Gregor rimase a fissarla mentre in testa gli frullavano le possibili alternative. Scappare. Lottare. Mettersi a ridere. Protestare. Mostrarsi offeso. Parlar chiaro. Non fare niente.

Vinse l’opzione del non fare niente.

— Non posso permettermi di lasciare che tu sparisca per qualche altro picnic — aggiunse Solovet. — Vieni da me tra un’ora. Discuteremo del tuo futuro.

Si allontanò, lasciando Gregor in compagnia dei due formidabili soldati. Li valutò e stabilì che aveva fatto bene a decidere di non lottare. Erano alti, muscolosi e dall’espressione arcigna. Uomini di Solovet in tutto e per tutto. Una volta sguainate le spade, Gregor non sapeva proprio se avrebbe avuto una possibilità contro di loro. Forse sì, se i suoi poteri si fossero manifestati. Quando si trasformava in furia, come i Sottomondo chiamavano quello stato particolare, diventava un combattente preciso e mortale. Ma non poteva mai essere sicuro che accadesse. Tutto sommato, era meglio stabilire dei buoni rapporti con le guardie.

— Biscotto? — chiese, offrendo il pacchetto. I due uomini fecero segno di no con la testa. — Be’, mia sorella ne vorrà di certo. È probabile che sia insieme ai topi. Venite. Da questa parte. — Gregor indicò loro di seguirlo e si avviò verso la vecchia nursery. Assunse un’andatura molto zoppicante, tanto per dimostrare che il suo ginocchio era davvero malconcio e che non aveva modo di scappare. “E adesso?” pensò. “Come diavolo faccio a seminare questi due?”

Se la prese comoda, sperando di essere colpito dal fulmine di qualche idea geniale. Ma non fu così. Avrebbe dovuto fare del suo meglio con quello che aveva.

La nursery si trovava in un’ala quasi deserta del palazzo. Per quanto riuscì a capire guardando di sfuggita, quasi tutte le altre stanze del corridoio erano utilizzate come depositi.

Una luce calda filtrava dalla porta della nursery. Entrò e sentì uno strillo di gioia. — Gre-go! — Boots arrivò di corsa e gli buttò le braccia intorno alle ginocchia. Lui mise giù la scatola e sollevò la bambina per un vero abbraccio.

— Ehi, Boots — disse, affondando il viso nella testolina ricciuta. Sapeva di bagno alle erbe, di latte e della solita, dolce Boots. Era un odore rassicurante, e per un attimo si sentì quasi bene. Poi intravide la tartaruga di pietra in fondo alla stanza, il muso contorto in un ringhio crudele. — Cosa fai di bello?

— Aiuto Dulcie con i topolini — rispose Boots. Puntò il dito verso la rientranza in cui la tata, Dulcet, aveva sistemato un nido fatto di coperte. In quel momento, Dulcet era seduta proprio lì, con i sei cuccioli che le zampettavano intorno.

Nel nido era sdraiato anche Cartesian, il topo adulto che Gregor aveva riportato dalle Terre Infuocate. Aveva entrambe le zampe anteriori ingessate ed era ancora molto debole. Ma aveva un aspetto molto migliore di quando Gregor l’aveva visto per la prima volta, dato per morto e abbandonato ai piedi di una rupe, circondato da decine di piluccatori che non erano sopravvissuti alla caduta. Uno dei topolini si arrampicò sul dorso di Cartesian. Doveva fargli male, ma lui non mosse un muscolo per fermarlo.

— Saluti, Gregor — disse Dulcet. Inarcò leggermente le sopracciglia. — Vedo che hai compagnia.

Gregor si guardò alle spalle e vide Horatio e Marcus di sentinella sulla soglia della nursery. — Sì, sono le mie nuove guardie del corpo.

— Horatio, Marcus, vi dispiacerebbe molto stare fuori dalla porta? Temo che possiate spaventare i piccoli piluccatori — chiese Dulcet.

— Abbiamo ordine di scortare il Sopramondo in ogni momento — rispose Horatio, dubbioso.

— Prometto che sarà al sicuro, nelle mie mani — replicò Dulcet con una risata.

Per un attimo il viso di Horatio perse la sua durezza e Gregor si rese conto che aveva un debole per Dulcet. “Cavolo” pensò. “È così facile per la gente capire che adesso mi piace Luxa?”

— Immagino che possiamo rischiare di stare fuori dalla porta — concesse Horatio. — Vieni, Marcus.

— Grazie, Horatio — disse Dulcet. Gregor studiò il suo viso in cerca di un segno. No, lei non ricambiava i sentimenti di Horatio. Oppure era molto più brava a nasconderlo. Per un istante si chiese se avrebbe potuto convincerla a distrarre le guardie mentre lui si infilava nel guscio della tartaruga, ma poi abbandonò l’idea. Non voleva metterla nei guai con Solovet. In un modo o nell’altro, avrebbe dovuto farla uscire dalla nursery prima di fuggire.

Boots si fece mettere giù e andò a sedersi tra le coperte. — Io cullo i piccoli. — Raccolse il cucciolo più vicino e cominciò a farlo dondolare tra le sue braccia. Lui si lasciò cullare per un po’, poi si divincolò, le posò le zampe anteriori sulla spalla e si mise a giocare con uno dei suoi riccioli. Boots ridacchiò. — Ai topolini piacciono i miei capelli.

Gregor si accovacciò accanto al nido e accarezzò il pelo vellutato di uno dei cuccioli. — Ti ricordi di me? — chiese a Cartesian. Nelle Terre Infuocate, il topo era sempre stato in preda al delirio o sotto potenti sedativi e Gregor non pensava di essergli rimasto particolarmente impresso. Ma si sbagliava.

— Tu sei il guerriero — disse Cartesian. — Sì, mi ricordo di te. Hai notizie dei nostri amici nelle Terre Infuocate?

— No, Mareth ha detto che hanno mandato due divisioni in loro soccorso. Ma non ho ancora saputo niente — rispose Gregor, rifiutandosi di immaginare quello che forse stava accadendo sul campo di battaglia proprio in quel momento. — Conosci questi cuccioli?

— Sono i figli di mia sorella — replicò Cartesian. — Pensava che sarebbero stati meglio sul fiume che sotto il dominio dei rodenti.

— Aveva ragione — commentò Gregor, ricordandosi i piccoli topi che aveva visto morire asfissiati in quella fossa vicino al vulcano. — Lei è…?

— Non lo so. Non vorrei parlare di questo davanti a loro — disse Cartesian, indicando i cuccioli con una delle zampe ingessate. — Cominciano a capire la lingua degli umani e hanno già abbastanza motivi per farsi venire gli incubi.

— Scusami — mormorò Gregor, dispiaciuto per aver anche solo sollevato l’argomento. — Ehi, Boots, ti va di fare una sorpresa ai piccoli?

Boots si avvicinò trotterellando alla scatola e fu contentissima di trovarvi i biscotti. Se ne cacciò subito uno in bocca. — Mmm — disse.

— Buono, eh? Perché non ne offri uno anche agli altri? — suggerì Gregor. Le mise i biscotti tra le mani, facendo attenzione a non togliere il pacchetto di alluminio dalla scatola e rivelare così le scorte per il viaggio che aveva nascosto sotto.

— Ho le cose buone! — gridò Boots, sputacchiando briciole dappertutto. Entusiasta, distribuì i biscotti a tutti quelli che erano nel nido.

I cuccioli cominciarono a rosicchiarli, tra allegri schiocchi di lingua. Gregor sorrise mentre osservava la scena, ma la sua mente lavorava freneticamente. “Devo uscire di qui. Adesso!” pensò. Era probabile che Ares stesse già sorvolando la Falda.

Ma lui come poteva far uscire tutti dalla stanza?

Suggerendo la visita di qualche altra parte del palazzo? Sarebbe sembrato bizzarro perché Cartesian non era in grado di andare molto lontano, con quelle zampe malconce.

Fingendo di far cadere per sbaglio una fiaccola e dando fuoco a qualcosa? No, pessima idea. Sarebbe arrivata altra gente. E se il fuoco fosse sfuggito al controllo, qualcuno avrebbe potuto farsi male. I piccoli si sarebbero spaventati e avrebbero cercato di nascondersi e… un momento! Ecco come!

— Chi vuole fare un gioco? — chiese Gregor, battendo le mani per richiamare l’attenzione. I cuccioli parvero capire piuttosto bene, perché si raccolsero intorno a lui, saltellando con aria di attesa.

— Io! Io! — esclamò Boots.

— E a cosa giochiamo, Boots? — disse Gregor. La scelta della bambina era quasi scontata.

— Nascondino! Nascondino! — strillò lei, e il fratello sospirò di sollievo.

— Benissimo, fantastico. Nascondino. I topi sanno come si gioca? — si informò.

— Oh, sì — rispose Dulcet. — Ci abbiamo giocato molte volte, qui dentro. Ti riuscirà difficile trovare un nascondiglio che loro non abbiano già scoperto.

— Allora non va bene. Magari potremmo usare qualcuna delle stanze lungo il corridoio — suggerì Gregor.

— Sì, ci avevo pensato, ma da sola sarebbe stato difficile tenerli d’occhio — replicò Dulcet. — Forse adesso potremmo farcela, con te e Cartesian. Stare qui comincia ad annoiarli.

— Certo, ti do una mano io — disse Gregor. — Aspetta solo che mi tolga questo. — Si slacciò il cinturone con la spada e lo posò sulla scatola. Era dura mollare la sua arma.

— Oh, e abbiamo Horatio e Marcus! — aggiunse Dulcet. Le guardie apparvero sulla soglia nel momento stesso in cui sentirono i loro nomi. — Vogliamo giocare a nascondino. Potete aiutarci?

All’inizio i due non furono d’accordo, ma poi Dulcet li convinse a mettersi alle estremità del corridoio. In quel modo, gli altri avrebbero potuto giocare servendosi di sei stanze, ma nessuno sarebbe riuscito ad allontanarsi senza passare davanti a loro. O così pensavano tutti, a parte Gregor.

Lui e Dulcet fecero una rapida ispezione delle stanze, ma nessuna conteneva qualcosa di particolarmente pericoloso. In un paio c’erano dei vecchi mobili. In altre avevano stipato coperte, ceste e rotoli di corda. Una era stata un bagno, in passato, ma adesso l’acqua era chiusa, quindi somigliava più a un parco giochi di pietra. In sostanza, molti bei posti sicuri in cui nascondersi.

Cartesian uscì arrancando nel corridoio per assistere. La prima a “stare sotto” fu Boots, poi un paio di cuccioli, e dopo ancora Dulcet. Mentre gli altri si nascondevano, chi era sotto sedeva vicino a Cartesian. Lui si accertava che nessuno sbirciasse e aiutava i più piccoli a contare adagio fino a venti. Gregor entrò nella nursery due volte, sperando di avere l’occasione per scappare, ma in entrambi i casi vi si era nascosto anche un topolino. Il tempo stringeva. Presto il gioco sarebbe finito. E anche se Ares era riuscito a sgattaiolare fuori dall’ospedale senza farsi vedere, era possibile che lo stessero già cercando.

Tic, tac, tic, tac, tic, tac, tic, tac, tic, tac, tic, tac

— Va bene — annunciò alla fine del turno di Dulcet. — Tocca a me stare sotto.

Si mise il più vicino possibile alla nursery, per scoraggiare chiunque dal nascondersi lì, si coprì gli occhi e cominciò a contare fino a venti. — Uno, due, tre, quattro… — Gregor sentì i topi zampettare via, il rumore dei sandali di Boots, risatine e squittii soffocati. Nessuno si nascose nella nursery. — … diciotto, diciannove, venti. Preparatevi, arrivo!

Gregor osservò il corridoio. Horatio e Marcus erano ai loro posti, le braccia conserte, gli occhi puntati su di lui. Guardò dentro una stanza, poi finse di aver sentito qualcosa nella nursery e vi entrò. Nell’attimo stesso in cui uscì dalla visuale delle sue guardie, Gregor afferrò la scatola e il cinturone e corse alla tartaruga di pietra. Cacciò la mano nella bocca della creatura e fece scattare il meccanismo che apriva il guscio. Lo sollevò, si infilò dentro e lo richiuse silenziosamente dietro di sé. Nel timore che dalla tartaruga potesse filtrare anche la minima luce, scese la prima rampa di scale nel buio completo. Da sopra non si sentivano ancora rumori di passi. Estrasse una torcia da sotto i biscotti e la accese. “Vai” pensò. “Più veloce che puoi.” I suoi piedi volarono lungo i gradini. Non tentò neppure di fare piano. Quando avessero scoperto che era scomparso, ci sarebbe stato il caos, poi Solovet avrebbe ordinato che la stanza venisse rivoltata da cima a fondo e avrebbe scoperto il passaggio. Gli sarebbe piaciuto poter mantenere il segreto più a lungo, per il bene di Luxa, ma era proprio per il suo bene che aveva dovuto servirsene.

In fondo alla scala, per poco non andò a sbattere contro la seconda tartaruga, quella col ghigno malevolo. Mentre ne apriva il guscio, avvertì vagamente le grida provenienti da parecchi piani più su. Sporse la testa nell’aria umida che avvolgeva la Falda.

— Lasciati cadere, Sopramondo — sentì dire ad Ares in tono pressante, così Gregor saltò nel vuoto. Il pipistrello lo raccolse all’istante, e si allontanarono insieme a tutta velocità.

— Io sono scappato per un pelo — disse Gregor, mettendo la scatola dietro di sé, mentre allacciava la spada alla cintura. — Tu?

— I dottori mi hanno dato quindici minuti per fare esercizio sul fiume. Ma è stato parecchio tempo fa — rispose Ares. — Ci inseguiranno.

— Certo — ribatté Gregor. — Nessuno mi ha visto infilarmi nella tartaruga, però mi hanno visto entrare nella stanza. Adesso troveranno il passaggio.

— Forse è un bene. Se tutti quelli che conoscono il segreto dovessero morire nelle Terre Infuocate, almeno qualcuno ne sarà a conoscenza — disse Ares. — Potrebbe fornire una via di fuga se il castello venisse assediato.

— Questo è vero — commentò Gregor, pensando a sua madre e a Boots.

Cominciò subito a organizzarsi. Si fissò una torcia all’avambraccio sinistro con il nastro adesivo e agganciò l’altra alla cintura. Il nastro, le batterie, le scarpe, le bottiglie per l’acqua e i biscotti rimasti andarono nello zaino rosa. Ficcò lì dentro anche il set degli scacchi, anche se non sapeva proprio che utilità potesse avere. Poi gettò la scatola nel buio e si appiattì sul dorso di Ares per ridurre il più possibile la resistenza all’aria.

Il pipistrello seguì una rotta completamente diversa per tornare alle Terre Infuocate. Non volarono attraverso le solite ampie caverne, ma percorsero una serie di gallerie più piccole e tortuose. A un certo punto, Gregor dovette addirittura smontare per permettere a entrambi di infilarsi in una fenditura nella parete di roccia. Poi ripartirono lungo altre gallerie.

— Come l’hai trovata, questa strada? — chiese Gregor.

— Con Henry. Passavamo molte ore a cercare percorsi alternativi. Era essenziale, visto che molto di quello che facevamo non era permesso — rispose Ares.

Henry era il cugino di Luxa e il precedente vincolato di Ares. Li aveva traditi e consegnati tutti ai ratti durante la prima spedizione di Gregor nel Sottomondo. Né Luxa né Ares parlavano spesso di lui. All’inizio, Gregor aveva pensato che fosse perché erano arrivati a odiarlo. In seguito, però, aveva capito che era perché gli volevano ancora bene. Quando saltava fuori il nome di Henry, le loro voci si facevano tese, gli occhi si riempivano di sofferenza.

Era quello, il difficile.

Tenevano ancora a lui.

Non erano capaci di cancellarlo e basta.

— Perciò questa strada è abbastanza sicura? — chiese Gregor.

— Nessuno ci troverà — confermò Ares. — Dormi, se puoi.

Anche se credeva che non sarebbe riuscito a dormire, con tutti i pensieri che aveva per la testa, Gregor si sdraiò lo stesso. Ma doveva essere davvero molto stanco perché, prima ancora che se ne accorgesse, Ares lo stava svegliando. Si trovavano di nuovo sulla rupe che dominava la giungla, là dove avevano salutato i loro amici un paio di giorni prima. Il viaggio doveva essere durato sei o sette ore. Ares era stanco morto.

— Devo dormire — disse il pipistrello. — Ma non per molto.

Ares cadde subito in un sonno profondo mentre Gregor montava la guardia. Lavò le bottiglie e le riempì alla sorgente. Infilò le scarpe nuove e le allacciò. Si esercitò a sferrare fendenti all’aria con la spada di Sandwich. Che arma! Aveva quasi l’impressione che gli bastasse pensare a dove piazzare un colpo perché la lama fosse già lì. All’inizio immaginò che il merito fosse tutto della spada. Poi si rese conto che un po’ era anche merito suo. In quel momento non era in pericolo, ma l’energia della furia ronzava sommessa nel profondo del suo essere. Smise di esercitarsi e il ronzio si interruppe. Ricominciò e quello riprese vita. Possibile che cominciasse finalmente ad acquisire un minimo di controllo sulle sue capacità? Il pensiero gli diede sicurezza, ma quella sicurezza era comunque attenuata dal ricordo dei fallimenti passati. Però, se avesse imparato ad accendere e spegnere l’interruttore della furia… sarebbe stato straordinario.

Ares si svegliò dopo un paio d’ore. Pescò un pesce che mangiarono in fretta. Bevvero a sazietà dalla sorgente.

— Pronto? — chiese Gregor. Tentò di trovare in sé la stessa impassibilità del cavaliere di The Cloisters.

— Sì — rispose Ares. — Sono pronto per qualsiasi cosa ci attenda. Torniamo alla Regina? — Era il nome con cui la profezia precedente indicava il vulcano che aveva causato la morte dei piluccatori. Ed era l’ultimo posto in cui avevano visto sia i topi sia i ratti che li avevano catturati.

— Sì, cominciamo da lì — approvò Gregor, saltandogli in groppa.

Il pipistrello ripercorse la strada per il vulcano, volando attraverso le gallerie ancora coperte da alti strati di cenere.

Quando ne uscirono, la Regina era tranquilla. I topi e Thalia, il piccolo pipistrello che Ares aveva deposto nella fossa dove erano morti i piluccatori, erano stati sepolti dalla colata di lava.

Non c’era alcuna traccia di loro.

Ares non impiegò molto per individuare la loro meta. Sfrecciarono attraverso la vasta caverna e dentro una galleria lunga e bassa.

Anche le orecchie di Gregor cominciarono ad avvertire i rumori. Urla, stridii, metallo contro pietra. L’aria si fece densa di polvere.

Gregor sguainò la spada per prepararsi a ciò che lo aspettava. Ma mentre uscivano dalla galleria rimase senza fiato e per poco non perse la presa sull’arma.

Niente che avesse affrontato fino a quel momento l’aveva preparato alla vista di una battaglia tra ratti e umani.