Gregor non si cambiò nemmeno e si mise a correre. I Sottomondo non usavano la parola “emergenza” alla leggera. Cos’era successo? Boots era caduta e si era ferita? Si era strozzata con qualcosa? E in questo caso, perché non l’avevano portata direttamente in ospedale? O si trattava di un altro tipo di emergenza? Era evidente che aveva logorato i nervi di tutti i decifratori. Uno di loro le aveva fatto qualcosa? Forse Ripred era tornato e l’aveva minacciata in qualche modo e lei aveva perso la testa. Era improbabile che lo scarafaggio o il pipistrello le avessero fatto del male. E il topo era così debole che riusciva appena a muoversi. Ma quel ragno verde! Magari l’aveva intrappolata nella sua ragnatela. Gregor faceva ancora fatica a fidarsi dei ragni. Il suo viaggio nel loro territorio, quando aveva creduto che lo avrebbero mangiato per cena, era stato tutto fuorché rassicurante.

Mentre sfrecciava lungo lo stretto corridoio, il piede gli scivolò su qualcosa. Sangue. Qualcuno aveva perso sangue e lasciato una scia che arrivava fino alla porta. — Boots! — gridò. Se le avevano fatto del male, se le avevano torto anche solo un capello…

Boots si precipitò in corridoio. — Gre-go! Gre-go! — lo chiamò, angosciata.

Lui la prese in braccio e le passò le mani tra i riccioli, in cerca di ferite. — Cosa c’è? Stai bene? Qualcuno ti ha fatto del male?

— No, io sto bene. Dentro! Dentro! — Boots gli tirò la camicia per farlo entrare nella sala. Ormai del tutto confuso, Gregor varcò la porta. E lì, accovacciata al centro del pavimento di pietra, c’era l’altra sua sorella, Lizzie.

— Oh, no — disse Gregor. Non aveva idea di come o perché fosse arrivata. Ma sapeva che non era il momento di chiederglielo. Infatti, anche se non perdeva sangue neanche lei, Lizzie era nel pieno di uno dei suoi attacchi di panico e stava malissimo. Ansimava, tremava come una foglia e aveva il palmo delle mani lucido di sudore. Suo padre glielo aveva spiegato. La reazione di “lotta o fuga” era innata in ogni creatura. Si innescava in situazioni di pericolo, rilasciando nel corpo una scarica di adrenalina che aiutava ad affrontare un avversario oppure a scappare a gambe levate. Gregor supponeva di essere stato colto da una specie di attacco di panico nel museo, quando alla fine aveva dovuto ammettere ciò che la Profezia del Tempo aveva in serbo per lui. Per una ragione molto grave, quindi. Ma in persone come Lizzie, bastava assai meno a scatenare la reazione. Certe volte, le venivano attacchi che non avevano nessun motivo apparente. Era sconvolta, in preda a un terrore assoluto, ma non c’era nessuno contro cui lottare e niente da cui fuggire.

Quel giorno, però, un motivo concreto lo aveva. Il solo pensiero di scendere nel Sottomondo le aveva sempre scatenato il panico. E adesso Lizzie era davvero lì, in una sala piena di creature gigantesche e terrificanti. Loro non facevano niente per minacciarla. Il topo, il pipistrello e il ragno si erano rintanati nelle loro stanze. Lo scarafaggio era scomparso del tutto nella sua nicchia e aveva addirittura tirato la tenda. Temp era rimasto, perché non avrebbe mai abbandonato Boots, ma si era infilato sotto il tavolo. Vicino a Lizzie c’era solo Nerissa, che cercava di tranquillizzarla e sembrava lei stessa sull’orlo di una crisi di qualche tipo.

Gregor posò a terra Boots e si avvicinò a Lizzie. — Di chi è quel sangue? — chiese a Nerissa.

— Di Hermes. L’ha portata in volo dal Sopramondo. Sono caduti in un’imboscata dei rodenti e lui è stato ferito dagli artigli. Lei, invece, non è ferita, ma non riusciamo a calmarla — rispose Nerissa.

— Sì, lo so. Fa così, a volte — replicò Gregor. Si sedette dietro Lizzie, la attirò con la schiena tra le sue braccia e la tenne stretta. — Ehi, Liz. Va tutto bene. Va tutto bene. Nessuno qui ti farà del male.

— Oh! Gregor! Devi… tornare a casa! Subito! — si sforzò di dire Lizzie.

— Perché, cos’è successo? — chiese Gregor, sentendosi di colpo spaventato come lei. Cosa poteva essere successo di tanto terribile da costringere Lizzie a scendere nel Sottomondo?

— La nonna… in ospedale. Papà… di nuovo molto malato. Non riesco a… prendermi cura di lui! — balbettò Lizzie.

— Cosa? Ma nelle sue lettere papà continua a dire che va tutto bene! — Erano cose nuove o suo padre gli aveva nascosto le difficoltà per evitare che si preoccupasse? — E la signora Cormaci? — chiese Gregor. Lei era sempre stata lì per loro.

— Con… la nonna. Tanto stanca. Devi… tornare a casa! — rispose Lizzie. E subito dopo aver pronunciato quelle parole, vomitò sul pavimento.

Gregor la sorresse mentre rigettava, cercando di dare un senso a ciò che aveva detto. I problemi del Sottomondo l’avevano travolto al punto che aveva pensato ben poco a quanto stava succedendo a casa. La nonna all’ospedale? Suo padre di nuovo malato? Doveva essere proprio una brutta situazione.

Quando finalmente anche i conati si arrestarono, sollevò Lizzie e la portò verso un lato della sala. Si limitò a sedersi lì, tenendola sulle ginocchia e sentendola tremare. — È tutto a posto. Andrà tutto bene, Liz. Ci penso io — la rassicurò. Non sapeva nemmeno da dove cominciare.

— Ho… un sacchetto. Nel mio… zaino — disse Lizzie.

Lo zaino era ancora vicino alla pozza di vomito. — Ehi, Boots! Puoi portarmi lo zaino di Lizzie? — chiese Gregor.

— Posso sì — rispose Boots, correndo a prendergli la borsa. — Posso prendere anche il sacchetto, io! — Armeggiò intorno alla cerniera con le piccole dita grassocce, ma alla fine riuscì ad aprire lo zaino e tirò fuori un sacchetto di carta ripiegato.

Gregor aprì il sacchetto e lo sollevò verso il viso di Lizzie. — Respira. A fondo e con calma. A fondo e con calma.

Fu utile, perché le persone che hanno attacchi di panico introducono troppo ossigeno nell’organismo, e respirare dentro un sacchetto fornisce loro più anidride carbonica. Gregor strofinò i muscoli tesi della schiena di Lizzie e la combinazione di massaggio e sacchetto parve calmarla un po’.

— Tutto bene, Lizzie. Tu a posto — disse Boots, battendo sulla mano della sorella più grande. Gli attacchi di Lizzie erano tra le poche cose che turbavano Boots. — Ci sono io.

Nerissa mandò a chiamare due Sottomondo, che entrarono in fretta, pulirono il vomito e se ne andarono. A quel punto, tutte le creature rimasero immobili, quasi sapessero che qualsiasi loro movimento avrebbe solo aumentato l’ansia di Lizzie, e aspettarono di vedere cosa sarebbe accaduto.

Fu così che li trovò Ripred quando fece irruzione nella sala. — Cosa sta succedendo, qui dentro? — Il suo naso si arricciò, avvertendo la puzza di vomito che aleggiava nell’aria. Poi i suoi occhi si posarono su Lizzie e anche lui si immobilizzò del tutto, a parte la punta della coda che si muoveva a scatti da una parte all’altra. Sul muso del ratto apparve un’espressione che Gregor non aveva mai visto prima. Se avesse dovuto darle un nome, l’avrebbe detta tenerezza. Il tono di Ripred si fece decisamente affabile. — Non sapevo che avessimo compagnia. Ma scommetto che indovino chi sei. Sei Lizzie, non è vero?

Lizzie sollevò il viso dal sacchetto per osservare il gigantesco ratto sfregiato. — E tu sei Ripred — mormorò.

— Esatto. Sono felice di poterti conoscere, finalmente. Volevo ringraziarti per tutti i deliziosi spuntini che mi hai mandato. Sono sempre il momento migliore delle mie giornate — replicò lui.

Gregor non riusciva a capire il comportamento di Ripred. Perché era così gentile con Lizzie? Con Boots non lo era mai stato.

Ripred si avvicinò pian piano. — A volte parlare aiuta — disse. — Fare qualcosa per distrarsi.

Sorpreso, Gregor guardò il ratto. Cosa ne sapeva degli attacchi di panico? Lui di certo non ne aveva mai avuto uno. — Mio padre le fa fare degli esercizi di matematica — intervenne.

— La matematica è ottima — osservò Ripred. — Quanto fa otto più sette, Lizzie?

— Quindici — rispose la bambina.

— Dovrai impegnarti più di così. Lei è un mago in matematica, vero, Lizzie? — disse Gregor. Era vero. A scuola, gli insegnanti non sapevano mai cosa fare con lei. Riusciva a risolvere esercizi che andavano ben oltre la comprensione degli altri ragazzini di otto anni.

— Davvero? — chiese Ripred. — Quanto fa dodici per undici?

— Centotrentadue — rispose Lizzie.

— Più difficile — rincarò Gregor. — A lei piace elevare dei numeri al cubo.

— Quanto fa sei al cubo? — chiese il ratto.

— Duecentosedici — disse Lizzie.

— E tredici? — insisté Ripred.

— Duemilacentonovantasette — rispose Lizzie senza perdere un colpo. Sembrava un po’ più tranquilla.

— Prova trentasette — disse una voce roca alle spalle di Ripred. Era Heronian. L’anziana femmina di topo era riuscita ad alzarsi sulle zampe anteriori.

Lizzie ansimò un momento, poi sparò: — Cinquantamilaseicentocinquantatré.

Ripred guardò Heronian per conferma, e il topo gli rispose con un piccolo cenno di assenso.

Persino Gregor era rimasto piuttosto impressionato dall’ultima prodezza della sorella.

— È giusto. Sembra proprio che sia giusto — commentò il ratto. Cominciò a camminare su e giù, segno indiscutibile che stava pensando qualcosa. — Lizzie? Ti piacciono i rompicapo? — Lei annuì. — Possono essere distensivi anche quelli. Oh, ne conosco uno divertente. Possiamo farlo proprio qui, se ti va.

— D’accordo — accettò Lizzie.

Gregor sentiva che il suo tremito cominciava a placarsi. Non c’era niente di meglio di un indovinello per attirare l’attenzione di Lizzie.

Pensò al libro di enigmistica che le aveva comprato una volta. Si era offerta di restare con il padre malato mentre lui portava Boots a Central Park, a giocare con lo slittino, e aveva voluto farle un regalo. Quel librone… L’aveva adorato.

Ripred si sistemò comodamente davanti a Lizzie, a un paio di metri di distanza. — Benissimo. Vediamo un po’. Boots, tu vai a metterti vicino a Temp.

— Oh, un gioco! — esclamò Boots, e si precipitò entusiasta da Temp.

— Lizzie, da dove sei seduta adesso puoi vedere sette creature. Due umani, cioè un Sopramondo e un Sottomondo, un pipistrello, un topo, uno scarafaggio, un ragno e un ratto. Abbiamo appena pranzato e ognuno di noi ha avuto il suo cibo preferito. Da mangiare c’erano pesce, formaggio, torta, biscotti, pane, funghi e gamberetti con la panna. Sei pronta per le indicazioni? — chiese Ripred.

— Pronta — rispose Lizzie, e giunse le mani davanti a sé intrecciando le dita. Non aveva nemmeno più bisogno del sacchetto.

Ripred parlò in fretta e con chiarezza. — Il pipistrello ama sia i funghi che la torta. I biscotti non sono il cibo preferito dello scarafaggio. Il topo di solito mangia formaggio, ma oggi non l’ha fatto. Al Sottomondo piacciono soprattutto i biscotti e i gamberetti con la panna. I funghi e i biscotti non sono stati mangiati da mammiferi. Il Sopramondo predilige la torta e il pane. Perciò la domanda è: chi ha mangiato formaggio?

“Be’, questo è proprio scorretto” pensò Gregor. Nessuno poteva capire quel discorso senza senso. Però aveva davvero calmato Lizzie.

Lei fissava il pavimento, stringendosi le mani così forte da avere le nocche bianche. Passarono circa trenta secondi, poi Lizzie incontrò lo sguardo di Ripred e gli rivolse un piccolo sogghigno trionfante. — Sei stato tu — disse.

“Sbagliato” pensò Gregor. Erano i gamberetti con la panna il cibo preferito di Ripred.

Mmm — borbottò il ratto, e la sua coda guizzò con tanta forza da produrre uno schiocco. Ma quando parlò, il suo tono era disinvolto. — Temp, e se portassi Boots alla nursery a dare da mangiare ai topolini? A te andrebbe, Boots?

— Sìì-ìì! — esclamò la piccola. Temp uscì trotterellando da sotto il tavolo e lei gli saltò in groppa.

Ripred li seguì fuori, al grido di: — E non tornate finché non vi mando a chiamare!

Gregor sentì mormorare le altre creature. Sembravano più serene, persino un po’ emozionate. Min, la femmina di scarafaggio, faceva capolino dal suo arco e Dedalus continuava a battere le ali. Che fossero semplicemente sollevati per essersi tolti di torno Boots? No, era come se fosse successo qualcosa di più importante. Ma cosa, di preciso?

Proprio allora Ripred rientrò nella sala a grandi passi. Il ratto sorrideva davvero, rivolto a Lizzie. — Bene — disse. — Bene, bene, bene. — Si mise seduto sulle zampe posteriori e piegò la testa in avanti, in un inchino raffinato. — Benvenuta nel Sottomondo, Principessa.