CAPITOLO 12
ANDATO PER SEMPRE
Il Domaine des Hommes, sede degli Estinzionisti, Fez
L’Artemis bambino acconsentì ad accompagnare Kronski nella sua tenuta a poca distanza dalla medina. La Land Rover del dottore era molto più lussuosa di quella noleggiata da Artemis, completa di aria condizionata, refrigeratore, e tappezzeria di pelle di tigre bianca.
Artemis vi passò sopra un dito e non si stupì quando scoprì che era vera. – Bei sedili – commentò secco.
Kronski non rispose. Non aveva detto granché, da quando gli era stato sottratto il lemure, a parte borbottare fra sé maledicendo la propria sfortuna. Non sembrava infastidito dal fatto che la sua tuta mimetica fosse ricoperta di tintura, che ora stava macchiando la tappezzeria costosa.
Anche se per raggiungere la loro meta ci misero sì e no cinque minuti, Artemis fu lieto di avere un po’ di tempo per riflettere. Quando la Land Rover varcò il cancello blindato aveva calcolato ogni possibile intoppo in grado di interferire con la sua strategia, e usato i due minuti restanti per mettere insieme la trama di uno dei romanzetti rosa che ogni tanto pubblicava sotto lo pseudonimo di Violet Sirblù.
Una guardia robusta quanto Leale li fece passare sotto un’arcata in un muro alto quattro metri. Artemis tenne gli occhi bene aperti, prendendo mentalmente nota delle guardie armate che sorvegliavano i quattro ettari della tenuta, della posizione della rimessa del generatore e degli alloggi del personale di servizio.
Linformazione è potere.
Gli alloggi del personale, con i tetti piatti e tante vetrate, ricordavano le ville sulle spiagge californiane ed erano raggruppati attorno a una spiaggia artificiale completa di bagnino e macchinario per creare onde. Nel mezzo della tenuta sorgeva un grande centro congressi, sul cui tetto svettava una guglia circondata da un’impalcatura. Sul quest’ultima erano appollaiati due uomini impegnati a dare gli ultimi tocchi a un’icona di ottone posta sulla punta della guglia. L’icona era ancora in parte coperta da un telo, ma Artemis la riconobbe ugualmente: era un braccio umano col mondo stretto nel pugno. Il simbolo degli Estinzionisti.
Lautista parcheggiò davanti alla costruzione più grande, e Kronski vi entrò senza pronunciare una parola. Una volta dentro, agitò una mano in direzione di un divano di pelle e sparì in camera da letto.
Artemis aveva sperato in una doccia e un cambio di vestiti, ma Kronski era troppo sottosopra per ricordare i doveri dell’ospitalità. Al ragazzo non restò che far scorrere un dito dentro il colletto della camicia e attendere il suo ritorno.
La stanza in cui si trovava era un luogo a dir poco macabro. Una parete era tappezzata da certificati di estinzione di varie specie, con tanto di data e foto degli sfortunati esemplari uccisi dagli Estinzionisti.
Lo sguardo di Artemis passò in rassegna le foto. C’erano un leone marino del Giappone e un delfino del fiume Yangtze; una volpe volante di Guam e una tigre di Bali.
Tutti scomparsi per sempre.
Ormai, per vedere queste creature bisognerebbe essere in grado di viaggiare più veloci della luce e tornare indietro nel tempo, rifletté.
Nella stanza c’erano altri orrori, tutti etichettati a scopi didattici. Il divano era ricoperto da pelli di lupo delle Falkland, e la base di una lampada era fatta con il cranio di un rinoceronte nero occidentale.
Artemis si sforzò di restare impassibile.
Devo andarmene da qui al più presto, si disse.
Tuttavia, gli ricordò la voce della sua coscienza, andarsene da lì non significava che quel posto non esistesse più, e vendere a Kronski la misteriosa creatura avrebbe contribuito ad attirare nuovi adepti.
Evocò nella mente l’immagine del padre.
A qualunque costo. A qualunque costo.
Kronski rientrò nella stanza ripulito e con indosso un caftano svolazzante. Aveva gli occhi arrossati come se avesse pianto.
– Accomodati, Av-temis – disse, indicando il divano con uno scacciamosche rivestito di pelle.
– No, grazie. Preferisco restare in piedi.
Kronski si lasciò cadere su una poltrona. – Capisco. Il divano è per le persone grandi. È difficile che ti prendano sul serio quando dondoli i piedi a dieci centimetri dal pavimento.
Il dottore si strofinò gli occhi con i pollici tozzi e tornò a inforcare i soliti occhiali. – Non hai idea di come sia stata dura la mia vita, Av-temis. Braccato dappertutto come un delinquente comune per colpa delle mie idee. E ora, quando ho finalmente trovato un posto che posso chiamare casa, ora che ho persuaso il comitato a riunirsi qui, perdo l’animale da processare. Quel lemure era il piatto forte del raduno.
A giudicare dalla fermezza del suo tono, sembrava che Kronski si fosse ripreso dal crollo isterico nel suq dei conciatori. – Degli Estinzionisti fanno parte persone molto potenti, Av-temis. Gente abituata a ogni lusso e comodità. Il Marocco non si può definire un posto comodo. Per convincerli a venire ho dovuto far costruire questa tenuta e promettere una vittima eccezionale. E ora non ho da mostrare che una mano coperta di roba luccicante.
Sollevò la mano, ormai quasi libera dal viscidume, ma che ancora sembrava brillare debolmente.
– Non tutto è perduto, dottore – disse Artemis. – Posso fornirle qualcosa che farà rinverdire la sua associazione e la renderà famosa a livello mondiale.
Kronski aggrottò la fronte con aria scettica ma si protese in avanti, le braccia leggermente tese.
La sua espressione dice no, pensò Artemis, ma il linguaggio del corpo dice sì.
– Cos’è che cerchi di vendermi, Av-temis?
Il ragazzo aprì la galleria fotografica del suo cellulare e scelse una foto. – Questo – disse, passando il telefono a Kronski.
Il dottore guardò la foto e lo scetticismo nei suoi occhi aumentò. – Che sarebbe? Una manipolazione fotografica?
– No. È genuina. Questa creatura è reale.
– Insomma, Av-temis! Qui non c’è altro che un impianto di latex e osso. Niente di più.
Artemis annuì. – Una reazione logica. Perciò non pagherà finché non si riterrà soddisfatto.
– Ho già pagato.
– Ha pagato per un lemure. Questa è una specie sconosciuta, forse addirittura una minaccia per l’intera umanità. È per questo che ci sono gli Estinzionisti. Pensi a quanti nuovi adepti si affanneranno a fare donazioni alla sua associazione appena rivelerà al mondo l’esistenza di queste creature.
Kronski annuì. – Un discorsetto niente male, per un moccioso di dieci anni. Quanto vuoi?
– Cinque milioni di euro. Non negoziabili.
– Contanti?
– Diamanti.
Kronski sporse pensoso le labbra. – Non tirerò fuori una sola pietruzza finché non avrò controllato l’autenticità del prodotto.
– Mi sembra giusto.
– Sei davvero accomodante, Fowl. Come fai a sapere che non ti imbroglierò? In fin dei conti sono quasi sicuro che ci sia stato il tuo zampino dietro quello che è successo nel suq. E dalle mie parti è considerato legittimo farla pagare ai truffatori.
– Può anche provare a ingannare me, Damon. Però, fossi in lei, non proverei a ingannare Leale.
Kronski scrollò la testa. – Lo ammetto, ragazzino: hai calcolato tutto. E sai anche esprimerti bene. – Fissò con aria assente la mano luccicante. – Non ti sei mai chiesto, Av-temis, com’è possibile che un giovincello come te si trovi faccia a faccia con un vecchio farabutto come me?
– Non capisco la domanda – replicò Artemis in tutta sincerità.
Kronski batté le mani ridendo. – È una delizia, Av-temis, scoprire che esiste un ragazzino come te. È una vera gioia. – La risata si spense di colpo, come se fosse stata tagliata da una ghigliottina. – Ma ora passiamo agli affari. Quando potrò esaminare la creatura?
– Immediatamente.
– Bene. Avverti il tuo uomo di venire qui. Gli ci vorranno almeno trenta minuti per arrivare e altri dieci per superare la sicurezza. Possiamo incontrarci nel centro conferenze fra un’ora.
– Ho detto immediatamente – replicò Artemis, e schioccò le dita.
Leale sbucò da dietro una tenda con una sacca sotto il braccio.
A Kronski sfuggì uno squittio. Poi strabuzzò gli occhi esasperato. – Non riesco a controllarmi… Da quella volta del koala a Cleveland. È così imbarazzante…
Registrato e salvato, pensò Artemis. Koala a Cleveland.
– Ma come ha fatto a entrare? – proseguì Kronski.
Leale scrollò le spalle. – Come lei, dottore.
– Eri sulla Land Rover – sussurrò Kronski. – In gamba, davvero in gamba.
– Non poi tanto. È stato grazie alla sua negligenza più che alla nostra abilità.
– Me ne ricorderò. Ha la merce?
Vedendo Leale stringere le labbra, Artemis capì che la transazione in corso aveva portato al limite la sua fedeltà. Già vendere il lemure era stato abbastanza sgradevole, ma la creatura nella sacca era una specie di persona.
Senza una parola, la guardia del corpo posò la sacca sulla scrivania. Artemis fece per aprire la lampo, ma Leale lo fermò. – Ha la capacità di ipnotizzare. Una volta a Laos ho incontrato un tizio che poteva farti il malocchio, ma questa è molto peggio. Ci ha già provato fuori dal suq, e ho rischiato di sbattere contro un cammello, così le ho tappato la bocca col nastro adesivo. Inoltre, come già sappiamo, può rendersi invisibile. Prima, quando ho aperto la sacca, era sparita. Credo che la sua energia si stia esaurendo, però potrebbe provare altri trucchi… va’ a sapere che cosa nasconde dietro quelle orecchie a punta. Siete preparati a correre il rischio?
– Sì – disse Kronski, quasi con la bava alla bocca. – Assolutamente sì. Apri la sacca.
Leale sollevò la mano e Artemis aprì la sacca, mostrando la creatura al suo interno.
Kronski la guardò negli occhi spaiati, le tastò la fronte innaturalmente ampia e le tirò un orecchio. Poi si diresse barcollando verso il mobile bar e si versò un bicchiere d’acqua con mani tremanti.
– Cinque milioni – disse. – Hai detto cinque, e su cinque ci siamo accordati. Non provare ad alzare il prezzo.
Artemis sorrise. Il dottore aveva abboccato. – Cinque milioni – disse. – Più le spese.
L’Artemis di quattordici anni tornò al sito di atterraggio su uno scooter pieghevole della LEP che assomigliava a una Lambretta degli anni Cinquanta. La somiglianza si fermava alla carrozzeria, dato che non circolavano molte Lambrette con batterie a energia nucleare pulita, complete di navigazione satellitare gnomica e pulsanti di autodistruzione.
La strada che usciva dalla città imperiale e portava a Ifrane attraversava il fertile bacino del fiume Fez ed era costeggiata da uliveti e campi da golf.
Antico e moderno. Uno accanto all’altro, pensò Artemis.
Le stelle sembravano più vicine e più luminose che in Irlanda, abbaglianti come riflettori, come se l’Africa fosse stranamente più vicina al resto dell’universo.
L’ho perduta. Ho perduto Spinella.
Però aveva un piano. Un piano quasi passabile. Gli serviva solo un pizzico di tecnologia del Popolo per aprire qualche porta, e avrebbe avuto una possibilità. Perché, senza Spinella, tutto era perduto. Nessuno di loro avrebbe avuto un futuro.
Ci mise quasi un’ora per ritrovare il campo da golf dove avevano parcheggiato il grattatunnel. L’unico segno che ne tradisse la presenza era un affossamento della sabbia. Prima di allontanarsi, Spinella aveva infilato il muso della navetta nella sabbia asciutta e aveva lasciato attivata la schermatura. Artemis riuscì a individuarla solo grazie al sistema di navigazione della motoretta.
Ripiegò lo scooter in un disco grande quanto un frisbee ed entrò nella navetta dal portello sul tettuccio.
Bombarda Sterro si era seduto al posto del pilota e faceva piroettare oziosamente il sedile.
– Quella è mia, Fangosetto – gli disse. – È uscita dal magazzino della LEP sul carrello, perciò è di mia proprietà.
Artemis si chiuse il portello alle spalle. – Dov’è il lemure? Dov’è Geigei?
Bombarda rispose con altre domande. – Dov’è Spinella? Te la sei persa?
– Sì – ammise avvilito Artemis. – Il bambino mi ha battuto. Sapeva che avremmo cercato di prendere il lemure, e l’ha sacrificato per catturare Spinella.
– Furbo – commentò Bombarda. – Come che sia, io ne sono fuori. Ci vediamo…
– Ci vediamo? Ci vediamo!? Uno dei tuoi compagni del Popolo è in pericolo, e tu lo abbandoni?
Bombarda sollevò le mani. – Ehi, Fangosetto, datti una calmata. Gli agenti della LEP non sono amici miei. Avevamo un patto: io vi procuro il piccolino peloso, e voi mi consegnate un carrello carico di tecnologia della LEP. Il lavoro è stato portato a termine con soddisfazione reciproca.
In quel momento Geigei fece capolino dalla porta del bagno.
– Che ci fa là?
Bombarda sogghignò. – Prova a indovinare.
– I lemuri non usano il gabinetto.
– Va’ a controllare. Qualunque cosa sia successa là dentro, è colpa di Geigei.
Schioccò le dita pelose, e il lemure si arrampicò svelto sul suo braccio e gli si appollaiò sulla testa.
– Visto? Accetta le sue responsabilità. – Bombarda aggrottò la fronte. – Non vorrai scambiarlo con il capitano Tappo, vero?
– Sarebbe inutile – rispose Artemis, inserendosi nell’archivio centrale della LEP. – Come tentare di scambiare una forcina con Excalibur.
Bombarda si morse le labbra. – So tutto di Excalibur, perciò capisco cosa vuoi dire. Una forcina non serve a niente, Excalibur è una meraviglia e via dicendo. Però, in certe circostanze, una forcina può essere estremamente utile. Capisci che voglio dire?
Ignorandolo, Artemis digitò freneticamente sulla tastiera virtuale che gli era comparsa davanti. Aveva bisogno di scoprire tutto il possibile sugli Estinzionisti, e Polledro aveva su di loro un fascicolo di notevoli dimensioni.
Bombarda diede a Geigei una grattatina sotto il mento. – Contro ogni buon senso, cominciavo ad affezionarmi al capitano Tappo. Magari potrei scavare un tunnel e andarla a salvare.
Era un’offerta sincera e seria, perciò stavolta Artemis dedicò un momento a rispondere. – Non è possibile. Kronski ha già assistito a un salvataggio via tunnel e non ci cascherà di nuovo. Senza contare che non sopravviveresti alla temperatura del deserto durante il giorno, neanche sottoterra. Il terreno è così secco che le crepe possono arrivare a una profondità di oltre quindici metri. Basterebbe un minimo raggio di sole per carbonizzarti come un libro in una fornace.
Bombarda fece una smorfia. – Questa sì che è una bella immagine. Allora come pensi di procedere?
Artemis usò la tecnologia del Popolo per stampare su carta a macchie di leopardo un biglietto al cui centro spiccava l’ologramma argento-purpureo degli Estinzionisti.
– Stasera parteciperò al banchetto degli Estinzionisti – annunciò, sventolando il cartoncino. – Sono appena stato invitato. Mi serve solo un travestimento e qualche fornitura di tipo medico.
Bombarda era ammirato. – Niente male. Hai una mente contorta quasi quanto la mia.
Artemis tornò a voltarsi verso la tastiera virtuale. Costruirsi una copertura adeguata avrebbe richiesto tempo.
– Neanche t’immagini quanto – disse.
La sera del banchetto Kronski aveva i nervi a fior di pelle. Saltellava qua e là nella sua villa avvolto da un telo da bagno, canticchiando le arie di Joseph and theAmazing Technicolor Dreamcoat, Joseph e la strabiliante tunica dei sogni in technicolor. Spesso sognava di essere lui a indossare quella tunica in technicolor, però fatta con le pelli di tutti gli animali alla cui estinzione aveva contribuito. Si svegliava sempre sorridendo.
Dev’essere tutto perfetto. Sarà la sera più importante della mia vita. Grazie, piccolo Av-temis.
In quel raduno erano in gioco parecchie cose, e il banchetto d’apertura avrebbe segnato lo stile dell’intero fine settimana. Se si metteva sotto processo l’animale giusto, se ne sarebbe parlato per giorni interi. Internet sarebbe stata un brulichio di chiacchiere.
E qui si tratta di una specie senziente nuova di zecca. Gli Estinzionisti diventeranno famosi.
E appena in tempo. La verità era che ormai gli Estinzionisti erano roba vecchia. Le donazioni erano sempre più scarse, e per la prima volta il raduno non aveva fatto il tutto esaurito. All’inizio era stato meraviglioso: c’erano tante specie eccitanti cui dare la caccia e da attaccare al muro. Ma ora le bestie rare, specialmente quelle grosse, erano protette quasi dappertutto. Non si poteva più andare in India per sparare alle tigri. E le nazioni subsahariane se la prendevano a male se un gruppo di Estinzionisti armati fino ai denti s’infilava in una delle loro riserve per dare la caccia agli elefanti. Si era arrivati al punto che i rappresentanti del governo rifiutavano le bustarelle. Rifiutavano le bustarelle!
C’era un altro problema con gli Estinzionisti, anche se Kronski non lo avrebbe mai ammesso a voce alta. Il gruppo era diventato una calamita per gli svitati. L’odio profondo per il regno animale aveva finito per attirare pazzoidi assetati di sangue, ansiosi soltanto di infilare una pallottola in una bestia stupida. Incapaci di comprendere la filosofia dell’associazione. L’uomo è il re, e gli animali sopravvivono solo finché contribuiscono al benessere dei loro padroni. Una bestia inutile spreca aria preziosa, e perciò va eliminata.
L’apparizione della nuova creatura cambiava tutto. Tutti avrebbero voluto vederla. Avrebbero filmato e trasmesso processo ed esecuzione, e a quel punto il mondo intero sarebbe venuto da Damon Kronski.
Un anno di donazioni, pensò Kronski. Dopodiché, potrò ritirarmi e godermi le mie ricchezze. Cinque milioni. Questa fata, o quello che è, vale dieci volte tanto. Cento volte.
Si dimenò per un minuto buono davanti alla bocchetta dell’aria condizionata, poi andò al guardaroba per scegliere il completo da indossare.
Color porpora, pensò. Stasera diventerò imperatore.
Una volta pronto, tolse dallo scaffale in alto un berretto in tinta con nappine di pelle di tigre del Caspio.
Quando sei a Fez…, pensò allegro.
Il LearJet Fowl, 10.000 metri sopra Gibilterra
Il decenne Artemis Fowl fece del suo meglio per rilassarsi su uno dei costosi sedili di cuoio del Learjet, ma il nodo di tensione che aveva alla nuca rifiutava di sciogliersi.
Mi serve un massaggio, pensò. Oppure una tisana.
Però sapeva perfettamente perché era così teso.
Ho venduto una creatura - una persona - agli Estinzionisti.
Intelligente com’era, Artemis era perfettamente in grado di trovare una scusa per giustificare le proprie azioni.
I suoi amici la libereranno. Erano quasi riusciti a sconfiggere me; non avranno difficoltà a sconfiggere Kronski. Probabilmente la fatina, o quello che è, se ne sta già tornando a casa con il lemure sotto il braccio.
Per distrarsi da quel ragionamento zoppicante, si concentrò su Kronski.
Bisognerebbe fare qualcosa per fermarlo.
Un Powerbook al titanio ronzava sommesso sul tavolino pieghevole che aveva davanti. Risvegliò lo schermo e aprì il programma che aveva creato come progetto scolastico e usava per navigare in Internet. Grazie a una potente - e illegale - antenna nella stiva del jet, poteva captare segnali radiotelevisivi e connettersi a Internet praticamente in qualunque parte del mondo.
Organizzazioni simili a quella degli Estinzionisti vivono e muoiono per la loro reputazione, pensò. Sarebbe divertente distruggere la reputazione di Kronski grazie alla Rete.
Non serviva altro che una breve ricerca, e inserire un video riassuntivo su alcuni dei siti web più popolari.
Venti minuti più tardi l’Artemis di dieci anni stava completando il suo progetto quando Leale uscì dalla carlinga.
– Fame? – gli chiese la guardia del corpo. – In frigo c’è dell’hummus, e ho preparato un frullato allo yogurt e miele.
Artemis inserì il video nell’ultimo sito web. – No, grazie – mormorò. – Non ho fame.
– Dev’essere il senso di colpa che ti rode l’anima – commentò Leale, schietto come sempre, servendosi dal frigo. – Come un ratto che rosica un vecchio osso.
– Grazie per la similitudine, ma quel che è fatto è fatto.
– Dovevamo proprio lasciare l’arma di quella creatura a Kronski?
– Ti prego! Io stesso ho inserito cariche di distruzione a distanza in tutto il mio hardware! Pensi davvero che una specie così evoluta lascerebbe indifesa la propria tecnologia? Non sarei stupito se in questo stesso momento quella pistola gli si stesse squagliando fra le mani. Dovevamo pur lasciargli un contentino.
– Dubito che anche la creatura si stia squagliando.
– Smettila, Leale. Un affare è un affare. Non c’è altro da aggiungere.
L’eurasiatico si sedette di fronte a lui. – Mmm. Dunque ora segui una specie di codice d’onore. Onore fra ladri. Interessante. Allora… cosa traffichi sul computer?
Artemis si massaggiò la nuca. – Ti prego, Leale. Quello che ho fatto l’ho fatto per mio padre. Lo sai che non avevo scelta.
– Una domanda – disse la guardia del corpo, liberando le posate dall’involucro di plastica. – A tuo padre farebbe piacere sapere quello che hai fatto?
Il bambino non rispose, continuando a massaggiarsi la nuca.
Cinque minuti dopo, Leale ebbe pietà di lui. – Stavo pensando che potremmo fare marcia indietro e dare una mano a quelle strane creature. E dato che l’aeroporto di Fez ha riaperto i battenti, impiegheremmo solo un paio d’ore per tornare nella tenuta.
Artemis aggrottò la fronte. Era la cosa giusta da fare, però non rientrava nei piani. Tornare a Fez non sarebbe servito a ritrovare suo padre.
Leale piegò a metà il piatto di plastica, intrappolando all’interno i resti del pasto. –Artemis, mi farebbe piacere modificare la rotta e tornare indietro, e lo farò… a meno che tu non mi ordini di non farlo.
In silenzio, Artemis seguì con lo sguardo la sua guardia del corpo che rientrava nella carlinga.
Marocco
Il Domaine des Hommes brulicava di limousine cariche di Estinzionisti in arrivo dall’aeroporto. Tutti avevano addosso il proprio odio per gli animali: sulle spalle, sulla testa o ai piedi. Kronski scorse una signora con stivali di stambecco - dei Pirenei, se non andava errato - alti fino a metà gamba. E c’era il vecchio Jeffrey Coontz-Meyers in giacca di tweed con toppe di quagga. E la contessa Irina Kostovich, il collo pallido protetto dal fresco della sera da una stola di lupo di Honshu.
Kronski sorrise e li accolse cordialmente a uno a uno, salutandoli quasi tutti per nome. Ogni anno i nuovi accoliti erano sempre di meno, ma dopo quella sera tutto sarebbe cambiato. Quasi saltellando, guidò i suoi ospiti verso la sala dei banchetti.
La grande stanza, disegnata dallo studio Schiller-Haus di Monaco, era un enorme prefabbricato arrivato in Marocco dentro una serie di scatoloni e assemblato da specialisti tedeschi in meno di quattro settimane. Davvero incredibile. Si trattava di una struttura imponente, come del resto era giusto, dal momento che ci venivano gestiti affari seri. Processi equi, seguiti da esecuzioni.
Processi equi, pensò Kronski, e ridacchiò.
L’ingresso era sorvegliato da due robusti marocchini in abito da sera. Kronski aveva preso in considerazione l’idea di far indossare alle guardie tute con tanto di stemma estinzionista, ma poi l’aveva accantonata perché faceva troppo James Bond.
Non sono il Dottor No. Sono il Dottor No-Animali.
Superò le guardie ed entrò in un corridoio dal pavimento ricoperto di sontuosi tappeti indigeni, per passare infine in un salone dei banchetti dall’alto soffitto di vetro. Le stelle sembravano così vicine da poterle afferrare.
Le decorazioni erano un misto raffinato di classico e moderno. Raffinato, a parte i posacenere di zampe di gorilla su ogni tavolo e la fila di zampe di elefante trasformate in refrigeratori per champagne piazzate su treppiedi davanti alle porte della cucina. Kronski sgusciò dentro una cucina di acciaio lucido, quindi passò nell’enorme cella frigorifera in fondo alla stanza.
Là dentro, fiancheggiata da altre tre guardie, c’era la creatura, ammanettata a un seggiolino di plastica. Aveva un’espressione al tempo stesso vigile e cupa. La sua arma era a distanza di sicurezza, su un carrello di acciaio.
Se gli sguardi fossero pallottole, pensò Kronski soppesando sul palmo la piccola arma, sarei già un colabrodo.
Puntò l’arma contro un prosciutto congelato appeso a una catena e schiacciò il grilletto. Non ci fu rinculo e nemmeno un lampo di luce, ma adesso il prosciutto era fumante e pronto a essere servito in tavola.
Stupefatto, Kronski sollevò sulla fronte gli occhiali da sole che portava giorno e notte.
– Santi numi – sussurrò. – Un giocattolino niente male.
Pestò un piede sul pavimento d’acciaio, e il frigorifero rimbombò.
– Niente scavi, stavolta – disse. – Non come nel suq. Parli inglese, creatura? Capisci quello che dico?
La creatura roteò gli occhi.
Ti risponderei, diceva la sua espressione, peccato che abbia la bocca tappata con il nastro adesivo.
– E per un buon motivo – proseguì Kronski. – So tutto dei tuoi trucchetti ipnotici. E dell’invisibilità. Le pizzicò una guancia come se fosse una bimbetta. – La tua pelle sembra quasi umana. Che cosa sei? Una fata, giusto?
Un’altra roteata d’occhi.
Se roteare gli occhi fosse uno sport, questa creatura vincerebbe la medaglia d’oro, pensò Kronski. O forse quella d’argento. La medaglia d’oro andrebbe di sicuro alla mia ex moglie: lei non la batte nessuno.
Si voltò verso le guardie. – Si è mossa? – chiese.
Gli uomini scossero la testa. Che domanda stupida. Come poteva muoversi?
– Molto bene. Ottimo. Tutto procede secondo i piani. – Ora toccò a Kronski roteare gli occhi. – Ma senti! «Tutto procede secondo i piani.» Fa tanto Dottor No. Forse dovrei procurarmi un paio di mani di metallo. Che ne pensate, signori?
– Mani di metallo? – chiese una guardia arrivata da poco, non abituata alle farneticazioni di Kronski. I suoi compagni sapevano che molte domande del dottore erano retoriche, specialmente quelle relative ad Andrew Lloyd Webber e James Bond.
Kronski ignorò la domanda. Per sottolineare l’importanza di quello che stava per dire, si posò un dito sulle labbra increspate e trasse un profondo respiro sibilante. – Molto bene, signori. Ora ascoltate con la massima attenzione. Questa serata è importantissima. Ne dipende il futuro dell’intera organizzazione. Dev’essere tutto perfetto. Non staccate gli occhi dalla prigioniera, non slegatela e non toglietele il bavaglio. Nessuno deve vederla prima che cominci il processo. Ho pagato cinque milioni in diamanti il privilegio di rivelare al mondo la sua esistenza, perciò qua dentro nessuno mette piede tranne me. È chiaro?
Non era una domanda retorica, anche se la guardia nuova ci mise un po’ a capirlo. – Sì, signore. È chiaro – tuonò, una frazione di secondo dopo gli altri due.
– Se qualcosa andasse storto, il vostro ultimo compito sarà scavare una fossa. – Kronski strizzò l’occhio all’ultimo arrivato. – E sai come si dice? Gli ultimi saranno i primi…
L’atmosfera al banchetto rimase un po’ fiacca fino all’arrivo del cibo. Poco ma sicuro, gli Estinzionisti non erano tipi schizzinosi. Certi odiavano gli animali a tal punto da essere diventati vegetariani, il che in un certo senso limitava il menu, ma quell’anno Kronski era riuscito ad assicurarsi il cuoco di un ristorante vegetariano di Edimburgo capace di cucinare una zucchina in modo tale da fare piangere i carnivori più ostinati.
Iniziarono con una delicata minestra di pomodoro e peperoni in gusci di tartarughe neonate, seguita da fagotrini di pasta sfoglia ripieni di verdure arrostite e guarniti da una cucchiaiata di yogurt greco, serviti in piatti ricavati da teschi di scimmie. Tutto molto gustoso, e a quel punto il vino stava rilassando gli ospiti.
Kronski aveva lo stomaco così stretto da non riuscire a mandare giù un solo boccone, il che per lui era decisamente insolito. Non si sentiva altrettanto emozionato dal suo primo banchetto ad Austin, tanti anni prima.
Sono sulla soglia della grandezza, pensò. Fra breve il mio nome sarà menzionato assieme a quello di Bobby Jo Haggard, o Jo Bobby Saggart, il grande evangelista degli Estinzionisti. Damon Kronski, l’uomo che salvò il mondo.
Due cose avrebbero reso famoso quel banchetto.
L’entrée e il processo.
L’entrée avrebbe entusiasmato tutti, carnivori e vegetariani allo stesso modo. I vegetariani non avrebbero potuto mangiarlo, ma di sicuro avrebbero ammirato la maestria con la quale era stato preparato.
Seguendo la tradizione, Kronski colpì il piccolo gong accanto al suo piatto e si alzò per introdurre la portata principale del banchetto.
– Signore e signori – esordì – lasciate che vi racconti la storia di un’estinzione. Nel luglio del 1889 il professor D. S. Jordan visitò i Twin Lakes in Colorado e nel 1891 pubblicò le sue scoperte nel “Bollettino della Commissione Statunitense per il Pesce”. Aveva scoperto quella che dichiarò essere una nuova specie, la trota tagliagola pinna-gialla. Nella sua relazione, Jordan la descrisse così: color argenteo foglie d’olivo con una larga sfumatura giallo limone sui fianchi, pinne inferiori di un vivido giallo dorato finché è in vita, e una striscia rosso cupo ai lati della gola, da cui “tagliagola”. Fino al 1903 le tagliagola pinna-gialla prosperarono nei Twin Lakes, ma non molto tempo dopo si estinsero in seguito all’introduzione nel loro ambiente della trota arcobaleno. Altre trote s’incrociarono con le arcobaleno, ma le pinna-gialla diminuirono rapidamente e sono ora del tutto estinte.
Nessuno sparse una lacrima. Anzi, al sentire la parola che iniziava per E, si levò una salva di applausi.
Kronski alzò una mano. – No, no, no. Questo non è un motivo per rallegrarsi. Sembra che la pinna-gialla fosse un pesce squisito, dal sapore particolarmente dolce. Un peccato pensare che non l’assaggeremo mai. – Fece una pausa drammatica. – O forse sì…
In fondo al salone una falsa parete scivolò di lato per rivelare una tenda di velluto rosso. Con fare cerimonioso Kronski si tolse di tasca un telecomando e premette un pulsante. La tenda si aprì con un sibilo, rivelando un enorme carrello sul quale si innalzava una specie di ghiacciaio in miniatura. Argenteo e fumante.
Gli ospiti allungarono il collo incuriositi.
– E se, più di cent’anni fa, nei Twin Lakes si fosse verificata una gelata repentina?
I commensali bisbigliarono.
No.
Assolutamente no.
Impossibile.
– E se un blocco di ghiaccio fosse rimasto intrappolato da una frana nelle profondità di un crepaccio ignoto, e fosse stato mantenuto a zero gradi dalle correnti?
Ma allora…
In quel blocco…
– E se, appena sei settimane fa, quel blocco fosse riaffiorato nella proprietà del mio buon amico Tommy Kirkenhazard, uno dei nostri fedeli soci…
Tommy si alzò e s’inchinò, sventolando il cappello texano a larghe tese di lupo grigio. Però, anche se la sua bocca sorrideva, gli occhi fulminavano Kronski: fu ovvio a tutti che fra i due correva cattivo sangue.
– In tal caso sarebbe stato possibile - incredibilmente costoso e difficile, ma possibile - trasportare qui quel blocco di ghiaccio. Un blocco che contiene una grande quantità di trote tagliagola pinna-gialla. – Kronski fece una pausa per lasciare che l’informazione fosse pienamente assorbita. – In tal caso, cari amici, potremmo essere noi i primi a gustare una pinna-gialla da un secolo a questa parte.
La prospettiva fece venire l’acquolina in bocca anche a parecchi vegetariani.
– Guardate, Estinzionisti. Guardate e ammirate.
A uno schiocco delle sue dita, una dozzina di camerieri spinse il carrello al centro del salone per poi trasferirlo su una graticola d’acciaio. Dopodiché i camerieri si tolsero l’uniforme: sotto indossavano costumi da scimmia.
Ho forse esagerato con le maschere da scimmia?, si chiese Kronski. Fa un po’ troppo Broadway?
Ma una rapida occhiata ai suoi ospiti bastò ad assicurarlo che erano rimasti affascinati.
I camerieri erano in realtà acrobati esperti di una delle tante copie del Cirque du Soleil in tour nel Nordafrica. Ed erano stati ben lieti di cancellare qualche spettacolo dal programma per organizzarne uno privato a beneficio degli Estinzionisti.
Ora si arrampicarono agili sull’enorme blocco di ghiaccio, ancorandosi con funi, ramponi e ganci, e cominciarono a demolirlo con seghe elettriche, spade fiammeggianti e lanciafiamme che sembravano comparsi dal nulla.
Fu uno spettacolo eccezionale. Schegge di ghiaccio volavano qua e là, annaffiando gli ospiti, e il fragore delle macchine era assordante.
In breve le pinna-gialla comparvero attraverso le ombre azzurrine del ghiaccio, sospese con gli occhi sbarrati, congelate a metà di una svolta, i corpi imprigionati dalla gelata improvvisa.
Che modo di andarsene, pensò Kronski. Senza il minimo sospetto. Meraviglioso.
Gli attori cominciarono a tagliare i blocchi di ghiaccio che contenevano i pesci per poi passarli alla dozzina di cuochi usciti dalle porte laterali spingendo fornelli a gas portatili. Ogni blocco fu infilato in un colabrodo riscaldato per fare evaporare il ghiaccio in eccesso, dopodiché il pesce fu affettato da mani esperte e fritto in olio d’oliva con una selezione di verdure affettate e spicchi d’aglio schiacciati.
Per i vegetariani era pronto un risotto ai funghi e champagne, anche se Kronski dubitava che l’avrebbero mangiato in molti. Persino i non-carnivori avrebbero accettato il pesce, fosse solo per il gusto d’infilzarlo con la forchetta.
Il banchetto fu un successo, e un chiacchiericcio entusiasta si levò nel salone.
Nonostante la tensione, Kronski riuscì a mandare giù mezzo filetto di pinna-gialla.
Delizioso. Squisito.
Pensano tutti che sia questo il clou, si disse. Non hanno ancora visto niente.
Dopo il caffè, mentre gli Estinzionisti si allentavano la fascia dello smoking o rigiravano i sigari fra le labbra, Kronski ordinò al personale di preparare l’aula del tribunale.
Gli uomini obbedirono con la velocità e l’esperienza di una squadra di Formula Uno, com’era inevitabile dopo tre mesi di esercitazioni durante i quali erano stati messi alla frusta. Letteralmente. I camerieri sciamarono sulla graticola ormai spenta, sotto la quale il ghiaccio sciolto sciaguattava come una piscina smossa, con pochi avanzi di pesce che galleggiavano in superficie. Una volta ricoperta quella sezione del pavimento, ne scoprirono un’altra, rivelando un pozzo dalle pareti di acciaio chiazzate da tracce di bruciature.
Due pedane e un banco degli imputati furono spinti al centro della sala, al posto del carrello del ghiaccio. Sul leggio girevole di entrambe le pedane era piazzato un computer, e il banco degli imputati era occupato da una gabbia ricoperta da un telo di pelli di leopardo.
Il chiacchiericcio si affievolì, e gli ospiti trattennero il fiato in attesa della grande rivelazione. Era il momento che tutti aspettavano: era per quei pochi istanti di potere assoluto - per il gusto di tenere fra le mani il destino di un’intera specie - che quei ricconi pagavano cifre esorbitanti. Per mostrare al resto del pianeta chi davvero deteneva il bastone del comando. Gli ospiti non fecero caso alla dozzina di tiratori scelti sulla balconata che sovrastava il salone, pronti a intervenire nel caso la creatura sottoposta a processo esibisse nuovi poteri magici. La possibilità di un salvataggio sotterraneo era praticamente impossibile, dato che il salone era costruito su fondamenta di acciaio e cemento armato.
Assaporando quel momento, Kronski si alzò lentamente dal suo seggio e avanzò disinvolto verso il podio dell’accusatore.
Unì la punta delle dita, lasciando montare la tensione, poi diede inizio alla presentazione. – Ogni anno – disse – ci riuniamo qui per sottoporre a processo un animale raro…
Dalla platea si levò qualche fischio di approvazione, che Kronski zittì con un allegro cenno della mano.
– Un vero processo – proseguì – dove l’ospite sostiene l’accusa e uno di voi fortunati si occupa della difesa. L’idea è semplice: se il difensore riesce a convincere una giuria di suoi pari non prevenuti…
Altri fischi.
– … che la creatura nella gabbia contribuisce positivamente alla vita umana sul pianeta, la libereremo. Il che, incredibile ma vero, è accaduto nel 1983. Un po’ prima che il sottoscritto entrasse a fare parte di quest’associazione, però mi è stato assicurato che è successo. Se invece la giuria non sarà convinta dell’utilità dell’animale, schiaccerò questo pulsante… – A quel punto, le dita tozze di Kronski si librarono giocosamente sul grosso pulsante rosso di un telecomando. – … E la bestia precipiterà dalla gabbia nel pozzo, interrompendo il raggio laser che attiva i getti di fiamma alimentati a gas. Et voilà: cremazione istantanea. E ora lasciate che vi mostri come funziona. È un pozzo nuovo, e l’ho sperimentato per tutta la settimana.
A un suo cenno un inserviente sollevò una sezione della graticola con un uncino d’acciaio. Poi Kronski prese un melone da un vassoio e lo lanciò nel pozzo. Risuonò un trillo, seguito da un’esplosione di fiamme bianco-azzurre scaturite dai beccucci che fuoriuscivano dalle pareti del pozzo. In un baleno, del melone non rimasero che pochi pezzi carbonizzati.
La dimostrazione provocò un’entusiasta salva di applausi, ma non tutti sembrarono apprezzare.
Jeffrey Coontz-Meyers si portò le mani attorno alla bocca e gridò: – Datti una mossa, Damon. Che ci propini, stavolta? Non un’altra scimmia, spero. È la stessa storia tutti gli anni.
Di solito le interruzioni irritavano Kronski, ma non quella sera. Quella sera ogni battuta, per quanto spiritosa, sarebbe stata dimenticata non appena il telo che copriva la gabbia fosse stato sollevato.
– No, Jeffrey, non si tratta di una scimmia. E se…
Jeffrey Coontz-Meyers sospirò con fare teatrale. – Per piacere, non un altro “E se”. Ce ne hai rifilati una mezza dozzina insieme al pesce. Mostraci questa creatura e falla finita.
Kronski accennò un inchino. – Come desideri.
Premette un pulsante del telecomando, e uno schermo panoramico calò dal soffitto a coprire la parete in fondo alla sala. Un altro pulsante, e il telo che ricopriva la gabbia scivolò silenzioso di lato.
E comparve Spinella, imbavagliata e ammanettata al seggiolino, gli occhi fiammeggianti e furiosi.
La prima reazione fu di perplessità.
Ma è una bambina?
È solo una bambina.
Che Kronski sia ammattito? Sapevamo già che canta da solo, ma questo?
Poi, gli occhi degli Estinzionisti furono calamitati dallo schermo, su cui scorreva un filmato trasmesso dalla telecamera inserita nella gabbia.
O mio dio. Le orecchie. Guardate quelle orecchie.
Non è umana.
Che cos’è? Che cosa?
Tommy Kirkenhazard si alzò in piedi. – Sarà meglio che questo non sia un imbroglio, Damon, o giuro che ti torco il collo.
– Dirò soltanto due cose – rispose Kronski a voce bassa. – Primo: non è un imbroglio. Ho davvero scoperto l’esistenza di una specie ignota… Per dirla tutta, credo che questa creatura sia una fata. Secondo: se anche fosse un imbroglio, non torcerai il collo a nessuno, Kirkenhazard. I miei uomini ti farebbero a pezzi prima che tu facessi in tempo a sventolare il tuo ridicolo cappello e gridare “ippiiii iiieee”.
A volte è utile inviare un brivido lungo la schiena delle persone. Ricordare loro chi ha il potere.
– Naturalmente mi aspettavo il tuo scetticismo; anzi, mi fa piacere. Per metterti l’animo in pace, ho bisogno di un volontario fra il pubblico. Che ne dici di venire proprio tu, Tommy? Hai abbastanza fegato?
Tommy Kirkenhazard tracannò mezzo bicchiere di whisky per darsi coraggio e marciò verso la gabbia.
Bella recita, Tommy, pensò Kronski. Nessuno potrebbe mai sospettare che abbiamo organizzato questo piccolo bisticcio per aumentare la mia credibilità.
Kirkenhazard si avvicinò a Spinella con fare guardingo, poi tese una mano e le pizzicò un orecchio. – Per tutti i santi, non è un trucco! È proprio vero. – Arretrò, il viso illuminato dalla gioia. – Abbiamo catturato una fata!
Si slanciò verso il podio e strinse entusiasta la mano a Kronski, dandogli pacche sulle spalle.
Ecco fatto. Il mio maggiore avversario è convertito. Gli altri gli andranno dietro come pecore. Animali utili, le pecore.
In silenzio, Kronski si congratulò con se stesso.
– Secondo la tradizione, sarò io a rappresentare l’accusa contro la fata – annunciò alla folla. – Ma chi sarà il suo difensore? Chi tra voi sarà così sfortunato da estrarre la palla nera? Chi?
Fece un cenno al direttore di sala. – Porta la sacca.
Come molte antiche società, gli Estinzionisti erano fedeli alla tradizione, e una di quelle tradizioni era che la creatura sottoposta a processo fosse difesa da un membro dell’assemblea; se nessuno si offriva volontario, il difensore sarebbe stato scelto tramite estrazione. Un sacchetto di palline bianche e una sola nera. L’equivalente sferico della paglia più corta.
– Il sacchetto non serve – disse una voce. – Difenderò io la creatura.
Tutti si voltarono per individuare chi aveva parlato. Videro un giovanotto snello, con pizzetto, codino e occhiali scuri, che indossava un leggero completo di lino.
Kronski l’aveva già notato e l’aveva infastidito non riuscire ad attribuire un nome a quella faccia.
– E lei sarebbe? – chiese, ruotando il computer portatile in modo da puntare la telecamera sullo sconosciuto.
Il giovanotto sorrise. – Perché non concediamo al suo software di identificazione un momento per bisbigliarle la risposta?
Kronski schiacciò invio, il computer catturò l’immagine del giovane, e cinque secondi dopo estrasse le informazioni richieste dal fascicolo degli Estinzionisti.
Malachy Pasteur. Giovane erede franco-irlandese di un impero di mattatoi. Ha versato una ricca donazione nei forzieri degli Estinzionisti. Questa è la prima riunione cui partecipa. Come tutti i soci, Pasteur è stato controllato con cura prima che gli venisse spedito l’invito. Un acquisto notevole.
Kronski diventò tutto cerimonioso. – Signor Pasteur, siamo lieti di darle il benvenuto in Marocco. Mi dica… perché desidera difendere questa creatura? Il suo destino è quasi sicuramente segnato.
Il giovanotto si diresse a passo deciso verso il podio del difensore. – Mi piacciono le sfide. Sono un utile esercizio mentale.
– Difendere i parassiti è un esercizio utile?
– Specialmente i parassiti – replicò Pasteur, aprendo il proprio portatile. – È facile difendere un animale utile e servile come la mucca. Ma questa? Questa sì che sarà una dura battaglia.
– È un peccato conoscere la sconfitta così giovane – commentò Kronski, sporgendo il labbro inferiore con simpatia beffarda.
Pasteur tamburellò le dita sul podio. – Ho sempre apprezzato il suo stile, dottor Kronski. La sua dedizione agli ideali dell’Estinzionismo. Per anni ho seguito la sua carriera… fin dalla mia infanzia a Dublino. Ultimamente, però, ho avuto l’impressione che l’organizzazione abbia perso mordente, e non sono il solo a pensarla così.
Kronski digrignò i denti. Ecco di che si trattava, dunque. Una sfida aperta alla sua autorità.
– Badi bene a quello che dice, Pasteur. Si sta avventurando su un terreno pericoloso.
Pasteur lanciò un’occhiata al pavimento, dove l’acqua ghiacciata ancora sciabordava sotto la graticola. – Vuole dire che potrei ritrovarmi a tenere compagnia ai pesci? Le piacerebbe uccidermi, dottore? Un normalissimo giovanotto? Dubito che questo aumenterebbe la sua credibilità.
Ha ragione, pensò furibondo Kronski. Non posso ucciderlo. Devo vincere questo processo.
Il dottore stirò le labbra in un sorriso forzato. – Non uccido gli umani – replicò. – Soltanto gli animali. Come quello nella gabbia.
I suoi numerosi sostenitori applaudirono, però diversi commensali non si unirono alle acclamazioni.
È stato un errore venire qui, pensò Kronski. È troppo isolato. Impossibile farci atterrare un jet privato. L’anno prossimo terremo la riunione da qualche parte in Europa. Darò l’annuncio subito dopo avere fatto polpette di questo moccioso.
– Mi consenta di spiegarle le regole – riprese, pensando: In questo modo riprenderò il comando della situazione, acquisendo un vantaggio psicologico.
– Non ce n’è bisogno – lo interruppe bruscamente Pasteur. – Ho letto le trascrizioni dei processi precedenti. L’accusatore presenta il suo caso; il difensore presenta il proprio. Qualche minuto di vivace dibattito, dopodiché si passa ai voti. Semplice. Possiamo procedere, dottore? Nessuno di noi ha voglia di perdere tempo.
Furbo, il giovanotto. Con poche parole si è messo dalla parte della giuria. Non che la cosa abbia grande importanza. Conosco i miei polli: non assolverebbero mai una bestia, per quanto graziosa possa essere.
– Molto bene, procediamo. – Kronski selezionò un documento dal computer. La sua dichiarazione di apertura. In realtà la sapeva a memoria, però gli era di conforto averla davanti.
– Molti sostengono che noi Estinzionisti odiamo gli animali – esordì. – Però questo non è vero. Non odiamo le povere bestie stupide… sarebbe più esatto dire che amiamo gli esseri umani. Amiamo la nostra specie, e faremo tutto il necessario per assicurarci che sopravviva il più a lungo possibile. Questo pianeta dispone di risorse limitate, che dovremmo utilizzare soltanto per noi. Perché esseri umani dovrebbero morire di fame lasciando ingrassare stupidi animali? Perché esseri umani dovrebbero battere i denti dal freddo quando certe bestie se ne stanno al calduccio nella loro pelliccia?
Malachy Pasteur emise un suono a metà fra un colpo di tosse e un risolino. – Dottor Kronski, ho letto parecchie versioni di questo discorso. Si direbbe che ogni anno ripeta gli stessi argomenti semplicistici. Possiamo per piacere concentrarci sulla creatura che abbiamo di fronte?
Un mormorio divertito si diffuse fra i commensali, e solo a fatica Kronski riuscì a trattenere l’ira. Dunque sarebbe stata una battaglia in piena regola. Molto bene.
– Davvero divertente, ragazzo mio. Avevo intenzione di andarci leggero, con te, ma a quanto pare ci siamo tolti i guanti.
– Siamo lieti di sentirlo.
Siamo? Siamo! Pasteur stava portando gli Estinzionisti dalla sua parte senza che neanche se ne accorgessero.
Kronski fece appello a ogni residua goccia di carisma, tornando con la mente all’infanzia e alle lunghe giornate estive trascorse ad ascoltare suo padre, un predicatore evangelico, entusiasmare le folle nel suo tendone.
Sollevò le braccia, curvando le dita all’indietro fino a sentirsi tirare i tendini. – Non è per questo che siamo qui, amici – tuonò. – Non siamo venuti qui per ascoltare un meschino duello verbale. È questa la ragion d’essere degli Estinzionisti. – Puntò un dito contro Spinella. – Siamo qui per liberare il nostro pianeta da creature di questo genere.
Lanciò un’occhiata di sottecchi a Pasteur, e vide che aveva i gomiti sul leggio, il mento appoggiato sulle mani unite e l’espressione divertita. Il classico atteggiamento di opposizione.
– Abbiamo di fronte una nuova specie, amici. Una specie pericolosa. Capace di rendersi invisibile e di ipnotizzare tramite la parola. Una specie armata.
Fra molti “ooooooh” dei suoi ospiti, Kronski tirò fuori di tasca la Neutrino.
– Qualcuno di noi desidera affrontare un futuro dove quest’arma potrebbe essergli puntata contro? Lo desideriamo? La risposta, ritengo, è un chiaro no. Non solo. Mi guardo bene dall’affermare che questa creatura sia l’ultima della sua specie. Anzi, sono sicuro che attorno a noi esistono migliaia di queste fate, o alieni, o quello che è. Ma ciò significa forse che dovremmo strisciare e liberare quest’esserino? Io dico di no. Dico che dobbiamo inviare ai suoi simili un messaggio forte e chiaro. Ucciderne uno per educarne cento, per far capire che facciamo sul serio.
Oggi i governi del mondo ci disprezzano, ma domani verranno a bussare alla nostra porta cercando la nostra guida. – Era il momento del gran finale. – Noi siamo gli Estinzionisti, e finalmente è giunto il nostro momento!
Era un bel discorso, e suscitò applausi frenetici che Pasteur lasciò esaurire con la solita espressione divertita.
Kronski accettò gli applausi facendo oscillare le spalle come un pugile e rivolse un cenno al podio di fronte. – Tocca a te, ragazzo.
Pasteur si raddrizzò e si schiarì la voce.
Artemis si raddrizzò e si schiarì la voce. La barbetta che aveva incollato al mento gli pizzicava da morire, ma resistette all’impulso di grattarsi. Con una giuria imparziale avrebbe fatto piazza pulita degli argomenti di Kronski in cinque secondi netti, ma quella non era una giuria imparziale, e nemmeno sana di mente. Aveva davanti ricconi annoiati e assetati di sangue, che usavano il loro denaro per procurarsi emozioni illegali. L’omicidio non era che l’ennesimo lusso da acquistare. Doveva manovrare quella folla con estrema cautela. Schiacciare i pulsanti giusti. Per cominciare, doveva mettere in chiaro che era uno di loro.
– Quand’ero piccolo e la mia famiglia passava l’inverno in Sudafrica, mio nonno mi raccontava di quando gli uomini avevano l’atteggiamento giusto nei confronti degli animali. «Li ammazziamo quando ci fa comodo» diceva. «Quando ci torna utile.» Questo erano un tempo gli Estinzionisti. Una specie non era protetta a meno che la sua esistenza non facesse comodo agli esseri umani. Li uccidiamo per trarne un beneficio. Se un animale usa le risorse del pianeta senza contribuire direttamente al nostro benessere, alla nostra sicurezza e alla nostra comodità, lo facciamo fuori. Semplicissimo. Era un ideale per il quale valeva la pena di lottare. Valeva la pena di uccidere. Ma questo… – Artemis indicò la gabbia dov’era rinchiusa Spinella. – Questo è un circo. Un insulto alla memoria dei nostri avi, che donarono il loro tempo e il loro denaro alla causa degli Estinzionisti.
Mentre parlava, Artemis cercò di stabilire il contatto visivo con più persone possibile.
– Ora abbiamo l’opportunità di imparare da questa creatura. Lo dobbiamo ai nostri predecessori! Dobbiamo scoprire se può contribuire al benessere del genere umano. Se davvero fosse una fata, chissà quale magia potrebbe possedere. Magia che potrebbe essere nostra. Se uccidessimo questa fata, non sapremmo mai quale inimmaginabile ricchezza svanirebbe assieme a lei.
Artemis s’inchinò. Aveva esposto la sua tesi. Insufficiente a far cambiare idea a un branco di Estinzionisti assetati di sangue, questo lo sapeva, ma forse sufficiente a rendere Kronski un po’ meno baldanzoso.
Il dottore cominciò ad agitare le mani prima ancora che svanisse l’eco della voce di Artemis.
– Quante volte ancora dovremo ascoltare questi discorsi? – chiese. – Il signor Pasteur mi accusa di ripetermi, ma solo per appigliarsi alla più scontata delle difese! – Kronski si picchiettò con ben simulato orrore un dito sulle labbra. – Oooh, non uccidiamo questa creatura, perché potrebbe procurarci potere e ricchezza. Ricordo di avere speso una fortuna per un mollusco che in teoria avrebbe dovuto curare l’artrite… senza ottenere altro che una poltiglia estremamente costosa. Non possiamo attaccarci a ipotesi e supposizioni.
– Ma ha detto lei stesso che questa creatura è magica – obiettò Artemis, battendo un pugno sul podio. – Che può diventare invisibile! È stata addirittura imbavagliata per evitare che ci ipnotizzi. Immaginate il potere che conquisteremmo se riuscissimo a scoprirne i segreti. Se non altro, studiarla ci sarebbe utile per prepararci ad affrontare meglio i suoi simili.
Il problema principale di Kronski era che, in cuor suo, era assolutamente d’accordo con lui. Era più che sensato risparmiare la creatura e strapparle i suoi segreti, e, tuttavia, lui non poteva permettersi di essere sconfitto. Sarebbe stato come rinunciare al comando.
– Abbiamo tentato d’interrogarla. Ci hanno provato i nostri uomini migliori, ma lei si è rifiutata di parlare.
– È difficile parlare quando si è imbavagliati – commentò asciutto Artemis.
Kronski si drizzò in tutta la sua altezza e abbassò il timbro della voce per ottenere il massimo effetto. – La razza umana ha davanti il suo nemico più mortale, e dovrebbe trattarlo con i guanti? Non è così che ci comportiamo noi Estinzionisti! Se si presenta una minaccia, la spazziamo via. Come abbiamo sempre fatto.
Questo scatenò un applauso tonante: come sempre, la sete di sangue batteva la logica. Parecchi commensali si alzarono in piedi strepitando. Ne avevano abbastanza della discussione e volevano passare all’azione.
Il viso di Kronski era arrossato dalla vampa del trionfo imminente.
Crede che sia finita, pensò Artemis. Pover’uomo. E poi: Certo che questa barba pizzica un sacco.
Attese con calma che il frastuono si placasse, e scese dal podio. – Speravo di risparmiarle questo, dottore – disse. – Per il rispetto che ancora nutro per lei.
Kronski schioccò le labbra. – Risparmiarmi che cosa, signor Pasteur?
– Sa bene a cosa mi riferisco. Ci ha gettato fumo negli occhi fin troppo a lungo.
Quel discorsetto non preoccupò minimamente Kronski. Il moccioso era sconfitto, e tutto il resto non erano che chiacchiere irritanti. Del resto, perché non lasciare che si scavasse la fossa con le proprie mani? – Di che fumo sta parlando?
– Vuole davvero che continui?
I denti di Kronski scintillarono in un sorriso. – Assolutamente.
– Come desidera. – Artemis si diresse verso il banco degli imputati. – In origine, l’accusato di stasera non era questa creatura. Fino a ieri avevamo un lemure fra le mani. Non esattamente una scimmia, signor Kirkenhazard, ma comunque abbastanza simile. Avevamo un lemure fra le mani, ho detto, ma il fatto è che non c’è rimasto per molto. Per l’esattezza, è scomparso al momento della consegna. E subito dopo - fate attenzione, perché questo è molto importante - subito dopo, lo stesso ragazzino che ci aveva venduto il lemure, di sicuro profumatamente pagato attingendo alle casse degli Estinzionisti, ci ha venduto questa creatura. Nessuno, a parte me, ritiene che l’intera faccenda sia un po’ sospetta? Be’, io sì. Il ragazzino si tiene il lemure e ci rifila una presunta fata.
Adesso Kronski era molto meno baldanzoso. Il giovane Pasteur la sapeva un po’ troppo lunga.
– Presunta fata?
– Esatto. Presunta. A questo riguardo abbiamo solo la sua parola, dottor Kronski… e quella del signor Kirkenhazard, in apparenza il suo peggior nemico. Anche se, glielo assicuro, alla vostra sceneggiata non ha abboccato nessuno.
– Esamini lei stesso la creatura! – sbottò Kronski, sorvolando sull’accusa relativa a Kirkenhazard.
– Grazie, dottore – replicò Artemis. – È esattamente quello che ho intenzione di fare.
Artemis si avvicinò alla gabbia. Ora veniva il difficile: le azioni successive avrebbero richiesto sveltezza di mano e coordinazione, tutte cose delle quali di solito lasciava che si occupasse Leale.
In una tasca della giacca aveva un paio di cerotti usciti dalla cassetta del pronto soccorso di Bombarda. Alle guardie all’ingresso aveva spiegato che si trattava di cerotti alla nicotina e perciò gli era stato permesso di portarli con sé. La striscia adesiva del cerotto si attivava al contatto con la carne, modellandosi sui contorni del punto cui aderiva, assumendo il colore e le caratteristiche della pelle circostante.
Le dita di Artemis sfiorarono la tasca, ma non era ancora arrivato il momento di usare i cerotti. Avrebbe semplicemente rischiato che gli s’incollassero alla mano. Invece tirò fuori dall’altra tasca il cellulare che aveva sottratto dalla Bentley a Rathdown Park.
– Questo telefono ha per me un valore incalcolabile – disse agli Estinzionisti. – È un po’ più massiccio di altri modelli, ma solo perché da anni continuo a installarvi nuove funzioni. È un congegno sorprendente, davvero. Posso usarlo per registrare programmi televisivi, guardare film, controllare l’andamento del mercato azionario… Fin qui niente di speciale. Ma nello schermo ho anche inserito una funzione raggi X. E se ora vorrete concedermi un momento… – Schiacciò alcuni tasti, usando il Bluetooth per collegare il cellulare ai computer portatili e allo schermo a parete.
– Fatto! – annunciò. Si passò il telefono davanti alla mano, e sullo schermo comparve un insieme di falangi, carpi e metacarpi che spiccavano scuri all’interno di un pallido involucro di carne. – Quelle che vedete sono le ossa della mia mano. Niente male il suo sistema di proiezione, dottor Kronski. Le faccio i miei complimenti.
Il sorriso di Kronski era falso quanto i complimenti. – Vuole venire al punto, Pasteur, o vuole solo farci vedere quant’è in gamba?
– Vengo subito al punto, dottore. E il punto è che, a parte l’ampiezza della fronte e le orecchie a punta, questa creatura somiglia in modo impressionante a una ragazzina.
Kronski sbuffò. – Un vero peccato che ci siano orecchie e fronte. Però immagino che lei abbia qualcosa da dire in proposito.
– Esatto. – Artemis passò il cellulare davanti alla faccia di Spinella, trasmettendo nello stesso momento un breve filmato preparato poco tempo prima sulla navetta. Un filmato che mostrava il teschio di Spinella con dense ombre scure sulle tempie e le orecchie.
– Impianti! – esultò Artemis. – Chiaro risultato di un intervento di chirurgia plastica. Questa fata è evidentemente un falso. E lei, Kronski, ha tentato di ingannarci.
Le proteste di Kronski furono sommerse dal ruggito dei presenti. Tutti gli Estinzionisti scattarono in piedi, protestando a gran voce contro quel deplorevole imbroglio.
– Mi hai mentito, Damon! – urlò Tommy Kirkenhazard in tono quasi angosciato. – Hai mentito a me!
– Gettateci lui, nel pozzo! – gridò la contessa Irina Kostovich, l’espressione feroce quanto quella del lupo di Honshu sulle sue spalle. – Estinguiamo Kronski. Se lo merita per averci trascinati qui.
Kronski alzò il volume del suo microfono. – È ridicolo. Se voi siete stati imbrogliati, lo sono stato anch’io. Ma no! Mi rifiuto di crederlo. Questo giovanotto, questo Pasteur, mente. La mia fata è reale. Datemi la possibilità di provarlo.
– Non ho terminato, dottore – esclamò Artemis, fermandosi audacemente accanto alla gabbia. Approfittando della confusione, si era fatto scivolare un cerotto nel palmo delle mani e già si sentiva formicolare la carne, mentre l’adesivo veniva attivato. Doveva sbrigarsi, o si sarebbe ritrovato due cuscinetti color carne sulle mani e il suo piano sarebbe andato a rotoli.
– Non mi sembra che queste orecchie vadano bene. E ho l’impressione che il suo amico, il signor Kirkenhazard, le abbia trattate troppo gentilmente.
Appallottolò rapidamente un cerotto fino a formare un cono, dopodiché infilò l’altra mano fra le sbarre e fece finta di tirare con forza un orecchio di Spinella, mentre in realtà vi spalmava sopra il cerotto, coprendone la punta e la maggior parte del padiglione auricolare.
– Viene via… – grugnì, usando il braccio per coprire la visuale della telecamera nella gabbia. – Ancora un po’…
Pochi secondi dopo il cerotto era asciutto, e un orecchio di Spinella era completamente nascosto. Artemis la guardò negli occhi e ammiccò.
“Reggi il gioco” voleva dire la strizzata d’occhi. “Ti tirerò fuori dai guai.”
O, almeno, Artemis sperava che dicesse questo e non qualcosa tipo: “Sarebbe possibile un altro bacetto più tardi?”
Prima gli affari.
– È un falso! – gridò Artemis, mostrando l’altro cerotto raggrinzito. – Mi è rimasto in mano.
Cortesemente, Spinella presentò il profilo alla telecamera. Niente più orecchio a punta.
La reazione predominante degli Estinzionisti fu di puro e semplice sdegno.
O Kronski li aveva imbrogliati o, peggio ancora, si era fatto imbrogliare da un bambino di dieci anni.
Artemis sollevò ancora di più il presunto falso orecchio, strìngendolo come se fosse un serpente velenoso.
– È costui l’uomo dal quale vogliamo farci guidare? Vi sembra che, in questo caso, il dottor Kronski abbia dato prova di saper usare il cervello?
Scagliò per terra il falso orecchio. – Dunque, in teoria questa creatura potrebbe ipnotizzarci tutti. Secondo me è stata imbavagliata per impedire che parlasse.
Con un gesto brusco strappò il nastro adesivo dalla bocca di Spinella, che trasalì e gli lanciò un’occhiata di rimprovero, per poi sciogliersi in lacrime recitando la parte della povera vittima umana. – Io non volevo farlo – singhiozzò.
– Fare che cosa? – la incalzò Artemis.
– Il dottor Kronski mi ha tolta dall’orfanotrofio.
Artemis inarcò un sopracciglio. Orfanotrofio? A quanto pareva, Spinella aveva deciso d’improvvisare.
– Mi aveva detto che, se avessi accettato di fare l’operazione, sarei potuta andare a vivere in America. Però, quando dopo l’operazione ho cambiato idea, si è rifiutato di lasciarmi andare.
– Un orfanotrofio! – esclamò Artemis. – Ma è incredibile!
Spinella abbassò il mento tremante. – Ha detto che, se ne avessi parlato con qualcuno, mi avrebbe uccisa.
– Ti avrebbe uccisa! – le fece eco Artemis in tono sempre più indignato. – E questo sarebbe l’uomo a capo della nostra organizzazione. Un uomo pronto a uccidere gli esseri umani come se fossero animali. – Puntò un dito accusatore contro lo sbigottito Kronski. – Lei, signore, è molto peggio delle creature che tutti noi disprezziamo, ed esigo che lasci libera questa povera ragazza.
Kronski era finito, e lo sapeva. Però poteva ancora salvare qualcosa da quel disastro. Aveva i numeri del conto corrente del gruppo e soltanto lui conosceva la combinazione della cassaforte della tenuta. In un paio d’ore sarebbe potuto essere lontano da lì, con ricchezze sufficienti a sopravvivere per qualche anno. Non doveva fare altro che impedire al giovane Pasteur di cuocerlo sulla graticola come un prosciutto.
E poi ricordò. Il prosciutto!
– E questa, allora? – sbraitò, agitando la Neutrino. – Immagino che pure questa sia falsa.
D’istinto, gli Estinzionisti fecero un passo indietro e si tuffarono dietro le sedie.
– Ovviamente – sogghignò Artemis. – Non è che un giocattolo.
– Sarebbe disposto a scommetterci la vita?
Artemis si finse esitante. – Insomma… non c’è bisogno di fare i drammatici, dottore. La sua causa è persa. Accetti la sconfitta.
– No! Se l’arma è vera, allora è vera anche la creatura. E se non lo è, come lei insiste a dire, non ha niente da temere.
Artemis sembrò fare appello a tutto il proprio coraggio. – Va bene, faccia pure. – Raddrizzò le spalle e offrì il petto alla canna sottile della Neutrino.
– Sta per morire, Pasteur – sibilò Kronski, in tono non particolarmente dispiaciuto.
– Forse. Sempre che le riesca di infilare quel dito paffuto nel grilletto – replicò Artemis, quasi istigandolo.
– Va’ all’inferno! – latrò Kronski, e schiacciò il grilletto.
Non successe granché. Una scintilla solitaria e un ronzio sommesso.
– Si è rotta – balbettò il dottore.
– Ma va’… – sbuffò Artemis, che aveva usato il telecomando per distruggere dalla navetta le cariche della Neutrino.
Kronski sollevò le mani. – D’accordo. D’accordo. Fammi pensare un momento.
– Lasci libera la ragazza, dottore. Salvi un brandello di dignità. Gli Estinzionisti non uccidono gli esseri umani.
– Sono io il capo, qui! Ho bisogno di un momento per raccogliere le idee. Non era prevista una cosa simile. Lei non aveva detto che sarebbe andata così…
Appoggiò i gomiti sul podio e si massaggiò le palpebre nascoste dalle tonde lenti colorate.
Lei non aveva detto che sarebbe andata così?, pensò Artemis. Ma chi c’era, dietro gli Estinzionisti?
Mentre Artemis si poneva quella domanda e il mondo crollava attorno alle ampie spalle del dottor Kronski, vari cellulari cominciarono a squillare segnalando l’arrivo di un messaggio. Nel giro di pochi secondi, la sala risuonava di una sinfonia discordante di trilli, ronzii e musichette.
Kronski ignorò il chiasso inatteso, ma Artemis fu assalito dall’ansia. Ora come ora aveva tutto sotto controllo, e non era il caso che qualcosa, o qualcuno, gli cambiasse le carte in tavola; tanto meno che facesse saltare i nervi a Kronski.
Le reazioni ai messaggi in arrivo furono un misto di sbigottimento e godimento.
– O mio dio. È vero? È proprio vero?
– Passalo di nuovo. Alza il volume.
– Non posso crederci. Kronski, razza d’idiota!
– È l’ultima goccia. Siamo diventati una barzelletta. Per gli Estinzionisti è la fine.
Artemis si rese conto che tutti i messaggi erano in effetti uno solo. Qualcuno aveva messo le mani sul database degli Estinzionisti e aveva inviato a tutti lo stesso video.
E poi trillò anche il suo cellulare. Ovvio, dal momento che, come Malachy Pasteur, figurava su ogni possibile e immaginabile database degli Estinzionisti. E poiché il cellulare era ancora collegato al megaschermo, il video appena arrivato via mail vi fu ritrasmesso automaticamente.
Riconobbe la scena all’istante. Il suq dei conciatori. L’attore principale era Kronski, che saltellava su una gamba sola e squittiva come un palloncino bucato. Comica non era la parola giusta per descrivere la scena. Ridicola, farsesca, patetica: erano questi i termini più adatti. Una cosa era certa: dopo quel video, nessuno col cervello a posto avrebbe più rispettato quell’uomo, e tanto meno l’avrebbe accettato come capo.
Un breve messaggio scorreva sotto le immagini:
Ecco il dottor Kronski, presidente degli Estinzionisti, dare prova di un senso dell’equilibrio sorprendente per un uomo della sua taglia. L’autore del video ha appreso che Kronski odia gli animali da quando fu assalito da un koala in fuga a Cleveland, durante uno dei comizi del padre. Testimoni riferiscono che il giovane Damon “lanciò squittii così acuti da spaccare i vetri”. Un talento che il buon dottore non sembra avere perduto. Squittisci, cocco, squittisci.
Artemis sospirò. Questa è opera mia. È esattamente il tipo di cose che potrei fare io.
In un’altra occasione l’avrebbe apprezzato, ma non ora. Non quando era così vicino a liberare Spinella.
A proposito di Spinella…
– Artemis, tirami fuori da qui – gli sibilò l’elfa.
– Sì, naturalmente. È il momento di filarcela.
Il ragazzo cercò nelle tasche la salvietta rinfrescante che avvolgeva tre lunghi peli ruvidi donati da Bombarda Sterro. In realtà i peli dei nani sono antenne che servono per orientarsi nelle gallerie buie, ma quella razza ingegnosa se ne serve anche come passe-partout per aprire qualunque serratura. Senza dubbio il Fa-tutto di Spinella sarebbe stato più utile, però Artemis non se l’era sentita di rischiare che le guardie glielo trovassero in tasca e lo sequestrassero. La salvietta serviva a mantenere i peli umidi e flessibili fino al momento giusto.
Prese il primo pelo, soffiò sulla punta per eliminare un’ombra di umidità e lo inserì nella serratura della gabbia, muovendolo nell’ingranaggio. Appena lo sentì irrigidirsi, girò la chiave improvvisata e la porta si spalancò.
– Grazie, Bombarda – bisbigliò Artemis, mettendosi al lavoro sulla serratura delle manette. Neanche avrebbe avuto bisogno di usare il terzo pelo. In pochi secondi Spinella era libera e si massaggiava i polsi.
– Orfanotrofio? – disse Artemis. – Non ti sembra di avere un po’ esagerato?
– Buu buuu – replicò pronta Spinella. – E ora vediamo di tornarcene alla navetta.
Più semplice a dirsi che a farsi.
Un gruppo di Estinzionisti aveva stretto in un angolo Kronski, urlandogli contro, spingendolo e spintonandolo e ignorando le sue proteste, mentre lo schermo continuava a trasmettere il messaggio video.
Oh-oh, pensò Artemis, chiudendo il proprio cellulare.
Com’era forse inevitabile, alla fine Kronski perse il controllo. Scostò con violenza i suoi tormentatori, si fece spazio fra loro ansimando e prese una ricetrasmittente dalla cintura.
– Bloccate le uscite – sibilò nel microfono. – Se necessario, usate la forza.
In teoria gli addetti alla sicurezza del Domaine des Hommes lavoravano per gli Estinzionisti, ma la loro lealtà andava a chi li pagava; ossia a Damon Kronski. Poteva vestirsi come un pavone demente e comportarsi come uno sciacallo, però conosceva la combinazione della cassaforte e pagava puntualmente.
I tiratori scelti della balconata spedirono qualche colpo di avvertimento sulla folla, provocando un pandemonio.
– Chiudete l’edificio – ordinò Kronski. – Mi serve tempo per recuperare i miei fondi. Diecimila dollari in contanti a chiunque sta dalla mia parte.
Non servirono altri incentivi. Per quegli uomini diecimila dollari rappresentavano la paga di due anni.
Porte e persiane si chiusero sbattendo, e davanti a ognuna si piazzarono guardie robuste che reggevano fucili o curve spade marocchine dall’impugnatura di rinoceronte, fatte fabbricare da Kronski apposta per loro.
Atterriti, gli Estinzionisti fuggirono verso bagni e nicchie, dovunque potesse esserci una finestra, e digitarono freneticamente numeri sui cellulari, chiedendo aiuto a chiunque, dovunque fosse.
Solo pochi si dimostrarono più pronti a reagire. Tommy Kirkenhazard tirò fuori dal cappello una pistola di ceramica che era riuscito a introdurre di straforo e, protetto da un massiccio bancone di tek, sparò qualche colpo contro la balconata.
Dall’alto gli rispose una scarica di proiettili che fracassò bottiglie, specchi e bicchieri, facendo volare qua e là schegge di vetro simili a frecce.
Con un colpo al plesso solare, un asiatico robusto disarmò una guardia davanti a una porta.
– Da questa parte! – gridò, spalancando l’uscita d’emergenza. Nel giro di pochi secondi la soglia fu bloccata da un ammasso di corpi.
Rannicchiati dietro la gabbia, Artemis e Spinella si guardarono attorno alla ricerca di una via di fuga.
– Riesci a schermarti?
Spinella ruotò il mento e un braccio svanì vibrando. – Sono in riserva. Ho magia sufficiente sì e no per un paio di minuti.
Artemis aggrottò la fronte. – Sei sempre a corto di carburante. Numero Uno non ti aveva fatto il pieno?
– Questo prima che la tua guardia del corpo mi stendesse con un dardo soporifero, e per ben due volte. E prima che dovessi guarirti a Rathdown Park. E prima di schermarmi nel suq, cercando di recuperare la tua scimmia.
– Lemure – la corresse Artemis. – Almeno abbiamo salvato Geigei.
Spinella si abbassò di scatto per scansare una scheggia volante. – Santo cielo, Artemis, si direbbe che tu ci tenga davvero a quell’animale. A proposito: carina, la barba.
– Grazie. Dunque: pensi di riuscire a schermarti quanto basta per disarmare le guardie che bloccano la porta della cucina?
Spinella squadrò i due uomini. Erano armati e sprigionavano tanta ostilità da increspare l’aria. – Nessun problema.
– Bene. Agisci in silenzio. Meglio evitare un altro intasamento. Se dovessimo separarci, l’appuntamento è nel suq.
– Bene – disse Spinella, vibrando finché non diventò invisibile.
Un istante dopo Artemis sentì una mano sulla spalla e una voce disincarnata gli risuonò nell’orecchio. – Sei venuto a salvarmi – bisbigliò Spinella. – Grazie.
Poi la mano svanì.
La magia ha un prezzo. Quando elfi e simili si schermano, sacrificano le abilità motorie superiori e la capacità di pensare con chiarezza. Anche ammesso che il tuo cervello smetta di frullare abbastanza a lungo da riuscire a concentrarsi, fare un puzzle è molto più difficile se il tuo corpo vibra peggio delle ali di un colibrì.
All’Accademia della LEP, Spinella aveva fatto tesoro del suggerimento dato dall’insegnante di ginnastica dell’Atlantide. Tirare in dentro e spingere in fuori gli addominali inferiori, rafforzando il proprio nucleo, aiutava davvero a controllare il fremito da schermatura. Dava qualcosa su cui concentrarsi e aiutava a tenere il busto un po’ più fermo.
Spinella eseguì quell’esercizio mentre puntava verso la porta della cucina. Anche se a volte, pensò quando un Estinzionista che agitava un coltello da burro la mancò per un soffio, essere invisibile era più pericoloso che trovarsi in piena vista.
Le due guardie sulla porta ringhiavano, letteralmente, contro chiunque osasse avvicinarsi troppo. Erano grossi, anche per degli esseri umani, e Spinella fu sollevata di non dover fare ricorso ad abilità motorie superiori: a stenderli sarebbero bastati due colpetti rapidi al grappolo di nervi sopra il ginocchio.
Semplice, pensò. E poi: Non avrei dovuto pensarlo. Ogni volta che lo penso, qualcosa va storto.
Naturalmente aveva ragione.
Qualcuno cominciò a sparare contro gli uomini di Kronski. Dardi argentei sibilarono nell’aria e li bucarono.
Spinella capì subito chi stava sparando, e la vista di una sagoma familiare accucciata sulle travi del soffitto confermò i suoi sospetti.
Leale!
La guardia del corpo era avvolta in una delle caratteristiche coperte marocchine, ma Spinella lo identificò dalla forma della testa, e anche dall’inconfondibile posizione di tiro: il gomito sinistro un po’ più sporgente di quello della maggior parte dei tiratori scelti.
Artemis l’ha mandato per aprirci una via di fuga, si disse. O forse Leale l’ha deciso da solo.
Come che fosse, l’eurasiatico era molto meno d’aiuto di quanto avesse sperato. Appena le guardie crollavano davanti a un’uscita di sicurezza, gli Estinzionisti si ammassavano sopra di loro nel disperato tentativo di uscire dall’edificio.
Estinzionisti in gabbia, pensò Spinella. Di certo Artemis apprezzerà l’ironia.
Proprio mentre l’elfa sollevava i pugni, preparandosi a colpire, i due uomini davanti alla porta della cucina si portarono una mano al collo e si afflosciarono a terra privi di sensi.
Bel tiro. Due centri in meno di un secondo e da ottanta metri. E per giunta con dardi soporiferi.
Tuttavia non fu l’unica ad accorgersi che la porta era libera. Una dozzina di Estinzionisti isterici corsero in quella direzione strillando come fan di una rock band.
Dobbiamo uscire da qui. Subito.
Si voltò verso Artemis, ma il giovane era stato inghiottito dalla massa di Estinzionisti in avanzamento ripido.
Dev’essere da qualche parte là in mezzo, pensò Spinella; e poi la folla la travolse, trascinandola nella cucina.
– Artemis! – gridò, scordandosi di essere invisibile. – Artemis!
Ma lui era scomparso. Il mondo era un caos di gomiti e corpi. Sudore e urla. Voci e respiri affannosi. Quando Spinella riuscì finalmente a districarsi, la sala dei banchetti era deserta, a parte qualche Estinzionista ritardatario. Nessuna traccia di Artemis, da nessuna parte.
Il suq, si disse. Lo ritroverò nel suq.
Artemis si preparò a scattare. Appena Spinella avesse eliminato le guardie, sarebbe corso verso la porta più veloce che poteva, augurandosi di non inciampare e cadere. Sarebbe stato terribile avere affrontato tutto questo per essere sconfitto dalla mancanza di coordinazione. Di sicuro, quando si fossero incontrati nell’aldilà Leale avrebbe commentato: «Te l’avevo detto.»
Di colpo il livello del pandemonio aumentò ancora, e le urla degli Estinzionisti gli ricordarono gli animali atterriti a Rathdown Park.
Estinzionisti in gabbia, pensò. Oh, ironia della sorte.
Le guardie davanti alla porta della cucina si portarono una mano alla gola e caddero sul pavimento.
Bel lavoro, capitano.
Piegato in due, come uno scattista in attesa del colpo di pistola, Artemis schizzò fuori dal suo nascondiglio.
E l’istante successivo Kronski lo colpì di fianco con tutto il suo peso, facendo finire entrambi al di là della ringhiera, sul banco degli imputati. Artemis atterrò sul seggiolino di plastica, che si schiantò. Un braccio gli rimase inclinato innaturalmente lungo il fianco.
– È tutta colpa tua – squittì Kronski. – Questa doveva essere la serata più importante della mia vita.
Artemis si sentì soffocare, naso e bocca tappati da pieghe sudaticce di stoffa purpurea.
Vuole uccidermi, pensò. È impazzito.
Non aveva il tempo di escogitare un piano, e anche se l’avesse avuto, nessun teorema matematico sarebbe stato in grado di tirarlo fuori dai guai. Non gli restava che una cosa da fare: reagire.
E reagì: con calci, pugni e morsi. Affondò un ginocchio nel pancione di Kronski e gli martellò la faccia di pugni.
Furono tutti colpi superficiali e privi di effetti duraturi… tranne uno. Il piede destro di Artemis sbatté contro il petto del suo avversario: un colpo che al dottore non fece né caldo né freddo. Ma il tacco della scarpa del ragazzo sfiorò per un istante il grosso pulsante del telecomando nella tasca di Kronski, facendo aprire la botola sotto il banco degli imputati.
Il ragazzo capì cos’era successo appena il suo cervello registrò la mancanza di sostegno sotto la schiena.
Sono morto, pensò. Mi dispiace, madre.
L’istante successivo precipitò a capofitto nel pozzo, e il suo gomito interruppe il raggio laser. Risuonò un trillo, e il pozzo si riempì di fiamme bianco-azzurre che ne fecero avvampare le pareti ricoprendole di chiazze scure.
Niente e nessuno sarebbe potuto sopravvivere.
Per un pezzo Kronski rimase aggrappato alla ringhiera, il sudore che gli gocciolava dalla punta del naso e cadeva nel pozzo, evaporando all’istante.
Mi dispiace per quello che è appena successo?, si chiese, ben sapendo che gli psicologi raccomandavano di affrontare subito i traumi, allo scopo di evitare tensioni future.
Macché, si rispose. Proprio per niente. Anzi, è come se mi fossi tolto un peso dallo stomaco.
Si raddrizzò, facendo scricchiolare e schioccare le ginocchia.
Allora… dov’è finita quell’altra?, si chiese ancora. Devo proprio perdere un po’ di peso.
Artemis vide le fiamme sbocciare attorno a sé. Vide la propria pelle accendersi d’azzurro nella loro vampa, ascoltò il loro ruggito… e le attraversò incolume.
Impossibile.
Ovviamente no. Ovviamente, quelle fiamme erano tutto fumo e niente arrosto.
Fiamme olografiche?
Il pavimento del pozzo cedette sotto il suo peso con un sibilo, e Artemis si ritrovò in una camera sotterranea, mentre pesanti portelli di acciaio si richiudevano sopra di lui.
Più o meno come trovarsi dentro un bidone della spazzatura.
Un bidone della spazzatura creato da una tecnologia avanzatissima, con cardini a gel espandibile. Opera del Popolo, senza ombra di dubbio.
Artemis ricordò qualcosa che Kronski aveva detto poco prima: «Lei non aveva detto che sarebbe andata così…»
Lei… lei?
Opera del Popolo. Specie in pericolo di estinzione. Chi avrebbe potuto mettersi a raccogliere fluido cerebrale di lemuri fin da prima che si diffondesse l’Incantropia?
Artemis impallidì. Oh, no. Non lei. Per piacere, non lei!
Che devo fare?, pensò. Quante volte mi toccherà salvare il mondo da quella pazza?
Si mise in ginocchio e scoprì di essere caduto su una lettiga imbottita. Prima che facesse in tempo a scenderne, da scanalature lungo i bordi sbucarono funi tentacolate che lo impacchettarono più stretto di una vacca atterrata in un rodeo. L’istante successivo getti di gas violaceo uscirono sibilando da una dozzina di beccucci sopra di lui.
Trattieni il fiato, si disse Artemis. Gli animali non sanno di dover trattenere il fiato.
Trattenne il respiro finché ebbe l’impressione che gli esplodessero i polmoni e finalmente, quando stava per arrendersi e ingoiare una boccata d’aria, un nuovo gas fu pompato nella camera, cristallizzando il primo e facendoglielo ricadere sul viso in fiocchi purpurei.
Ora stai dormendo. Fa’ il morto. Fingi di essere fuori combattimento.
Una porticina affondò nel pavimento con un risucchio simile a quello di una cannuccia che aspiri l’aria.
Artemis sollevò appena una palpebra.
Campo magnetico, pensò.
So quello che sto per vedere, ma non ho nessuna voglia di vederlo.
Una folletta comparve sulla soglia, i lineamenti minuti contorti dal solito broncio crudele.
– Questo – strillò Opal Koboi, puntando un ditino fremente – non è un lemure!