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Il Pollo e io andiamo a Ivrea tutti i martedì, a trovare il cliente. La prassi vuole che si vada con una macchina in affitto, mai in treno come piacerebbe a me.

Leopoldo Poldi Bini, detto il Pollo, è il mio account senior. È biondo, appassionato di cavalli e abita in via Cappuccio con la moglie Gentucca Galli, figlia dei biscotti Galli. Veste all'inglese e quando racconta storielle i suoi occhietti gialli ammiccano.

Quando non racconta storielle parla di cavalli, o dell'Inter, la sua squadra del cuore. A modo suo il Pollo è spiritoso e affettuoso, ma sono sollevata quando ci accompagnano a Ivrea anche i media e i creativi.

I media sono in realtà una persona sola: Stefania di Cusano Milanino. Stefania ha l'apparecchio ai denti e quando siamo a metà strada, nei pressi dell'autogrill di Novara, racconta del marito odontotecnico che, dopo averle impiantato l'apparecchio, l'ha lasciata il giorno del primo anniversario di nozze proprio in quell'autogrill, mentre andavano a Courmayeur. Piangendo, le ha confessato di essersi innamorato di un'altra, e lei non è voluta risalire in macchina.

A questo punto del racconto il Pollo comincia a fare battute – che secondo lui dovrebbero distrarla – sul fatto che Stefania sia senza tette. Lei non ride, ma i creativi sì.

I creativi sono Salvo e Giuseppe, la coppia di art e copy napoletani incontrati alla reception la prima volta che entrai alla HBO: due simpatici cialtroni che investono tutte le loro energie nell'organizzare fine settimana a Londra, dove si riforniscono di T-shirts e sneakers con le quali camuffarsi da individui creativi. Salvo ha preso il diploma di perito alberghiero a San Giorgio a Cremano, dove ha una moglie ventenne e un bimbo, mentre Giuseppe è figlio di un notaio di Posillipo ed è stato fidanzato a lungo con Nunzia, la sorella di Salvo, «una femmina che mi ha lasciato per un contrabbandiere con lo Squalo blu, chillu sfaccimm'».

Salvo e Giuseppe, grandi amici, sono «saliti a Milano insieme», come raccontano con grandi risate citando Totò e Peppino, sinceramente convinti di fare una citazione molto cool. Sono ignoranti, curiosi, carini, allegri e si fanno amare da tutti perché non sono permalosi.

 

Il cliente è l'azienda che produce gli assorbenti Climax, uno dei principali budget della HBO. Gli uffici sono a Ivrea, in periferia, dentro a un palazzone moderno con la mensa interna divisa tra mensa dirigenti e mensa impiegati. Noi arriviamo sempre alle dieci del mattino e facciamo subito tre ore di riunione con il product manager, il direttore marketing e il direttore commerciale della Climax. Poi il cerimoniale prevede la pausa pranzo alla mensa dirigenti e il caffè al bar degli impiegati, dove lo fanno più buono, prima di cominciare un'altra riunione alla quale ogni tanto compare anche il dottore, l'amministratore delegato della Climax.

Il dottore è un anziano signore fiorentino con i capelli bianchi, piccolo di statura, che entra in sala riunioni in camicia e cravatta urlando: «E di donne voi 'un ci capite 'na sega. Vogliono esse' belle anche cor marchese», ammiccando verso me e Stefania, che arrossisce.

La Climax commissiona alla HBO due campagne televisive all'anno: una per gli assorbenti esterni e una per gli assorbenti interni, insieme a due campagne stampa. Di fatto, tutte le proposte dell'agenzia vengono rifiutate, e lo spot che va in onda è frutto della fantasia del dottore: una ragazza con i pantaloni bianchi, in bicicletta, passa sopra una pozzanghera e spalanca le gambe gridando quanto si sente bella e sicura anche «in quei giorni».

L'unica variante della campagna è il colore della scritta "Climax e vai!": arancione d'estate e azzurra d'inverno, ma un anno anche verde d'estate e blu d'inverno.

I creativi, il Pollo, Stefania dei media, il direttore marketing, il product manager, io: tutti campiamo su quella variante di colore, l'unica cosa che il dottore non decide personalmente. Il resto – dalla modella, alla location, allo storyboard, alla pianificazione delle campagne televisive e stampa, agli spot radiofonici – lo decide il dottore insieme alla moglie Lucetta, insegnante di latino in pensione. Lui si porta a casa i nostri lay-out, sempre ridendo e urlando: «'Un ci capite 'na sega», e poi li riporta con le correzioni della signora Lucetta, bravissima copy: la comunicazione degli assorbenti Climax è sempre la più efficace e i Climax sono leader del mercato.

Io mi vergogno per gli insulti che il dottore rivolge a Salvo e Giuseppe, loro invece si comportano come se quella manfrina fosse una loro geniale strategia per far passare le idee migliori, lasciando al dottore la convinzione di decidere tutto lui. In realtà le loro proposte, scontate e banali, non passano mai, mentre quelle che escono sui giornali e in tv sono sempre le campagne pensate dal dottore e sua moglie Lucetta.

Al ritorno, Giuseppe chiacchiera allegramente di nuovi locali, di deejay, dell'albergo scelto per il prossimo viaggio a Londra e dei concerti che vedrà, tormentando Stefania che vive fuori Milano, lavora il triplo e guadagna un quarto di quanto guadagna lui.

In quelle trasferte, il mio compito è portare la grande borsa nera dei lay-out con la scritta HBO, indossare i tailleur che mi regala Ermanno e prendere appunti. Sto sperimentando come un abbigliamento adeguato possa da solo ricoprire un ruolo. Io non so niente di marketing, ma ho questi tre tailleur meravigliosi, costosissimi, e li alterno, abbinandoli alle scarpe con i tacchi alti, altro dono di Ermanno: un paio addirittura di pelo leopardato, un paio di coccodrillo nero e un paio marroni, tutte di uno stilista francese. L'abbigliamento basta a far sì che il mio ruolo di account junior abbia un senso e venga giustificato e apprezzato.

Durante le riunioni scarabocchio sul mio blocco d'appunti, sognando di lanciare un assorbente interno usato sulla camicia bianca del product manager dopo averlo fatto roteare ben bene tenendolo per il cordoncino. O di saltare sul tavolo e cantare: "El pueblo unido jamás será vencido" scuotendo il pugno contro il Pollo.

Mi sento estranea, ridicola, superiore e inferiore a tutti, completamente fuori posto e in maschera. Ma, al tempo stesso, so che quel che sto facendo in qualche modo misterioso servirà, è una sorta di pegno che devo pagare, una via crucis penosa ma necessaria per arrivare al mio obiettivo, nonostante non sappia ancora quale sia. So solo che non sono io, questa tizia con i tacchi e il tailleur grigio nella sala riunioni.

Io sono ancora, e sarò sempre, la ragazza del Conte, quella che sorveglia la porta del bagno mentre lui si fa una pera sciogliendo l'eroina con l'acqua non potabile, sul treno per Venezia.

 

Oltre alla Climax, seguo aziende minori con piccoli budget, che ci invitano a pranzo una volta alla settimana in magnifici ristoranti di Treviso o Parma. Il mio ruolo con loro cresce: oltre a portare la borsa dei lay-out, mettere i tacchi e cercare di far rispettare ai creativi i tempi per la presentazione delle campagne – loro lo chiamano "timing" – devo far conversazione con i clienti, industriali e amministratori di provincia che mal sopportano i modi aristocratici del Pollo e preferiscono parlare con me.

Torniamo dai pranzi di lavoro sempre un po' brilli, e un pomeriggio, sulla Bologna-Milano, sfondiamo un guard-rail e ci ribaltiamo in un campo di trifoglio, sfasciando la Volvo Station Wagon del Pollo, che per una volta non ha voluto affittare l'auto ma andare con la sua. Salvo di San Giorgio a Cremano, che non ha messo la cintura di sicurezza, si rompe una clavicola, il bacino e un dente, Giuseppe si ferisce il viso e le braccia con le schegge del parabrezza. Io me la cavo con tre punti sotto al mento e una botta al ginocchio.

Il Pollo, che guidava, non si fa niente, ma ci estrae valorosamente dalle lamiere e ci assiste con premura fino all'arrivo dell'ambulanza. Il presidente, in premio, gli compra una Volvo nuova, con i sedili in pelle.

 

Dopo due anni di convivenza, lascio Ermanno.

È brutto ritrovarsi sola, specialmente all'ora di cena. Alle otto, il mio stomaco reclama il branzino di Ermanno. Alle undici, le mie braccia e le mie gambe vuote rimpiangono il suo abbraccio. Ma per strada, mentre scendo le scale del metrò per andare al lavoro, sono di nuovo io.

Sono di nuovo io, senza mezzi, e trasloco da casa di Ermanno in taxi, con la sacca di gomma rossa. La prima sera che passo da sola, nel monolocale subaffittato da una collega dell'agenzia, mi viene un attacco di panico.

Stesa sulla moquette grigia fisso il soffitto soppalcato senza riuscire a respirare. Telefono al dottor Santiago che mi dice di gonfiare la pancia e di prendere tre gocce di Rescue Remedy. Spero che venga a visitarmi di persona, ma non lo fa.