CAPITOLO 14
UN ASSO FASULLO
Spinella si rilassò appena entrarono nel tunnel. Salvi, per il momento. Geigei era salvo. Fra poco la madre di Artemis sarebbe guarita e Spinella decise che, una volta risolto quel problema, avrebbe tirato un pugno dritto sulla faccia compiaciuta del suo amico di un tempo.
Ho fatto quello che dovevo fare, aveva detto Artemis. E lo rifarei.
E lei l’aveva baciato. Baciato!
E anche se poteva capire le ragioni di Artemis, la feriva il pensiero che avesse ritenuto necessario ricattarla.
Lo avrei aiutato comunque. Senza ombra di dubbio. Davvero? Avresti disobbedito agli ordini? O Artemis ha fatto bene ad agire come ha fatto?
Erano domande che l’avrebbero assillata per anni. Sempre che le restassero anni.
Il viaggio fu più difficile del precedente. Il tunnel temporale stava erodendo la sua consapevolezza di sé, instillando in lei la tentazione sciropposa di rilassare la concentrazione. Avvolta nelle spire scintillanti del tunnel, il suo mondo sembrava molto meno importante. Non sarebbe stato sgradevole diventare parte di un fiume eterno. E anche se le razze del Popolo fossero state cancellate dall’epidemia, che importanza aveva?
Il richiamo di N° 1 le punzecchiò la mente, rafforzando la sua determinazione. Nel tunnel il potere del piccolo demone era più evidente che mai, un luccicante filo cremisi che li trascinava attraverso i miasmi del tempo. Qualcosa si mosse fra le ombre. Cose sfreccianti, taglienti. Spinella avvertì la presenza di denti e artigli.
Numero Uno aveva parlato di zombie quantistici? Probabilmente era una battuta. Per piacere, fa’ che sia una battuta.
Concentrati!, si disse Spinella. O finirete assorbiti dal tunnel.
Sentì l’essenza dei suoi compagni viaggiare insieme a lei. Geigei era incredibilmente calmo, considerato dov’era finito. E da qualche parte nelle vicinanze c’era Artemis, la sua risolutezza affilata come una spada.
A Numero Uno piglierà un colpo, pensò Spinella, quando ci vedrà arrivare.
N° 1 non sembrò particolarmente sconvolto, quando il gruppetto capitombolò fuori dal tunnel, sul pavimento dello studio di Artemis.
– Avete visto qualche zombie? – s’informò, curvando le dita e agitandole.
– Siano rese grazie agli dei! – proclamò sbuffando Polledro dagli schermi. – Sono stati i dieci secondi più lunghi della mia vita! Avete il lemure?
Non ebbero bisogno di rispondere, perché Geigei decise che gli piaceva il suono della voce di Polledro e andò a leccare lo schermo più vicino. Poi, quando la lingua gli crepitò, percorsa da una leggera scarica elettrica, il piccolo primate arretrò di scatto lanciando un’occhiata indignata al centauro.
– Un lemure maschio – disse Polledro. – Niente femmine?
Spinella si stropicciò gli occhi per schiarirsi la vista e la testa, le sensazioni del tunnel che le si attardavano nella mente come rimasugli di un sogno. – No. Niente femmina. Dovrai clonarlo.
Lo sguardo di Polledro vagò alle spalle di Spinella, per concentrarsi sulla figura ancora a terra dietro di lei.
Il centauro inarcò un sopracciglio. – A quanto pare abbiamo…
– Ne parliamo dopo – lo interruppe brusca Spinella. – Ora abbiamo da fare.
Polledro annuì pensieroso. – Immagino che Artemis abbia un piano. Pensi che ci procurerà qualche problema?
– Solo se tentiamo di fermarlo.
Nel frattempo, Artemis prese in braccio Geigei e lo accarezzò, calmandolo con schiocchi ritmici della lingua.
Anche Spinella cominciò a sentirsi più calma, non grazie agli schiocchi di lingua ma alla vista del proprio riflesso nello specchio. Era di nuovo se stessa, il monopezzo che le aderiva perfettamente al corpo. Un’adulta.
Niente più confusione adolescenziale. E si sarebbe sentita anche meglio, non appena avesse recuperato la sua attrezzatura. Niente aumenta la propria autostima come una Neutrino.
– Devo andare da mia madre – disse serio Artemis, scegliendo un completo dal guardaroba. – Quanto fluido dovrò somministrarle?
– È roba potente – rispose Polledro, eseguendo alcuni rapidi calcoli sulla sua tastiera. – Due cc. Non di più. C’è una siringa a pressione nella cassettina del pronto soccorso di Spinella. Fa’ attenzione con il drenaggio cerebrale. C’è anche una striscia anestetica: dagliene una passata, e Geigei non sentirà niente.
– Bene. – Artemis infilò in tasca la cassettina. – Andrò da solo. Spero che mia madre mi riconosca.
– Lo spero anch’io – disse Spinella. – Magari potrebbe non gradire l’idea di farsi iniettare succo cerebrale di lemure da uno sconosciuto.
La mano di Artemis esitò sul pomolo di ottone della porta della camera dei genitori. Vi si rifletteva il suo viso, teso e ansioso.
È l’ultima possibilità. La mia ultima possibilità di salvarla.
Non faccio che tentare di salvare qualcuno, pensò. E dovrei essere un criminale. Dov’è che ho sbagliato?
Ma non aveva tempo per rimuginare. C’era in ballo molto di più che fama o ricchezza. Sua madre stava morendo, e la sua salvezza era appollaiata sulle spalle di Artemis: stava frugando fra i suoi capelli alla ricerca di zecche.
Il ragazzo chiuse le dita intorno alla maniglia. Non aveva neanche un momento da perdere. Era ora di agire.
La stanza sembrava più fredda di come la ricordava, ma forse era solo un effetto della sua immaginazione.
La mente può giocare brutti scherzi a chiunque. Perfino a me. Il freddo che percepisco è una semplice proiezione del mio umore.
La camera dei genitori era rettangolare e occupava l’ala ovest della casa, stendendosi dalla facciata al retro. In effetti era più un appartamento che una stanza, con un salottino e un angolo-ufficio. Un grande letto con baldacchino era collocato di sbieco, in modo che d’estate la luce che penetrava da una feritoia medievale chiusa da una vetrata multicolore cadesse sulle borchie della testata.
Artemis si mosse sul tappeto con la cautela di un ballerino, evitando di calpestare le righe del disegno.
Conta nove se pesti una riga.
La sfortuna era l’ultima cosa della quale avesse bisogno.
Angeline Fowl era afflosciata sul letto come se vi fosse stata scaraventata, la testa piegata all’indietro così che la linea dal collo al mento era quasi diritta. La pelle era tanto pallida da sembrare trasparente.
Non respira più, pensò Artemis, sentendo il panico svolazzargli nel petto come un uccellino prigioniero. Sono arrivato troppo tardi.
Poi Angeline rabbrividì da capo a piedi ed esalò un lento respiro penoso.
Per un momento la risolutezza di Artemis vacillò, facendogli tremare le gambe e bruciare la fronte.
È mia madre. Come posso fare quello che va fatto?
In ogni caso l’avrebbe fatto. Nessun altro poteva farlo.
Si avvicinò al capezzale della madre e le scostò delicatamente i capelli dal viso.
– Sono qui, madre. Andrà tutto bene. Ho trovato una cura.
Angeline sentì le sue parole e aprì gli occhi. Perfino le iridi sembravano sbiadite, simili al ghiaccio azzurrino di un lago d’inverno. – Una cura – sospirò. – Il mio piccolo Arty ha trovato una cura.
– Esatto – disse Artemis. – Il piccolo Arty ha trovato la cura. È il lemure, la cura. Ricordi il lemure del Madagascar nel Rathdown Park?
Angeline sollevò un dito ossuto e lo agitò davanti al naso di Geigei. – Piccolo lemure. Cura.
Il lemure, chiaramente spaventato dal suo aspetto scheletrico, si nascose dietro la testa di Artemis.
– Bel lemure – disse Angeline, le labbra frementi in un sorriso stanco.
Sono io il genitore, ora, pensò Artemis. E lei è la figlia.
– Posso tenerlo?
Artemis si tirò indietro. – No, madre. Non ancora. Geigei è una creatura molto importante. Questo Piccolino potrebbe salvare il mondo.
– Lasciamelo tenere in braccio un momento – insistè Angeline a denti stretti. – Un momento solo.
Come se avesse compreso la richiesta, Geigei sgusciò sotto la giacca di Artemis e gli si aggrappò alla schiena.
– Per piacere, Arty. Mi sarebbe di conforto…
Per un istante Artemis fu quasi tentato di cedere. Quasi.
– Tenerlo in braccio non ti curerà, madre. Devo farti un’iniezione.
Di colpo Angeline sembrò riacquistare le forze. Strisciò indietro, appoggiandosi alla testata del letto. – Non vuoi farmi felice, Arty?
– Al momento preferisco guarita a felice – replicò il ragazzo, sempre a distanza di sicurezza.
– Non mi vuoi bene, figliolo? – gemette Angeline. – Non vuoi bene alla tua mamma?
Con gesti rapidi Artemis aprì la cassettina del pronto soccorso e ne tirò fuori la siringa a pressione, ignorando la lacrima solitaria che gli scivolava su una guancia pallida.
– Ti voglio bene, madre. Ti amo più della mia stessa vita. Se solo tu potessi sapere quello che ho passato per trovare il piccolo Geigei. Ora resta ferma per cinque secondi, e quest’incubo finirà.
– Non voglio che tu mi faccia un’iniezione, Artemis. Non sei un’infermiera. Non c’era un medico, qui in casa, o me lo sono sognata?
Artemis preparò la siringa e attese che la luce della carica diventasse verde. – Ti ho già fatto iniezioni, madre, non ricordi? L’ultima volta che eri… malata.
– Artemis! – sbottò Angeline, battendo una mano sulle lenzuola. – Ti ordino di consegnarmi quel lemure! Subito! E chiama il medico.
Il ragazzo prese una fialetta. – Sei fuori di te, madre. Isterica. Forse farei meglio a darti un sedativo, prima di somministrarti l’antidoto. – Infilò la fialetta nel caricatore della siringa e tese una mano verso il braccio della madre.
– No! – strillò Angeline, respingendolo con forza inattesa. – Non osare infilarmi in corpo quei sedativi della LEP, sciocco ragazzino!
Artemis s’irrigidì. – La LEP, madre? Cosa sai, tu, della LEP?
Angeline sporse le labbra come un bambino colpevole. – Che cosa? Ho detto LEP? Sono soltanto tre lettere. Non significano nulla.
Artemis fece un altro passo indietro, stringendo Geigei fra le braccia. – Dimmi la verità, madre. Che sta succedendo?
Allora Angeline lasciò cadere ogni pretesa d’innocenza e colpì il materasso con i pugni delicati, lanciando squittii di frustrazione. – Ti odio, Artemis Fowl! Piccolo insopportabile umano! Oh, quanto ti odio!
Per un po’ rimase distesa sul letto, fumando di rabbia. Letteralmente. Le pupille le rotearono nelle orbite e i tendini di braccia e collo si tesero come cavi d’acciaio. E intanto continuava a farfugliare. – Quando avrò il lemure, vi schiaccerò tutti. La LEP, Polledro, Julius Tubero. Tutti quanti. E spedirò cani-laser in ogni tunnel mai scavato nella crosta terrestre a cercare quel nano disgustoso. E farò il lavaggio del cervello a quell’elfa della LEP e la renderò mia schiava. – Lanciò un’occhiataccia ad Artemis. – Una vendetta appropriata. Non sei d’accordo, figlio mio? – Le ultime due parole stillarono dalle sue labbra come veleno dalle zanne di una vipera.
Artemis tenne stretto Geigei, sentendolo tremare contro il suo petto. O forse era lui, a tremare.
– Opal – mormorò. – Ci hai seguiti fin qui.
– Finalmente! – urlò sua madre con la voce di Opal. – Il giovane genio ha visto la luce. - Il corpo di Angeline levitò rigido sul letto, circondato da serpentine di vapore. Gli occhi cerulei attraversarono la foschia, trafiggendo Artemis con il loro bagliore folle.
– Ti illudevi di potermi sconfiggere? Credevi di aver vinto? Sciocco! Ma se neanche possiedi un briciolo di magia! Io, invece, ho più magia di chiunque altro dai tempi dei demoni-stregoni. E quando avrò il lemure, diventerò immortale.
Artemis sbuffò. – Non scordare “invincibile”.
– Ti odiiiio – squittì Opal/Angeline. – Quando avrò il lemure, io… io…
– Mi ucciderai in qualche modo orribile – suggerì Artemis.
– Esatto. Grazie.
Angeline si girò e si sedette, i capelli diritti che formavano un alone attorno alla testa, sfiorando il soffitto. – Ora – disse, puntando un dito scheletrico contro l’atterrito Geigei. – Consegnami quella bestia.
Artemis infilò il lemure sotto la giacca. – Vieni a prenderlo – disse.
Nello studio, Spinella stava esponendo in fretta la teoria di Artemis.
– Tutto qui? – chiese N° 1 a spiegazione conclusa. – Non ti sei scordata qualche dettaglio cruciale? Tipo quelli sensati?
– È ridicolo! – interloquì Polledro dagli schermi. – Insomma, gente. Abbiamo fatto la nostra parte. È ora di tornare sottoterra.
– Fra poco – disse Spinella. – Diamo ad Artemis cinque minuti per controllare una cosa. Non dobbiamo fare altro che stare all’erta.
Il sospiro di Polledro fece sfrigolare gli altoparlanti. – Vabbè, ma almeno fammi togliere di mezzo la navetta. Le truppe sono a Tara, in attesa di essere richiamate.
Spinella ci pensò su. – Va bene. Fa’ pure. Qualunque cosa succeda, dobbiamo essere pronti a sloggiare. E quando hai finito, da’ una spazzata alla casa… Controlla dov’è l’infermiera.
L’attenzione di Polledro si spostò a sinistra, mentre faceva una chiamata a Tara.
Spinella puntò il dito su N° 1. – Tieni pronta un po’ di magia sulla punta delle dita, nel caso ci serva. Non mi sentirò del tutto tranquilla finché Angeline non sarà guarita e noialtri staremo bevendo simil-caffè in un bar di Cantuccio.
N° 1 sollevò le mani, e subito furono avvolte da guizzi rossastri di potere. – Nessun problema. Sono pronto a tutto.
Un’affermazione cui mancava un “quasi”.
In quel momento gli schermi si spensero, la porta fu spalancata con tale violenza che la maniglia si conficcò nella parete, e la soglia fu ostruita dalla figura massiccia di Leale.
Il sorriso di Spinella svanì alla vista della pistola nel pugno di Leale e degli occhiali a specchio.
È armato e non vuole essere affascinato.
Spinella era veloce, ma Leale lo era perfino di più e per giunta aveva dalla sua l’elemento sorpresa: tutti lo credevano in viaggio per la Cina. La mano di Spinella volò verso la Neutrino, ma prima che riuscisse a estrarla, Leale gliel’aveva strappata dalla cintura.
Abbiamo altri trucchi, pensò Spinella. Abbiamo la magia. Numero Uno ti stenderà in un batter d’occhio.
Leale trascinò nella stanza una carriola sulla quale troneggiava un barile di acciaio coperto di rune.
Che roba è? Che vuol fare?
N° 1 riuscì a sparare un’unica scarica: un lampo che bruciacchiò la camicia di Leale, facendolo indietreggiare di un passo. Però, sia pure barcollando, la guardia del corpo spinse la carriola davanti a sé e la scaraventò nella stanza. Una fanghiglia densa traboccò dal barile, ricoprendo le gambe di N° 1, e poi la carriola proseguì la sua corsa facendo cadere elfa e demone come birilli.
N° 1 guardò le scintille spegnersi sulla punta delle sue dita come candele al vento. – Non mi sento niente bene – mugolò. Si piegò in due, gli occhi guizzanti, borbottando antichi incantesimi in apparenza senza il minimo risultato.
Che c’è in quel barile?, si chiese Spinella, estraendo le ali dal fodero. Ma, prima che riuscisse a prendere quota, Leale l’afferrò per una caviglia e la lanciò dentro il barile. Spinella sentì la poltiglia avvolgerla come un pugno umido, bloccandole naso e gola.
L’odore era ripugnante.
Grasso animale, intuì con un brivido di orrore che la scosse da capo a piedi. Puro grasso animale, con l’aggiunta di qualche incantesimo.
Da millenni il grasso animale era usato per contrastare e bloccare la magia. Perfino gli stregoni più potenti erano inermi, se venivano tuffati in grasso animale fuso. Sbatti uno stregone dentro un barile di grasso, chiudilo con corteccia di salice intrecciata, sotterra il tutto in un cimitero umano consacrato, e lo stregone sarà inerme come un gattino in un sacco. L’orrore di quell’esperienza era accresciuto dal fatto che quasi tutte le specie del Popolo erano vegetariane e sapevano fin troppo bene quanti animali sarebbero dovuti morire per produrre un intero barile di grasso.
Chi può averlo detto a Leale?, si chiese Spinella. Chi lo sta controllando?
L’istante successivo N° 1 finì nel barile insieme a lei, e il livello del grasso salì fino a coprire le loro teste. Spinella si spinse verso l’alto ed emerse in superficie in tempo per vedere un coperchio calare sul barile, cancellando la luce del lampadario.
Non ho l’elmetto, gemette in cuor suo. Quanto vorrei avere il mio elmetto.
Poi il coperchio fu chiuso e sigillato. Il grasso trovò il bordo del monopezzo e vi s’insinuò dentro a partire dal collo, sfiorandole la faccia e riempiendole le orecchie, mentre incantesimi turbinavano come serpi maligne bloccando la sua magia.
È la fine, pensò Spinella. La peggior morte che si possa immaginare. Rinchiusa in uno spazio esiguo. Come mia madre.
Accanto a lei N° 1 fu scosso da una convulsione. Il piccolo stregone doveva sentirsi come se gli venisse risucchiata l’anima. Cedendo al panico, Spinella tirò calci e pugni alle pareti del barile, graffiandosi gomiti e ginocchia. E quando la magia tentò di guarire le ferite, gli incantesimi serpentini furono pronti a ingoiare le scintille.
Per un istante provò la tentazione di urlare, ma fu bloccata in tempo da un ultimo brandello di ragione. Poi, qualcosa le sfiorò il viso. Un tubo di metallo. Due tubi.
Tubi per respirare…
Con dita frenetiche, Spinella ne cercò l’estremità e soffocò l’istinto di infilarlo in bocca a N° 1.
In caso di emergenza, pensate sempre a voi stessi prima di occuparvi dei civili.
Così, consumò le sue ultime bolle d’aria per soffiare nel tubo come un sommozzatore, e con gli occhi della mente vide bolle di grasso schizzare nella stanza.
Spero che finiscano sulla giacca di Leale e gliela rovinino, pensò.
Non le restava che prendere fiato. L’aria le finì in gola mescolata a filamenti di grasso, e Spinella si affrettò a soffiare di nuovo nel tubo per eliminare anche le ultime tracce di quella porcheria.
N° 1 si dimenava sempre più debolmente man mano che il suo potere si esauriva. Per uno stregone potente quanto lui doveva essere quasi intollerabile trovarsi immerso in quella poltiglia. Dopo aver tappato il proprio tubo con il pollice, Spinella ripulì il secondo e lo infilò fra le labbra molli del demone-stregone. Lì per lì non ci furono reazioni, e Spinella temette che fosse troppo tardi. Poi N° 1 sussultò, sputacchiò e riprese a muoversi, come un vecchio motore in una mattina gelida.
Vivi, pensò Spinella. Siamo vivi entrambi. Se Leale avesse voluto ucciderci, saremmo già morti.
Spinse i piedi contro il fondo del barile e abbracciò stretto N° 1. Quel che adesso serviva era mantenere la calma.
Calma, gli trasmise, pur sapendo che il grasso avrebbe impedito a N° 1 di leggerle nel pensiero. Calma, mio piccolo amico. Artemis non tarderà a salvarci.
Sempre che sia ancora vivo, pensò. Però questo evitò di trasmetterlo.
Artemis indietreggiò, allontanandosi dalla versione da incubo di sua madre che levitava davanti a lui. Geigei strillò e si divincolò, ma il ragazzo lo tenne stretto, grattandogli il cocuzzolo ispido.
– Consegnami quella bestia – gli ordinò Opal. – Non hai scelta.
Artemis circondò il collo di Geigei con pollice e indice.
– Una scelta penso di averla.
– Non vorrai uccidere una creatura innocente! – strillò Opal inorridita.
– L’ho già fatto.
Opal lo fissò negli occhi. – Ma dubito che lo rifaresti. La mia intuizione magica mi dice che il tuo cuore non è gelido come vuoi far credere.
Vero. Artemis sapeva che non avrebbe potuto fare del male a Geigei, neppure per intralciare i piani di Opal. Ma non c’era motivo di farglielo sapere.
– Il mio cuore è di ghiaccio, folletta. Credi a me. Usa un pizzico di empatia magica per accertartene.
Il suo tono fece esitare Opal. La voce del ragazzo aveva una sfumatura di acciaio che rendeva difficile interpretarla. Forse avrebbe fatto meglio ad andarci coi piedi di piombo. – D’accordo, umano. Consegnami la bestia e risparmierò i tuoi amici.
– Non ho amici – replicò Artemis, pur sapendo che quella era una menzogna trasparente. Opal doveva trovarsi lì almeno da qualche giorno, e ovviamente aveva messo sotto controllo il sistema di sicurezza della casa.
Angeline/Opal si grattò il mento. – Niente amici, eh? A parte l’elfa della LEP, che ti ha accompagnato nel passato, e il demone stregone che vi ci ha mandati. Per non parlare di quella tua guardia grande e grossa.
Allitterazione, pensò Artemis. Si prende gioco di me.
– Anche se – aggiunse pensierosa Opal/Angeline – ormai Leale non è più amico tuo. Adesso è amico mio.
Questa era un’affermazione preoccupante, e forse vera. Artemis, di solito esperto nel leggere il linguaggio corporeo e nell’individuare tic rivelatori, era confuso da quella versione folle della madre. – Leale non vorrebbe mai diventare amico tuo!
Opal scrollò le spalle. Il Fangosetto non aveva tutti i torti. – Chi ha detto che lo volesse?
Artemis impallidì.
Oh-oh.
– Lascia che ti spieghi cos’è successo – proseguì Opal in tono amabile. – In qualche modo ho frullato il cervellino dei miei piccoli aiutanti perché non potessero denunciarmi, e ho ordinato loro di riportare la navetta a Cantuccio. Dopodiché, sono saltata nel tunnel temporale prima che si richiudesse. Una bazzecola, per una creatura con le mie capacità. Neanche avevi pensato a bloccare l’ingresso con un incantesimo.
Artemis schioccò le dita. – Lo sapevo di essermi scordato qualcosa!
Opal sorrise a denti stretti. – Ma quanto siamo spassosi. Comunque mi è stato subito chiaro che ero io, o lo sarei stata, la responsabile dell’intera faccenda, perciò sono uscita dal tunnel con qualche giorno di anticipo e ho dedicato qualche tempo a fare la conoscenza dell’allegra famigliola. Madre, padre, Leale.
– Dov’è mia madre? – gridò Artemis, la collera che frantumava la sua calma esteriore come un martello il ghiaccio.
– Ma sono qui, tesorino – rispose Opal con la voce di Angeline. – Sto tanto male e ho bisogno che tu vada nel passato e mi procuri una scimmietta magica. – Rise beffarda. – Gli umani sono così stupidi.
– Allora questo non è un incantesimo mutaforma?
– Certo che no, sciocco. Sapevo che Angeline sarebbe stata esaminata dai medici. I mutaforma non sono che un velo gettato sulla realtà, e perfino una maga esperta come me è in grado di sostenerli solo per un breve periodo.
– Allora mia madre non sta morendo d’Incantropia? – Conosceva già la risposta, ma doveva esserne sicuro.
Opal digrignò i denti, combattuta fra l’impazienza e il desiderio di vantarsi del suo piano geniale. – Non ancora. Ad ogni modo fra poco i danni inferti al suo sistema saranno irreversibili. Mi sono impadronita di lei a distanza. Una forma estrema di fascino. Un potere come il mio può manipolare perfino i suoi organi interni. Imitare l’Incantropia è stato un giochetto. E una volta che avrò il lemure, potrò aprire un tunnel temporale tutto mio.
– Allora sei qui in casa? In carne e ossa?
Ma Opal ne aveva abbastanza di rispondere alle sue domande. – Sì, no, che t’importa? Io vinco, tu perdi. Arrenditi, o moriranno tutti.
Artemis si mosse cauto verso la porta. – La partita non è ancora finita.
In corridoio risuonarono passi pesanti e uno strano cigolio ritmico. Una carriola, intuì Artemis, anche se non aveva molta esperienza di attrezzi da giardinaggio.
– Io credo di sì – replicò Opal in tono maligno.
La porta massiccia sussultò sotto i colpi assestati dall’esterno, e poi si spalancò. Leale spinse il carrello nella stanza a passi incerti, ingobbito e scosso dai brividi.
– È forte, questo umano – commentò Opal quasi ammirata. – Anche se l’ho affascinato, si è rifiutato di uccidere i tuoi amici. Per poco non si è fatto scoppiare il cuore. Sono riuscita soltanto a fargli costruire il barile e a farglielo riempire di grasso animale.
– Per annullare la magia – intuì Artemis.
– Ovvio, sciocco. Perciò, ora la partita è finita. Assolutamente. Leale è il mio asso nella manica, come direste voi umani. Ho tutti gli assi. Sei rimasto solo. Consegnami il lemure e tornerò nel mio tempo. Nessuno dovrà soffrire.
Se Opal mette le mani sul lemure, soffrirà l’intero pianeta, pensò Artemis.
Opal schioccò le dita. – Leale, prendi quella bestia. La guardia del corpo fece un passo verso Artemis e si fermò, la schiena scossa dai brividi, le dita curve come artigli attorno a un collo invisibile.
– Ti ho detto di prendere quella bestia, stupido umano. L’uomo cadde in ginocchio, colpendo il pavimento con i pugni, sforzandosi di zittire la voce nella sua testa.
– Prendi subito quel lemure! – strillò Opal.
Leale trovò forza sufficiente per pronunciare tre parole. – Va’… al… diavolo.
Poi si strinse il braccio e crollò a terra.
– Ooops – disse Opal. – Infarto. L’ho rotto.
Concentrati, si impose Artemis. Opal avrà anche tutti gli assi, ma forse in uno c’è un buco. Grattò Geigei sotto il mento.
– Nasconditi, piccolino. Corri a nasconderti.
E lanciò il lemure verso il lampadario appeso al soffitto. Agitando disperatamente le zampe, Geigei riuscì ad aggrapparsi a un pendente di cristallo e si issò con agilità sul lampadario, nascondendosi dietro cortine di gocce di vetro oscillanti.
Opal perse ogni interesse per Artemis e si concentrò per fare levitare il corpo di Angeline fino al lampadario… ma si rese conto, con uno strillo furibondo, che fare una cosa del genere ricorrendo al controllo a distanza era troppo perfino per lei.
– Dottor Schalke! – gridò, e da qualche parte nella casa lo gridò anche la sua vera bocca. – In camera da letto, Schalke!
Artemis archiviò l’informazione mentre passava sotto Opal/Angeline per raggiungere il carrello carico di attrezzatura medica fermo accanto al letto e recuperare un defibrillatore. Lo accese senza perdere tempo e, tendendone il cavo elettrico fino al limite massimo, lo trascinò verso Leale.
La guardia del corpo era stesa supina sul pavimento, il palmo delle mani piegato verso l’esterno come se sul suo petto ci fosse un masso invisibile, i muscoli contratti dallo sforzo di rimuovere quel peso opprimente. Aveva gli occhi chiusi, la faccia coperta da un velo di sudore luccicante, i denti serrati.
Artemis gli sbottonò la camicia e mise a nudo il petto, irrigidito da muscoli, cicatrici e tensione. Un rapido esame lo informò che il cuore aveva smesso di battere. Il corpo di Leale era morto; soltanto il suo cervello era ancora vivo.
– Resisti, amico mio – mormorò Artemis, sforzandosi di mantenere la concentrazione.
Tolse gli elettrodi dai loro sostegni e sfilò le foderine di sicurezza monouso, lasciando sulla superficie di contatto un velo sottile di gel conduttore. Mentre aspettava che il defibrillatore si caricasse, gli elettrodi sembrarono diventare sempre più pesanti, e quando finalmente si accese la luce verde aveva l’impressione di sorreggere due massi.
– Via! – gridò, poi posò gli elettrodi sul petto di Leale e schiacciò il pulsante con il pollice, inviandogli nel cuore una scarica da 360 joule. Il corpo di Leale s’inarcò, e un odore acre di peli e pelle bruciati assalì il naso di Artemis. Il gel sfrigolò, lasciando un marchio di cerchi gemelli al di sotto degli elettrodi. Gli occhi della guardia del corpo si riaprirono di scatto e le sue mani robuste strinsero le spalle di Artemis.
È ancora schiavo di Opal?
– Artemis – sussurrò Leale. Poi aggrottò la fronte confuso. – Artemis? Ma come…?
– Più tardi, amico mio – replicò brusco il ragazzo, passando mentalmente al problema successivo. – Per ora devi riposare.
Non ebbe bisogno di ripetere l’ordine. Leale sprofondò all’istante in uno stato d’incoscienza, ma il cuore continuò a battere sicuro nel suo petto. Non era rimasto privo di vita così a lungo da aver subito danni cerebrali.
Il problema successivo era Opal; o meglio, come farla uscire al più presto dal corpo della madre. In caso contrario, era sicuro che Angeline non sarebbe sopravvissuta.
Artemis trasse parecchi respiri profondi per riacquistare la calma e tornò a concentrarsi sul corpo della madre: Angeline/Opal continuava a roteare sotto il lampadario, le mani tese verso Geigei che, dal canto suo, sembrava beffarla agitando il didietro verso di lei.
È possibile che la situazione diventi ancora più surreale?
Proprio allora il dottor Schalke entrò nella stanza brandendo una pistola, in apparenza troppo grande per le sue dita affusolate. – Eccomi, creatura. Però ti avverto che il tuo tono non mi piace. Posso anche essere sotto l’influenza di un incantesimo, ma non sono un animale.
– Chiudi il becco, Schalke, o dovrò friggerti qualche altro neurone. Sbrigati ad acchiappare quel lemure!
Schalke tese verso il lampadario quattro dita della mano libera. – Il lemure si trova a un’altezza considerevole. Come suggerisci di acchiapparlo? Dovrei sparargli e ucciderlo?
Opal planò su di lui, agitando braccia e gambe come un’arpia. – No! – strillò, colpendogli testa e spalle. – Ucciderei cento di voi umani, mille di voi, prima di permetterti di torcergli anche solo un pelo. Quel lemure rappresenta il futuro. Il mio futuro! Il futuro del mondo!
– Sì sì sì – commentò il dottore. – Non fossi sotto un incantesimo, sospetto che sbadiglierei.
– Uccidi gli umani – ordinò Opal. – Prima il ragazzo, è lui il più pericoloso.
– Sicura? A me sembra più pericoloso quel gigante d’uomo.
– Spara al ragazzo! – ululò Opal, le guance bagnate da lacrime di frustrazione. – Poi a Leale e poi a te stesso.
Artemis deglutì. La situazione cominciava a diventare difficile; il suo complice avrebbe fatto meglio a darsi una mossa.
– Molto bene – sbuffò Schalke, trafficando attorno alla sicura della Sig Sauer di Leale. – Qualunque cosa, pur di sfuggire a queste sceneggiate.
Ho solo pochi secondi prima che capisca come togliere la sicura, pensò Artemis. Pochi secondi per distrarre Opal. Non mi resta altro che rivelarle che uno dei suoi assi è fasullo.
– Su, su, Opal – disse quindi, simulando una calma che non provava affatto. – Non vorrai uccidere un bambino di dieci anni!
– Altroché – replicò lei senza esitare. – Anzi, sto prendendo in considerazione l’idea di clonarti, così da poterti uccidere a ripetizione. Un sogno.
E poi, di colpo, la sua mente registrò tutto quello che Artemis aveva detto. – Dieci? Hai detto di avere dieci anni?
Dimenticando i pericoli che ancora correva, Artemis assaporò beato quel momento di trionfo. Era di una dolcezza inebriante. – Esatto. È quello che ho detto. Ho dieci anni. La mia vera madre se ne sarebbe accorta subito.
Opal morse le nocche della mano sinistra di Angeline. Riflettendo. – Sei l’Artemis Fowl del mio tempo? Ti hanno portato con loro!
– Ovvio.
Il corpo di Angeline arretrò di scatto a mezz’aria, come sospinto da una raffica di vento. – C’è un altro Artemis! Qui vicino, da qualche parte, c’è un altro Artemis Fowl.
– Finalmente! – sogghignò il ragazzo. – La geniale folletta ha visto la luce.
– Trovalo! – strepitò Opal rivolta al dottor Schalke. – Trovalo subito. Immediatamente!
Schalke si raddrizzò gli occhiali. – Subito e immediatamente. Dev’essere una faccenda importante.
Opal lo seguì con sguardo carico d’odio. – Quando tutto sarà finito, mi toglierò la soddisfazione di distruggere tutta questa proprietà. E quando tornerò nel passato…
– Non me lo dire – la interruppe l’Artemis Fowl decenne. – La distruggerai di nuovo.
Circa otto anni prima
Quando, fra un’arrampicata su tralicci e duelli verbali con Estinzionisti assassini, il quattordicenne Artemis aveva avuto un momento per riflettere, si era reso conto che la malattia di sua madre poneva diverse domande senza risposta. In teoria era stato lui a trasmetterle l’Incantropia, ma chi l’aveva trasmessa a lui? Più volte in passato Spinella aveva fatto uso della magia su di lui, ma Spinella godeva di ottima salute. Perché lei non stava male? O come mai Leale non era contagiato? Era stato guarito così tante volte che ormai doveva essere elfo per metà.
Invece, fra tutte le migliaia di umani che ogni anno venivano guariti, affascinati o sottoposti allo spazzamente, era stata proprio sua madre ad ammalarsi. La madre dell’unico umano in grado di fare qualcosa al riguardo. Una strana coincidenza. Troppo strana. Dunque… O qualcuno aveva deliberatamente contagiato sua madre, oppure i sintomi erano stati duplicati tramite la magia. In entrambi i casi il risultato era lo stesso: Artemis sarebbe tornato indietro nel tempo per trovare l’antidoto. Il lemure, Geigei.
E chi ci teneva quanto lui a recuperare Geigei? La risposta era nascosta nel passato. Opal Koboi, naturalmente. Il piccolo primate era l’ultimo ingrediente del suo cocktail magico.
Una volta che la folletta si fosse iniettata il suo fluido cerebrale, sarebbe diventata la creatura più potente del pianeta. Perciò, non essendo riuscita a catturare Geigei nel proprio tempo aveva deciso di catturarlo nel futuro. A qualunque costo. Doveva averli seguiti nel tunnel temporale ed esserne uscita prima di loro per organizzare il tutto. Probabilmente, una volta in possesso del fluido cerebrale di Geigei tornare indietro nel tempo non sarebbe stato un problema.
L’intera faccenda confondeva perfino Artemis. Opal non sarebbe mai arrivata nel suo presente, se lui non fosse tornato indietro nel tempo. E lui era andato nel passato a causa delle azioni di Opal. Era stato il suo tentativo di curare la madre che aveva permesso a Opal di contagiarla.
In ogni caso, adesso di una cosa era sicuro: dietro tutta quella storia c’era lo zampino di Opal. Dietro di loro e davanti a loro. La folletta li stava spingendo dritti fra le proprie grinfie. Un paradosso temporale.
Visto e considerato che ci sono due Opal, pensò Artemis, sarebbe bene che ci fossero anche due Artemis Fowl.
Fu così che formulò un piano.
Quando l’Artemis di dieci anni era stato messo al corrente di com’erano andate le cose e si era convinto della loro veridicità, aveva subito acconsentito ad accompagnarli nel futuro, a dispetto delle vivaci obiezioni di Leale.
– È mia madre, Leale – aveva detto alla guardia del corpo. – Devo salvarla. E tu devi restare qui, al suo fianco, fino al mio ritorno. Del resto, quante speranze di successo ci sarebbero senza di me?
– Ma davvero… – si era chiesta Spinella Tappo; e aveva provato più soddisfazione del necessario vedendo l’arroganza svanire dalla faccia del ragazzo quando il tunnel temporale si era spalancato davanti a loro, simile alle fauci di un enorme serpente virtuale.
– Coraggio, Fangosetto – aveva detto, mentre Artemis guardava dissolversi il proprio braccio. – E fa’ attenzione agli zombie temporali.
Il tunnel temporale aveva creato qualche difficoltà all’Artemis di quattordici anni. Ogni altro umano sarebbe stato fatto a brandelli dall’esposizione ripetuta alle sue radiazioni, ma lui riuscì a restare tutto intero grazie alla pura e semplice forza di volontà. Si concentrò sulla parte superiore del proprio intelletto, risolvendo teoremi impossibili con numeri cardinali chilometrici e componendo una conclusione per l’incompiuta Sinfonia N° 8 di Schubert.
Mentre lavorava con le note, avvertì il commento beffardo del suo io più giovane.
Di nuovo il sì minore? Ne sei proprio sicuro? Era sempre stato così odioso? Che bambino irritante. Non c’era da stupirsi che non stesse simpatico a nessuno.
Casa Fowl, oggi
Tornato nel proprio tempo, nella propria casa, Artemis quattordicenne si fermò nello studio solo quanto bastava a rivestirsi e poi ne uscì rapido, avvertendo con un cenno Polledro e N° 1 di fare silenzio. Percorse in fretta il corridoio, diretto verso il montavivande adiacente alla saletta da tè al secondo piano. Non era certo quello il modo più diretto per raggiungere il locale dove facevano capo i sistemi di sicurezza; anzi, era una strada tortuosa e scomoda, ma era anche l’unica che gli avrebbe permesso di attraversare la casa senza rivelare la propria presenza.
Leale pensava di avere sotto controllo ogni centimetro quadrato della proprietà, a parte gli alloggi privati dei Fowl, ma da un pezzo Artemis aveva scoperto come spostarsi sfuggendo alle telecamere. Era necessario nascondersi negli angoli, camminare sui mobili, calarsi nella colonna del montavivande, e inclinare un grande specchio a un’angolazione precisa.
Naturalmente era sempre possibile che anche un nemico scoprisse le coordinate di quel particolare percorso, riuscendo ad aggirarsi nella casa senza essere scoperto. Possibile, ma improbabile: non senza una conoscenza approfondita di nicchie e angoli che non figuravano su alcuna mappa.
Così Artemis zigzagò nel corridoio, evitando l’occhio rotante di una telecamera, e s’infilò nel montavivande. Per fortuna la piccola cabina si trovava a quel piano, o sarebbe stato costretto a calarsi lungo il cavo, e calarsi non rientrava fra i suoi punti di forza. Tese una mano fuori dalla cabina per raggiungere il pulsante sulla parete e premerlo, e la ritrasse appena in tempo per evitare che il montavivande in discesa verso il pianterreno gli graffiasse il polso. Ma anche se quel movimento fosse stato registrato dal sistema di sorveglianza, non avrebbe fatto scattare allarmi.
Una volta in cucina, Artemis rotolò sul pavimento e aprì la porta del frigorifero per nascondere il proprio ingresso nella dispensa, e si tenne nell’ombra finché l’ennesima telecamera ruotò oltre la soglia. Soltanto allora il ragazzo salì sul tavolo e saltò fuori.
Senza mai smettere di pensare. Di tramare.
Dai per scontato il peggio. Il piccolo Artemis fuori combattimento, e così pure Spinella e N° 1. Possibilissimo, se Leale è stato affascinato. Opal dev’essere da qualche parte nelle vicinanze del centro di sorveglianza, e da lì controlla mia madre. È stata Opal ad accorgersi della magia dentro di me. Non mia madre. È stata lei ad annullare l’incantesimo che avevo gettato sui miei genitori.
E: Ovviamente in sì minore. Se si inizia in sì minore, si conclude in sì minore. Lo capirebbe anche un idiota.
Nell’atrio c’era un’armatura medievale, la stessa che cinque anni prima Leale aveva indossato per affrontare un troll durante l’assedio di Casa Fowl. Artemis la raggiunse piano piano, le spalle schiacciate contro un arazzo astratto grigio e nero che lo mimetizzava quasi perfettamente. Una volta al riparo dell’armatura, inclinò uno specchio a parete lì accanto fino a fargli riflettere il raggio di un faretto dritto nella lente della telecamera piazzata nell’ingresso.
La strada verso il centro di sorveglianza era libera. Artemis puntò deciso in quella direzione, sicuro di trovarvi Opal. Non soltanto da lì la folletta sarebbe stata in grado di tenere d’occhio l’intera casa, ma il locale si trovava esattamente sotto la camera di Angeline. E se davvero era Opal a controllare sua madre, più vicino era meglio era.
Era ancora a diversi metri di distanza quando capì di aver visto giusto. Le urla della folletta si potevano sentire fin dal corridoio. – C’è un altro Artemis! Qui vicino, da qualche parte, c’è un altro Artemis Fowl.
O aveva finalmente capito, o l’Artemis bambino era stato costretto a rivelare il loro piano. – Trovalo! – strepitò Opal. – Trovalo subito. Immediatamente!
Artemis entrò silenzioso nel centro di sorveglianza, un ripostiglio vicino all’ingresso in altri tempi usato come guardaroba, armeria e cella. Adesso conteneva una scrivania su cui troneggiava un computer simile a quelli delle direzioni dei giornali, collegato a una serie di schermi che mostravano vari punti della casa e della tenuta.
Opal era seduta ingobbita davanti alla scrivania e indossava l’attrezzatura della LEP di Spinella. Non aveva perso tempo a rubarla. Erano passati solo pochi minuti da quando Artemis l’aveva chiusa in cassaforte.
La folletta, i capelli neri lucidi di sudore e le braccia infantili tremanti per lo sforzo, era freneticamente impegnata su più fronti: teneva d’occhio gli schermi e manteneva al tempo stesso il controllo a distanza su Angeline.
Artemis sgattaiolò nella stanza, si avvicinò furtivo all’armadietto delle armi e digitò rapido il codice della serratura.
– Quando tutto sarà finito, mi toglierò la soddisfazione di distruggere tutta questa proprietà. E quando tornerò nel passato…
Opal s’irrigidì. Aveva sentito uno scatto sommesso. Si voltò, e vide Artemis Fowl puntarle contro un’arma. Abbandonando all’istante ogni altro incantesimo, la folletta concentrò i propri sforzi in un tentativo disperato di fascino. – Lascia quell’arma – intonò. – Sei mio schiavo.
Artemis si sentì subito stordito, ma aveva già premuto il grilletto e il lungo ago di un dardo pieno di Leale special, un misto di rilassante muscolare e sedativo, si conficcò nel collo di Opal, non protetto dalla tuta della LEP. Fu un assoluto colpo di fortuna, perché Artemis non era esattamente esperto di armi da fuoco. Per dirla con Leale: «Sarai anche un genio, Artemis, ma lascia sparare me, perché tu non riusciresti a colpire il didietro di un elefante pietrificato.»
Opal annaffiò freneticamente di scintille magiche la ferita, ma era troppo tardi. La droga si era già infiltrata nel suo cervello, allentando il controllo sulla magia.
Nel giro di pochi secondi la folletta cominciò a barcollare e la sua immagine tremolò, passando dal suo vero aspetto a quello della signorina Book.
La signorina Book, pensò Artemis. Avevo indovinato. L’unica incognita nell’equazione.
La schermatura cominciò ad accendersi e spegnersi, facendo alternativamente scomparire e ricomparire la folletta. Lampi magici le esplosero dalle dita, friggendo gli schermi prima che Artemis facesse in tempo a controllare che cosa succedeva al piano di sopra.
– Ora posso lanciare lampi – biascicò Opal. – Era una settimana che non ci riuscivo.
Scintille di magia guizzarono e turbinarono, per poi unirsi a comporre un’immagine a mezz’aria: Polledro che stava ridendo.
– Ti odio, centauro! – urlò Opal, slanciandosi verso l’immagine incorporea. Dopodiché i suoi occhi si offuscarono e la folletta si afflosciò russando sul pavimento.
Artemis si raddrizzò la cravatta.
Poco ma sicuro, pensò, Freud avrebbe il suo bel daffare con una tipa del genere.
Artemis salì in fretta le scale ed entrò nella camera dei genitori, dove trovò il tappeto ricoperto di grasso animale. Due serie di impronte, un paio elfiche e un paio demoniache, andavano dalla pozza perlacea al bagno. Artemis sentì il getto della doccia colpire le mattonelle.
Opal ha usato grasso animale per annullare la magia di N° 1. Rivoltante. Orribile.
Il ragazzino stava esaminando l’ammasso di viscidume. – Guarda – disse, notando la presenza del suo io più vecchio. – Opal ha usato grasso animale per annullare la magia di Numero Uno. Ingegnoso.
Al di sotto del getto della doccia si potevano distinguere lamenti e il rumore di qualcuno che vomitava. Leale stava ripulendo Spinella e N° 1, e nessuno dei due sembrava felice o in buona salute.
Vivi, però. Sono entrambi vivi.
Angeline era distesa sul letto, avvolta in una trapunta. Era ancora pallida e intontita, ma era l’immaginazione di Artemis o una sfumatura di colore le era ricomparsa sulle guance? Sentendola tossire, tutti e due gli Artemis si portarono al suo fianco.
L’Artemis di quattordici anni guardò il suo io più giovane e inarcò un sopracciglio. – Capisci da solo che questo potrebbe creare dei problemi – gli fece presente.
– Lo capisco sì – ammise il più piccolo. – Vuol dire che andrò a dare un’occhiata nel tuo… nel mio studio. Tanto per vedere cos’ho tirato fuori in questi anni.
Ecco un bel problema, pensò il grande. La mia stessa curiosità. Forse ho fatto male a promettergli di non cancellare i suoi ricordi. Urgono provvedimenti.
Angeline aprì gli occhi. Erano azzurri e calmi, anche se circondati da occhiaie scure. – Artemis – disse, la voce simile al fruscio di dita su un tronco. – Ho sognato di volare. E c’era una scimmia.
Artemis fu scosso da un fremito di sollievo. Era salva. L’aveva salvata. – Era un lemure, madre. Mamma.
Con un’ombra di sorriso, Angeline sollevò una mano per accarezzargli una guancia. – Mamma. Ho atteso così a lungo di sentirtelo dire. Così a lungo.
E con quel sorriso sulle labbra, si riadagiò sui cuscini e scivolò in un sonno profondo e naturale.
Meglio così, pensò Artemis. O potrebbe accorgersi che ci sono elfi in bagno e il contenuto di un barile di grasso sul pavimento. Nonché un altro Artemis che si aggira furtivo attorno alla libreria.
Leale emerse dal bagno gocciolante, senza camicia e con i segni delle bruciature degli elettrodi sul petto. Era più pallido del solito e per restare diritto dovette appoggiarsi allo stipite. – Bentornato – disse alla versione adolescente di Artemis. – Il bambino ti somiglia parecchio. Mi ha fatto venire un colpo.
– Lui è me com’ero – replicò brusco il ragazzo.
Leale accennò col pollice alla doccia. – A quei due non è piaciuto affatto il bagno nel barile.
– Il grasso animale è veleno per il Popolo – gli spiegò Artemis. – Blocca il flusso di magia. Fa andare a male il loro potere.
Un’ombra offuscò la fronte di Leale. – Mi ci ha costretto Opal. Lei… la signorina Book mi ha bloccato al cancello mentre stavo per andare all’aeroporto. Di punto in bianco mi sono trovato prigioniero nel mio stesso cranio.
Artemis gli posò una mano sul braccio. – Lo so. Le scuse non sono necessarie.
All’improvviso Leale si rese conto di non avere la Sig Sauer, e poi si ricordò chi se ne era impossessato. – Che hai fatto a Schalke? Un dardo soporifero?
– No. Le nostre strade non si sono incrociate.
Leale uscì barcollando in corridoio, con Artemis alle calcagna. – È ancora sotto il controllo di Opal, anche se gliela sta facendo sudare. Dobbiamo bloccarli subito.
Ci misero un pezzo per raggiungere il centro di sorveglianza, con Leale che si appoggiava al muro a ogni passo. E quando arrivarono, Opal non c’era più. Artemis corse alla finestra in tempo per vedere la coda di una Mercedes d’epoca sparire dietro una curva del viale. Una figuretta saltellò due volte sul sedile posteriore: la prima volta era Opal; la seconda, la signorina Imogen Book.
Il suo potere sta già tornando, intuì Artemis.
Leale si portò ansimando al suo fianco. – Questa storia non è ancora finita – disse.
Artemis non replicò. Leale aveva semplicemente enunciato un fatto.
Di colpo il rumore del motore aumentò.
– Ha cambiato marcia – disse Leale. – Sta tornando.
Pur aspettandoselo, Artemis sentì una mano gelida sfiorargli il cuore.
Certo, sta tornando, pensò. È la sua ultima possibilità. Leale sta in piedi per miracolo. Spinella e Numero Uno saranno a secco di magia per ore, e io non sono che un semplice umano. Se si arrendesse ora, Geigei le sfuggirebbe per sempre. A momenti la squadra di Polledro arriverà da Tara e porterà il lemure al sicuro sottoterra. Per cinque minuti scarsi, Opal ha ancora il coltello dalla parte del manico.
Artemis non ci mise molto a escogitare un piano. – Devo portare Geigei lontano da qui. Finché resta in casa, sarete tutti in pericolo. Opal non ha intenzione di lasciarsi dietro testimoni vivi.
Leale annuì, le rughe del volto solcate da rivoli di sudore. – D’accordo. Prenderemo il Cessna…
– Io prenderò il Cessna – lo corresse Artemis. – Ti affido l’incarico di proteggere mia madre e i miei amici, e soprattutto dovrai occuparti di tenere il mio io più giovane lontano da Internet. È pericoloso quanto Opal.
Era una tattica logica, e Leale l’aveva prevista prima ancora che Artemis aprisse bocca. Era in pessima forma e non avrebbe fatto che rallentare il ragazzo. Per giunta, se fosse andato via anche lui, la casa sarebbe rimasta senza difese contro l’eventuale vendetta di qualche schiavo di Opal.
– D’accordo. Non salire a più di tremila metri e tieni d’occhio i flap: sono un po’ vischiosi.
Artemis annuì come se non lo sapesse già. Ma per Leale, dare istruzioni era di conforto.
– Tremila. Flap. Chiaro.
– Ti serve un’arma? Ho una Beretta niente male.
Artemis scosse la testa. – No. Quanto a mira, sono una tale schiappa che perfino con l’aiuto dell’occhio di Spinella finirei per spararmi su un piede. No, ho solo bisogno di un’esca. – Fece una pausa. – E di un paio di occhiali scuri.