– XX –
La corsa nei campi con i suoi due amici le aveva portato consiglio: Mia sapeva cosa fare.
L’ambiente universitario europeo era davvero formidabile. Si conoscevano studenti che provenivano da molteplici nazioni, con esperienze e competenze le più disparate e inimmaginabili. Le usanze, i cibi, le musiche, i modi di fare e di dire delle altre genti, arricchivano almeno quanto le discipline accademiche, e contribuivano a costruire una solida visione del mondo.
Gli aperò nei bar del centro erano momenti indimenticabili. Le questioni politiche, culturali e le filosofie sul destino dell’umanità venivano sviscerate fino al diverbio. Così come le battaglie sulle appartenenze, dalle futilità ai massimi sistemi: vino o birra; Windows o Mac; iPhone o Samsung; Wright o Le Corbusier; Platone o Aristotele; ragione o sentimento.
E poi le feste, i concerti, i teatri, il cinema, i viaggi, e le notti bianche a dividersi l’ultima birra sotto il plumbeo cielo zurighese.
Mia ricordava oggi come fosse allora, il viaggio di studio a Berlino, con i colleghi dell’ultimo anno del master in architettura: una brutta avventura.
Avevano dedicato l’intera giornata a Karl Friedrich Schinkel, architetto tedesco di fine Ottocento. La visita si era conclusa nel parco del castello di Charlottenburg, e quale ultima tappa il Schinkel Pavillon. Erano tutti stanchi, e visitarono di corsa il padiglione: volevano rientrare. Mia, colpita dalla bellezza di quell’edificio, si attardò e decise che sarebbe rientrata per conto suo. Uscì al crepuscolo quasi assieme al personale. Attraversò il fiume e s’incamminò sulla Mierendorffstrasse, verso la stazione della metropolitana di Mierendorffplatz. Nei pressi del parco due uomini le scambiarono qualche battuta, la ragazza le ignorò e proseguì per la sua strada. Uno dei due iniziò a seguirla. Mia accelerò e l’uomo fece lo stesso. Presa dal panico incominciò a correre, girandosi in continuazione e cercando di capire le intenzioni del suo inseguitore, ma l’uomo d’un tratto sparì. Spaventata e trafelata ridusse la sua velocità e iniziò a guardarsi attorno con ansia e preoccupazione. Non appena vide una casetta e la fine del parco, riprese coraggio: era quasi arrivata. “Prendo un taxi, dopo questo scherzo non ho più voglia di avventurarmi sulla metropolitana” pensava “che orrenda fine giornata. Era meglio se rimanevo con gli altri.”
La casetta di servizio aveva due portici. Uno davanti, verso lo slargo principale della Mierendorffplatz, che serviva da bus-stop, e uno dietro usato quale disimpegno dei servizi pubblici.
D’improvviso una stretta violenta alla gola le tolse il respiro. L’uomo che la stava inseguendo, comparso fulmineo dal nulla, la prese con una mano per il collo e con l’altra le immobilizzò il braccio destro dietro la schiena. Con impeto la strattonò verso l’ingresso di un localino che divideva i due servizi. Mia era diventata paonazza e cercava il respiro con forza: la stretta la stava soffocando. L’uomo mollò la presa sul collo, e attese che la sua vittima riprendesse il fiato e smettesse di tossire. Le mise la mano davanti alla bocca, e roteando il braccio dietro la schiena in modo da causarle dolore, iniziò a fissarla con uno sguardo truce e perverso. Mia avrebbe voluto gridare ma la voce le si strozzò in gola e atterrita rimase con gli occhi spalancati e in lacrime che imploravano pietà. Il bruto mostrò la sua gialla dentatura ed emanando un alito nauseabondo, pronunciò delle folli parole di morte “Stai buona e zitta altrimenti ti spiaccico sul muro.”
Mia abbassò le palpebre, strinse i pugni e iniziò a pensare al peggio: d’improvviso l’uomo non la teneva più.
Si girò di colpo.
Un giovanotto piuttosto robusto l’aveva agguantato per il bavero della giacca e scaraventato a terra. L’aggressore, con uno scatto si era rialzato, con destrezza aveva fatto comparire un coltello a farfalla, e pronto al duello se lo passava da una mano all’altra.
Lo sguardo torvo e inferocito del delinquente espresse d’un tratto stupore, il coltello gli sfuggì di mano e volò in aria. Il giovanotto che lo aveva atterrato, con rapidità, lo schiacciò sotto il suo piede. Un altro giovane, uscito in quell’istante dal bagno degli uomini, gli aveva mollato una tremenda pedata nel sedere, facendogli perdere l’arma, l’equilibrio e l’aggressività. Il losco figuro, conscio della sua inferiorità, con uno scatto si dileguò.
“Aho! Te faccio clonà e poi meno a te e a quell’artro” gli aveva gridato uno dei giovani.
Mia si ricordava benissimo quella battuta in romanesco, e non se la sarebbe mai più dimenticata. Così come la gioia che provò nel vedere il suo compagno di corso Gaspare, che assieme al suo amico Giulio, studente di storia dell’arte, gironzolavano ancora per Berlino. Li aveva abbracciati entrambi e da quel giorno divennero grandi amici.
“Giulio forse mi può aiutare. È uno storico, appassionato e so che a Zurigo ha fatto dei corsi d’approfondimento sugli insediamenti romani. Ora è tornato a Roma. Gli mando una mail.”
Caro Giulio,
come stai? Spero bene. Io invece, come diresti tu “sto sotto a ’n treno.”
Mi è capitato di tutto in questi ultimi tempi e mi serve un tuo consiglio. Spero di non annoiarti se ti racconto le mie recenti vicissitudini.
La grandissima gioia per aver ricevuto, dal Consiglio di Fondazione della Domus Rhenus, l’incarico di effettuare il rilievo tipologico della recente scoperta a Augusta Raurica si è trasformata in tragedia.
Di certo saprai della Domus Rhenus, e non sarò io a spiegarti l’importanza dell’evento storico-archeologico.
Fatto sta che tutto il mio lavoro, mesi di fatica, impegno e tribolazioni non c’è più: mi hanno rubato i disegni del rilievo e tutto quanto avevo prodotto sia su carta sia in digitale. La polizia sta indagando.
I miei committenti l’hanno presa malissimo. Mi hanno accusato di poca professionalità perché non ne ho conservato delle copie in un luogo sicuro. Pensa che avevo persino comprato un piccolo armadietto antincendio, e lì dentro conservavo diverso materiale: non avevo però pensato al furto. Mi accusano di superficialità: che dramma. Chi mai avrebbe pensato una cosa del genere: un furto di brutte, appunti e sottomani, oltre che a tutta la parte grafica digitalizzata? Mai e poi mai, avrei pensato che vi fosse un interesse per dei disegni di un rilievo di una vecchia villa romana.
Non mi hanno pagato un lavoro di mesi, e con molta probabilità, oltre a non pagarmi mi chiederanno i danni.
Mi spiace affliggerti con i miei fastidi, ma scriverti si è rivelato uno sfogo benefico.
Sono tornata a casa, in America, e anche lì mi sono imbattuta in avvenimenti spiacevoli che ti racconterò quando ci vedremo (spero presto).
Ti ho conosciuto durante una brutta avventura, e con Gaspare mi avete salvato: ricordi? Tranquillizzati. Stavolta, per fortuna, non è in gioco la mia vita o la mia incolumità: solo problemi professionali, almeno spero.
Le tua competenze e conoscenze storiche sugli usi nell’Impero romano, forse mi potranno aiutare a verificare un’ipotesi, che per il momento preferisco non dettagliare.
Avrei bisogno di sapere se gli antichi Romani, come i faraoni nelle piramidi, utilizzavano dei passaggi segreti, delle camere segrete o altri stratagemmi architettonici, per mimetizzare degli spazi all’interno dei loro edifici. Se sì, quali potrebbero essere e in che modo identificarli?
Ti ringrazio per il tuo aiuto.
Caro Giulio, scusami se non mi sono fatta sentire. Spero davvero di rivederti presto.
Baci
Mia