CAPITOLO 11

CHI NON RISICA NON ROSICA

LOS ANGELES

 

Per la precisione, Bombarda Sterro si trovava fuori dell'appartamento di un'attrice da Oscar. Che era ovviamente all'oscuro della sua presenza. E, altrettanto ovviamente, lui ne stava combinando una delle sue. Ladro una volta, ladro per sempre.

Non che Bombarda avesse bisogno di soldi. Dall'assedio a Casa Fowl era uscito piuttosto ben rifornito. Abbastanza da installarsi in un attico a Beverly Hills. Aveva equipaggiato l'appartamento con un sistema d'intrattenimento Pioneer ultimo modello, scaffali su scaffali di DVD e abbastanza manzo affumicato da resistere per un decennio. Adesso sì che poteva prendersi un lungo, rilassante periodo di riposo!

Ma la vita non funziona così. Si rifiuta di starsene buona e zitta in un cantuccio. E le abitudini maturate nel corso dei secoli non si cancellano dall'oggi al domani. Arrivato a metà della sua collezione di film di James Bond, Bombarda si rese conto di sentire la mancanza dei vecchi tempi. Dopo un po', lo schivo abitante dell'attico cominciò a concedersi qualche passeggiata notturna. Passeggiate che in genere lo portavano nelle case altrui.

All'inizio si limitò a una semplice visita, tanto per assaporare il brivido di sconfiggere i sofisticati sistemi d'allarme dei Fangosi. Poi cominciò a portarsi via qualche trofeo. Cosucce: un calice di cristallo, un posacenere o, se aveva fame, un gatto. Ma in breve Bombarda Sterro cominciò a sospirare l'antica fama, e i suoi furti divennero più consistenti. Lingotti d'oro, diamanti grossi come uova d'anatra o, se aveva davvero fame, un pit-bull terrier.

La storia degli Oscar cominciò per caso. Ne sgraffignò uno come curiosità durante una scappata infrasettimanale a New York. Per la Miglior Sceneggiatura Originale. La mattina seguente si ritrovò sulle prime pagine di tutti i giornali, da una costa all'altra. Neanche avesse rubato i rifornimenti d'un convoglio medico, invece che una semplice statuetta dorata. Ovviamente Bombarda andò in brodo di giuggiole. Aveva trovato la sua nuova occupazione notturna.

Nelle due settimane seguenti sgraffignò l'Oscar per la Miglior Colonna Sonora e quello per i Migliori Effetti Speciali. I giornali scandalistici impazzirono. Gli diedero perfino un soprannome: il RubaOscar. Quando Bombarda lo lesse, dalla felicità intrecciò le dita dei piedi. Uno spettacolo, perché le dita dei piedi di un nano scavatore sono agili come le dita delle mani e con giunture doppie... quanto all'odore, meno se ne parla e meglio è. Da quel momento la sua missione fu chiara: mettere insieme la serie completa.

Nei sei mesi successivi il RubaOscar colpì in tutti gli Stati Uniti. Fece addirittura una puntata in Italia per impadronirsi dell'Oscar per il Miglior Film Straniero. Conservava il suo bottino in uno speciale armadietto di vetro che si oscurava premendo un pulsante. Bombarda Sterro si sentiva di nuovo vivo.

Ovviamente ogni vincitore di Oscar del pianeta triplicò i sistemi di allarme. Le cose si stavano mettendo proprio come piaceva al nano. Non c'era gusto a scassinare una baracca. Palazzi di lusso e lussuose misure di sicurezza, ecco cosa voleva il pubblico. E il RubaOscar glielo forniva. I giornali ci andarono a nozze. Diventò un eroe. Durante il giorno, quando non poteva avventurarsi all'aperto, Bombarda era impegnato a scrivere la sceneggiatura delle sue imprese.

Stanotte era una gran notte. L'ultima statuetta. Quella per la Migliore Attrice. E non una qualsiasi miglior attrice, ma la tempestosa bellezza giamaicana Maggie V che quell'anno aveva vinto la statuetta per la sua interpretazione di Precious, una tempestosa bellezza giamaicana. Maggie V aveva pubblicamente dichiarato che se il RubaOscar si fosse azzardato a mettere il naso nel suo appartamento, avrebbe avuto molto più di quanto cercava. Per Bombarda era impossibile resistere a una sfida del genere.

Localizzare il palazzo non fu difficile: un edificio di dieci piani in vetro e acciaio poco lontano da Sunset Boulevard, a quattro passi da casa sua. Così, in una notte senza luna, l'intrepido nano impacchettò i suoi attrezzi e si preparò a un'impresa che sarebbe finita sui libri di storia.

Maggie V occupava l'ultimo piano. Era fuori questione usare scale, ascensore o pozzo del suddetto. Doveva essere un lavoretto dall'esterno.

In previsione della scalata, Bombarda non beveva da due giorni. I pori dei nani non servono soltanto a sudare, ma anche ad assimilare l'umidità: torna comodo, se ti trovi intrappolato in una frana per diversi giorni. Anche se non hai una bevanda a portata di bocca, ogni centimetro di pelle può assorbire l'umidità dal terreno circostante. Quando un nano è assetato come lo era adesso Bombarda, i suoi pori si dilatano fino a diventare grandi come crune d'ago e cominciano a succhiare come forsennati. Il che può tornare estremamente utile se, per esempio, si ha intenzione di scalare un palazzo.

Bombarda si tolse scarpe e guanti, si calcò sulla testa un elmetto LEP rubato e cominciò a salire.

 

POZZO E93

 

Spinella sentiva lo sguardo infuocato del comandante abbrustolirle i peli sulla nuca. Si sforzò d'ignorarlo, concentrandosi sul compito di non fracassare la navetta dell'ambasciatore di Atlantide contro le pareti del pozzo artico.

«Dunque sapevi da un pezzo che Bombarda Sterro era vivo.»

Spinella fece una virata a dritta per evitare un missile di roccia semifusa. «Non con sicurezza. Polledro aveva una teoria...»

Il comandante torse un collo immaginario. «Polledro! Perché la cosa non mi sorprende?»

Dall'area passeggeri arrivò il risolino di Artemis. «Fate i bravi, voi due. Lavoro di squadra, ricordate?»

«Su... dimmi tutto sulla teoria di Polledro, capitano» ordinò Tubero, allacciando l'imbracatura del sedile del secondo pilota.

Spinella attivò la pulizia statica delle telecamere esterne: cariche positive e negative si affrettarono a sloggiare la polvere dalle lenti.

«Polledro pensava che la morte di Bombarda fosse un po' sospetta, considerato che era il miglior scavatore in circolazione.»

«E perché non è venuto a parlarmene?»

«Era solo un'ipotesi. Con tutto il rispetto, comandante, lei non reagisce bene alle ipotesi.»

Tubero annuì malvolentieri. Vero: non aveva tempo per le ipotesi. Il suo motto era: "Dammi una prova solida, o esci dal mio ufficio e va' a procurartela."

«Così Polledro ha svolto qualche indagine nel suo tempo libero. Per prima cosa ha controllato l'oro recuperato e si è accorto che era un po' leggero. Io avevo trattato per la restituzione di metà riscatto, ma quando lui l'ha pesato, mancavano quasi due dozzine di lingotti.»

Il comandante accese uno dei suoi malefici sigari fungini. Sembrava promettente: orò sparito, Bombarda Sterro nel raggio d'un centinaio di chilometri. Due più due fanno quattro.

«Come sa, su ogni proprietà LEP, incluso l'oro del fondo-riscatto, si spruzza un rintracciatore a base di solinium. Così Polledro ha cercato tracce di solinium e le ha trovate sparse un po' in tutta Los Angeles. Con una concentrazione massima nel Crowley Hotel di Beverly Hills. E quando si è inserito nel computer del palazzo, ha scoperto che l'inquilino dell'attico è un certo Lance Escava.»

La punta delle orecchie di Tubero fremette. «Escava?»

«Esatto.» Spinella annuì. «Una coincidenza di troppo. A quel punto Polledro è venuto da me, e io gli ho consigliato di procurarsi qualche foto via satellite prima di presentarle il file. Ma...»

«Ma il signor Escava si è dimostrato molto sfuggente. Esatto?»

«Al cento per cento.»

Da roseo, il colorito di Tubero divenne rosso pomodoro. «Quel farabutto di Bombarda. Come può esserci riuscito?»

Spinella scrollò le spalle. «Pensiamo che abbia trasferito la minicam a qualche esemplare di fauna locale, forse un coniglio. Dopodiché ha fatto crollare il tunnel.»

«Così i segni vitali che abbiamo ricevuto appartenevano a un coniglio.»

«Esatto. In teoria.»

«Io lo ammazzo, quello!» sbraitò Tubero, battendo un pugno sul pannello di controllo. «Questo catorcio non può andare più veloce?»

 

LOS ANGELES

 

Bombarda scalò il palazzo senza difficoltà. C'erano telecamere esterne a circuito chiuso, ma il filtro ionico dell'elmetto mostrava esattamente dov'erano puntate. Non doveva fare altro che evitarle.

Nel giro di un'ora si trovava al decimo piano, fuori dell'appartamento di Maggie V Le finestre avevano vetri a tripla blindatura. Attori! Tutti paranoici.

Ovviamente sul vetro era applicato un allarme, e nella stanza si vedeva un motosensore appollaiato su una parete come un grillo pietrificato. Prevedibile.

Tagliò il vetro grazie a una bottiglia di lucidaroccia gnomesco, di solito usato per pulire i diamanti nelle miniere. Pensare che gli umani li tagliano, per renderli lucenti. Cose da pazzi: metà pietra dritta nello scarico.

Subito dopo, il RubaOscar usò il filtro per controllare la portata del motosensore all'interno della stanza. Il flusso ionico rosso rivelò che era puntato sul pavimento. Bah. Tanto lui non aveva nessunissima intenzione di camminarci.

Grazie ai pori ancora assetati, zampettò sulle pareti sfruttando una lucida scaffalatura in acciaio che circondava quasi completamente il salone.

Il passo seguente era trovare l'Oscar. Poteva essere dovunque, perfino sotto il cuscino di Maggie V, ma quella stanza era un posto buono come un altro per iniziare. Non si sa mai. Poteva avere un colpo di fortuna.

Attivò il filtro a raggi X dell'elmetto e perlustrò le pareti alla ricerca di una cassaforte. Niente. Controllò il pavimento; ultimamente gli umani si stavano facendo furbi. E infatti eccola, sotto un tappeto di finta pelle di zebra: un cubo di metallo. Facile.

Si avvicinò al motosensore dall'alto e lo piegò cautamente fino a puntarlo contro il soffitto. Adesso il pavimento era sicuro.

Atterrò sul tappeto e lo tastò con cura usando le dita sensibili dei piedi. Bene: nessun cuscinetto a pressione nel rivestimento interno.

Arrotolò la falsa pelle di zebra, rivelando uno sportello ritagliato nel pavimento di legno. Era appena visibile a occhio nudo, ma Bombarda era un esperto e in più i suoi occhi potevano usufruire delle lenti complete di zoom fornitegli a suo tempo dalla LEP.

Infilò un'unghia nella fessura e sollevò il portello. La cassaforte in sé fu una delusione. Neanche foderata di piombo; col filtro a raggi X poteva vedere fin dentro il meccanismo. Una semplice serratura a combinazione. Appena tre numeri.

Spense il filtro. Che gusto c'era, a forzare una serratura se ci vedevi attraverso? Invece appoggiò l'orecchio al portello e cominciò a far girare lentamente il quadrante. In quindici secondi lo sportello era aperto.

Il rivestimento dorato dell'Oscar sembrava ammiccare. In quel momento Bombarda commise un errore. Si rilassò. Già si vedeva nel suo appartamento, che beveva a garganella da un bottiglione di due litri d'acqua ghiacciata. E un ladro rilassato è un ladro catturato.

In parole povere, dimenticò di accertarsi che alla statuetta non fossero collegate eventuali trappole e la tirò fuori dalla cassaforte. Se avesse controllato, si sarebbe accorto che c'era un filo attaccato magneticamente alla base. Quando l'Oscar fu spostato, si scatenò l'inferno.

 

POZZO E93

 

Spinella azionò il pilota automatico e la navetta si librò a tremila metri sotto la superficie. Poi aprì l'imbraco di sicurezza e raggiunse gli altri nell'area passeggeri.

«Due problemi. Primo: se scendiamo ancora, saremo individuati dai radar, sempre che funzionino.»

«Perché non sono ansioso di sapere qual è il secondo?» mormorò Leale.

«Secondo: questa parte del pozzo fu chiusa quando ci siamo ritirati dall'Artico.»

«Ossia?»

«Ossia i tunnel di servizio sono stati sigillati, perciò non abbiamo modo d'inserirci nel sistema dei pozzi.»

«Facile» disse Tubero. «Facciamo saltare la parete.»

Spinella sospirò. «Con che cosa, comandante? Questa è una navetta diplomatica, non abbiamo cannoni.»

Leale tirò fuori due uova a sbatacchio da una tasca della Cintoluna. «Che mi dici di queste? Secondo Polledro potevano tornarci utili.»

Artemis gemette fra sé. A non conoscerlo, c'era da giurare che la sua guardia del corpo si stesse divertendo.

 

LOS ANGELES

 

«Oh oh» fece Bombarda.

In pochi secondi la situazione era passata da rosea a estremamente pericolosa. Appena il circuito di sicurezza si era interrotto, una porta si era spalancata lasciando entrare due cani lupo molto grossi. Il prototipo del cane da guardia. Erano seguiti dal loro addestratore, un omaccione che sembrava avere addosso una collezione di materassi. Ovviamente, i cani erano instabili.

«Bravi cagnolini» disse Bombarda, sbottonandosi lentamente la patta posteriore.

 

POZZO E93

 

Spinella mosse lentamente i comandi, avvicinando un centimetro dopo l'altro la navetta alla parete del pozzo.

«Questo è il massimo» disse nel comunicatore dell'elmetto. «Più vicino, e le termiche potrebbero sbatterci contro la roccia.»

«Termiche?» brontolò Tubero. «Non avevi parlato di termiche, prima che uscissi qua fuori.»

Il comandante era spiaccicato sull'ala sinistra come un pollo sulla griglia, con un uovo a sbatacchio infilato in ciascuno stivale.

«Spiacente, comandante, ma qualcuno deve far volare quest'uccellino.»

Tubero imprecò sottovoce e strisciò più vicino alla punta dell'ala. Naturalmente la turbolenza non era violenta come su una navetta in movimento, ma le termiche erano sufficienti a scrollarlo come un dado in una tazza. A farlo andare avanti era solo il pensiero delle sue dita strette attorno al collo di Bombarda Sterro.

«Un altro metro, dai» ansimò nel comunicatore. «Ancora un metro e ci sono.»

«No, comandante. Questo è il massimo.»

Tubero arrischiò un'occhiata nell'abisso. Il pozzo sprofondava all'infinito, tuffandosi nella vampa del magma arancione del nucleo terrestre. Era assurdo. Pazzesco. Doveva esserci un altro modo. Ormai si sentiva disposto a correre perfino il rischio di un volo in superficie.

E poi ebbe una visione. Forse fu l'effetto dei vapori di zolfo, o della tensione, o della fame. Ma avrebbe giurato che là davanti a lui, scolpita nella roccia, fosse apparsa la faccia di Bombarda Sterro: ruminava un sigaro e sogghignava.

La sua determinazione tornò tutta insieme. Fregato da un delinquente. Inaudito!

Si mise cautamente in piedi, asciugandosi il palmo delle mani sudate sulla divisa. Le termiche lo strinsero d'assedio come fantasmi dispettosi.

«Pronta a mettere una buona distanza fra noi e il botto?» urlò nel comunicatore.

«Può scommetterci, comandante. Schizziamo via appena rientra nello scafo.»

«Bene. Sta' pronta.»

Tubero sparò la pitoncorda che aveva agganciata alla cintura. La punta al titanio affondò senza problemi nella roccia. Le minuscole cariche nel dardo avrebbero sparato fuori due flange, arpionandolo alla roccia. Cinque metri. Non una gran distanza da percorrere su una pitoncorda, ma non era quello il problema. Il problema era l'abisso che si spalancava sotto di lui e l'assenza di appigli sulla parete del pozzo.

"Avanti, Julius" sogghignò il pietroso Bombarda. "Ve diamo che effetto fai, spiaccicato contro un masso."

«Chiudi quella boccaccia, detenuto» ruggì il comandante. E saltò nel vuoto.

L'urto contro la roccia gli tolse il fiato e gli fece digrignare i molari. Si augurava di non avere niente di rotto: dopo il viaggio in Russia non gli era rimasta magia sufficiente a far sbocciare una margherita, figuriamoci a saldare una costola fratturata.

I fari della navetta erano puntati sulle bruciature lasciate dai laser, là dove i nani scavatori della LEP avevano sigillato il pozzo di rifornimento. Era quella la linea di frattura. Tubero individuò due tacche e vi incastrò le uova esplosive.

«Arrivo, Sterro» bofonchiò, strappando i detonatori inseriti in ciascun uovo. Gli restavano trenta secondi.

Adesso doveva soltanto piantare la seconda pitoncorda nell'ala della navetta. Un colpo facile, nel simulatore faceva roba del genere a occhi chiusi. Sfortunatamente nei simulatori non ci sono termiche che pasticciano le cose all'ultimo secondo.

Proprio mentre il comandante sparava, la coda di un mulinello particolarmente forte afferrò il retro della navetta e lo fece ruotare di quaranta gradi in senso antiorario. Il dardo mancò l'ala d'un metro e sparì nell'abisso, trascinandosi dietro la pitoncorda. Tubero aveva due possibilità: riavvolgere la corda usando il verricello alla cintura, o sganciarla e riprovarci con quella di riserva. La sganciò: avrebbe fatto prima a riprovarci. Un buon piano... se non avesse già usato la pitoncorda di riserva per tirarsi fuori dalla prigione di ghiaccio. Se ne ricordò mezzo secondo troppo tardi.

«D'Arvit» imprecò, tastando inutilmente la cintura.

«Problemi, comandante?» chiese Spinella, la voce tesa dallo sforzo di mantenere la posizione.

«Ho esaurito le pitoncorde e il conto alla rovescia è iniziato.»

Seguì un breve silenzio. Molto breve. Non c'era tempo per lunghe meditazioni. Tubero diede un'occhiata al lunometro. Venticinque secondi, e via ticchettando.

Quando la voce di Spinella risuonò negli auricolari, non trasudava fiducioso entusiasmo.

«Ehm... comandante. Ha addosso qualcosa di metallico?»

«Sì» rispose Tubero, perplesso. «La mia corazza, cintura, decorazioni, toaster. Perché?»

Spinella avvicinò di un pelo la navetta. Più vicino, sarebbe stato un suicidio.

«Mettiamola così: quanto ci tiene alle sue costole?»

«Perché?»

«Penso di avere un modo per tirarla fuori di lì.»

«Quale?»

«Posso dirglielo, ma non le piacerà.»

«Dimmelo, capitano. È un ordine.»

Spinella glielo disse. E no, non gli piacque affatto.

 

LOS ANGELES

 

Gas gnomesco. Non è il più gradevole degli argomenti: nemmeno a loro piace parlarne. È risaputo che più di una gentile signora ha rimproverato il marito per averne sparato una bordata in casa e non nei tunnel. Il fatto è che, geneticamente, i nani sono soggetti ad attacchi gassosi, specialmente dopo una mangiata di argilla. Grazie alle sue mascelle slogabili, un nano può incamerare parecchi chili di terriccio in un secondo; il che equivale a un bel po' d'argilla, con dentro un bel po' d'aria. E tutti quei detriti devono pur andare da qualche parte. Per la precisione, migrano a sud. Per metterla educatamente, i tunnel si autosigillano finché il nano non decide di dare via libera alla nuvola di gas. Bombarda non mangiava argilla da mesi, però si era tenuto da parte qualche bollicina gassosa in caso di necessità.

I cani erano pronti all'attacco, le mascelle spalancate e sbavanti. Decisi a sbranarlo. Bombarda si concentrò. Il suo stomaco cominciò a gorgogliare, deformandosi sotto la spinta del gas: si sarebbe detto che là dentro si svolgesse un incontro di gnomi lottatori. Strinse i denti. Questa era bella grossa.

L'addestratore soffiò in un fischietto, e i cani scattarono come missili zannuti. Bombarda sparò una bordata di gas, scavando un buco nel tappeto e schizzando sul soffitto, dove rimase ancorato grazie ai pori assetati.

Salvo. Per il momento.

I cani lupo rimasero di stucco. Ai loro tempi si erano fatti strada a morsi attraverso molte creature della catena alimentare. Questa era una novità. E per niente gradevole. Bisogna ricordare che il naso di un cane è di gran lunga più sensibile di quello umano.

L'addestratore soffiò un altro paio di volte nel fischietto, ma la sua capacità di controllarli - se mai c'era stata - era svanita allorché Bombarda si era catapultato verso l'alto su una raffica di vento riciclato. Appena il naso dei cani si ripulì, si misero a saltare digrignando i denti.

Bombarda deglutì. I cani sono più furbi della media dei goblin. Era solo questione di tempo prima che venisse loro in mente di dare la scalata agli scaffali e saltargli addosso da lì.

Gattonò verso la finestra, ma l'addestratore ci arrivò prima di lui, bloccandola col suo corpaccione imbottito, e cominciò a trafficare con un'arma che aveva alla cintura. La faccenda stava diventando seria. I nani possono essere molte cose, ma non sono a prova di proiettile.

E poi Maggie V comparve sulla soglia della camera da letto, brandendo una mazza da baseball cromata. Quella non era la Maggie V che il pubblico conosceva. Aveva la faccia coperta da una maschera di bellezza verdastra e bustine di tè fissate col nastro adesivo sotto gli occhi.

«Hai chiuso, signor RubaOscar» sbraitò. «E quelle ventose non ti serviranno.»

Bombarda si rese conto che la sua carriera come RubaOscar era finita. Fosse riuscito o no a scamparla, entro l'alba la polizia di Los Angeles avrebbe fatto visita a ogni nano della città.

Gli restava un'ultima carta da giocare. Il dono delle lingue. Ogni creatura fatata ha un dono naturale per le lingue dato che, a risalire abbastanza indietro, derivano tutte dallo gnomico. Canino Americano incluso.

«Arf» latrò. «Arf, rruff rruff.»

I cani si bloccarono. Uno tentò di bloccarsi a metà d'un salto e atterrò sul suo compagno. Per un po' si azzannarono la coda a vicenda e poi si ricordarono che sul soffitto c'era una creatura che stava abbaiando qualcosa. Aveva un accento tremendo, tipo Europa centrale, ma era pur sempre Canino.

«Aruuf?» indagò il cane numero uno. Ossia: "Che hai detto?"

Bombarda indicò l'addestratore. «Woof arf arrooof!» Che tradotto significa: quell'umano ha un grosso osso sotto la camicia.

I cani saltarono sull'addestratore. Bombarda gattonò fuori dalla finestra e Maggie V ululò tanto da far screpolare la maschera di bellezza e cadere le bustine di tè. E anche se Bombarda sapeva che quel particolare capitolo della sua carriera si era appena concluso, il peso dell'ultimo Oscar dentro la camicia gli diede una non piccola soddisfazione.

 

POZZO E93

 

Venti secondi all'esplosione, e il comandante era ancora schiacciato contro la parete del pozzo. Non avevano ali funzionanti, e anche se le avessero avute non avrebbero avuto il tempo di tirarle fuori. Se Tubero non si allontanava subito da lì, l'esplosione l'avrebbe scaraventato nell'abisso. E la magia non funziona, sulla poltiglia. C'era una sola possibilità. Usare i morsetti.

Tutte le navette hanno una certa quantità di attrezzatura secondaria per l'atterraggio. Se i moduli d'atterraggio falliscono, quattro morsetti magnetici vengono sparati fuori e vanno a serrarsi sui bordi metallici della pista, trascinando la navetta nella camera di equilibrio. I morsetti possono anche tornare utili in ambienti poco familiari, perché i magneti individuano tracce di elementi metallici e vi si appiccicano come sanguisughe.

«Bene, Julius» disse Spinella. «Non muovere un muscolo.»

Tubero impallidì. Julius. Spinella l'aveva chiamato Julius. Non era un buon segno.

Dieci secondi.

Spinella accese un piccolo schermo. «Sganciare morsetti anteriori.»

Un ronzio raschiante segnalò che i morsetti erano sganciati.

La faccia del comandante comparve sul visore. Perfino da lì sembrava preoccupato. Spinella gli centrò sul petto una croce di collimazione.

«Capitano Tappo. Sei assolutamente sicura di quello che fai?»

Spinella lo ignorò. «Gittata quindici metri. Solo magneti.»

«Spinella, forse potrei saltare. Posso farcela. Sono sicuro di potercela fare.»

Cinque secondi...

«Morsetti di babordo... fuori!»

Sei piccole cariche si accesero alla base dei morsetti che partirono a tutta velocità, tirandosi dietro un lungo cavo di polimero retrattile.

Tubero aprì la bocca per imprecare e poi i morsetti lo afferrarono, spremendogli ogni briciola d'aria dal corpo. Parecchie ossa scricchiolarono.

«Rientro rapido» gridò Spinella, allontanando velocemente la navetta dalla parete del pozzo e trascinando via il comandante, stile surfista folle.

Zero secondi. Le uova esplosero, spedendo nel vuoto due tonnellate di detriti. Una goccia in un oceano di magma.

Un minuto più tardi il comandante si trovava su un lettino nell'infermeria dell'ambasciatore di Atlantide. Ogni respiro gli faceva un male boia, ma questo non gli avrebbe impedito di parlare.

«Capitano Tappo!» gracidò. «Che ti è saltato in mente? Potevo rimetterci la pelle!»

Leale gli aprì la giubba per controllare i danni. «Vero. Altri cinque secondi e finiva in polpette. È ancora vivo solo grazie a Spinella.»

Il capitano afferrò un medimpacco dalla cassetta del pronto soccorso e lo strofinò fra le mani per attivare i cristalli. Un'altra invenzione di Polledro: cristalli guaritori sospesi dentro pacchetti di ghiaccio. Non sostituivano la magia, ma sempre meglio che un abbraccio e tanti auguri.

«Dove fa male?»

Tubero tossì e una striscia di sangue gli macchiò l'uniforme. «L'intera area corporea. Un paio di costole rotte.»

Spinella si morse le labbra. Non era un medico e la guarigione non era affatto una faccenda automatica. Le cose potevano andare male. Una volta aveva conosciuto un vicecapitano che si era rotto una gamba ed era svenuto: si era svegliato con un piede girato all'indietro. Non che lei non avesse mai eseguito qualche operazione delicata. Quando Artemis le aveva chiesto di curare la depressione della madre, per esempio, si trovava in una diversa zona temporale. Così aveva inviato un forte segnale positivo, con abbastanza scintille da restare in circolazione per qualche giorno: una specie di tiramisù generalizzato. Per una settimana buona, chiunque avesse visitato Casa Fowl ne sarebbe uscito fischiettando.

«Spinella» gemette Tubero.

«Va bene» balbettò. «Va bene.»

Gli poggiò le mani sul petto e sentì la magia scorrerle lungo le dita. «Guarisci» sussurrò.

Gli occhi del comandante si chiusero. La magia lo aveva messo fuori combattimento per procedere alla "messa a punto". Spinella piazzò un medimpacco sul petto di Tubero.

«Reggilo» ordinò ad Artemis. «Dieci minuti. Altrimenti può danneggiare i tessuti.»

Artemis premette l'impacco e in breve le sue dita furono immerse in una pozza di sangue. Improvvisamente il desiderio di sparare un commento pungente lo abbandonò. Prima esercizio fisico, poi effettivo danno fisico. E ora questo. Gli ultimi giorni si stavano rivelando estremamente educativi. Quasi quasi era meglio il St Bartleby.

Spinella tornò in fretta nella cabina di pilotaggio e puntò le telecamere esterne verso il tunnel di servizio.

Leale si strizzò in qualche modo sul sedile del secondo pilota. «Bene bene» disse. «Cos'abbiamo qui?»

Spinella sorrise, e per un istante la sua espressione gli ricordò Artemis Fowl. «Abbiamo un grosso buco.»

«Bene. Su, andiamo a fare visita a un vecchio amico.»

I pollici di Spinella si librarono sui propulsori. «Come no. Andiamo.»

La navetta dell'ambasciatore di Atlantide scomparve nel tunnel, più veloce di una carota nel gargarozzo di Polledro. Per chi non lo sapesse, questo significa molto veloce.

 

HOTEL CROWLEY, BEVERLY HILLS, LOS ANGELES

 

Bombarda rientrò in albergo con tutta tranquillità. Ovviamente stavolta non dovette scalare i muri. Del resto non sarebbe stato facile: le mura del palazzo erano di mattoni molto porosi, e le sue dita avrebbero risucchiato tutta l'umidità perdendo le loro capacità di ventosa.

No, stavolta usò l'ingresso principale. E perché non avrebbe dovuto? Per quanto ne sapeva il portiere, lui era Lance Escava, il riccone misantropo. Basso, d'accordo. Ma basso e ricco.

«'sera, Art» lo salutò, dirigendosi verso l'ascensore.

Art sbirciò oltre il ripiano di marmo del bancone.

«È lei, signor Escava?» chiese, vagamente sorpreso. «Mi sembrava di averla sentita passare poco fa.»

«No» replicò Bombarda sorridendo. «È la prima volta, stasera.»

«Sarà stato uno spiffero.»

«Forse. Con l'affitto che pago, potrebbero almeno chiudere tutte le crepe di questo palazzo.»

«Davvero» annuì Art. Sempre dirsi d'accordo con gli inquilini: era la politica della compagnia.

Dentro l'ascensore a specchi, Bombarda usò una bacchetta telescopica per premere la A dell'attico. I primi mesi ci arrivava saltando, ma era un comportamento indegno di un miliardario. Ed era sicuro che Art, dalla sua postazione, potesse sentire i tonfi.

La scatola tappezzata di specchi s'innalzò silenziosa. Bombarda resistette all'impulso di tirare fuori l'Oscar. Qualcun altro poteva prendere l'ascensore. Si accontentò di bere a garganella da una bottiglia di acqua di sorgente venuta dritta dall'Irlanda, la cosa più vicina alla purezza fatata ottenibile sulla superficie del pianeta. Avrebbe messo al sicuro l'Oscar, e poi si sarebbe fatto un bagno freddo e avrebbe lasciato che i suoi pori bevessero a volontà. Altrimenti la mattina dopo si sarebbe svegliato incollato al letto.

La porta d'ingresso aveva una serratura a combinazione: quattordici cifre. Un po' di paranoia fa miracoli, per tenerti fuori di galera. Anche se la LEP lo credeva morto, non riusciva a togliersi di dosso la sensazione che un giorno Julius Tubero avrebbe intuito tutto e sarebbe venuto a cercarlo.

L'arredamento dell'appartamento era insolito per una dimora umana. Tutto argilla, sassi e acqua. Più simile all'interno di una grotta che a un'esclusiva residenza di Beverly Hills.

Il muro settentrionale sembrava una singola lastra di marmo nero. Sembrava. Un controllo più ravvicinato rivelava una tivù a schermo piatto di quaranta pollici, una fessura per i DVD e un pannello di vetro oscurato. Bombarda sollevò un telecomando più grosso della sua gamba e aprì l'armadietto segreto con un'altra complicata combinazione di cifre. Dentro c'erano tre file di Oscar. Piazzò quello di Maggie V sul cuscino di velluto in attesa e si asciugò una lacrima immaginaria. «Vorrei ringraziare tutti» ridacchiò.

«Davvero commovente» commentò una voce alle sue spalle.

Bombarda sbatté la porta dell'armadietto, spaccando il vetro. In mezzo alle rocce c'era un giovane umano. Nel suo appartamento! Aveva un aspetto strano perfino secondo i criteri dei Fangosi. Assurdamente pallido, capelli corvini, snello, e in una divisa scolastica che aveva tutta l'aria d'essere stata trascinata per un paio di continenti.

I peli sul mento di Bombarda s'irrigidirono. Quel ragazzo significava guai. I peli di un nano non sbagliano mai.

«Il tuo sistema d'allarme era proprio carino» proseguì il ragazzo. «Mi ci sono voluti alcuni secondi per disattivarlo.»

Adesso sì che Bombarda era sicuro d'essere nei guai. La polizia umana non s'introduce di nascosto in casa della gente.

«Chi sei, u... ragazzo?»

«Penso che la domanda giusta sia: tu chi sei? Il ricco misantropo Lance Escava? O il famoso RubaOscar? O, come sospetta Polledro, il detenuto evaso Bombarda Sterro?»

Grazie a un residuo di elementi gassosi, Bombarda partì di volata. Non sapeva chi fosse il Fangosetto, ma se lo mandava Polledro doveva essere un insolito sicario prezzolato.

Attraversò a razzo il salone a doppio livello, puntando verso la sua uscita segreta. Il motivo per il quale aveva scelto quell'edificio. Ai primi del Novecento un'ampia canna fumaria aveva percorso il palazzo dal pianterreno al tetto. Quando era stato installato il riscaldamento centralizzato, negli anni Cinquanta, la ditta che aveva svolto i lavori si era limitata a riempire la canna fumaria di terra e sigillarla col cemento. Bombarda aveva fiutato l'argilla appena l'agente immobiliare aveva aperto il portone. Dopodiché gli era bastato scoprire il vecchio camino ed eliminare il cemento. Voilà. Tunnel istantaneo.

Correndo, sbottonò la patta posteriore. Lo strano ragazzo non tentò di seguirlo. E perché avrebbe dovuto? Per quanto ne sapeva lui, non c'erano vie di fuga.

Si concesse un istante per un'ultima battuta: «Non mi prenderai mai vivo, umano. Di' a Polledro di non mandare un Fangoso a fare il lavoro del Popolo.»

"Santi numi" pensò Artemis strofinandosi la fronte. "Hollywood ha un bel po' da farsi perdonare."

Bombarda strappò una cesta di fiori secchi dall'interno del camino e ci saltò dentro. Si sganciò la mascella e in pochi istanti fu sommerso dall'argilla secolare. Non era esattamente di suo gusto: i minerali e gli elementi nutritivi erano svaporati da un pezzo e il terreno era impregnato da cent'anni di cenere e di tabacco, ma era pur sempre argilla. La sua ansia si dissipò. Adesso non c'era creatura vivente capace di acciuffarlo. Era nel suo elemento.

Scese rapidamente, facendosi strada a morsi da un piano all'altro e lasciandosi alle spalle più di una parete crollata. Aveva la sensazione che non gli avrebbero restituito il deposito, anche se fosse rimasto in circolazione per chiederlo.

In poco più d'un minuto aveva raggiunto il parcheggio sotterraneo. Riagganciò la mascella, scrollò il didietro per sloggiare ogni bolla di gas residua, dopodiché rotolò attraverso la grata che chiudeva l'antica canna fumaria. La sua speciale jeep personalizzata lo stava aspettando. Serbatoio pieno, vetri oscurati e pronta ad andare.

«Fregati!» esultò, sganciando le chiavi dalla catena che portava al collo.

E poi il capitano Spinella Tappo si materializzò a neanche mezzo metro da lui. «Fregati?» gli fece eco, puntando lo sfrizzagente.

Bombarda prese rapidamente in considerazione le sue possibilità. Il pavimento del parcheggio era di asfalto. La morte, per un nano: gli sigilla le budella peggio della colla. E la rampa d'uscita era bloccata da una montagna d'uomo. Bombarda lo aveva già visto una volta, a Casa Fowl. Il che significava che l'umano di sopra doveva essere il famigerato Artemis Fowl. Il capitano Tappo era proprio di fronte a lui, e con l'aria per niente amichevole. Non gli restava che una possibilità. Su per un paio di piani e poi dentro un altro appartamento.

Spinella sorrise. «Vai, Bombarda. Ti sfido.»

E Bombarda accettò la sfida: girò sui tacchi e si rituffò nella canna fumaria, aspettandosi da un momento all'altro un colpo secco sul didietro. Non restò deluso. Impossibile mancare un bersaglio del genere.

 

POZZO E 116, SOTTO LOS ANGELES

 

Il navettiporto di Los Angeles era dieci chilometri a sud della città, nascosto dall'ologramma di una duna sabbiosa. Era là che li aspettava Tubero, e quando arrivarono si era ripreso abbastanza da accoglierli con un sorriso.

«Bene bene» grugnì, tirandosi fuori dal lettino. Aveva un medimpacco nuovo fissato sulle costole. «Ecco il mio reprobo preferito riemerso dalla tomba.»

 

Bombarda recuperò un vasetto di paté di calamaro dal frigo personale dell'ambasciatore di Atlantide.

«Com'è che non vieni mai a trovarmi solo per fare quattro chiacchiere, Julius? Dopotutto in Irlanda ti ho salvato la carriera. Non fosse stato per me, non avresti mai saputo che Fowl aveva una copia del Libro.»

Quando Tubero friggeva, come nel caso specifico, gli si sarebbe potuta abbrustolire una salsiccia sulle guance.

«Avevamo un accordo, detenuto. Tu l'hai rotto e ora ti porto dentro.»

Bombarda estrasse a ditate il pâté dal vasetto. «Un po' di spremuta di scarafaggio non ci starebbe male» commentò.

«Goditela finché puoi, Sterro. Il tuo prossimo pasto sarà in una cella.»

Il nano tornò a sprofondare su una poltrona. «Comoda.»

«Vero» annuì Artemis. «Una qualche specie d'imbottitura liquida. Costosa, suppongo.»

«Di sicuro è meglio di quelle della polizia. Quella volta che mi beccarono a vendere un Van Gogh a un texano mi sbatterono in una navetta grande quanto una tana di topo. E nello scomparto accanto c'era un troll che puzzava da morire.»

Spinella sogghignò. «Questo è quello che ha detto il troll.»

Pur sapendo che si divertivano a tenerlo sulla corda, Tubero andò ugualmente su tutte le furie. «Spalanca le orecchie, detenuto. Non mi sono fatto tanta strada per ascoltare le tue memorie. Perciò tappati la bocca prima che te la tappi io.»

Bombarda non batté ciglio. «Tanto per saperlo, Julius, perché ti sei fatto tanta strada? Il grande comandante Tubero che requisisce la navetta di un ambasciatore solo per acciuffare una nullità come me? Non credo proprio. Cosa c'è sotto? E come mai sei insieme ai Fangosi?» Accennò a Leale. «Specialmente insieme a quello.»

La guardia del corpo sogghignò. «Ti ricordi di me, piccoletto? Mi sa che mi devi ancora qualcosa.»

Bombarda deglutì.

In passato aveva incrociato la spada con Leale e l'umano non se l'era cavata molto bene. Gli aveva sparato una mandata di gas gnomesco dritto in faccia. Imbarazzante, per una guardia del corpo del suo calibro, per non parlare del dolore.

Nonostante il male alle costole, Tubero sorrise per la prima volta. «Sì, Bombarda. Hai ragione. C'è sotto qualcosa. Qualcosa d'importante.»

«Lo pensavo. E come al solito hai bisogno di me per cavarti le castagne dal fuoco.» Bombarda si strofinò il didietro. «Be', saltarmi addosso non serve. E non dovevi sfrizzarmi così forte, capitano. Mi resterà la cicatrice.»

Spinella si portò una mano dietro un orecchio appuntito. «Ehi, Bombarda, se ascolti con molta attenzione potrai sentire che nessuno si sta disperando per questo. E ho visto che te la passavi niente male grazie all'oro della LEP.»

«Quell'appartamento mi costa una fortuna. Quattro anni della tua paga solo per la caparra. E hai visto il panorama? Un tempo apparteneva a non so quale regista.»

Spinella inarcò un sopracciglio. «Sono lieta di sapere che quei soldi sono stati messi a frutto. Il cielo non voglia che tu debba sperperarli.»

Bombarda scrollò le spalle. «Insomma, io sono un ladro! Che ti aspettavi, che aprissi un ospizio?»

«No, Bombarda, ti sembrerà strano, ma non me lo aspettavo affatto.»

Artemis si schiarì la voce. «Questa riunione di vecchi amici è davvero commovente, ma mentre voi vi scambiate piacevolezze, mio padre si congela nell'Artico.»

Il nano si raddrizzò. «Suo padre? Volete che vada a salvare il padre di Artemis Fowl? Nell'Artico?» Nella sua voce vibrava un genuino panico. I nani detestano il ghiaccio quasi quanto il fuoco.

Tubero scosse la testa. «Vorrei che fosse così semplice, e fra poco lo vorrai anche tu.»

I peli della barba di Bombarda si arricciarono per la preoccupazione. E, come diceva sempre sua nonna: "Fidati dei peli, Bombarda, fidati dei peli."