Solovet studiò Luxa per un istante, poi fece cenno a un paio di guardie. — Fatelo. Rinchiudete anche il suo alato.

Gregor si costrinse a guardare mentre la afferravano e la trascinavano, urlante, lungo il corridoio. Luxa colpiva le guardie ma le sue parole erano dirette a Gregor, piene d’odio per quel tradimento. Disse cose che lo ferirono nel profondo. Disse che non avrebbe mai dovuto fidarsi di lui. Che era malvagio quanto Henry. E anche se i suoi strepiti non accennavano alla questione, era sicuro di aver perduto tutto l’affetto che poteva aver provato per lui. I sentimenti di Gregor, invece, si erano solo rafforzati quando l’aveva tradita. Così restò a guardare finché le guardie non girarono l’angolo in fondo al corridoio, facendola uscire dalla sua vita per sempre. In quel momento, per lui era prezioso persino vedere il disprezzo negli occhi di Luxa.

Quando lei sparì, frugò nella tasca posteriore dei pantaloni per accertarsi di avere ancora la fotografia che avevano scattato al museo. Era lì. Non la tirò fuori. Ma più tardi, in qualche galleria o in qualche grotta, mentre gli altri dormivano, avrebbe passato un po’ di tempo a guardarla. A dire all’immagine di Luxa quello che non avrebbe mai avuto la possibilità di spiegarle di persona.

— È stata una mossa saggia, Gregor. Lei ti odierà per sempre, ma col tempo comprenderà che quanto hai fatto era necessario — commentò Solovet in tono brusco. Poi tornò a studiare la mappa sulla parete.

Chissà come mai, avere il beneplacito di Solovet non consolò affatto Gregor. Provava un’avversione profonda per quella donna. Una donna per cui cose come trasformare la peste in un’arma e dare fuoco ai ratti erano mosse sagge. Avrebbe decisamente preferito che lo disapprovasse.

Comparve Vikus, che gli diede dei colpetti sul braccio. Gregor non si era nemmeno accorto che il vecchio fosse presente. — Non ti odierà per sempre. Vuole ancora bene a Henry, che ha messo in pericolo la sua vita. Pensi che non vorrà bene a te, che hai cercato di salvarla?

— Dubito che lei la veda così — ribatté Gregor. — E comunque è fatta. Evitiamo di parlarne.

— Partiamo dal fiume tra un’ora. Gregor, tu devi andare in armeria a prepararti — disse Solovet.

Un’ora? Tutto lì, quello che gli era rimasto? — Mi vestirò durante il viaggio. Vorrei stare con le mie sorelle.

— Loro vengono con noi. Lizzie può ancora esserci utile come decifratrice. E Boots radunerà i brulicanti. Tranquillo, le terrò ben lontane dagli scontri.

Con Solovet non c’era modo di discutere. E le motivazioni che aveva addotto per portare le sue sorelle erano valide. Eppure…

— Saranno al sicuro — aggiunse Ripred. — Contaci. Da una furia a un’altra furia.

Quando Gregor raggiunse l’armeria, trovò del cibo portato apposta per lui. Dopo che ebbe mangiato, Miravet lo spedì a lavarsi nel bagno vicino. C’era un che di definitivo, in quel cerimoniale. Ultimo pasto caldo, ultimo bagno, ultimo cambio d’abiti. Mentre si vestiva, entrò Howard, venuto a curargli le ferite. — Sembra che tu stia molto meglio — osservò Gregor.

— Perché ho dormito per due giorni di seguito — ribatté Howard.

— Oh, cavolo! Dovevo svegliarti… Scusami, ma Ripred mi ha mandato nella stanza delle profezie e me ne sono completamente dimenticato — si giustificò Gregor.

— Non preoccuparti. Sono praticamente l’unica persona lucida dell’ospedale. Deve pur essercene almeno una — disse Howard. — Le tue ferite sono molto migliorate. — Tolse i punti dal polpaccio di Gregor, ma lasciò quelli sul fianco e mise delle bende pulite. Poi riempì di nuovo la bottiglietta di antidolorifico. — Ecco fatto — concluse, rialzandosi. — Adesso devo rientrare.

“È l’ultima volta che vedo Howard” pensò Gregor. Si alzò in piedi e lo salutò con un abbraccio. — Tieni d’occhio Luxa, d’accordo?

— Come se fosse mia sorella — promise Howard. — Vola alto, Gregor.

— Vola alto — rispose lui. Avrebbe desiderato dire di più. Che era grato a Howard per tutto quello che aveva fatto. Che se avesse avuto un fratello maggiore, l’avrebbe voluto proprio come lui. Una persona gentile e coraggiosa che non aveva paura di dire che teneva a qualcosa o di ammettere che aveva avuto torto. Ma adesso sarebbe stata Luxa ad avere Howard come fratello, e quello era più importante.

L’armatura di Gregor, recuperata dalla terrazza, era stata pulita e riparata. Miravet aveva fatto qualche modifica in modo che fosse più comoda all’altezza delle ferite. Quando fu vestito, una bimba si precipitò nell’armeria con lo zaino rosa che Gregor si era portato dietro l’ultima volta che era stato nelle Terre Infuocate. L’aveva buttato da qualche parte in ospedale e, preoccupato per Luxa, se ne era dimenticato. Conteneva la torcia elettrica che gli aveva restituito York, le batterie, il nastro adesivo, le bottiglie per l’acqua, i biscotti di Lizzie e la scacchiera da viaggio. — Howard mi ha pregato di portarti questo — disse la piccola. — Pensava che potessi averne bisogno.

— Ringrazialo da parte mia. Mi sarà di grande aiuto — rispose Gregor. La bambina gli rivolse un timido sorriso e scappò via.

Quando arrivò al molo sul fiume, Gregor scoprì che vi si stava svolgendo una cerimonia solenne. I Sottomondo celebravano i riti funebri per i morti. Il corpo di ogni umano, pipistrello o topo veniva posto su una piccola zattera ottenuta intrecciando fibre vegetali di qualche genere. Una fiaccola era inserita in un apposito supporto vicino alla spalla del cadavere. Una donna salmodiava sottovoce parole che Gregor non afferrava. Poi la zattera veniva calata nel fiume e lasciata andare. Anche se non era più così impetuosa come prima del terremoto, la corrente era comunque abbastanza forte da trascinare via in fretta quelle fragili imbarcazioni. Lungo la galleria, fin dove riusciva a vedere, c’erano fiaccole che si riflettevano sull’acqua.

Allora era così che seppellivano i loro morti. Li affidavano al fiume su una zattera illuminata perché raggiungessero il mare immenso della Distesa d’Acqua, dove sarebbero stati inghiottiti dalle onde. Aveva senso. Non c’era abbastanza terra per le sepolture. Gregor aveva visto quello che avrebbe definito semplice terriccio solo nella giungla e nei campi coltivati. Le pietre sarebbero state adatte, ma soltanto fuori dalla città. Avrebbero potuto bruciare i corpi, se fossero stati al massimo due o tre, ma quando invece erano centinaia? Il fumo avrebbe saturato l’aria. E lì non c’erano i venti impetuosi delle Terre Infuocate a spazzarlo via.

I sei ragazzi che aveva visto in precedenza portarono una barella con un ratto morto, che fu scaricato nel fiume senza tante cerimonie.

Ares atterrò sul molo accanto a lui. — Quanti morti… — commentò Gregor.

— Sì — replicò il pipistrello. — E a centinaia hanno già intrapreso questo viaggio.

— Com’è stato lo scontro con i ratti? — chiese Gregor. Voleva sapere cos’era successo mentre lui era nella stanza delle profezie.

— Quando ci è giunta notizia dell’invasione, i rodenti erano appena entrati in acqua dalla galleria a nord di qui. Abbiamo aspettato di vederli nuotare e li abbiamo attaccati dall’alto. Per loro era molto difficile stare a galla e difendersi, ma erano tantissimi. Ne abbiamo uccisi molti, però alcuni sono riusciti a penetrare nel palazzo. Un gruppo ha fatto irruzione in ospedale e ha trucidato i pazienti. Altri hanno invaso i corridoi e hanno combattuto là dove hanno incontrato resistenza. Alla fine, sono stati respinti di nuovo sul fiume, e quelli che hanno potuto si sono salvati a nuoto.

— Niente Flagello? — chiese Gregor.

— Niente Flagello. Lui ha ripiegato verso il suo territorio. Gli altri andranno a cercarlo e raduneranno l’esercito — rispose il pipistrello.

Gregor ci mise un momento per riconoscere il topo che stavano deponendo sulla zattera successiva. Da morto sembrava più piccolo, più vulnerabile. — È Cartesian?

— Sì, è morto difendendo la nursery — spiegò Ares. — Ma i cuccioli sono salvi.

Gregor si sentì invadere dalla tristezza. Non aveva conosciuto bene il topo, ma avevano viaggiato insieme. Assistito alla morte dei piluccatori vicino al vulcano. Giocato a nascondino con Boots e i cuccioli. Si avvicinò e accarezzò il pelo morbido di Cartesian prima che calassero il suo corpo in acqua. Ripred gli aveva detto: “Tutti quelli che per te sono importanti, respirano ancora”. Quella frase doveva riferirsi alla sua famiglia e a Luxa. Ma c’erano tanti altri che gli stavano a cuore. Chissà se erano vivi o morti?

Arrivarono gli altri componenti della spedizione. Lizzie, Hazard e Boots, in braccio ad altrettante guardie, avevano gli occhi bendati. — Non c’è motivo di fargli venire gli incubi — disse Ripred. Gregor ripensò al macabro panorama dei corridoi e fu contento di quella premura.

Ares era il più adatto a portare Ripred, perciò Gregor, le sue sorelle e Temp si unirono a Vikus sul suo grande pipistrello grigio, Euripedes. Solovet era accanto a loro in groppa al suo alato, Ajax.

— Saluti, Pincipessa — disse Boots, alle spalle di Gregor. Lui si voltò e vide la piccola sbirciare Nike da sotto la benda.

— Saluti, Pincipessa — ribatté Nike, sollevando le ali a strisce bianche e nere.

— Siamo tutte e due pincipesse — rise Boots.

Gregor le risistemò la benda sugli occhi. — Resta lì sotto, tu. — Si girò verso Nike. — È bello vederti. Vieni con noi?

— Porto alcuni decifratori — rispose Nike. Reflex e Heronian le salirono sul dorso. — Dedalus e Min rimangono qui.

— Ma il loro lavoro non è finito, ormai? — chiese Gregor.

— Ci sono ancora moltissime informazioni da decifrare — intervenne Ripred. — E il codice potrebbe cambiare all’improvviso.

Mentre decollavano, Gregor si rese conto di non aver detto addio a tanti amici. Mareth, Dulcet, Nerissa, Aurora… be’, magari non Aurora, che era rinchiusa nelle segrete con Luxa e probabilmente lo stava maledicendo anche lei. Forse era meglio così. Quell’unico saluto a Howard l’aveva prosciugato. E ce ne sarebbero stati altri, più penosi, nelle ore a venire. Pensò che i suoi amici avrebbero capito.

Volarono lungo la galleria e uscirono sulla Distesa d’Acqua, che scintillava alla luce delle fiaccole poste sulle zattere dei morti. Furono raggiunti da circa cinquanta soldati sui pipistrelli, accompagnati da un buon numero di topi. — I topi vengono a combattere? — chiese Gregor a Vikus.

— Questi no. Loro hanno un obiettivo particolare. I ratti ricevono ancora informazioni dalle spie che hanno in zona. Abbiamo scelto quattro linee di comunicazione da sabotare. Metteremo fuori combattimento il ratto che trasmette il codice, lo sostituiremo con un piluccatore e forniremo notizie false ai rodenti — spiegò Vikus. Gregor vide alcuni soldati e un piluccatore staccarsi dal gruppo e scomparire nell’oscurità. — Ecco che parte la prima squadra.

— Che genere di notizie contate di fornire ai rodenti? — chiese Gregor.

— Bugie. Diremo loro che le nostre perdite sono più alte del previsto, che non possiamo radunare forze sufficienti per seguirli, che tu sei morto per le ferite inflitte dal Flagello — rispose Vikus. — I ratti non sanno che abbiamo decifrato il Codice dell’Artiglio, quindi prenderanno per vere queste informazioni.

— Ecco perché Ripred ha voluto tenerlo segreto.

— È l’arma più potente che abbiamo. L’elemento che può fare la differenza tra perdere o vincere la guerra. I ratti crederanno di essere al sicuro, per il momento. Ma presto li attaccheremo sulla Piana di Tartarus, dove si stanno radunando.

— Un attacco a sorpresa.

— Mentre dormono, quando non sono in grado di reagire. È la nostra speranza migliore. Regalia rischia ancora di essere distrutta. Le ruspe hanno creato vie di accesso all’arena e forse ad altre zone della città. Abbiamo eliminato quelle che siamo riusciti a trovare, ma chi lo sa quante ce ne sono? Se il Flagello è vivo e i ratti attaccano di nuovo, non credo che potremo difendere Regalia.

Quando alla fine si fermarono davanti all’imbocco di una galleria, il gruppo si era notevolmente ridotto: i piluccatori addetti alla trasmissione del codice e le loro scorte armate li avevano lasciati, mentre i soldati erano atterrati qualche chilometro prima. Solovet era scesa da non più di cinque minuti quando annunciò che se ne sarebbe andata anche lei.

— E dove? — chiese Gregor.

— I tessitori non hanno ancora trovato un accordo sulla fazione da sostenere. Esigono che mi impegni personalmente a garantire la loro sicurezza al termine della guerra — rispose Solovet. — Vi raggiungerò tra due giorni sulla Piana di Tartarus. Se ti batterai prima di allora, non dimenticare che il tuo punto debole è il lato sinistro.

E detto questo, salì su Ajax e partì, affiancata dalle ex guardie del corpo di Gregor, Horatio e Marcus, in groppa ai loro pipistrelli. Era proprio da lei andarsene così, lasciando giusto un suggerimento tecnico come saluto.

Decisero che si sarebbero accampati lì per un po’. Ripred e Vikus si scambiavano idee, studiando attentamente le mappe. Lizzie, Reflex e Heronian erano occupati a decodificare messaggi recapitati da alcuni pipistrelli. Nike e Ares, insieme alle due guardie rimaste e ai loro alati, facevano a turno per pattugliare la zona. Boots, Temp e Hazard giocavano a uno dei loro giochi in lingua brulicante.

Gregor rimase abbandonato a se stesso. Si addentrò nella galleria e si esercitò con la spada e il pugnale. La schiena gli faceva ancora male, ma riteneva che in battaglia non se ne sarebbe neanche accorto. Era bello poter usare i muscoli. Quando si fu scaldato, aggiunse anche l’ecolocalizzazione al suo allenamento, correndo al buio per la galleria e colpendo certi punti prestabiliti sulle pareti e sul soffitto. Era una liberazione non doversi preoccupare di continuo che le batterie si esaurissero.

Dopo circa mezz’ora, si sentiva sciolto e in buona forma. Decise di cercare di convincere Ripred ad allenarsi con lui per un po’. Forse il ratto avrebbe gradito una pausa da quelle mappe. Ma quando Gregor raggiunse l’ingresso della galleria, nessuno stava facendo niente. Ogni attività era stata sospesa.

— Cosa succede? — chiese Gregor.

— Abbiamo appena intercettato un messaggio. I ratti sanno che Solovet sta andando dai tessitori. Hanno intenzione di tenderle un’imboscata e ucciderla — rispose Ripred.

— Come fanno a saperlo? — si stupì Gregor. — Ci hanno individuati?

— No. Uno dei tessitori deve aver fatto trapelare la notizia. Forse un soldato di basso livello, forse la regina stessa. Tra loro ci sono grossi contrasti: alcuni vorrebbero schierarsi con noi, altri coi ratti — disse Vikus. Sembrava calmo, ma la sua pelle aveva una strana sfumatura grigia.

— Allora la seguiamo. Ares e io. Possiamo sorprenderli. Prendiamo, non so, una cinquantina di soldati con noi e… — iniziò Gregor.

— No, ragazzo. Non possiamo — lo interruppe Ripred.

— Ma è quasi senza scorta. La lasciate volare verso la morte così? — si infervorò Gregor.

— Sì. È quello che facciamo. È quello che dobbiamo fare — disse Vikus, come se cercasse di convincere se stesso.

— D’accordo, non so cosa vi prende. A me Solovet non piace neanche, ma non rimarrò qui ad aspettare che muoia! — esclamò Gregor.

— Devi farlo, Gregor! — intervenne Lizzie. — Non capisci? Se andiamo a soccorrerla, sapranno che abbiamo decifrato il codice.

— Cosa? — chiese Gregor.

— Per leggere quel messaggio dovremmo per forza aver decifrato il codice. E se scoprono che lo abbiamo fatto, non ci sarà nessun attacco a sorpresa, perché cambieranno immediatamente il loro punto d’incontro. Tutte le bugie che gli stiamo rifilando saranno considerate sospette. E loro creeranno subito un nuovo codice che potrebbe richiedere settimane per essere decifrato — spiegò Ripred.

— Ma avete scoperto che i ratti avrebbero attaccato dal fiume e vi siete mossi in base a quelle informazioni — obiettò Gregor.

— Quello era facile da spiegare. I ratti erano così vicini che ci è bastato mandare alcuni ricognitori sul fiume e fingere di scoprirli. Questo caso è completamente diverso — precisò Ripred.

— Lei non vorrebbe che cercassimo di salvarla — intervenne Vikus con voce roca. — Non a questo prezzo.

— Ma… forse potremmo… forse potremmo far credere che l’avremmo seguita comunque — suggerì Gregor. — Quello non susciterebbe sospetti.

— Tu credi? Se Solovet avesse voluto viaggiare con un esercito, avrebbe viaggiato con un esercito. Uno squadrone di copertura che spunta all’ultimo momento sarebbe una chiara indicazione del fatto che abbiamo decifrato il Codice dell’Artiglio — replicò Ripred.

Gregor non era ancora del tutto pronto ad accettarlo. — Deve pur esserci qualcosa che possiamo fare.

— C’è, infatti — disse Ripred. — Possiamo sederci e aspettare.