CAPITOLO 8


UNA MANATA DI SPUTO


Quando finalmente Artemis scese dal traliccio, non vide traccia di Spinella. L’aveva lasciata vicino all’ingresso del tunnel, ma adesso lì attorno non c’erano che fango e impronte. Impronte. Ora mi tocca anche seguire le tracce. Prima o poi dovrò proprio leggere L’ultimo dei Mohicani.

– Non perdere tempo con quelle – lo informò una voce da un fosso. – Sono una falsa traccia. L’ho lasciata nel caso l’umano grosso volesse usare la nostra amica della LEP come spuntino.

– Buona idea – disse Artemis, scrutando fra il fogliame. Un’ombra pelosa si staccò da un monticello di terra. Bombarda Sterro. – Ma come mai ti sei preso tutto questo disturbo? Credevo che gli agenti della LEP fossero tuoi nemici.

Bombarda gli puntò contro un dito tozzo e fangoso. – Il mio nemico sei tu, umano. Sei tu il nemico del pianeta.

– Però sei pronto ad aiutarmi in cambio di una certa quantità d’oro.

– Di una strabiliante quantità d’oro – replicò l’altro. – E, se possibile, di un po’ di pollo frìtto. Con salsa barbecue. E di un bottiglione di Pepsi. E magari di un altro po’ di pollo.

– Affamato?

– Sempre. Una dieta a base di terra e basta non è il massimo, neanche per un nano.

Artemis non sapeva se ridere o piangere. Bombarda non sarebbe mai riuscito ad afferrare la gravità di una qualunque situazione… o forse gli piaceva dare quell’impressione.

– Dov’è Spinella?

Bombarda accennò al monticello di terra stranamente simile a una tomba. – Là sotto. Gemeva troppo forte. Arty qua e Arty là, con qualche “mamma” nel mezzo.

Sepolta? Ma Spinella soffriva di claustrofobia!

Artemis cadde in ginocchio e cominciò a scavare affannosamente il monticello a mani nude. Bombarda rimase a guardarlo per un momento e poi sospirò con fare teatrale. – Lascia fare a me, Fangosetto, o ci metterai tutta la notte.

Si avvicinò al monticello e ci infilò distrattamente una mano, mordendosi le labbra mentre cercava un punto preciso. – Ecco qua – sbuffò, dando uno strattone a un rametto. Il monticello tremò e poi crollò in piccole valanghe di sassolini e terriccio, lasciando comparire Spinella sana e salva.

– È una struttura complessa chiamata Cu-Cu – spiegò Bombarda, agitando il rametto.

– Tipo?

– Tipo cu-cu-ci-cu-cu, ora mi vedi e ora non mi vedi più – rispose il nano, battendosi una mano sul ginocchio in preda a un attacco di ridarella.

Accigliato, Artemis scrollò gentilmente l’elfa. – Spinella, mi senti?

L’elfa aprì gli occhi e si guardò attorno confusa per qualche momento, prima di rimettere a fuoco lo sguardo. – Artemis… Oh, cielo…

– Va tutto bene. Non ho il lemure… cioè, in effetti ce l’ho. O meglio: ce l’ha l’altro me, però non preoccuparti: so dove sto andando.

Spinella si passò le dita sottili sul viso. – Volevo dire: «Oh, cielo, penso di averti baciato.»

Artemis si sentiva martellare la testa, e gli occhi spaiati di Spinella sembravano ipnotizzarlo. Pur essendo ringiovanita nel tunnel, l’elfa aveva ancora un occhio azzurro. Un altro paradosso. Ma pur sentendosi ipnotizzato, perfino un po’ stordito, Artemis sapeva di non essere affascinato. La magia del Popolo non c’entrava.

E quando incrociò lo sguardo degli occhi elfici seppe che, in quel particolare groviglio di tempo e spazio, la giovane e in un certo senso più vulnerabile Spinella provava la sua stessa sensazione.

Dopo tutto quello che abbiamo passato. O forse proprio per quello.

Un ricordo spaccò il momento come un sasso lanciato contro una ragnatela.

Le ho mentito.

Il pensiero lo colpì con tanta forza da farlo barcollare.

Spinella è convinta di essere stata lei a infettare mia madre. È qui perché l’ho ricattata.

D’un tratto Artemis capì di non poter sfuggire alle conseguenze di quella realtà brutale. Se le avesse confessato la verità, Spinella lo avrebbe odiato. Se non gliel’avesse confessata, lui avrebbe odiato se stesso.

Deve pur esserci qualcosa che posso fare.

Però al momento non gli venne in mente nulla.

Ho bisogno di riflettere.

Artemis prese Spinella per mano e l’aiutò a rialzarsi e a uscire dalla fossa. – Mi sento come resuscitata – commentò quest’ultima, e tirò un pugno sulla spalla di Bombarda.

– Ahia! Perché, mia signora, mi tormenti?

– Non citarmi Gerd Sgargionzolo, Bombarda Sterro. Non c’era bisogno di seppellirmi. Bastava tapparmi la bocca con una latifoglia.

Bombarda si massaggiò la spalla. – Una latifoglia non è altrettanto artistica. E poi, ti sembro tipo da felci e alberelli vari? Io sono un nano, e noi nani ce la facciamo col fango.

Artemis fu lieto del battibecco. Gli dava qualche momento per riacquistare l’autocontrollo.

Scorda la confusione adolescenziale riguardo a Spinella. Pensa a tua madre malata. Ti sono rimasti meno di tre giorni.

– Molto bene, truppa – disse con giovialità forzata. – Diamoci una mossa, come direbbe un mio vecchio amico. Dobbiamo catturare un lemure.

– E il mio oro? – chiese Bombarda.

– Ti risponderò con la maggiore semplicità possibile. Niente lemure, niente oro.

Bombarda tamburellò meditabondo le otto dita sulle labbra, e i peli della sua barba vibrarono come viticci di un anemone di mare.

– Quanto sarebbe, esattamente, strabiliante in secchi?

– Quanti secchi hai?

Bombarda prese la domanda sul serio. – Un bel po’. Però sono quasi tutti pieni di roba. Comunque, suppongo che potrei svuotarli.

Artemis evitò a stento di digrignare i denti. – Era una domanda retorica. Un sacco di secchi. Quanti ne vuoi.

– Se vuoi che continui a inseguire scimmie, mi serve un pagamento sull’unghia. Un acconto per provare la tua buona fede.

Spinella si raddrizzò la parrucca argentea. – Ce l’ho io qualcosa per te, Bombarda Sterro. Qualcosa perfino migliore di una strabiliante quantità d’oro. Sei numeri, che ti rivelerò quando saremo arrivati.

– Arrivati dove? – chiese Bombarda, sospettando che l’elfa lo stesse prendendo in giro.

– Al magazzino della LEP a Tara.

Negli occhi di Bombarda si accesero sogni di aerosci e tuffobolle, cubi laser e aspiragrasso. Il bottino di una vita. Erano anni che cercava di scassinare un magazzino della LEP.

– Posso prendere tutto quello che voglio?

– Qualunque cosa tu riesca a piazzare su un carrello a cuscino d’aria. Un solo carrello.

Bombarda si sputò sul palmo un grumo di muco marezzato. – Suggelliamo il patto con una stretta di mano.

Artemis e Spinella si scambiarono un’occhiata.

– È il tuo magazzino – disse Artemis, infilandosi le mani in tasca.

– È la tua missione – ribatté Spinella.

– Io non conosco la combinazione.

Spinella calò l’asso. – È per tua madre che siamo qui.

Artemis sorrise mestamente. – Capitano Tappo, mi sa che stai diventando carogna quanto me – disse, e suggellò il patto con un’umidiccia stretta di mano.