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Le prassi ottimali
Da quando fu pubblicato il mio libro Intelligenza emotiva, nel 1995, programmi che si fregiavano dello stesso titolo hanno preso posto nella schiera dei training più in voga. Vengo regolarmente informato del fatto che in varie partì del mondo c'è chi offre un programma centrato su quella che spaccia per «intelligenza emotiva» – spesso limitandosi a riconfezionare o a ritoccare appena un programma offerto in precedenza con un altro nome.
Se tali programmi seguono le linee-guida tratteggiate qui, benissimo. Altrimenti, che i compratori se ne guardino!
Troppo spesso i training per il potenziamento dell'intelligenza emotiva sono progettati, realizzati e valutati malamente, e perciò una volta che i partecipanti sono tornati al lavoro esercitano sulla loro efficienza un impatto talmente impercettibile da risultare deludente. Ecco dunque la necessità delle linee-guida descritte dettagliatamente in questo capitolo.
Sebbene quasi tutti i programmi comprendano almeno alcune di queste «prassi ottimali», il massimo effetto scaturisce dalla potenza che esse acquisiscono quando sono adottate in combinazione.
Chi è coinvolto nell'addestramento e nello sviluppo del personale sarà tentato di leggere le linee-guida tenendo a mente una lista sulla quale spuntare le prassi già seguite nella propria organizzazione. Più utile e stimolante, però, sarebbe invece sottolineare quelle che non fanno parte della sua routine, e prendere in considerazione la loro inclusione.
I programmi di training che seguono tutte queste linee-guida senza eccezione sono ben pochi, ammesso che ce ne sia qualcuno. Ma nella misura in cui un programma si attiene a molte, o alla maggior parte, di esse dovrebbe essere sensibilmente più efficace di altri nel migliorare la prestazione lavorativa.
L'obiettivo è quello di usare questa nostra nuova comprensione delle prassi ottimali per fondare su bai più solide e scientifiche tutta l'impresa di migliorare le cosiddette «abilità soft». Le seguenti linee guida offrono un progetto che è lo stato dell'arte per insegnare – e apprendere – l'intelligenza emotiva.
Valutare il lavoro
Prima di intraprendere qualsiasi forma di training occorre porsi una domanda fondamentale, e darle una risposta: che cosa ci vuole per svolgere questo lavoro in modo superbo? Le risposte a questa domanda non sono sempre immediatamente evidenti.
Prendiamo, ad esempio, i pianificatori strategici. La teoria corrente sostiene che quanto più acuto è l'intelletto di costoro, tanto migliore sarà la loro prestazione; la pianificazione, dopo tutto, è un compito puramente cognitivo – o per lo meno questo è ciò che viene comunemente dato per scontato. E quando si intervistarono degli esperti – essi stessi pianificatori strategici, oppure i dirigenti a cui queste figure facevano capo – essi furono più o meno d'accordo nell'affermare che, per quella posizione, la chiave per il successo fosse il «pensiero analitico e concettuale».11-1
Verissimo – un pianificatore strategico non può fare il suo lavoro senza le necessarie facoltà cognitive. Ma è emerso che per avere successo gli occorre qualcosa di più del cervello. Sono essenziali anche le capacità emotive.
Alcuni studi rivelano che i pianificatori strategici straordinari non sono necessariamente superiori agli altri per quanto riguarda le capacità analitiche. Le abilità che li elevano al di sopra della massa sono piuttosto quelle della competenza emotiva: una sagace consapevolezza politica; la capacità di sostenere una tesi producendo un impatto emotivo sul pubblico; e ancora, un elevato livello di influenza nei rapporti interpersonali.11-2
Gli «esperti» hanno trascurato un semplice dato di fatto della vita delle organizzazioni: tutto è politica. Un'analisi più obiettiva ha rivelato che l'efficienza dei pianificatori dipendeva dal fatto che sapessero coinvolgere chi prendeva le decisioni in ogni passaggio del processo di pianificazione, assicurandosi che capissero gli assunti e gli obiettivi del piano, e che quindi fossero desiderosi di adottarlo.
Non importa quanto brillante sia un piano strategico: vista la politica che permea le organizzazioni, senza alleati e sostenitori esso sarà condannato. E può capitare che perfino i pianificatori più brillanti non vedano l'autentico ruolo della competenza emotiva nel loro successo.
Quando la Coopers & Lybrand, una delle «grandi sei» aziende di contabilità e consulenza, decise di offrire ai propri soci un training centrato sulle capacità fondamentali per svolgere il loro ruolo, non diede per scontato di sapere su che cosa dovesse concentrarsi quel training Sempre metodica come è nel suo stile, l'azienda voleva dei dati.
«Il nostro compito era quello di identificare le competenze necessarie per avere successo nella nostra azienda», mi disse Margaret Echols, a quell'epoca senior manager per lo sviluppo delle competenze, che diresse l'iniziativa alla Coopers & Lybrand. «Perciò cominciammo a creare un modello di competenza per i nostri soci.»
Il suo team cominciò facendo in modo che i soci nominassero quelli che, fra loro, davano prestazioni straordinarie. Una volta individuato il gruppo di questi individui eccellenti, esso fu studiato approfonditamente insieme a un gruppo di riferimento dalle prestazioni mediocri, usando interviste strutturate nelle quali, ad esempio, veniva chiesto di descrivere dettagliatamente degli «incidenti critici» – occasioni nelle quali se l'erano cavata in modo superbo, e alcune nelle quali avevano dato una prestazione deludente.
Le trascrizioni di quelle interviste furono poi codificate e analizzate in modo da individuare dei temi comuni, come pure modelli di pensiero, sentimento e azione alla base del loro successo. Da quei risultati fu tratto un elenco delle competenze più importanti. Successivamente ci si assicurò che esse reggessero, verificando se distinguevano davvero gli individui mediocri da quelli straordinari. In breve, la Coopers & Lybrand seguì la metodologia più avanzata per sviluppare un modello di competenza.11-3
Un metodo di tal genere, sistematico e obiettivo, è necessario per ottenere un quadro reale delle competenze più importanti ai fini di un dato ruolo. Ecco perché la valutazione delle competenze che fanno eccellere l'individuo in un particolare lavoro è diventata una sorta di mini-industria, in cui lavorano professionisti che si avvalgono di una gamma di metodi ben validati nell'intento di isolare gli ingredienti della prestazione superiore.11-4
Le strategie di training devono anche prendere in considerazione in che modo alcune capacità siano la base di altre. È raro che un individuo debba migliorare solo in una competenza; le capacità emotive sono tutte intrecciate fra loro – non indipendenti. Inoltre, come abbiamo visto, molte competenze di ordine superiore, come quella di catalizzare il cambiamento o di lavorare in team, vengono costruite a partire da altre.
Alcuni elementi dell'intelligenza emotiva sono talmente fondamentali da rappresentare delle «meta-abilità» essenziali per la maggior parte delle altre competenze. Questi elementi essenziali comprendono la consapevolezza e la padronanza di sé, l'empatia e le capacità sociali. Queste capacità primarie rappresentano la base essenziale di altre competenze emotive, da esse derivanti. Ad esempio, un manager che cerchi di modificare il proprio stile di leadership, per riuscire a compiere quel cambiamento potrebbe anche aver bisogno di aumentare la consapevolezza di sé.
Alcuni studi condotti da una compagnia aerea europea mostrarono come le migliori assistenti di volo si distinguessero per due insiemi di qualità facenti capo all'intelligenza emotiva: uno legato al dominio di sé, comprendente l'autocontrollo emotivo, la spinta a realizzarsi e l'adattabilità; e uno legato alle competenze interpersonali, comprendenti la capacità di esercitare un'influenza sugli altri, l'inclinazione all'assistenza e la capacità di lavorare in team.11-5 Perciò, quando una compagnia aerea americana chiese a me e alla mia collega, Thérèse Jacobs-Stewart di aiutarla a mettere a punto un programma di training per il suo personale, ci concentrammo sulla padronanza di sé e sulla capacità di trattare con gli altri.
Aggiungemmo tuttavia altre due capacità, sempre facenti capo all'intelligenza emotiva, ciascuna delle quali rende l'individuo più abile nelle competenze richieste. Una è l'autoconsapevolezza, che aiuta l'individuo a capire quando è sul punto di cadere vittima di un sequestro dell'amigdala, permettendogli quindi di evitarlo prima di trovarsi fuori controllo. L'altra è l'empatia, che consente di fare esattamente la stessa cosa, stavolta però per qualcun altro – in altre parole, permette di cogliere i primi segnali di irritazione, frustrazione o ansia che contraddistinguono chi sia a rischio di un attacco. La ragione dell'inclusione dell'autoconsapevoleza e dell'empatia è semplice: la migliore strategia per evitare scontri distruttivi è quella di prevenirli.
Nel caso delle assistenti di volo, inoltre, il training dell'empatia doveva avere un taglio internazionale. Ogni cultura imprime un segno unico al modo in cui la gente esprime le emozioni: quanto minore è la nostra familiarità con un gruppo, tanto più probabilmente ne interpreteremo male i sentimenti. Perciò ci concentrammo sul modo di sviluppare l'empatia verso persone molto diverse.11-6
Valutare l'individuo
Siamo noi i giudici migliori dei nostri punti di forza e delle nostre debolezze? Non sempre. Consideriamo il seguente paradosso dell'empatia. Quando si chiede a qualcuno di stimare la propria accuratezza nel leggere i sentimenti degli altri, la correlazione fra le risposte date e la reale prestazione dell'individuo in test obiettivi è nulla.11-7 Invece, se si conosce bene una persona e si valuta la sua capacità di empatizzare, si riscontra un elevato livello di accuratezza. In breve, sotto molti aspetti, gli altri probabilmente ci conoscono meglio di come ci conosciamo noi stessi – soprattutto quando si tratta di giudicare la nostra abilità nelle relazioni interpersonali.
In generale, la valutazione ideale non si basa su un'unica fonte di giudizio, ma su molteplici prospettive, che possono comprendere tanto descrizioni fatte dallo stesso interessato quanto il feedback offerto da colleghi, superiori e subordinati. Il metodo di valutazione «a 360 gradi» offre tutti questi feedback e può rivelarsi una fonte potente di dati sulle competenze da migliorare. Esistono diverse metodologie a 360 gradi che valutano almeno alcune competenze emotive.11-8
In linea di principio, una valutazione dovrebbe includere anche indici più obiettivi della prestazione sul lavoro, come i metodi del «centro di valutazione», che misurano con precisione la prestazione dell'individuo in un contesto in cui vengono simulate situazioni lavorative. Sebbene ciascuno di questi metodi preso singolarmente sia fallibile, combinati insieme possono dipingere un quadro più accurato, per quanto complesso, del nostro profilo di competenza emotiva. (Per ulteriori dettagli sui metodi di valutazione, il lettore consulti l'Appendice 5.)
Come osserva Susan Ennis, responsabile dello sviluppo degli alti dirigenti della BankBoston: «Considerare se stessi da molteplici prospettive è un sistema estremamente potente per costruire la consapevolezza di sé – e prepararsi a fare qualcosa in proposito».
Alla Weatherhead School of Management, ad esempio, gli studenti attingono informazioni su se stessi da tre fonti molto diverse. In primo luogo essi compiono una valutazione di se stessi relativa a punti di forza, limitazioni e valori. Poi c'è il feedback offerto dagli altri, compresi i membri del team di cui essi stessi fanno parte nel contesto del corso; i colleghi e un superiore sul lavoro; familiari e amici. Infine, ricavano dei risultati anche da una batteria di test di valutazione ed esercizi di simulazione.
Essi sono comunque preavvisati del fatto che nessuna di queste fonti è di per se stessa migliore o più accurata di qualsiasi altra, né meno soggetta a distorsioni. Semplicemente, ciascuna di esse aggiunge dati e prospettive diversi, offrendo così occhi, orecchie e voci differenti. Gli stessi studenti – con una guida – interpretano i dati e dai risultati tracciano un percorso per il proprio sviluppo.
Per valutare la competenza emotiva delle persone da selezionare come trainer, il programma JOBS prese a prestito una tecnica – quella del provino – dall'industria dell'intrattenimento. «Volevamo osservarli in una situazione che facesse appello a tutte le competenze sociali ed emotive di cui avrebbero avuto bisogno come trainer», mi spiega Robert Caplan. «Perciò chiedemmo a ciascuno di loro di venire a insegnarci qualcosa – come gestire il nostro denaro, come condurre un'intervista, una cosa qualsiasi – per soli 15 minuti. Noi facevamo il pubblico. Capivi quanto fossero competenti dai primissimi istanti.»
I provini, ricorda Caplan, erano significativi. «Un candidato cominciava con un tono professionale, distribuiva dei moduli di bilancio, metteva una diapositiva ed esordiva dicendo: "Desidero che riportiate le vostre spese nella colonna A…" Nessun coinvolgimento, niente di personale. Mortale. Uno che assumemmo, invece, cominciò con un tono molto spontaneo: "E davvero bello trovarci qui; so quanto siano stati difficili, per voi, gli ultimi tempi. Mi piacerebbe sentire qualcosa su ognuno di voi prima di cominciare". Sentivi immediatamente l'empatia, il fatto che questa persona ti piaceva e ti fidavi di lei.»
Presentare le valutazioni con delicatezza
Nel contesto del piano della sanità per gli Stati del Sudovest, fu deciso di valutare i dipendenti avvalendosi del metodo a 360 gradi, e poi, a seconda delle necessità, di offrir loro una guida da parte dei supervisori.11-9 Il guaio fu quando qualcuno decise di inviare i risultati allo stesso tempo sia ai dipendenti che ai supervisori, senza alcun avvertimento o interpretazioni di sorta.
Il risultato fu un disastro: alcuni supervisori convocarono immediatamente i dipendenti, prima ancora che quelli avessero avuto la possibilità di digerire le valutazioni: molti credettero di essere chiamati per un cicchetto invece che per essere aiutati nella loro crescita personale. Alcuni dipendenti erano furiosi – soprattutto quando le valutazioni formulate dal supervisore erano meno buone di quelle espresse dai colleghi – e diedero in escandescenze pretendendo spiegazioni o addirittura delle scuse.
Troppo spesso il feedback sulle competenze viene offerto in modo improprio, con conseguenze prevedibilmente negative. Usato ad arte, esso può rivelarsi uno strumento di inestimabile valore per l'esame di se stessi e per coltivare il cambiamento e la crescita personali. Usato male, sul piano emotivo può essere una vera mazzata.11-10
«La gente non mi parla bene delle sue esperienze con il feedback a 360 gradi», mi confida un manager. «Le persone che offrono il feedback mancano loro stesse di empatia, consapevolezza di sé e sensibilità, e quindi l'esperienza, per coloro che lo ricevono, può essere brutale.»
Decisamente più positivo è il rapporto su un gigante del software, dove uno specialista dello sviluppo degli alti dirigenti mi racconta che consegna i risultati del feedback a 360 gradi in forma strettamente confidenziale, a quattr'occhi. «Nessuno vede quei risultati, se non i diretti interessati, e non devono mai condividerli con nessuno. Nemmeno io ne tengo una copia, una volta che ne ho parlato con loro. Vogliamo che sia uno strumento di sviluppo, non un'arma impropria nelle mani di qualcun altro.»
Un errore comune è quello di dedicare troppo poco tempo al feedback. «Le persone passano due o tre giorni in un centro per la valutazione, effettuando simulazioni complesse, facendo un'analisi dietro l'altra e sottoponendosi a ogni genere di misura della prestazione», mi spiega un consulente. «Poi, quando è tutto finito, dedicano una o due ore all'esame dei risultati, in quello che equivale davvero a un buttar via i dati. La gente, così, non si ritrova più consapevole, ma solo confusa.»
Se mai ci fu un compito per il quale occorre intelligenza emotiva, quello è la presentazione dei risultati delle valutazioni a 360 gradi; qui, empatia, sensibilità e delicatezza sono essenziali. Un errore comune sta nel concentrarsi sui punti deboli della persona trascurando i suoi punti forti. Invece di essere motivante, un atteggiamento del genere può demoralizzare.
«Bisogna esaltare i punti forti di una persona, come pure mostrarle i suoi limiti», spiega Boyatzis. «Troppo spesso ci si concentra sulle carenze. Ma noi vogliamo aiutare l'individuo a riconoscere il nucleo dei propri talenti, e ad affermare gli aspetti di sé ai quali dà valore. Ad esempio, le persone possono trarre una grande sicurezza dalla convinzione di avere la capacità di cambiare.»
Alla Weatherhead School viene prestata molta cura ad aiutare gli studenti a interpretare la valutazione delle proprie competenze e ad usare quelle informazioni per dar forma a un piano di apprendimento davvero utile. Il programma per i dirigenti iscritti al master di scienze aziendali dedica quattro sedute di tre ore, oltre alle consulenze individuali, all'interpretazione e all'assorbimento dei dati provenienti dalla valutazione della competenza. Poi, altre quattro sedute di tre ore vengono dedicate all'uso di quell'informazione per formulare piani di apprendimento individuali.
Giudicare esattamente la preparazione
«Moltissime persone che partecipane ai nostri seminari di training si sentono prigioniere del dipartimento delle risorse umane», mi dice uno dei formatori di una banca multinazionale. «È solo che non vorrebbero essere qui, e la loro resistenza è contagiosa.»
La disponibilità delle persone è essenziale, ma molte organizzazioni non prestano alcuna attenzione al fatto che la gente che mandano al training sia davvero desiderosa di imparare o di cambiare. Il direttore dello sviluppo dei dirigenti presso una delle cento aziende americane con il massimo fatturato annuo sottolinea come i partecipanti al training ricadano in tre categorie: quelli fin troppo zelanti, pronti a cambiare; i «vacanzieri», ben felici di non andare al lavoro per un paio di giorni; e i «prigionieri», ai quali il capo ha imposto di andare.
Una regola empirica è che, in ogni momento, solo il 20 per cento dei membri di un gruppo è pronto a impegnarsi per cambiare; ciò nondimeno, la grande maggioranza dei programmi di sviluppo viene messa a punto come se tutti i partecipanti fossero compresi in quel 20 per cento.11-11 Non c'è ragione per rassegnarsi a questa bassa percentuale. L'interesse, la motivazione e la prontezza al cambiamento – i prerequisiti per partecipare al training traendone beneficio – possono essere valutati (il lettore veda, per i dettagli, l'Appendice 5); se le persone non sono davvero pronte a cambiare, questo fatto stesso può diventare, per loro, un primo punto su cui concentrarsi. Tutto il resto sarebbe una perdita di tempo. Se le persone non sono pronte ad agire, forzarle porterà al disastro – fingeranno solo per soddisfare gli altri, invece di entusiasmo proveranno risentimento e si daranno per vinte.
Per evitare questa perdita di tempo e di denaro, il primo passo sta nell'aiutare la gente a valutare la propria preparazione. Ci sono quattro livelli: indifferenza o aperta resistenza; la contemplazione di un cambiamento in un futuro non specificato; la maturità necessaria per formulare un piano; la prontezza a passare all'azione.11-12
All'American Express Financial Advisors, ad esempio, prima che un team intraprenda il training nella competenza emozionale, uno dei formatori si incontra con il team leader, il quale a sua volta discute il programma in apposite riunioni col suo gruppo, per valutare esattamente che cosa ne pensino i diversi membri. Inoltre, «prima che si presentino alla seduta inaugurale, chiamiamo ogni persona affinché ci parli di ogni sua eventuale perplessità», spiega Kate Cannon.
Chi non è pronto può trarre vantaggio dall'esplorazione dei propri valori e del proprio angolo visuale, per capire se desidera o meno un cambiamento. Il che ci porta al prossimo punto.
Motivare
«"Io posso farcela" – questa sensazione è il motore del cambiamento», spiega Robert Caplan e nel programma JOBS ciò è visibilmente vero. «Quando si tratta di cercare un lavoro, se non telefoni e non ti presenti all'appuntamento, non avrai il posto. E se vuoi che la gente faccia quello sforzo, devi aumentare le sue aspettative di successo, pomparla.»
Questo vale in generale: la gente impara nella misura in cui è motivata. La motivazione influenza l'intero processo di apprendimento, determinando se una persona si iscriverà o meno a un programma di training, e poi se davvero applicherà quello che ha imparato nel proprio lavoro.11-13 La motivazione è massima nel perseguire cambiamenti che combacino con i nostri valori e le nostre speranze. Come dice Boyatzis, della Weatherhead School: «Gli individui devono sentirsi presi dai propri valori, dai propri obiettivi, dai propri sogni su ciò che è possibile per loro. Se ci si concentra fin dall'inizio sui valori e le prospettive delle persone, su quello che vogliono fare della propria vita, allora esse penseranno di usare l'opportunità del training per il proprio sviluppo – non solo per quello dell'azienda».
Precise opportunità di sviluppo – momenti nei quali siamo più motivati a migliorare le nostre capacità – arrivano in momenti prevedibili in una carriera:11-14
• Maggiori responsabilità, a esempio in occasione di una promozione, possono rendere molto evidente una debolezza nell'intelligenza emotiva.
• Le crisi nella vita, a esempio problemi in famiglia, dubbi riguardanti la carriera o una crisi di orientamento «della mezza età» possono offrire una proficua motivazione a cambiare.
• Problemi sul lavoro, a esempio difficoltà a livello interpersonale, delusioni per l'assegnazione di un carico, oppure il sentirsi poco stimolati, sono tutte circostanze che possono motivare gli sforzi a potenziare le proprie competenze.
Per la maggior parte di noi, il solo rendersi conto che coltivare una data capacità ci aiuterà a far meglio aumenta l'entusiasmo. «Poiché qui la gente si rende conto che queste competenze sono importanti ai fini delle prestazioni, solitamente affronta il training con una grande motivazione», mi spiega Kate Cannon, dell'American Express. Quando la gente capisce che il training può aumentare la sua competitività nel mercato del lavoro o all'interno dell'organizzazione – in altre parole, quando lo vede come un'opportunità – la motivazione aumenta. E quanto più le persone sono motivate ad apprendere, tanto più efficace si rivela il training per loro.11-15
Fare in modo che il cambiamento sia autoguidato
L'approccio da catena di montaggio – in cui tutti coloro che in un'azienda svolgono un dato compito o ricoprono un particolare ruolo sono indirizzati allo stesso programma – può funzionare se il suo contenuto è puramente cognitivo. Ma quando si tratta di competenze emotive, l'approccio che-va-bene-per-tutti rappresenta la vecchia filosofia taylorista dell'efficienza nella sua forma peggiore. Soprattutto in questo campo, la personalizzazione dell'intervento educativo massimizza l'apprendimento.
Il cambiamento è più efficace quando si dispone di un piano di apprendimento adatto alla vita, agli interessi, alle risorse e agli obiettivi dell'individuo.11-16 All'American Express, ognuno progetta il proprio piano d'azione. Un consulente finanziario che lavorava per potenziare la propria iniziativa, ad esempio, si era fatto l'obiettivo personale di stabilire ogni settimana venti nuovi contatti telefonici. Il suo piano comportava che egli scrivesse il canovaccio di una telefonata ben riuscita e lo ripassasse mentalmente prima di comporre ogni numero. «La concentrazione su quell'obiettivo unita a quel metodo funzionò bene – nel suo caso», afferma Cannon. «Ma non consiglierei arbitrariamente a tutti i consulenti di adottarlo. Per altri quel metodo potrebbe risultare non appropriato o irrilevante.»
I programmi devono inoltre essere bene calibrati rispetto al livello di sviluppo individuale. «Noi abbiamo organizzato le cose in modo che ognuno possa crescere e svilupparsi partendo dal proprio livello, quale che esso sia», spiega Cannon. «A esempio, alcune persone non si rendono assolutamente conto che quel che uno va dicendo a se stesso – i propri pensieri su quel che sta facendo – influenza i risultati. Altri invece ne hanno una comprensione molto più sofisticata.»
Idealmente, chi partecipa a un programma di training dovrebbe poter consultare un menu di tecniche ed essere incoraggiato a contribuire con idee proprie. Un punto debole dei seminari preconfezionati sta nel loro fare affidamento su un unico approccio generico.
«Il programma di training standard, in cui tutti sono esposti alla stessa identica esperienza, si è rivelato l'approccio peggiore in termini di utile sul capitale investito», mi spiega Charley Morrow della Linkage, un'azienda di consulenze. Dalla sua ricerca sulla valutazione, condotta presso le cinquecento aziende con il maggiore fatturato annuo, Morrow conclude che «quando la gente è costretta a partecipare, sorgono molti tipi di problemi. Alcune persone vengono mandate a imparare capacità che magari già possiedono, oppure di cui non hanno bisogno. Altri semplicemente sono risentiti del fatto di dover partecipare – non gliene importa niente».
Molti di questi problemi vengono superati dando all'individuo il potere di personalizzare il piano di apprendimento in modo da adeguarlo ai propri bisogni e alle proprie aspirazioni. Alla Weatherhead School il principio che informa l'apprendimento autoguidato, dice Richard Boyatzis, consiste nel «mettere il controllo del processo di cambiamento in mano ai partecipanti. Dopo tutto, essi hanno comunque il controllo. Questo approccio non fa altro che evitare l'illusione che esso sia in mano ai docenti».11-17
Concentrarsi su obiettivi chiari e raggiungibili
Si era trasferito dall'Ohio alla East Coast per frequentare il master in scienze aziendali della Weatherhead School, e doveva trovarsi un lavoro part-time. Mancava però di fiducia in se stesso, soprattutto nell'accostare persone che non conosceva. Alla Weatherhead School, gli venne mostrato come frammentare il suo obiettivo più ampio – sviluppare questo tipo di fiducia in se stesso – in mosse più limitate e realistiche. La prima di esse, aggiornare il curriculum, fu cosa semplice. Ma i passi successivi furono molto più difficili, e così, prima di compierli, promise a se stesso: «Entro il mese prossimo, chiamerò il presidente del Dipartimento di Finanza dell'Università e gli chiederò di fissarmi un incontro per discutere ogni opportunità disponibile da loro; altrimenti, gli chiederò i nominativi di altre persone a cui rivolgermi». Si ripropose di fare lo stesso anche con il suo mentore, un alto dirigente locale. E poi si impegnò a cercare negli annunci economici, telefonando per candidarsi nel caso di offerte interessanti. Quindi decise: «In questi colloqui sarò fiducioso e sicuro». La ricompensa concreta di questa strategia fu che trovò un impiego part-time a cominciare dal trimestre successivo.
L'impresa sembra abbastanza binale: migliaia di persone, ogni giorno, passano attraverso situazioni simili. Ma per lo studente della Weatherhead School questi passi metodici furono solo parte di un piano più ampio. Essi lo misero in situazioni che lo stimolarono a esercitare la fiducia in se stesso. E il completamento di ogni passo, a sua volta, aumentava la fiducia con cui intraprendeva il successivo.
Sebbene un obiettivo grandioso possa essere attraente, a livello pratico occorre concentrarsi su mosse immediate e abbordabili. La parola-chiave, qui, è proprio «abbordabili». Chi cerca di apportare cambiamenti in dosi massicce si condanna all'insuccesso. La frammentazione degli obiettivi in passi più piccoli, consente di affrontare imprese più semplici – e di avere successo.11-18
Poiché i piccoli, frequenti successi ci incoraggiano, ci manteniamo motivati e impegnati, spinti avanti da una crescente fiducia nelle nostre capacità. E quanto più ambiziosi sono gli obiettivi tanto maggiore è il cambiamento che ne risulta. Una strategia giapponese prende in considerazione questi due principi: nel Kaizen, o continuo miglioramento, si comincia prefiggendosi obiettivi di difficoltà solo modesta, e poi gradualmente, via via che il processo continua, si alza il livello della sfida. Compiere un cambiamento frammentandolo in passi abbordabili ci fa sentire che stiamo comunque compiendo almeno qualche piccolo progresso in direzione del nostro obiettivo, e quindi mantiene alti il morale e la speranza di successo.11-19
Senza chiari obiettivi, è facile vagare e finire fuori strada. Nel programma dell'American Express, psicologi esperti lavorano con ogni partecipante per aiutarlo a crearsi dei chiari obiettivi personali di cambiamento. Un obiettivo comune, ad esempio, è quello di riuscire a controllare meglio i sentimenti negativi. Esso però è troppo generale e confuso per essere utile. «Le persone cominciano col rendersi conto della propria esigenza di prendersi meglio cura di sé dal punto di vista emotivo», mi spiega Kate Cannon. «Ma quando esplorano le difficoltà che incontrano nel controllare i propri sentimenti, si rendono conto che sono dovute al troppo stress – e questo spesso le porta a concentrarsi su utili tappe specifiche, mirando ad esempio verso una migliore gestione del tempo.»
Ma anche «una migliore gestione del tempo» è, di per sé, un obiettivo confuso. Deve essere frammentato in parti più specifiche: ad esempio, passare venti minuti al giorno con i subordinati per delegar loro le responsabilità; eliminare il tempo sprecato a guardare la TV spazzatura; e mettere da parte tre ore alla settimana per rilassarsi.
L'identificazione degli obiettivi dovrebbe comprendere anche quella dei passi specifici per raggiungerli. Ad esempio, se l'intento è quello di diventare più ottimisti, e di prendere insuccessi e rifiuti con calma (una competenza estremamente utile per chi lavora nel campo delle vendite), l'analisi può essere messa a fuoco nei dettagli fini: «Potresti cominciare a notare quali sono i tuoi punti caldi – gli eventi che innescano l'abitudine controproducente – e quello che pensi, senti e fai di preciso in quei casi», afferma Kate Cannon. «Potresti identificare un dialogo interiore pessimista, del tipo "Non sono capace di farlo", "Questo dimostra che non sono all'altezza". Oppure potresti scoprire un modello di comportamento – dapprima vai in collera, poi ti chiudi in te stesso e agisci di conseguenza. Allora si può schematizzare il modello o il ciclo e familiarizzare al tempo stesso con il comportamento che si sta cercando di cambiare e con il modo migliore di pensare e agire in quei momenti. E ogni volta che ti imbatti in uno di quei frangenti esplosivi, cerchi di spezzare il vecchio modello. Più a monte lo spezzi, meglio è.»
In un certo senso, identificare un obiettivo definisce l'equivalente di un «sé possibile» – un'idea di come potremmo essere dopo essere cambiati.11-20 Il solo immaginare questo sé potenziale ha un certo potere: vedere noi stessi nella posizione di chi è riuscito a dominare il cambiamento desiderato ci motiva a compiere i passi per farlo davvero.
Evitare le ricadute
Coltivare una nuova capacità è un processo graduale, con battute d'arresto e nuove partenze; di tanto in tanto, i vecchi modi di fare si riaffermeranno. Questo è vero soprattutto al principio, quando la nuova abitudine ci è ancora estranea e poco familiare, mentre quella vecchia ci viene ancora spontanea.
Di fronte a sfide difficili, il training può disintegrarsi, almeno temporaneamente. Queste cadute momentanee sono prevedibili, e tale prevedibilità può essere sfruttata nella prevenzione delle ricadute.11-21
La chiave per usare in modo costruttivo gli scivoloni è di rendersi conto che essi non equivalgono a ricadute totali. Fin dall'inizio del training, occorre avvertire i partecipanti del fatto che probabilmente sperimenteranno «giornate nere» nelle quali torneranno alle loro vecchie abitudini. Mostrando come apprendere lezioni preziose da quegli scivoloni si fornisce loro una sorta di vaccinazione contro la disperazione o la demoralizzazione emergenti in quei momenti. Altrimenti, essi potrebbero interpretare il proprio errore con pessimismo – come un fallimento totale a indicazione del fatto che saranno sempre inadeguati e non riusciranno mai a cambiare. L'addestramento alla prevenzione delle ricadute li prepara invece a reagire da ottimisti, usando gli scivoloni in modo intelligente per raccogliere informazioni critiche sulle proprie abitudini e le proprie vulnerabilità.
Prendiamo il caso di un manager che, sotto la pressione del tempo, ricade in uno stile di leadership dittatoriale. Costui potrebbe imparare, ad esempio, che quando è sottoposto a quel tipo di pressione, la sua ansia lo rende incline a tornare a uno stile autocratico. Una volta che egli abbia imparato a riconoscere le situazioni che innescano quest'abitudine, potrà prepararsi ad agire in modo diverso ripassando il da farsi – ad esempio chiedendo aiuto invece di abbaiare ordini. Questo aumenterà le probabilità che egli scelga una reazione migliore, anche in condizioni di forte stress.
Naturalmente, sviluppare un sistema di allarme così precoce richiede autoconsapevolezza e la capacità di monitorare l'incidente (o, più probabilmente, di riesaminare l'avvenimento in seguito). Risalire esattamente agli eventi che innescano le ricadute – e ai pensieri e ai sentimenti che le accompagnano – ci rende più consapevoli dei momenti in cui dobbiamo stare particolarmente in guardia e fare appello cosciente alla nostra nuova competenza emotiva.
La motivazione a seguire con maggior convinzione un piano di cambiamento può essere alimentata anche dalla comprensione delle conseguenze dell'errore – un'opportunità d'affari sfumata oppure sentimenti di fastidio in un collega o un cliente.
Offrire un feedback sulla prestazione
Un giocatore di golf professionista andava soggetto ad attacchi di collera imprevedibili che stavano distruggendo il suo matrimonio e la sua carriera. Mentre partecipava a un programma per ridurre l'intensità e la frequenza delle sue esplosioni, tenne una sorta di conteggio, prendendo nota di tutte le volte che perdeva le staffe, della durata dell'episodio e della sua intensità.
Un giorno, diversi mesi dopo aver iniziato il programma, esplose con la stessa intensità di sempre – la collera completamente fuori controllo. L'episodio lo lasciò demoralizzato, disperato per il fatto che tutti i suoi sforzi non lo avessero portato a nessun risultato. Ma quando diede un'occhiata alle sue registrazioni si sentì rincuorato. Si rese conto che la frequenza dei suoi attacchi di collera era marcatamente diminuita, passando da diversi alla settimana a quest'unico episodio negli ultimi due mesi.
Il feedback è alla base stessa del cambiamento. Sapere come ci stiamo comportando ci mantiene in carreggiata. Nella sua forma più elementare, il feedback implica che qualcuno osservi, e ci faccia sapere, se – o come – stiamo usando la nuova competenza.
Nel caso migliore – quando ce la stiamo cavando bene – può accadere che un feedback positivo rafforzi la nostra fiducia nel collaudare la competenza emotiva che stiamo cercando di migliorare; quell'aumentata fiducia in noi stessi ci aiuta a fare ancora meglio.11-22
D'altro canto, quando il feedback viene offerto malamente, in modo troppo brusco, o non viene offerto affatto, può essere un'esperienza demoralizzante e demotivante (come abbiamo visto nell'Ottavo Capitolo). I migliori risultati si hanno quando chi offre il feedback sa come farlo costruttivamente, è incoraggiato a offrirlo in quel modo o ricompensato per farlo – ed è a sua volta aperto ai commenti sulla qualità del feedback offerto.
All'American Express Financial Advisors, gran parte del feedback relativo alle competenze emotive è intessuta nella trama del lavoro. «Noi prestiamo uguale attenzione a come fai il tuo lavoro e a quanto bene riesci a raggiungere i tuoi obiettivi», afferma Kate Cannon. «Ci sono incontri regolari a tu per tu con i diretti supervisori. È una questione di relazioni, non solo con i clienti, ma anche fra di noi. Perciò le persone ricevono feedback regolari sulla propria competenza emotiva, anche se probabilmente la chiamano in un altro modo – lavoro di squadra o comunicazione.»
Incoraggiare l'esercizio
Una catena di alberghi internazionale stava ricevendo dai propri clienti segnali di insoddisfazione sulla qualità dell'ospitalità loro riservata dal personale. Perciò la direzione decise di offrire a tutti i dipendenti che avessero un contatto diretto con i clienti un training designato a potenziare la loro intelligenza emotiva D training consentì loro di esercitarsi a essere più consapevoli dei propri sentimenti mostrando poi come servirsi di quella consapevolezza per cortocircuitare i sequestri dell'amigdala. Insegnò anche a sintonizzarsi sui sentimenti degli ospiti e a influenzare positivamente i loro stati d'animo.
Tuttavia, il direttore del training e dello sviluppo si lamentò con me dicendo che non se ne trasse alcun beneficio – anzi, le cose sembrarono andare un poco peggio.
Quanto durò il programma di training?
Solo un giorno.
Qui sta il problema. La competenza emotiva non può essere migliorata nell'arco di una notte, dal momento che il cervello emotivo impiega settimane o mesi – e non ore o giorni – a cambiare le proprie abitudini. Il vecchio modello di sviluppo dà tacitamente per scontato che il cambiamento abbia luogo in modo immediato e teatrale: si mandano i dipendenti a un seminario di un paio di giorni e voilà, te li ritrovi trasformati. Come conseguenza di questo assunto erroneo, gli individui sono sottoposti a brevi training che producono scarsi effetti duraturi – e poi, probabilmente, se i miglioramenti attesi non si materializzeranno, finiranno per dare la colpa a se stessi (o ad essere incolpati dai supervisori) attribuendosi una certa mancanza di volontà o determinazione. Un seminario o un corso rappresentano un punto di partenza, ma non sono sufficienti di per se stessi.
Le persone apprendono una nuova capacità più efficacemente se hanno ripetute opportunità di esercitarla nell'arco di un lungo periodo di tempo, invece di dover concentrare la stessa quantità di esercizio in un'unica seduta intensiva.11-23 Sebbene ovvia, questa semplice regola empirica viene spesso ignorata nel training. Un altro errore è quello di passare troppo tempo limitandosi a parlare della competenza, senza dedicarne abbastanza a esercitarla realmente in una situazione controllata. In uno studio sui programmi di training per manager e venditori, Lyle Spencer Jr. e Charley Morrow analizzarono il modo in cui il tempo dedicato al training veniva suddiviso fra l'apprendimento di informazioni riguardanti la competenza ed esercizio vero e proprio. Rispetto alla mera presentazione dei concetti, le sedute di esercitazione pratica avevano un impatto doppio sulla prestazione lavorativa. Nell'esercitazione pratica durante il training, l'utile sul capitale investito era di sette volte superiore a quello prodotto dalle sedute meramente didattiche.11-24
«Se per insegnare come dare un feedback ci si serve della simulazione – invece di limitarsi a descrivere i cinque principi di un feedback efficace senza dare alcuna opportunità di esercitarsi – l'impatto del training sarà molto più forte», osserva Spencer.
Raggiungere il punto in cui una nuova abitudine sostituisce quella vecchia richiede moltissimo esercizio. Come mi disse un manager di un'agenzia governativa, «qui la gente viene spedita al training, poi torna al lavoro e non ha alcuna opportunità di sperimentare ciò che ha appreso. Perciò torna alle sue vecchie abitudini – il training non ha mai la possibilità di essere applicato al lavoro.» Il sovrapprendimento – quando l'individuo esercita a tal segno una nuova abitudine da spingersi ben oltre il punto in cui ormai può eseguirla bene – riduce grandemente la probabilità di un ritorno alla vecchia abitudine quando l'individuo sarà sotto pressione.11-25 Studi clinici sulla modificazione del comportamento hanno riscontrato che quanto più a lungo le persone lavorano al cambiamento, tanto più durevole esso sarà. Settimane sono meglio di giorni; mesi sono meglio di settimane. Per abitudini complesse come la competenza emotiva, il periodo di esercizio necessario per ottenere l'effetto massimale può essere compreso fra i tre e i sei mesi, o forse di più.11-26 (Per ulteriori informazioni sulla questione della pratica, si veda l'Appendice 5.)
Una regola empirica per migliorare la competenza emozionale: per addestrare capacità che vengono migliorate o aggiunte al repertorio di un individuo – ad esempio quella di diventare un migliore ascoltatore – occorre meno tempo di quello necessario per un apprendimento correttivo. Abitudini da lungo tempo instauratesi, come l'irascibilità o un atteggiamento perfezionista, sono profondamente radicate. In tali casi, occorre lavorare sia per disimparare la vecchia abitudine automatica, sia per sostituirla con quella nuova, migliore.
Il tempo esatto che un individuo impiegherà per dominare una competenza emotiva dipende da una varietà di fattori. Quanto più complessa è la competenza, tanto più tempo sarà necessario per padroneggiarla; la gestione del tempo, che attinge solo da alcune competenze (a tal proposito, due elementi essenziali sono l'autocontrollo – che è necessario per resistere alla tentazione di attività che fanno perder tempo –, e l'impulso a realizzarsi, che stimola il desiderio di migliorarsi diventando più efficienti), può essere padroneggiata più rapidamente, tanto per dire, della leadership, una competenza di ordine superiore che si fonda su più di una mezza dozzina di altre competenze.
Un programma efficace incoraggerà l'individuo a esercitarsi anche nel tempo libero. Sebbene probabilmente ci saranno ragioni di lavoro per coltivare una competenza come l'ascolto, quasi sicuramente essa emergerà anche nella vita privata. Consideriamo queste cifre interessanti. I partecipanti a un programma biennale, a tempo pieno, di scienze aziendali passano solitamente 2500 ore ai corsi o a svolgere i compiti loro assegnati. Tuttavia, assumendo che dormano in media sette ore per notte, in quei due anni stanno svegli per 10500 ore. La domanda è: «Che cosa imparano durante le altre 8000 ore?».
Questa domanda, posta da Richard Boyatzis e altri ideatori del corso della Weatherhouse School, portò ad affermare che l'apprendimento autoguidato potrebbe e dovrebbe proseguire ovunque e ogni qualvolta ne sorga l'opportunità. Analogamente, non passiamo tutte le nostre ore di veglia al lavoro (anche se può sembrare che sia così). Soprattutto quando si tratta di competenza emotiva, tutta la vita può essere teatro del cambiamento; in questo caso, la vita stessa è l'aula scolastica.
Questo atteggiamento promuove un «riversamento positivo», nel quale le capacità affinate per il lavoro si rivelano vantaggiose anche in altri aspetti della vita. Ad esempio, un supervisore che apprenda ad ascoltare più efficacemente i dipendenti, porterà quella competenza a casa, dove la metterà a frutto parlando con i suoi bambini. Questo riversamento positivo è visto come un esplicito vantaggio da alcune società, come la 3M, dove un programma ideato per abbassare i costi sanitari punta intenzionalmente ad aumentare la resistenza dei dipendenti allo stress sia al lavoro che a casa.
Organizzare forme di sostegno
L'uomo, vicepresidente di una delle più grandi aziende alimentari americane, con un baccalaureato in ingegneria e un master in scienze aziendali, aveva un QI superiore a 125. Al presidente della compagnia avrebbe fatto piacere promuoverlo. Ma c'era un problema: se non avesse cambiato il suo stile, il vicepresidente non avrebbe ottenuto la promozione.
Poco socievole e introverso, egli si sentiva più a suo agio a inviare memo e messaggi e-mail che non a trattare con i colleghi faccia a faccia. Alle riunioni era spesso ostile, combattivo e dittatoriale. «Se non avesse smesso di comportarsi così non avrebbe ottenuto la promozione», afferma lo specialista nel training di alti dirigenti chiamato dalla compagnia per dare una mano a questo manager, altrimenti tanto promettente.
Il trainer lavorò a tu per tu con il vicepresidente. «L'ho aiutato a riconoscere le situazioni a cui è più reattivo, in modo che possa evitare quelle dove ha maggiori probabilità di perdere la pazienza. Gli ho insegnato a servirsi del dialogo con se stesso, come fanno gli atleti, per prepararsi alle situazioni nelle quali è soggetto a irritarsi – quando le affronta dovrà ricordare a se stesso: "Non lascerò che mi succeda, non perderò le staffe". E gli ho mostrato una tecnica per troncare la collera quando la sente montare nel suo corpo: irrigidire tutti i muscoli e poi lasciarli andare tutti in una volta. È un metodo di rilassamento muscolare rapido.»
Le sedute proseguirono per mesi, finché il vicepresidente riuscì a controllare la propria collera. Queste lezioni a tu per tu sugli elementi fondamentali della competenza emotiva sono sempre più comuni nelle aziende americane, in particolare per i dipendenti tenuti in grande considerazione. Questa forma di guida è una delle molte in cui si può offrire un sostegno. Anche i mentori possono servire esattamente allo stesso scopo.
Sebbene la concezione standard del ruolo del mentore sia quella di una figura che favorisce lo sviluppo della carriera, essa può contribuire anche a potenziare la competenza emotiva. Come ha scoperto Kathy Kram, direttrice del master in scienze aziendali per dirigenti presso la School of Management della Boston University, nel suo fondamentale studio sui mentori, gli individui possono trarre due tipi di beneficio da questo genere di rapporto: un aiuto per la propria carriera (ad esempio protezione, visibilità e sponsor), come pure consiglio e guida.11-27
Nel corso naturale delle relazioni che hanno luogo sul lavoro, si impara molto, indipendentemente dal fatto che esse siano ritenute o meno momenti formativi. Come sottolinea Judith Jordan, una psicologa di Harvard, ogni relazione è un'opportunità affinché entrambi i partner esercitino le proprie competenze personali e pertanto crescano e migliorino insieme.11-28
Questo apprendimento da ambo le parti ha luogo in modo naturale nelle relazioni fra colleghi, in cui gli individui possono spontaneamente alternarsi nel ruolo di mentore e discente, a seconda dei loro punti di forza e dei loro limiti. «Alcune compagnie, come la Bell Atlantic, hanno sperimentato dei circoli appositi», mi racconta Kathy Kram. «Hanno cercato di mettere insieme dei gruppi di dirigenti di medio livello, tutte donne, che affiancano a un dirigente più esperto, per discutere di problemi comuni sul lavoro. Parlano fra loro delle proprie esperienze, ripensano a come avrebbero potuto essere gestite e così ampliano il proprio repertorio di strategie per affrontare quelle stesse situazioni in futuro. L'effetto netto è stato quello di aumentare la loro competenza sociale ed emotiva.»
Nel caso in cui manchi un mentore formale, una possibile strategia è quella di trovarsi una guida temporanea, una persona abile in una particolare capacità o competenza, che farà da consulente per un periodo di tempo limitato. Questa situazione differisce dal vero e proprio rapporto con un mentore in virtù della sua natura temporanea e orientata all'obiettivo. Come ha scoperto Kram, ogni relazione con qualcuno che abbia un'esperienza o una competenza superiori può rappresentare un'opportunità di apprendimento. Le persone che sviluppano molteplici relazioni con vari colleghi competenti in aree diverse sono quelle con le maggiori probabilità di migliorare.
Nel contesto del training sulle competenze emotive offerto dalla American Express Financial Advisors, i partecipanti spesso si scelgono un «compagno di apprendimento», una persona che collabori con loro fornendo un incoraggiamento continuo anche dopo essere tornati al lavoro da molti mesi. «I partecipanti si mettono d'accordo per offrirsi sostegno reciproco, per incontrarsi normalmente a pranzo o telefonarsi regolarmente», spiega Kate Cannon. «Possono discutere di qualsiasi abitudine stiano cercando di modificare – ad esempio l'eccessivo preoccuparsi, o il tentativo di essere più sicuri. Si aggiornano reciprocamente, a consigliano, fanno il tifo l'uno per l'altro.»
Questi sistemi di amicizie aumentano la probabilità che le capacità facenti capo all'intelligenza emotiva, apprese nel training, siano trasferite al contesto del lavoro.11-29 Il ruolo-guida di queste relazioni può rivelarsi utilissimo nei momenti difficili: «Se il tuo compagno sa che una persona tende a farti perdere le staffe, potrebbe aiutarti dandoti un segnale che ti ricordi di prepararti subito prima dell'incontro», spiega Cannon. Questo tipo di supporto immediato è più facile quando, come avviene all'American Express, un intero gruppo di lavoro partecipa insieme al training.
Gli studenti della Weatherhead School sono raggruppati in team di dieci-dodici persone, ciascuno con un facilitatore e un dirigente d'azienda che funge da consulente. Inoltre ogni partecipante ha un mentore – un manager di medio livello o un professionista. Alla Weatherhead School, la combinazione costituita dal gruppo di colleghi, dal consulente e dal mentore offre agli studenti la possibilità di rivolgersi a diverse persone per ottenere il sostegno necessario mentre cercano di rafforzare le proprie competenze.
Fornire modelli
Nell'apprendere un nuovo comportamento, avere accesso a qualcuno che esemplifichi la competenza nella sua forma migliore è di immenso aiuto. Noi impariamo osservando gli altri; se una persona sa darci dimostrazione di una competenza, è per noi una scuola vivente.11-30
Per questo motivo, chi insegna le competenze emotive dovrebbe incarnarle. Qui, il mezzo è il messaggio: i trainer che si limitano a parlare di queste competenze – ma che agiscono in modo da rendere fin troppo evidente che non le possiedono – indeboliscono il messaggio. Quando si tratta di insegnare a qualcuno come usare un programma per il computer, il calore umano dell'istruttore ha un'importanza relativamente limitata. Ma diventa essenziale quando si deve aiutare un individuo a essere più espressivo ed empatico nel trattare con i clienti, o a controllare la propria collera alle riunioni dei dirigenti.
Nel programma JOBS «era chiaro che ci servivano trainer che impersonassero le competenze sociali ed emotive», mi disse Robert Caplan. «Quello fu il principio fondamentale che ci guidò nella selezione dei trainer, come pure nel loro addestramento. E per mantenerne il livello di competenza, demmo loro valutazioni e feedback continui su queste competenze. Quel principio- deve permeare la cultura del gruppo che offre il training.»
In generale, noi plasmiamo il nostro comportamento sul modello di individui di status elevato presenti nella nostra organizzazione – il che significa che possiamo assorbire sia le loro abitudini negative che quelle positive.11-31 Quando coloro che lavorano sono esposti alle intemperanze di un supervisore – uno che, tanto per fare un esempio, li rimproveri arbitrariamente – essi tendono a loro volta a essere meno tolleranti e più duri nel loro stesso stile di leadership.11-32
Alla Eastman Kodak, un manager mi disse: «Ai vecchi tempi, eravamo tutti nella stessa sede, qui a Rochester, seduti uno accanto all'altro. Li vedevi tutti i giorni, imparavi a conoscere il loro stile, ti guidavano, o comunque eri esposto a dei buoni modelli di ruolo – persone che sapevano come stabilire un rapporto, come ascoltare, instaurare la fiducia, farsi rispettare. Ma ora la gente è disseminata dappertutto, le persone sono isolate in unità più piccole. Non ci sono più le stesse opportunità di imparare queste abilità soft.»
Poiché esistono meno opportunità di essere esposti a dei modelli di queste competenze, e che esse ci vengano così trasmesse, aggiunge il manager, si percepisce l'esigenza di assicurarsi in modo più intenzionale che le persone le apprendano. «Abbiamo un piano di sviluppo per assicurarci di preparare i dipendenti nelle abilità che faranno di loro individui di successo: non solo nelle abilità tecniche e analitiche – ma in capacità importanti per la leadership come la consapevolezza di sé, la capacità di persuasione, l'affidabilità.»
Incoraggiare e rinforzare
Prendiamo l'esempio di due infermiere in una casa di cura. Una era dura e brusca con i pazienti, a volte addirittura al punto da essere crudele. L'altra era un modello di attenzione premurosa.11-33 L'infermiera dura, tuttavia, finiva sempre i compiti assegnatile in tempo e seguiva gli ordini; quella gentile a volte per aiutare un paziente passava sopra alle regole, e spesso finiva il suo lavoro in ritardo, in larga misura perché trascorreva più tempo a parlare con gli assistiti. I supervisori davano all'infermiera fredda le massime valutazioni, mentre quella premurosa si ritrovava spesso nei pasticci, e riceveva valutazioni di gran lunga inferiori. Ma come è possibile questo, quando la missione dichiarata della casa di cura era proprio quella di prestare cure premurose?
Questi abissi fra la missione e i valori abbracciati da un'organizzazione da una parte e ciò che poi realmente accade in essa dall'altra diventano evidentissimi quando la gente è incoraggiata a coltivare competenze emotive che poi, nella prassi quotidiana, non vengono sostenute. Il risultato è quello di avere dei dipendenti più competenti sul piano emotivo di quanto richieda il loro lavoro o di quanto sia apprezzato dall'organizzazione.
Un'organizzazione può aiutare i dipendenti a migliorare le proprie competenze emotive non solo offrendo dei programmi a tal fine, ma anche creando un'atmosfera che gratifichi, addirittura che celebri, questo miglioramento di sé. Dopo tutto, i nostri tentativi di cambiare sono efficaci soprattutto quando hanno luogo in un'atmosfera che ci fa sentire sicuri.11-34 Per svilupparsi, una competenza deve essere significativamente esercitata – e perché ciò accada deve essere apprezzata sul lavoro, e questo deve trasparire dai criteri di selezione, dall'assegnazione degli incarichi, dalle promozioni, dalle analisi delle prestazioni e simili. Questo potrebbe significare, ad esempio, ricompensare gli sforzi di coloro che fanno da mentori ad altri; inserire nel processo di valutazione delle prestazioni anche le attività di guida e di training nelle competenze emotive; dare opportunità di feedback a 360 gradi, e occasioni di training delle competenze.
Per far presa, una competenza in fase di sviluppo deve essere espressa durante la reale situazione di lavoro. Un mancato collegamento fra ciò che è stato appena appreso e la realtà lavorativa implica un'estinzione del materiale appreso.
Quando quella sorta di «esaltazione da training» evapora, spesso l'entusiasmo che mettiamo nel seguire fino in fondo ciò che abbiamo imparato in un programma si estingue. Il fatto che in un'organizzazione si respiri un clima di sostegno oppure no, viene spesso menzionato dai partecipanti ai programmi di training come fattore in grado di determinare in quale misura essi riescano poi a applicare al proprio lavoro ciò che hanno appreso.11-35
Forse il clima di sostegno ottimale per il training si crea quando un intero gruppo collabora per coltivare insieme le competenze, come accade in alcuni gruppi dirigenti dell'American Express Financial Advisors. In questi team tutti, leader compreso, si impegnano nel training delle competenze emotive. Le riunioni dello staff sono occasioni per dare feedback e supporto; inoltre, si trova il tempo per discutere come le persone se la stiano cavando con i propri obiettivi di competenza emotiva.
All'American Express, la valutazione dei talenti degli alti dirigenti fa uso di un elenco che comprende le competenze emotive. «Ogni dirigente senior completa l'elenco per i dipendenti appartenenti a un'unità, e ogni vicepresidente fa la stessa cosa per se stesso», spiega Cannon. «Poi discutono sulle aree in cui sono emerse delle differenze. Infine presentano le conclusioni al presidente della compagnia. A contare davvero, qui, sono cose come le capacità nelle relazioni interpersonali, l'abilità di motivare se stessi e gli altri, e le abilità che fanno capo alla padronanza di sé.»
Poco dopo aver preso la guida del Banker's Trust New York, il nuovo presidente e direttore generale Frank Newman si mise al lavoro con un'azienda di consulenza per aumentare la consapevolezza degli alti dirigenti riguardo alle capacità umane di cui la compagnia aveva bisogno per rimanere competitiva.11-36 Il risultato fu un programma che dimostrava come non bastasse più concentrarsi esclusivamente sui profitti: ai fini delle promozioni e delle retribuzioni, le capacità di management contavano come le prestazioni finanziarie.
Come fece Newman a guadagnarsi l'attenzione dei banchieri e degli uomini d'affari? Almeno in parte, seguì lui stesso ogni seduta – e fra gli insegnanti c'erano i membri del consiglio direttivo della banca. Come disse il loro capo dello sviluppo: «In questo modo, nessuno può uscirsene dicendo "il mio capo mi ha detto che non è importante".»
Valutare
La raccomandazione, in primo luogo, è quella di stabilire delle misure ragionevoli dei risultati, soprattutto per le competenze che sono state oggetto del training, e includere anche delle misure sulla prestazione lavorativa. I disegni migliori prevedono misure pre- e post-training, più un monitoraggio a lungo termine da effettuarsi a distanza di diversi mesi dal completamento del programma; occorre inoltre prevedere la presenza di gruppi di controllo ai quali i partecipanti siano assegnati in modo randomizzato. Sebbene questo ideale possa essere difficile da soddisfare, esistono delle alternative, ad esempio quella di usare le misurazioni basali dei partecipanti al posto del gruppo di controllo, oppure quella di confrontare le modificazioni avvenute nelle competenze oggetto di training con quelle riscontrabili nelle capacità non affrontate dal programma. E se un training si dimostra insufficiente, le informazioni disponibili dovrebbero essere usate per migliorarlo in occasione del ciclo successivo.
Ma questi semplici principi non sono seguiti praticamente da nessuna parte. Invece, esiste un divario lacerante fra quello che si dovrebbe fare, stando a quanto dimostra la ricerca, e il modo in cui il training viene condotto e valutato nella realtà. Un'indagine sulle 500 aziende americane con il maggior fatturato annuo ha rilevato che i responsabili del training credevano che la principale ragione per valutare i programmi fosse quella di determinare se essi si traducessero in un profitto. Ciò nondimeno, i loro programmi di training erano sottoposti a pochissime valutazioni obiettive.11-37
La fonte più comune di dati sulla valutazione era rappresentata dalle valutazioni date dai partecipanti, seguita dal fatto che ci fossero o meno continue richieste di training – ma queste misure somigliano di più a un sondaggio sulla popolarità che non a indicatori obiettivi della modificazione della prestazione. La ricerca dimostra che fra la soddisfazione espressa dai partecipanti al training e il loro apprendimento, o il loro effettivo miglioramento sul lavoro, la correlazione era nulla: come si legge in un'analisi, «il fatto che una cosa piaccia non implica il suo apprendimento».11-38
Il metodo di valutazione migliore – un'analisi obiettiva dell'impatto dell'intervento formativo sulla prestazione lavorativa, da effettuarsi prima e dopo il training – non era usato regolarmente da nessuna azienda. Il dieci per cento delle compagnie affermò di essersi servita di quel disegno sperimentale solo a volte, sebbene molte di quelle valutazioni si concentrassero esclusivamente sul cambiamento di atteggiamento, e non su una qualsiasi modificazione della prestazione lavorativa.
Ma la situazione sta lentamente cambiando. Uno dei progetti di valutazione del training più ambiziosi mai messi a punto è quello attualmente in uso alla Weatherhead School of Management.11-39 Qui, gli studenti che hanno partecipato al training sulle abilità manageriali sono invitati a prender parte a un programma di monitoraggio per vedere quali vantaggi, ammesso che ce ne siano, siano stati loro offerti, ai fini della carriera, dalla coltivazione di tali capacità. Nelle intenzioni, il progetto andrà avanti per i prossimi cinquant'anni.