CAPITOLO 4


LO ZIO DELLE SCIMMIE


Casa Fowl, circa otto anni prima

Il decenne Artemis Fowl chiuse il fascicolo al quale stava lavorando, mise lo schermo in sleep e si alzò dalla scrivania. Suo padre sarebbe arrivato a momenti. Artemis Senior aveva confermato l’appuntamento quella mattina via mail interna, e non era mai in ritardo. Il suo tempo era prezioso, e si aspettava che il figlio fosse pronto per la loro chiacchierata mattutina. Il padre di Artemis arrivò alle dieci in punto.

– A Murmansk ci sono quindici gradi sottozero – disse, stringendo con fare cerimonioso la mano del figlio.

Artemis era fermo su una particolare lastra di pietra davanti al caminetto. Non che gli fosse stato ordinato di stare proprio lì, ma sapeva che il padre si sarebbe seduto sulla poltrona Luigi XV accanto al fuoco, e ad Artemis Senior non piaceva farsi venire il torcicollo mentre parlava.

Suo padre si lasciò cadere sulla poltrona antica, e Artemis fu attraversato da un fremito di soddisfazione.

– La nave è pronta, suppongo.

– Pronta a salpare – confermò il padre, un lampo eccitato negli occhi azzurri. – Per noi si aprono nuovi mercati, Arty, ragazzo mio. Mosca è già una delle città più commerciali del mondo, e senza dubbio il Nord della Russia lo sarà a breve.

– Immagino che mamma non sia granché soddisfatta della tua impresa più recente.

Negli ultimi tempi i suoi genitori avevano preso a litigare a notte fonda. Il motivo, in un matrimonio per il resto felice, erano gli affari di famiglia. Artemis Senior controllava un impero criminale i cui tentacoli si stendevano dalle miniere d’argento dell’Alaska ai cantieri navali della Nuova Zelanda. Angeline era un’ambientalista nonché una filantropa appassionata, e riteneva che le attività criminali del marito e il suo spietato sfruttamento delle risorse naturali fossero di pessimo esempio per il figlio.

– Finirà per diventare uguale a suo padre – l’aveva sentita dire Artemis una sera, attraverso una cimice inserita nell’acquario.

– Pensavo che tu amassi suo padre.

Artemis sentì un fruscio di stoffa: i genitori si abbracciavano. – Lo amo. Più della mia stessa vita. Però amo anche questo pianeta.

– Tesoro mio – disse Artemis Senior a voce così bassa che la cimice ebbe difficoltà a captarla – al momento le finanze dei Fowl attraversano una fase delicata. Tutto il capitale è investito in imprese illegali, e io ho bisogno di mettere a segno un colpo grosso per iniziare la transizione verso la legalità. Potremo occuparci di salvare il mondo quando avremo nel portafoglio una provvista di azioni sicure.

Artemis sentì la madre baciare Artemis Senior. – Va bene, mio principe pirata. Un colpo grosso, e poi salviamo il mondo.

Un colpo grosso. Una nave carica di Coca-Cola esentasse per i russi. Ma, cosa più importante, un canale di commercio verso l’Artico. E Artemis sospettava che per il padre sarebbe stato difficile abbandonare quel canale dopo un’unica transazione commerciale. C’erano in ballo miliardi.

– La Fowl Star è stata caricata ed è pronta a partire – annunciò Artemis Senior al figlio, durante l’incontro nello studio. – Ricorda: è impossibile salvare il mondo solo con le buone intenzioni. È necessario il potere. E l’oro è potere. – E indicò lo stemma e il motto dei Fowl incisi su uno scudo di legno appeso sopra il caminetto.

– Aurum potestas est. L’oro è potere: non scordarlo mai, Arty. Finché i Verdi non avranno un patrimonio alle spalle, nessuno li prenderà sul serio.

Il giovane Artemis era diviso fra i genitori. Il padre era la figura rappresentativa della famiglia. Per secoli i Fowl avevano prosperato grazie al loro impegno nell’ammassare ricchezze, e Artemis era convinto che, prima di rivolgere la sua attenzione all’ambiente, il padre avrebbe trovato un modo per accrescere le loro fortune. Amava la madre, ma le finanze dei Fowl dovevano essere salvate.

– Un giorno il controllo del patrimonio di famiglia toccherà a te – disse Artemis Senior, alzandosi. – E quel giorno riposerò tranquillo, perché so che per te l’interesse dei Fowl viene prima di qualunque altra cosa.

– Assolutamente, padre. I Fowl vengono per primi. Comunque quel giorno è ancora lontano decenni.

Artemis Senior rise. – Me lo auguro, figliolo. Ora devo andare. Prenditi cura di tua madre in mia assenza. E non permetterle di scialacquare i beni di famiglia, d’accordo?

Aveva parlato in tono leggero, ma una settimana dopo Artemis Fowl Senior era stato dato per disperso, forse morto, e le sue parole divennero il codice di comportamento del figlio.

«Prenditi cura di tua madre e non permetterle di scialacquare i beni di famiglia.»

Due mesi più tardi Artemis era di nuovo seduto davanti alla sua scrivania, lo sguardo fisso sullo schermo del computer dove scorrevano i deprimenti particolari delle finanze di famiglia, in rapida diminuzione dalla scomparsa del padre. Adesso era lui l’uomo di casa, il custode dell’impero Fowl, e come tale doveva comportarsi.

Appena la nave di Artemis Senior era stata inghiottita dalle oscure acque dell’Artico, i suoi debitori si erano dileguati, e le varie cellule di falsari, gorilla, ladri e contrabbandieri si erano alleate con altre organizzazioni.

Onore fra ladri?, pensò con amarezza Artemis. Mi sa proprio di no.

La maggior parte del denaro dei Fowl sembrava essere svanito dall’oggi al domani, lasciandolo con una tenuta da gestire e una madre che si avviava verso il crollo nervoso.

Non passò molto che i creditori calarono su di loro, ansiosi di impadronirsi di una fetta della torta prima che ne restassero soltanto briciole. Per pagare il mutuo della casa e vari altri debiti, Artemis era stato costretto a mettere all’asta uno schizzo di Rembrandt.

E sua madre non contribuiva certo a facilitargli le cose. Si rifiutava di credere che il marito fosse scomparso e proseguiva la sua missione di salvare il mondo senza curarsi delle spese.

Nel frattempo Artemis tentava di organizzare una spedizione nell’Artico per trovare suo padre. Il che non è semplice se hai dieci anni e, nonostante svariati premi internazionali in arte e musica - per non parlare di dozzine di redditizi brevetti e diritti d’autore registrati a livello mondiale - gli adulti si rifiutano di prenderti sul serio. Col tempo il ragazzino avrebbe senza dubbio ammassato una fortuna tutta sua, ma “col tempo” non era abbastanza presto.

I soldi gli servivano subito.

Aveva intenzione di organizzare una vera e propria sala controllo per tenere d’occhio Internet e i canali di notizie di tutto il mondo ventiquattr’ore su ventiquattro, e a questo scopo sarebbero stati necessari minimo venti computer.

Per non parlare della squadra di esploratori artici che, nel loro albergo moscovita, aspettavano l’arrivo di un’altra fetta della loro paga. Soldi che lui non aveva.

Artemis picchiettò un dito affusolato sullo schermo.

Devo assolutamente escogitare qualcosa, pensò.

Quando Artemis entrò nella stanza, Angeline Fowl era stesa sul letto e piangeva. Quello spettacolo gli strinse il cuore, ma serrò i pugni e si impose di essere forte.

– Madre – disse, sventolando un rendiconto della banca. – Cos’è questo?

Angeline si asciugò gli occhi con un fazzolettino e si sollevò sui gomiti, concentrando lentamente lo sguardo sul figlio.

– Arty, mio piccolo Arty. Vieni, siediti accanto a me.

Angeline aveva gli occhi cerchiati da lacrime nere di mascara, e la carnagione di un pallore quasi trasparente.

Sii forte.

– No, madre. Non ho intenzione di sedermi a chiacchierare. Voglio sapere che cosa significa quest’assegno di cinquantamila euro a un parco in Sudafrica.

Angeline lo fissò sbalordita. – Sudafrica, caro? Chi è andato in Sudafrica?

– Hai spedito un assegno di cinquantamila euro in Sudafrica, madre. Soldi che avevo messo da parte per la spedizione artica.

– Cinquantamila. Il numero mi è familiare. Lo chiederò a tuo padre quando rientra. Meglio che non faccia di nuovo tardi a cena, o…

Artemis perse la pazienza. – Ti prego, madre. Sforzati di pensare. Non abbiamo fondi da sperperare in beneficenza. Ho dovuto licenziare tutto il personale a parte Leale, e anche lui non riceve la paga da un mese.

– Lemuri! – esclamò trionfante Angeline. – Ora ricordo. Ho comprato un sifaka setoso… sai, quello che si chiama anche sifaka candido.

– Impossibile. Il Propithecus candidus è estinto.

– No, no! – esclamò sua madre con veemenza. – Ne hanno trovato uno in Sudafrica. Non sanno come sia riuscito ad arrivare laggiù dal Madagascar… probabilmente sulla barca di qualche bracconiere. Così l’ho salvato. È l’ultimo, Arty.

– Morirà comunque fra un paio d’anni – replicò gelido il bambino. – E i nostri soldi saranno stati sprecati.

Angeline lo fissò inorridita. – Parli come…

– Come mio padre? Bene. Qualcuno in famiglia deve pur mantenere la testa a posto.

L’espressione di Artemis era severa, ma in realtà gli tremava il cuore. Come poteva trattare così la madre, già pazza di dolore?

Perché non sono crollato?, si chiese, e la risposta arrivò istantanea: Sono un Fowl, e i Fowl hanno sempre trionfato a dispetto delle avversità.

– Ma… cinquantamila, madre? Per un lemure?

– Se un giorno trovassero una femmina, avremmo salvato una specie – obiettò Angeline.

Inutile discutere con lei, pensò Artemis. La logica non serve.

– E dov’è ora, la fortunata creatura? – chiese in tono innocente, sorridendo come farebbe un qualsiasi bambino di dieci anni parlando di un grazioso animaletto peloso.

– Sano e salvo a Rathdown Park. Coccolato come un re. E domani sarà trasferito in uno speciale habitat artificiale in Florida.

Artemis annuì. Rathdown Park era una riserva naturale a Wicklow, in Irlanda, finanziata da fondi privati, che si poneva lo scopo di proteggere le specie in pericolo e aveva sistemi di sicurezza più avanzati di una banca svizzera.

– Splendido. Forse andrò a fare una visita a quella scimmietta da cinquantamila euro.

– Ma, Artemis! – protestò Angeline. – Il setoso è un lemure, e sai benissimo che i lemuri sono più antichi delle scimmie.

«Lo so ma non m’importa!» avrebbe voluto urlare Artemis. «Mio padre è scomparso, e tu hai sperperato i fondi della spedizione per un lemure!»

Però tenne la lingua a freno. Non voleva contribuire a rendere ancora più instabile la salute mentale della madre.

– Di solito a Rathdown non sono ammessi visitatori – proseguì Angeline. – Però sono sicura che, se parlassi con loro, farebbero un’eccezione per te. In fin dei conti, i Fowl hanno finanziato il villaggio dei primati.

Artemis reagì con ben simulato entusiasmo. – Grazie, mamma. Ne sarei felice, e sono sicuro che farebbe piacere anche a Leale. Adora gli animaletti pelosi. Mi piacerebbe davvero vedere la specie che abbiamo salvato.

Nel sorriso di Angeline affiorò una sfumatura di follia che spaventò il figlio. – Bravo, Artemis. Gliela faremo vedere, ai grandi uomini d’affari. Madre e figlio, uniti, salveremo il mondo. Vedrai come prenderò in giro tuo padre appena torna a casa.

Sentendosi mancare il cuore, Artemis indietreggiò lentamente verso la porta. – Sì, madre. Uniti, salveremo il mondo.

Dopo essersi chiuso la porta alle spalle, il bambino scese rapido le scale, le dita che dirigevano una sinfonia immaginaria mentre elaborava rapidamente un piano. Passò dalla sua stanza e si cambiò in fretta per affrontare il viaggio, poi andò in cucina dove Leale stava affettando le verdure con una corta spada kodachi giapponese. Adesso Leale era anche cuoco e giardiniere, oltre che guardia del corpo, e al momento stava sopprimendo con efficienza un cetriolo.

– Un’insalata estiva – spiegò. – Verdure, uova sode e un po’ di pollo. E pensavo a una crème brulée per dolce. Tanto per provare il lanciafiamme. – Scoccò un’occhiata ad Artemis e si stupì al vedere che indossava lo stesso completo azzurro portato di recente per andare all’opera al Covent Garden.

Artemis era sempre stato un fanatico dell’eleganza, ma perfino per lui era insolito girare in giacca e cravatta, così agghindato.

– Dobbiamo partecipare a qualche occasione formale, Artemis?

– No – rispose il bambino con un tono gelido che la guardia del corpo non aveva mai sentito, ma che avrebbe finito per conoscere bene. – Si tratta di affari. Ora sono io a occuparmi degli affari di famiglia, perciò devo vestirmi in modo adeguato.

– Ah… avverto una chiara eco paterna. – Leale asciugò con cura la spada e si tolse il grembiule. – Dobbiamo sbrigare qualche tipico affare Fowl, giusto?

– Sì – rispose Artemis. – Con uno zio delle scimmie.

 

Casa Fowl, adesso

Spinella era scioccata.

– Insomma stai dicendo che, in un attacco di ripicca infantile, hai assassinato il lemure.

Artemis aveva ripreso il controllo e si era seduto accanto al letto. Stringeva con delicatezza la mano della madre, come se fosse un uccellino.

– No. Come ben sai, ero soggetto a occasionali attacchi di ripicca, però di solito non duravano. Una mente come la mia non può essere sopraffatta a lungo dalle emozioni.

– Però hai detto di avere ucciso l’animale.

Artemis si massaggiò le tempie. – Esatto. Non ho impugnato l’arma, ma l’ho ucciso, senza ombra di dubbio.

– E come, esattamente?

– Ero giovane… più di ora – borbottò Artemis, chiaramente a disagio. – Ero una persona diversa, sotto molti punti di vista.

– Sappiamo che tipo eri, Artemis – disse Polledro in tono dolente. – Non hai idea di quanto mi sia costato l’assedio a Casa Fowl.

– Come hai ucciso il lemure? – incalzò Spinella. – Come sei riuscito a impossessartene?

– È stato ridicolmente facile – ammise Artemis. – Leale e io siamo semplicemente andati a Rathdown Park e durante la nostra visita abbiamo messo fuori uso il sistema di sicurezza. E più tardi, quella notte stessa, siamo tornati a prendere il lemure.

– Dunque è stato Leale a ucciderlo. Mi stupisce; non è nel suo stile.

Artemis abbassò lo sguardo. – No. Non l’ha ucciso Leale. Ho venduto il lemure a un gruppo di Estinzionisti.

– Estinzionisti! – inorridì Spinella. – Come puoi avere fatto una cosa simile, Artemis? È orribile.

– Fu il mio primo grosso affare. Glielo consegnai in Marocco, e loro mi pagarono centomila euro. Quanto bastava per finanziare la spedizione artica.

Spinella e Polledro erano senza parole. Artemis aveva in effetti messo un prezzo alla vita. D’istinto Spinella si scostò dall’umano che fino a pochi istanti prima aveva considerato un amico.

– Ho razionalizzato l’intera faccenda. Mio padre per un lemure. Come potevo non farlo? – L’espressione di Artemis era di sincero rimorso. – Lo so che è stata una cosa terribile, e se potessi tornare indietro…

Si interruppe bruscamente. Lui non poteva tornare indietro, però conosceva un demone-stregone in grado di farlo. Era una possibilità.

Posò delicatamente sul letto la mano della madre, si alzò e cominciò a camminare avanti e indietro.

Musica per pensare, considerò. Mi serve una musica che mi aiuti a pensare.

Dalla sua vasta collezione mentale di musica scelse la Sinfonia N° 7 di Beethoven e la ascoltò mentre rifletteva.

Una buona scelta. Cupa, ma al tempo stesso travolgente. Roba che ispira.

Dimentico di quello che aveva attorno, Artemis continuò a misurare la moquette a lunghi passi, soppesando idee e possibilità.

Spinella riconobbe al volo i sintomi. – Ha un piano – disse a Polledro.

Il centauro fece il muso lungo, il che non gli riuscì troppo difficile. – Perché la cosa non mi stupisce?

Spinella approfittò della distrazione di Artemis per sigillare l’elmetto e fare quattro chiacchiere in privato con il centauro. Si spostò vicino alla finestra e guardò fuori attraverso uno spiraglio fra le tende. Il sole al tramonto guizzava dietro i rami, accendendo macchie di dalie rosse e bianche come fuochi di artificio.

Spinella si concesse un sospiro nostalgico e tornò a concentrarsi sulla situazione attuale. – Qui c’è in gioco più della madre di Artemis – disse.

Polledro spense lo schermo a parete per evitare che Artemis potesse ascoltare.

– Lo so. Se ci fosse una nuova epidemia, per noi sarebbe un disastro. Non ci resta più una goccia di antidoto.

– Dobbiamo interrogare Opal Koboi. Potrebbe avere degli appunti, da qualche parte.

– Opal ha sempre tenuto dentro la testa le sue formule più preziose. Per giunta, penso che l’incendio nella giungla l’abbia colta alla sprovvista: ha perso tutti i donatori in un colpo solo.

Le Industrie Koboi avevano attratto i lemuri del Madagascar nel Tsingy de Bemaraha grazie a una scatola sonica. Tutti i lemuri dell’isola avevano risposto al suo richiamo… e tutti erano rimasti uccisi da uno sfortunato incendio pròvocato da un fulmine. Per fortuna a quel punto la maggior parte degli infetti era già stata curata, ma ugualmente quindici malati erano morti nel reparto quarantena.

Artemis si fermò e si schiarì rumorosamente la voce. Era pronto a esporre il suo piano e voleva la loro completa attenzione. – Esiste una soluzione relativamente semplice al nostro problema – annunciò.

Polledro riattivò il televisore e la sua faccia riempì lo schermo piatto. – Il nostro problema?

– Su, su, Polledro, non far finta di non capire. Questa è un’epidemia magica, che ha subito una mutazione per diffondersi fra gli umani. Non esiste antidoto, e nemmeno il tempo di sintetizzarlo. Chissà quanti altri casi sono in incubazione in questo stesso momento.

Me incluso, aggiunse mentalmente. Ho usato la magia su mia madre, perciò probabilmente sono contagiato anch’io.

– Metteremo la casa in quarantena – replicò Polledro. – Se nessuno usa la magia su tua madre potremo contenere il contagio.

– Dubito molto che mia madre sia il paziente zero. Sarebbe una coincidenza eccessiva. Di sicuro ci sono altri casi chissà dove.

Polledro sbuffò… Era il suo modo di ammettere che Artemis non aveva tutti i torti. – Allora, dimmi: quale sarebbe questa soluzione relativamente semplice?

– Tornare indietro nel tempo e salvare il lemure – rispose Artemis, sorridendo tranquillo come se avesse suggerito una vacanza al mare.

Silenzio. Silenzio completo per parecchi secondi, interrotto infine da un nitrito strozzato di Polledro. – Tornare indietro…

– … nel tempo… – completò incredula Spinella.

Artemis si sedette comodamente in poltrona, congiunse la punta delle dita e annuì.

– Le vostre obiezioni, prego. Sono pronto.

– Come puoi essere così compiaciuto di te stesso? – chiese Spinella. – Dopo tutte le tragedie cui abbiamo assistito e tutti i disastri provocati dai tuoi piani.

– Sono risoluto, non compiaciuto – la corresse Artemis. – Non è questo il momento di essere prudenti. A mia madre restano solo poche ore, e dubito che al Popolo ne restino molte di più.

Polledro stava ancora boccheggiando. – Hai idea di quante riunioni del Comitato Costituzionale ci vorrebbero anche solo per permetterci di presentare questa proposta al Consiglio?

Artemis agitò un dito, per porre fine alla questione. – Irrilevante. Ho letto la Costituzione del Popolo. Non si applica né agli umani né ai demoni. Se Numero Uno decide di aiutarmi, non avete il potere legale di fermarlo.

Spinella si unì alla discussione. – È una follia, Artemis. Il viaggio nel tempo è stato vietato per un buon motivo. Le ripercussioni potenziali di ogni minima interferenza potrebbero essere catastrofiche.

Artemis le rivolse un sorriso acido. – Ah, sì, il caro vecchio paradosso temporale. Se torno indietro nel tempo e uccido mio nonno, allora cesserò di esistere? Per quanto mi riguarda, sono d’accordo con Gorben e Berndt: ogni possibile ripercussione è già avvenuta. È possibile modificare soltanto il futuro, non il passato e nemmeno il presente. Se torno indietro nel tempo, significa che l’ho già fatto.

Spinella si sforzò di parlare in tono gentile. Era dispiaciuta per lui, e la malattia di Angeline le ricordava penosamente gli ultimi giorni della madre. – Non possiamo interferire, Artemis. Gli umani devono poter vivere la loro vita.

Il ragazzo sapeva che, per enfatizzare la frase successiva, avrebbe dovuto alzarsi in piedi e lanciare l’accusa con fare teatrale, ma non ne fu capace. Stava per giocare un tiro crudele a uno dei suoi più cari amici, e il senso di colpa era quasi intollerabile. – Hai già interferito, Spinella – disse, costringendosi a sostenere il suo sguardo.

Trasalendo, Spinella sollevò di scatto la visiera. – Che vuoi dire?

– Hai guarito mia madre. L’hai guarita, e l’hai condannata.

Spinella fece un passo indietro e sollevò le mani come per parare il colpo. – Io? Ma che dici?

Essendosi impegnato a mentire, Artemis nascose il senso di colpa con uno scatto d’ira. – Sei stata tu a guarire mia madre dopo l’assedio. Perciò devi essere stata tu a trasmetterle l’Incantropia.

Polledro accorse in difesa dell’amica. – Impossibile! Quella guarigione è avvenuta anni fa. L’Incantropia ha un periodo di incubazione di tre mesi che non varia mai più di pochi giorni.

– E non infetta mai gli umani – lo rimbeccò Artemis. – Questa è di un nuovo ceppo. Non hai idea di come si comporti.

L’espressione di Spinella era un misto di sbigottimento e senso di colpa. Aveva creduto all’accusa di Artemis, anche se il ragazzo sospettava di essere stato lui a infettare la madre intervenendo sulla sua memoria.

Anche mio padre dev’essere contagiato. Ma chi l’ha trasmessa a me? E perché io non sono malato?

Le domande erano molte, però non era quello il momento di cercare le risposte. Ora doveva trovare la cura e, per assicurarsi l’aiuto del Popolo, doveva fare leva sulla loro presunta responsabilità.

– Ma io sono sana – protestò Spinella. – Sono stata sottoposta a tutti gli esami del caso.

– Però potresti essere un portatore sano – replicò Artemis. Riportò lo sguardo sull’immagine del centauro. – È possibile, vero?

– Se veramente abbiamo di fronte un nuovo ceppo, allora sì, è possibile – ammise Polledro. – Però non posso trarre conclusioni sulla base di semplici ipotesi…

– In condizioni normali sarei d’accordo con te. In condizioni normali potrei concedermi il lusso di tempo e oggettività. Però mia madre sta morendo, e perciò questo non mi è possibile. Devo tornare nel passato per salvare il lemure, e voi dovete aiutarmi… o almeno, se non aiutarmi, non ostacolare i miei sforzi.

Elfa e centauro rimasero in silenzio. Spinella pensava angosciata a quello che poteva aver fatto; Polledro si lambiccava il poderoso cervello alla ricerca di obiezioni. Non ne trovò neanche mezza.

Spinella si sfilò l’elmetto e raggiunse a passi incerti il capezzale di Angeline Fowl. Si sentiva le gambe intorpidite e aveva l’impressione che il torpore le si stesse diffondendo in tutto il corpo.

– Mia madre è morta, avvelenata dagli umani. Fu un incidente, però questo non è servito a salvarla. – Le lacrime traboccarono dagli occhi. – Avrei voluto uccidere quegli umani. Li odiavo. – Si torse le mani. – Mi dispiace, Artemis. Non lo sapevo. Quanti altri posso avere contagiato? Devi odiarmi.

Rimangiati quello che hai detto, pensò Artemis. Dille la verità, o la vostra amicizia non potrà più essere la stessa. E poi: No. Devo essere forte. Mia madre deve vivere.

– Non ti odio, Spinella – disse a voce bassa. Odio me stesso, ma l’inganno deve continuare, pensò. – Naturalmente non è stata colpa tua, però devi permettermi di tornare indietro nel tempo.

Spinella annuì e si asciugò le ciglia umide. – Farò di più. Verrò con te. Un paio di occhi acuti e una pistola rapida saranno utili.

– No, no, no – sbraitò Polledro, alzando il volume a ogni no. – Non possiamo alterare il passato ogni volta che ci torna comodo. Magari Spinella dovrebbe salvare la propria madre o riportare in vita il comandante Tubero! Una cosa del genere è inaccettabile.

Artemis gli puntò contro un dito. – Questa è una situazione unica. C’è un’epidemia pronta a diffondersi, e noi possiamo bloccarla. Non solo: potrete riportare in vita una specie che si riteneva estinta. Io posso avere provocato la morte di un lemure, però gli altri sono morti nell’incendio per colpa di Opal Koboi. Il Popolo è responsabile quanto me. Per salvarvi avete estratto il fluido cerebrale da una creatura vivente.

– E… eravamo disperati – replicò Polledro, accorgendosi inorridito di balbettare.

– Esatto – ribatté trionfante Artemis. – Eravate pronti a fare qualunque cosa. Ricorda che effetto fa e chiediti se vuoi affrontare di nuovo una situazione del genere.

Polledro abbassò lo sguardo, la fronte aggrottata. Quel periodo era stato un incubo, per il Popolo. L’uso della magia era stato vietato, e i lemuri erano già estinti quando un ordine del tribunale aveva costretto Opal a rivelare la fonte della cura. Lui stesso aveva lavorato notte e giorno per svilupparne una alternativa, ma senza successo.

– Ci credevamo invincibili. Punica peste rimasta era l’uomo. – Il centauro annuì: aveva preso una decisione. – Il lemure dev’essere salvato. Il fluido cerebrale può essere conservato per brevi periodi, ma una volta diventato inerte, è inutile. All’epoca stavo lavorando a un contenitore saturo, ma…

– Stavolta ci riuscirai – gli assicurò Artemis. – Avrai un soggetto vivo e tutte le risorse del tuo laboratorio a disposizione. Potrai clonare una femmina.

– In genere la clonazione è illegale – rifletté Polledro a voce alta – ma in caso di animali estinti qualche eccezione è stata fatta…

L’elmetto di Spinella squillò, richiamando la sua attenzione sul velivolo che stava per atterrare sul viale. Si affrettò a raggiungere la finestra in tempo per vedere una sfocata sagoma luccicante proiettare un’ombra sul viale illuminato dalla luna.

Dev’essere un pilota novellino, pensò irritata. Non ha attivato l’offusca-luci.

Si voltò a guardare Artemis. – È arrivata la navetta – annunciò.

– Di’ al pilota di parcheggiare sul retro, in una delle stalle, l’assistente del dottore è al telefono, nello studio di mio padre. Non vorrei che decidesse di farsi una passeggiata e andasse a sbatterci contro.

Spinella trasmise le istruzioni e aspettò con i nervi a fior di pelle che la navetta si portasse sul retro della casa. L’attesa sembrò particolarmente lunga e silenziosa, a parte il respiro raspante di Angeline.

– Numero Uno potrebbe non riuscirci – mormorò Polledro. – È uno stregone giovane, quasi privo di addestramento. Il viaggio nel tempo è uno degli incantesimi più difficili.

Artemis non fece commenti. Era inutile. Tutte le sue speranze erano riposte in N° 1.

Di nuovo strinse la mano della madre, accarezzandone col pollice la pelle secca, screpolata.

– Resisti, mamma – sussurrò. – Non ci vorranno che pochi secondi.