrotto. Non da un'esplosione gassosa, però. Da un grido, una richiesta d'aiuto. Bombarda era nei guai, soffriva.
Stava per suggerire a Leale di occuparsene, quando si rese conto che la guardia del corpo non era al suo fianco. Era in missione per salvare gli Strati Inferiori. Doveva agire in prima persona. Infilò la testa nel pilastro. Era nero come l'interno di un vecchio stivale e puzzava il doppio. Per prima cosa, decise, gli serviva un elmetto sigillato. Ne recuperò uno dalla navetta e, dopo un rapido controllo, attivò fari e filtri.
«Bombarda? Sei tu?»
Nessuna risposta. Che fosse una trappola? Possibile che lui, Artemis Fowl, stesse per cadere nel trucco più vecchio del mondo? Più che possibile. Ma nonostante tutto non poteva mettere a rischio la vita di quella piccola creatura pelosa. Da qualche parte fra Los Angeles e lì, e pur sapendo bene che non era il caso, aveva cominciato a trovare simpatico il signor Sterro. Rabbrividì. Cose del genere gli capitavano sempre più spesso, da quando sua madre aveva recuperato la sanità mentale.
Cominciò ad arrampicarsi nel tubo, dirigendosi verso il disco luminoso sopra di lui. La puzza era spaventosa. Le sue scarpe erano rovinate senza rimedio e nessun lavaggio a secco avrebbe potuto ripulire la giacca del St Bartleby. Bombarda avrebbe fatto meglio a essere davvero nei guai.
Quando emerse dal tubo, lo trovò che si contorceva sul pavimento, la faccia contratta in una smorfia di genuina agonia.
«Che succede?» domandò, sfilandosi l'elmetto e inginocchiandosi al suo fianco.
«Budella bloccate» gemette Bombarda. Gocce di sudore gli scorrevano fra i peli della barba. «Troppo duro. Impossibile frantumare.»
«Che posso fare?» chiese Artemis, per quanto atterrito dalle possibili risposte.
«Stivale sinistro. Toglilo.»
«Stivale? Hai detto stivale?»
«Sì» ululò il nano, irrigidito dal dolore. «Toglilo!»
Ad Artemis sfuggì un sospiro di sollievo. Aveva temuto di molto peggio. Tirò su la gamba del nano e osservò lo stivale.
«Bel modello.»
«Rodeo Drive» ansimò Bombarda. «Ora, se non ti dispiace...»
«Chiedo scusa.»
Sfilò lo stivale. Comparve un calzino non altrettanto alla moda, con buchi e rammendi assortiti.
«Mignolo» gemette Bombarda, gli occhi chiusi dal dolore.
«Mignolo cosa?»
«Strizza la giuntura. Forte.»
Strizza la giuntura. Qualcosa a che fare con la riflessologia. Ogni parte del corpo corrisponde a una del piede. La tastiera del corpo, per così dire. In Oriente era praticata da secoli.
«Benissimo. Se insisti.»
Strinse pollice e indice attorno al dito peloso. Forse se lo stava immaginando, ma ebbe l'impressione che i peli si scostassero per facilitargli l'accesso.
«Strizzalo» ansimò il nano. «Perché non lo strizzi?»
Perché, avrebbe voluto rispondere Artemis, sono troppo impegnato a fissare il laser che mi ritrovo puntato giusto in mezzo alla fronte. Ecco perché.
Il tenente Nilo non riusciva a credere alla sua fortuna. Aveva catturato due intrusi tutto da solo, e aveva pure scoperto il loro ingresso segreto. E poi dicevano che restare nelle retrovie non aveva i suoi lati positivi. Per lui quella si stava rivelando una rivolta eccezionale. Sarebbe diventato colonnello prima della terza muta.
«In piedi» ordinò, sbuffando fiamme azzurrine. Anche attraverso il traduttore, aveva proprio una voce da rettile.
Artemis si alzò lentamente e sollevò anche Bombarda. La patta posteriore del nano scavatore oscillò e si spalancò.
«Che problema ha?» chiese Nilo, chinandosi a controllare.
«Qualcosa che ha mangiato» rispose Artemis, e strizzò la giuntura.
L'esplosione scaraventò il goblin per aria e in fondo al corridoio. Uno spettacolo che non capita di vedere tutti i giorni.
Bombarda saltò in piedi.
«Grazie, ragazzo. Credevo d'essere spacciato. Era proprio roba dura. Granito, forse, o diamanti.»
Artemis annuì. Era senza parole.
«Certo che sono proprio scemi, questi goblin. Hai visto che faccia?»
Artemis scosse la testa. Ancora senza parole.
«Vuoi andare a darle un'occhiata?»
L'umorismo di bassa lega riscosse Artemis dal suo stupore. «Quel goblin. Dubito che fosse solo.»
Bombarda si riabbottonò la patta posteriore. «Macché. Ne è appena passato un battaglione. Probabilmente quello voleva scansare l'azione. Tipico dei goblin.»
Artemis si massaggiò le tempie. Doveva esserci qualcosa che poteva fare per aiutare i suoi amici. Aveva il QI più alto di tutta Europa, santi numi.
«Bombarda, ho una domanda importante da farti.»
«Suppongo d'essere in debito con te, visto che mi hai salvato la pelle.»
Artemis gli circondò le spalle con un braccio. «So come sei entrato nei LabKob, ma non puoi essere uscito nello stesso modo o la vampa ti avrebbe arrostito. Perciò come hai fatto?»
Bombarda sorrise. «Facile. Ho attivato l'allarme e me ne sono andato indossando l'uniforme della LEP che mi ero portato dietro.»
Artemis aggrottò la fronte. «No, non va. Dev'esserci un altro modo. Deve esserci.»
Ovviamente i cannoni DNA erano disattivati. Tubero cominciava giusto a essere ottimista, quando sentì il rimbombo di stivali in avvicinamento.
«D'Arvit» brontolò. «Voi due continuate. Io li trattengo più che posso.»
«No, comandante» obiettò Leale. «Con tutto il rispetto, abbiamo una sola arma e io so usarla molto meglio di lei. Ci penso io a fermarli. Voi cercate di aprire quella porta.»
Spinella aprì la bocca per protestare... ma chi poteva discutere con un uomo di quella taglia?
«D'accordo. Buona fortuna. Se ti feriscono, resta steso più fermo che puoi finché non torno. Quattro minuti, ricorda.»
Leale annuì. «Me ne ricorderò.»
«E... Leale?»
«Sì, capitano?»
«Quel piccolo equivoco l'anno scorso. Quando tu e Artemis mi avete rapita.»
Leale fissò il soffitto. Si sarebbe guardato i piedi, ma lì accanto c'era Spinella. «Già, quello. Avevo intenzione di...»
«Mettiamoci una pietra sopra. Dopo questo, è acqua passata.»
«Muoviti, Spinella» ordinò Tubero. «Leale, non farli avvicinare troppo.»
Leale strinse l'impugnatura sagomata della pistola. Aveva tutta l'aria di un orso corazzato. «Meglio che non lo facciano. Per il loro bene.»
Artemis si arrampicò su un carrello librato e batté le nocche su uno dei condotti che percorrevano il soffitto.
«Che roba è, un sistema di ventilazione?»
Bombarda sbuffò. «Magari. Sono i tubi che portano il rifornimento di plasma ai cannoni DNA.»
«Com'è che non sei entrato da qui?»
«Semplicemente perché in ogni goccia di plasma c'è abbastanza carica da friggere un troll.»
Artemis poggiò le mani sul metallo. «Ma se i cannoni fossero disattivati?»
«In tal caso il plasma non è che poltiglia radioattiva.»
«Radioattiva?»
Bombarda si tirò la barba meditabondo. «In effetti, secondo Julius i cannoni sono disattivati.»
«C'è modo di esserne sicuri?»
«Potremmo aprire questo pannello a prova di scasso.» Fece scorrere le dita sulla superficie curva. «Eccolo. Microserratura. Per la manutenzione. Anche il plasma va ricaricato.» Indicò un forellino microscopico. Sarebbe potuto essere un granello di polvere. «Osserva un maestro al lavoro.»
Infilò un pelo della barba nel foro, e appena lo sentì toccare il fondo lo strappò alla radice. Il pelo si stecchi in un immediato rigor mortis, mantenendo la forma esatta dell'interno della serratura.
Trattenendo il fiato, Bombarda girò la chiave improvvisata. Il pannello si aprì.
«Questo, ragazzo mio, è talento.»
Una gelatina arancione pulsava dentro il tubo, attraversata da scintille pigre e troppo densa per colare dal portello.
«È disattivato» annunciò Bombarda. «Altrimenti avremmo già una bella abbronzatura.»
«E quelle scintille?»
«Carica residua. Fanno un po' di solletico, ma niente di serio.»
Artemis annuì. «Bene» disse, allacciandosi l'elmetto.
Bombarda sbiancò. «Non farai sul serio, Fangosetto! Hai idea di cosa succederebbe se i cannoni venissero attivati?»
«Mi sforzerò di non pensarci.»
«E va bene.» Il nano scosse la testa, sbalordito. «Devi fare trenta metri, e in quell'elmetto non ci sono più di dieci minuti d'aria. Chiudi i filtri: dopo un po' l'aria diventa stantia, ma è sempre meglio che respirare plasma. E tieni questo.» Estrasse dalla serratura il pelo irrigidito.
«Per che farne?»
«M'immagino che vorrai uscire da lì, una volta arrivato in fondo. O non ci avevi pensato, genio?»
Artemis deglutì. In effetti non ci aveva pensato. A quanto pareva, un eroe non si limita a lanciarsi avanti alla cieca.
«Mi raccomando: trattalo con delicatezza. È un pelo, non metallo.»
«Con delicatezza. D'accordo.»
«E non accendere i fari. La luce potrebbe riattivare il plasma.»
Ad Artemis cominciava a girare la testa.
«E fatti dare una schiumata appena puoi. Le bombole antiradiazioni sono quelle blu. Le trovi dappertutto, da queste parti.»
«Bombole blu. Nient'altro, signor Sterro?»
«Be', ci sarebbero i plasmaserpi...»
Ad Artemis quasi cedettero le ginocchia. «Non dirai sul serio.»
«No» ammise Bombarda. «Non dico sul serio. Vediamo... dovresti avere una bracciata di mezzo metro circa. Perciò contane sessanta ed esci da lì.»
«Un po' meno di mezzo metro. Forse sessantatré.» Infilò il pelo pietrificato nel taschino della giacca.
Bombarda scrollò le spalle. «Come ti pare, ragazzo. La pelle è tua. Adesso vai.»
Allacciò le dita e Artemis salì sulla staffa improvvisata. Stava prendendo in considerazione l'ipotesi di cambiare idea quando il signor Sterro lo infilò nel tubo e la gelatina arancione lo risucchiò in un istante.
Il plasma lo avvolse come una cosa viva, comprimendo le bollicine d'aria intrappolate nei suoi vestiti. Una scintilla residua gli sfiorò una gamba, spedendogli una scarica dolorosa in tutto il corpo. Un po' di solletico?
Si voltò a guardare fuori dalla gelatina arancione e vide Bombarda salutarlo sollevando i pollici e ghignando come un mentecatto. Se mai ne fosse uscito vivo, decise, doveva mettere quel nano sul suo libro paga.
Cominciò a nuotare alla cieca. Una bracciata, due bracciate...
Sembravano davvero tante, sessantatré.
Leale armò la Sig Sauer. Il trapestio rimbombava assordante contro le pareti di metallo. Parecchie ombre si allungarono oltre l'angolo, precedendo i loro proprietari. La guardia del corpo prese la mira.
Comparve una testa ranocchiesca. Si leccava le pupille. Leale premette il grilletto. La pallottola aprì un foro grosso come un melone nella parete sopra la testa, che si ritrasse in un lampo.
Naturalmente l'aveva mancato di proposito. Spaventare era meglio che ammazzare. Però non poteva andare avanti all'infinito. Altri dodici volte, per la precisione.
Lentamente i goblin presero coraggio, avvicinandosi sempre più. Prima o poi, avrebbe dovuto ammazzarne uno.
Era arrivato il momento di un incontro ravvicinato. Si raddrizzò in tutta la sua altezza e, facendo poco più rumore di una pantera, si slanciò verso il nemico.
Solo due uomini su tutto il pianeta erano più esperti di lui nelle arti marziali, e uno era un suo parente. L'altro viveva su un'isola del Mar della Cina Meridionale e passava le sue giornate meditando e tirando giù una palma dopo l'altra. C'era da sentirsi dispiaciuti per quei goblin, davvero.
Davanti all'ufficio privato c'erano due Mazza Sette di guardia. Entrambi armati fino ai denti ed entrambi col cervello più duro d'una noce. Nonostante le ripetute raccomandazioni, si stavano addormentando sotto i loro elmetti quando gli elfi spuntarono correndo da dietro l'angolo.
«Guarda» biascicò un goblin. «Elfi.»
«Eh?» fece l'altro, il più sordo dei due.
«Non importa» disse Uno. «Tanto quelli della LEP non hanno armi.»
Due si leccò le pupille. «Sì, però si agitano parecchio.»
Fu allora che lo stivale di Spinella lo colpì al petto, sbattendolo contro il muro.
«Ehi» protestò Uno, sollevando il fucile. «Non è giusto.»
Tubero lo scaraventò contro la porta al titanio.
«Bene» disse Spinella. «Meno due. Non è stato difficile.»
Questa si rivelò un'affermazione prematura. Perché fu allora che il resto del battaglione, composto da duecento Mazza Sette, sbucò rumoreggiando da un altro corridoio.
«Non è stato difficile» le fece il verso il comandante, e strinse i pugni.
Artemis stava perdendo la concentrazione. Cerano un sacco di scintille, e ogni nuova scossa lo distraeva. Aveva già perso il conto due volte. Era arrivato a cinquantaquattro. O a cinquantasei. La differenza fra la vita e la morte.
Avanzò faticosamente, prima un braccio e poi un altro, nuotando nel mare di gelatina arancione. Era praticamente cieco. La sola conferma che in effetti si stava muovendo l'aveva quando le sue ginocchia sprofondavano in una delle bocchette che portavano il plasma ai cannoni.
Completò un'ultima bracciata, riempiendosi i polmoni di aria stantia... sessantatré. Era arrivato. Presto i filtri dell'elmetto si sarebbero esauriti e avrebbe respirato anidride carbonica.
Posò la punta delle dita contro la parete di metallo, cercando la serratura. Usare gli occhi era inutile e non poteva accendere i fari per paura di attivare un fiume di plasma.
Niente. Nessuna serratura. Sarebbe morto là dentro. Non sarebbe mai diventato grande. Sentì il cervello sprofondare in un tunnel di tenebre. Concentrati, si disse. Concentrati. Si stava avvicinando una scintilla. Una stellina argentea nel tramonto. Serpeggiò pigra lungo la parete del tubo, illuminandola al suo passaggio.
Là! Un forellino. Il forellino. Si frugò nel taschino della camicia coi movimenti impacciati di un nuotatore ubriaco e tirò fuori il pelo irrigidito. Avrebbe funzionato? Non c'era motivo che la serratura di questo pannello fosse diversa dall'altra.
Infilò il pelo nel forellino. Con delicatezza. Scrutò attraverso la gelatina. Stava entrando. O così sembrava. Al sessanta per cento. Si sarebbe dovuto accontentare.
Girò il pelo. La serratura scattò e si aprì. Gli sembrò di vedere il ghigno di Bombarda. Questo, ragazzo mio, è talento.
C'erano buone probabilità che tutti i suoi nemici sotto la faccia del pianeta si trovassero davanti allo sportello, pronti a puntargli alla testa fucili colossali, ma a quel punto non gliene importava. Non sarebbe riuscito a sopportare oltre quell'aria rancida, e nemmeno un'altra scossa.
Così spinse la testa coperta dall'elmetto fuori dal plasma e sollevò il visore, assaporando quello che poteva essere il suo ultimo respiro. Fu fortunato: gli occupanti della stanza erano troppo impegnati a fissare gli schermi panoramici per accorgersi di lui. Guardavano i suoi amici che lottavano per la vita. Loro erano molto meno fortunati.
Sono troppi, pensò Leale quando girò l'angolo e vide un intero battaglione di Mazza Sette che ricaricavano le armi.
Quando videro Leale, i goblin cominciarono a pensare cose tipo: Oddio, è un troll vestito; o: Perché non ho dato retta a mammina e non mi sono tenuto fuori dalle bande?
Poi Leale piombò loro addosso. Atterrò come la proverbiale tonnellata di mattoni, ma con molta più precisione. Tre goblin furono messi fuori combattimento prima di capire cosa li aveva colpiti. Uno si sparò su un piede, e parecchi altri si buttarono a terra e finsero d'essere svenuti.
Artemis assisté alla scena sullo schermo al plasma dell'ufficio privato. Insieme a tutti gli altri occupanti della stanza. Che se la spassavano un mondo. Era come vedere la tivù. I generali ridacchiavano e ghignavano mentre Leale decimava i loro soldati. Era assolutamente irreale. Nell'edificio c'erano centinaia di goblin: impossibile entrare là dentro.
Aveva pochi secondi per decidere il da farsi. Secondi. E nessuna idea su come usare tutti quegli strumenti. Perlustrò con lo sguardo le pareti sotto di lui, alla ricerca di qualcosa di utile. Qualunque cosa.
Là! In un piccolo riquadro su uno schermo lontano dalla console principale c'era Polledro. Prigioniero nella CabOp. Di sicuro lui aveva un piano. Di sicuro aveva avuto tutto il tempo per escogitarne uno. Artemis sapeva che appena fuori dal tubo sarebbe diventato un bersaglio. L'avrebbero ucciso senza pietà.
Sgusciò fuori e ricadde sul pavimento con uno schiocco viscido. I vestiti inzuppati di plasma rallentarono la sua avanzata verso lo schermo. Con la coda dell'occhio vide parecchie teste voltarsi verso di lui. E diverse sagome che cominciavano a muoversi. Non sapeva quante.
Sotto l'immagine di Polledro c'era un microfono. Premette il bottone.
«Polledro!» gracchiò, mandando grumi di plasma a spiaccicarsi sul banco. «Mi senti?»
Il centauro reagì all'istante. «Fowl? Che succede?»
«Cinque secondi, Polledro. Mi serve un piano o siamo spacciati.»
Polledro annuì. «Ce l'ho. Mandami in onda.»
«Cosa? Come?»
«Il bottone delle conferenze. Giallo. Un cerchio circondato da raggi, come il sole. Lo vedi?»
Artemis lo vide. Lo schiacciò. Poi qualcosa schiacciò lui. Molto dolorosamente.
Fu il generale Scaglietta a notare per primo la creatura che era saltata fuori dal tubo del plasma. Che roba era? Un folletto? No. No, per tutti i numi. Era un umano.
«Guardate!» ridacchiò. «Un Fangoso.»
Gli altri erano troppo presi dallo spettacolo per fare caso a lui.
A parte Brontauro. Un umano là dentro! Com'era possibile? Afferrò Scaglietta per le spalle. «Uccidilo!»
I generali drizzarono le orecchie. Questo sì che era interessante. C'era da uccidere qualcuno. E senza correre alcun pericolo. L'avrebbero fatto usando i metodi tradizionali: artigli e palle di fuoco.
L'umano aveva raggiunto una console. Lo circondarono, sbavando eccitati. Sputacchio lo fece girare perché fronteggiasse il suo fato.
Intorno ai pugni dei generali si formarono palle di fuoco. E poi su tutti gli schermi comparve qualcosa che fece dimenticare loro l'umano malridotto. La faccia di Brontauro. E ai capi dei Mazza Sette non piacque affatto quello che stava dicendo.
«... quando la situazione sarà disperata, ordinerò a Opal di restituire alla LEP il controllo delle armi. I Mazza Sette cascheranno come pere cotte e la colpa di tutto ricadrà su di te... sempre che tu sopravviva, del che dubito fortemente.»
Sputacchio si voltò di scatto verso il suo alleato. «Brontauro! Che significa?»
I generali avanzarono, sibilando e soffiando. «Tradimento, Brontauro! Tradimento!»
Brontauro non sembrò eccessivamente preoccupato. «Sì» disse. «Tradimento.»
Ci volle un momento perché Brontauro capisse cos'era successo. Polledro. Chissà come, era riuscito a registrare la loro conversazione. Che scocciatura. Però bisognava riconoscere che quel centauro era pieno di risorse.
Raggiunse in fretta la console principale e interruppe la trasmissione. Non era il caso che Opal sentisse il resto, specie la parte relativa al tragico incidente. Avrebbe dovuto smetterla, con le vanterie. Comunque non aveva importanza. Andava tutto secondo i piani.
«Tradimento» sibilò Scaglietta.
«Sì» ammise Brontauro. «Tradimento.» E subito dopo aggiunse: «Computer, attiva i cannoni DNA. Autorizzazione Briar Brontauro. Alfa alfa due due.»
Opal fece eseguire una piroetta alla sua Librella, battendo allegramente le mani. Briar era cooosì brutto, ma cooosì cattivo.
In tutti i LabKob, i cannoni DNA si drizzarono sui loro supporti ed eseguirono una rapida autodiagnosi. A parte una lieve perdita nell'ufficio privato, era tutto in ordine. E così, senza altri indugi, obbedirono al loro programma e centrarono chiunque avesse DNA goblin alla velocità di dieci scariche al secondo.
Fu una faccenda rapida e, come ogni invenzione Koboi, efficiente.
In meno di cinque secondi i cannoni tornarono ad abbassarsi sui loro supporti. Missione compiuta: duecento goblin stesi in tutto l'edificio.
«Fiiiuuu» disse Spinella, scavalcando file di goblin russanti. «Per un pelo.»
«Non dirlo a me» concordò Tubero.
Brontauro tirò un calcio al corpo addormentato di Scaghetta. «Come vedi, Artemis Fowl» disse, estraendo il suo Nasomolle «non hai ottenuto un bel niente. I tuoi amici sono ancora fuori. E tu sei qui dentro. I goblin sono svenuti e presto saranno sottoposti allo spazzamente con qualche prodotto chimico particolarmente instabile. Proprio come avevo pianificato.» Sorrise a Opal, che continuava a librarsi sopra di loro. «Come avevamo pianificato.»
Opal gli ricambiò il sorriso.
In qualunque altra occasione, Artemis si sarebbe sentito in obbligo di fornire un commento beffardo, ma al momento era totalmente concentrato sulla concreta possibilità di una sua imminente dipartita.
«Adesso mi basterà riprogrammare i cannoni per stendere i tuoi amici, dopodiché riattiverò i cannoni della LEP e conquisterò il mondo. E nessuno può entrare qui per fermarmi.»
Non si dovrebbe mai fare un'affermazione del genere, specialmente quando si è l'Arcifurfante della situazione. Significa andare in cerca di guai.
Leale raggiunse trafelato gli altri davanti all'ufficio privato e, grazie ai pannelli di quarzo della porta, non ebbe difficoltà a rendersi conto della sgradevole posizione di Fowl Junior. Nonostante tutti i suoi sforzi, Artemis era riuscito a mettersi in pericolo mortale. Come faceva, una povera guardia del corpo, a svolgere decentemente il suo lavoro quando la persona da proteggere insisteva a saltare nella fossa dei leoni?
Un'ondata di testosterone lo attraversò da capo a piedi. Soltanto una porta lo separava da Artemis. Una semplice, misera porta costruita per resistere a fatine armate di fucili a raggi laser. Arretrò per prendere la rincorsa.
Spinella intuì quello che aveva in mente. «Lascia perdere. È corazzata.»
La guardia del corpo non rispose. Non poteva. Il vero Leale era sepolto sotto strati di adrenalina e forza bruta.
Con un ruggito si slanciò verso la porta, concentrando tutta la sua notevole energia sulla punta della spalla. Fu un colpo che avrebbe atterrato un ippopotamo di media stazza. E, anche se la porta era progettata per resistere a scariche al plasma e a un moderato attacco fisico, di sicuro non era a prova di Leale. Il battente blindato si accartocciò come fosse di latta.
L'impeto portò Leale al centro dell'ufficio. Spinella e Tubero lo seguirono, fermandosi solo per strappare qualche laser Nasomolle dalle grinfie dei goblin svenuti.
Brontauro agi con rapidità. «Non muovetevi» ordinò, afferrando Artemis. «Nessuno di voi. O ammazzo il Fangosetto.»
Leale continuò a muoversi. Il suo ultimo pensiero razionale era stato disarmare Brontauro, e adesso quello era il suo unico scopo nella vita. Si tuffò in avanti a braccia tese.
Spinella gli si aggrappò disperatamente alla cintura, ma Leale se la tirò dietro come una scia di lattine legata all'auto di una coppia di neosposi.
«Fermo, Leale» ansimò lei.
La guardia del corpo la ignorò.
«Fermo!» ripeté Spinella, puntando i piedi e caricando di fascino la voce.
Leale sembrò svegliarsi. Scrollò la testa, scacciando il cavernicolo che era in lui.
«Bravo, Fangoso» disse Brontauro. «Ascolta il capitano Tappo. Sicuramente possiamo trovare una soluzione.»
«Niente trattative, Briar» ringhiò Tubero. «Per te è finita. Metti giù il Fangosetto.»
Brontauro armò il laser. «Eccome se lo metto giù.»
Era il peggior incubo di Leale diventato realtà. Il suo protetto era nelle mani di uno psicopatico senza più niente da perdere.
E lui non poteva farci niente.
Un telefono squillò.
«Credo che sia il mio» disse automaticamente Artemis.
Un altro squillo. Era proprio il suo. Incredibile che funzionasse ancora, con tutto quello che aveva passato. Lo tirò fuori e fece scattare il microfono.
«Sì?»
Fu uno di quei momenti da fiato sospeso. Nessuno sapeva che cosa aspettarsi.
Poi Artemis lanciò il telefonino a Opal Koboi. «È per lei.»
La Librella si abbassò e la folletta acciuffò al volo il cellulare. Brontauro si sentì calare un macigno sul petto: il suo cuore sapeva cosa stava per succedere, anche se il suo cervello non c'era ancora arrivato.
Opal avvicinò il minialtoparlante all'orecchio appuntito.
«... Credi davvero» disse la voce di Brontauro «che avrei fatto tanta fatica per dividere il potere? No, Polledro. Appena questa sceneggiata sarà finita, la signorina Koboi avrà un tragico incidente. O svariati tragici incidenti...»
Ogni traccia di colore svanì dalla faccia di Opal. «Tu!» strillò.
«È un trucco!» protestò Brontauro. «Cercano di metterci l'uno contro l'altra.»
Ma i suoi occhi rivelavano la verità.
Nonostante la loro taglia, i folletti sono creature combattive. Si controllano fino a un certo punto e poi esplodono. Per Opal Koboi era arrivato il momento di esplodere. Azionò i controlli della Librella e scese in picchiata.
Senza esitare Brontauro centrò con due colpi il bracciolo della poltrona, ma l'imbottitura protesse il pilota.
Opal Koboi gli volò dritta contro. Quando l'elfo sollevò le braccia per proteggersi, Artemis si gettò a terra. A Briar Brontauro non andò altrettanto bene: il parapetto di sicurezza della poltrona lo agganciò e lo trascinò in volo insieme alla folletta furibonda. Per un po' rimbalzarono qua e là per tutta la stanza, e infine andarono a sbattere contro lo sportello aperto del tubo pieno di plasma.
Purtroppo per Brontauro, adesso il plasma era attivo. Lo aveva attivato lui stesso. Ma non ebbe modo di apprezzare l'ironia della sorte, mentre veniva fritto da milioni di viticci radioattivi.
Koboi, invece, fu fortunata: ruzzolò fuori dalla poltrona e si accasciò gemente sul pavimento.
Leale era entrato in azione prima ancora che Brontauro atterrasse. Sollevò Artemis di peso e lo controllò da capo a piedi. Solo un paio di graffi. Niente che qualche scintillina azzurra non potesse aggiustare.
Spinella si occupò di Opal Koboi.
«È cosciente?» chiese il comandante.
Gli occhi di Koboi si aprirono. Spinella glieli fece chiudere con un rapido colpo di taglio sulla nuca. «Macché» rispose in tono innocente. «Dorme come un ghiro.»
A Tubero bastò un'occhiata per rendersi conto che non aveva senso controllare Brontauro alla ricerca di segni vitali. Forse era meglio così. Altrimenti si sarebbe dovuto fare un paio di secoli a Picco dell'Ululo.
Artemis notò un movimento sulla porta. Era Bombarda, tutto sorridente, che faceva ciao con la mano e si preparava a filarsela: tanto per andare sul sicuro, nel caso Julius si scordasse dei due giorni di vantaggio promessi. Il nano indicò una bombola blu agganciata alla parete e sparì.
«Leale» gracchiò Artemis, con l'ultimissimo residuo di forza. «Qualcuno potrebbe darmi una schiumata? E poi, per piacere, potremmo andare a Murmansk?»
Leale lo fissò perplesso. «Schiumata? Che schiumata?»
Spinella sganciò la bombola antiradiazioni e fece scattare la chiusura di sicurezza. «Se permetti» ridacchiò. «Sarà un piacere.»
Un getto di schiuma puzzolente colpì Artemis: nel giro di pochi secondi, somigliava a un omino di neve semiliquefatto. Spinella scoppiò a ridere. Chi l'ha detto che far rispettare la legge non ha i suoi momenti spassosi?
CABOP, CENTRALE DI POLIZIA
Appena il cannone al plasma ebbe mandato in corto circuito il telecomando di Brontauro, l'energia tornò d'impeto nella CabOp.
L'istante successivo Polledro aveva riattivato i prendisonno inseriti sottopelle ai goblin che avevano già avuto a che fare con la LEP, mettendo così fuori gioco metà dei Mazza Sette. Dopodiché riprogrammò i cannoni DNA in funzione antigoblin. Fu tutto finito nel giro di pochi secondi.
Il primo pensiero del capitano Algonzo fu per i suoi ragazzi. «A rapporto!» urlò, sovrastando il caos. «Ci sono perdite?»
Uno dopo l'altro, i capisquadra gli confermarono che non c'erano state perdite.
«Ci è andata bene» commentò uno stregomedico. «In tutto l'edificio non è rimasta una goccia di magia. E neanche un medimpacco. Il prossimo a cadere sarebbe rimasto steso.»
Grana rivolse la sua attenzione alla CabOp. Non aveva l'aria cordiale.
Polledro depolarizzò la vetrata al quarzo e aprì un canale. «Ehi, ragazzi. Non c'ero mica dietro io. È stato Brontauro. Io vi ho appena salvati inviando una registrazione a un cellulare; non è stato facile. Dovreste darmi una medaglia.»
Grana strinse i pugni. «Come no, Polledro, esci fuori e te la do io, la medaglia.»
Forse Polledro non era un centauro di mondo, però sapeva riconoscere una minaccia velata.
«Oh no. Neanche a parlarne. Io resto qua dentro finché torna il comandante Tubero. Lui potrà spiegare tutto.»
Oscurò i vetri e si mise all'opera per ripulire a fondo il sistema. Avrebbe individuato ogni traccia residua di Opal Koboi e l'avrebbe gettata nello scarico. Paranoico, eh? Allora, Spinella, chi è il paranoico? Chi?