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Pronto critico
Gli ospedali sono noiosi. Da evitare il più possibile, a meno di non doverci lavorare. Purtroppo, a me tocca passare tre ore al pronto soccorso, per farmi rimettere assieme la testa.
Ho esagerato. Ho preso solo una botta e ho un’escoriazione al cuoio capelluto, ma le ferite alla testa sanguinano di brutto e volevano accertare che non ci fosse un trauma cranico, una frattura del cranio o un ematoma subdurale. Poi mi hanno fatto un milione di suture a farfalla, dicendomi che forse non potrò più mostrare in pubblico il mio bel faccino di una volta, ma mi va bene lo stesso, perché mi mandano a casa con Mo e quei simpaticoni degli Idraulici, che sembrano comparse di Matrix.
Ho fatto male a non sostituire la protezione e non aver controllato dallo spioncino prima di aprire. Ed è stato imperdonabile non aver notato che il presunto messaggero di Andy era in anticipo di mezz’ora. Ma non mi aspettavo certo l’aggressione di un russo con una pistola silenziata, in stato di possessione diabolica di livello due: uno dei più bassi, altrimenti sarei peggio che morto.
Sono fortunato che Mo si sia accorta che qualcosa non andava e abbia afferrato il violino in tempo per scacciarlo. Sarà pallida e tremante ora, ma ci dà dentro, è combattiva e ha riflessi imparagonabili ai miei.
Torniamo a casa e la troviamo invasa di spie. Una squadra di Idraulici è al lavoro per reimpostare le difese perimetrali e stendere sui telai delle finestre sigilli di esclusione. Andy siede al tavolo della cucina e vi tamburella le dita con la ventiquattrore aperta: è una visita ufficiale. «Bob, Mo, mi fa piacere vedervi!»
«La lettera di rottura.» Incrocio le braccia.
«Non ti serve.» Andy guarda Mo. «Sia come sia, Bob ora è coinvolto nel Club Zero. È quello che ti ha seguito a casa, credo…»
«Mio Dio» ribatte lei, preoccupata, e prende una sedia. «Bob, io davvero non volevo…»
«Troppo tardi.» Faccio una smorfia. Mi sento ancora un po’ male, più che altro per l’eccesso musicale. «Andy, che succede?»
«Angleton è sparito» risponde, con uno strano mezzo sorriso, come se ci avesse appena raccontato una barzelletta sporca e si chiedesse se abbiamo mai sentito parlare della zozzeria cui alludeva.
«Angleton cosa?» chiede Mo, proprio mentre apro la bocca per fare la stessa domanda.
«È sparito. Ne sapete qualcosa? No, immagino.»
Angleton è il caposaldo del dipartimento. Per alcuni è solo un osservatore che svolge lavori noiosi ed esoterici nella sezione Analisi esoteriche, per altri si occupa dell’equivalente occulto del controspionaggio, ma la verità è molto più strana. Angleton risponde al Consiglio, che nessuno vede fisicamente da quarant’anni. Lui è la cote che affila la lama che i nostri dirigenti politici s’illudono di brandire quando ci danno gli ordini. Non è il cuore della Lavanderia, nessuno è indispensabile, ma è abbastanza importante perché in sua assenza le cose prendano una pessima piega.
«Che è successo?» chiede Mo.
«Stamane non è venuto a una riunione. Sono andato a cercarlo, ma nel suo ufficio non c’era. Due ore dopo ho incontrato Sally Alvarez, della Contabilità, e mi ha detto che non era andato neanche a un’altra riunione. Allora chiedo in giro e viene fuori che oggi non si è presentato al lavoro. Non l’ha visto nessuno da quando ieri sera è andato a casa.»
«Perché non l’hai chiamato a casa?» chiede Mo.
«Perché non abbiamo il suo numero! E nemmeno l’indirizzo. Nessun modo per contattarlo. Solo un conto bancario e una casella postale per la corrispondenza.»
«Ma è…»
«Ridicolo?» Il mezzo sorriso di Andy scivola via. «Certo. Ma parliamo di Angleton. L’avete visto ieri?»
«Sì» mi scappa detto, e Mo mi fulmina con gli occhi. «Non ho niente da nascondere» replico.
«Dimmi tutto» incalza Andy.
«Non è molto.» Mi lascio cadere su una sedia. «Prima di tornare a casa, ho fatto un salto da lui. L’altro giorno mi ha inviato a Cosford a vedere una cosa in un hangar…»
«L’esorcismo finito male…» m’interrompe Andy.
«No, non l’esorcismo, dell’altro, qualcosa nel museo. Tipico di lui, voleva che prima lo vedessi, poi mi avrebbe spiegato. Per questo volevo parlargli: non ero riuscito ad andare nell’Hangar 12B. E lui mi ha snocciolato qualcosa su una squadriglia della RAF ritirata dal servizio nel 1964, un’unità di fotoricognizione, credo, e mi ha dato le coordinate di archivio per dare un’occhiata alla pratica la prossima settimana. La Squadriglia 666, ha detto. Sì, c’entrava di straforo, ma, cazzo, lo sai, non c’è mai modo di sapere cos’ha in mente finché non segui le briciole che ha disseminato per te. Poi mi ha chiesto di sostituirlo in un comitato dal nome in codice Barone Sanguinario.»
«Maledizione. A che ora è successo?»
«Sarà stato mezzogiorno o poco dopo, subito dopo la mia deposizione con Iris e Jo Sullivan. Perché?»
«Perché secondo almeno sei testimoni partecipava alla seduta mensile della commissione Entrate sui sistemi di soppressione pandemica, che è durata dalle due alle quattro.» Andy si è incupito. «Qualsiasi cosa sia accaduta, tu non c’entri.» Si rivolge a Mo. «A che ora ti ha chiamato Boris?»
Lei scatta in piedi. «Verso mezzogiorno. Perché?»
«Non quadra.» La coltre di cattivo auspicio sospesa su di lui minaccia di scatenare un temporale. «Non l’avete visto…» Getta la testa all’indietro. Nell’anticamera un Idraulico sta riscrivendo sulla parete una curva Dho-Nha con un goniometro e una stilografica Rotring piena di inchiostro di argento colloidale. «… fino a dopo, perciò non è quello…»
«Cosa non è quello?» chiedo.
Andy respira profondamente. «Angleton è sparito, il lavoro segue la gente a casa e i russi sono in subbuglio. Conoscete il vecchio adagio “due volte è una coincidenza, ma tre è un’azione del nemico”? Be’, va a pennello.»
«Il nostro visitatore era russo?» Mo si china in avanti.
«Non lo so.» Andy è ostinato. «Avete qualche idea su cosa volesse?»
Gli do una mano. «Ha chiesto qualcosa. In almeno due diverse lingue che non parlo.»
«Fantastico» mormora. Si stiracchia e scuote la testa. «Brutta giornata. E sarà anche lunga. È possibile avere una tazza di tè?»
«Sicuro. Uno alle erbe o un Tetley?»
«Perfetto.» Non coglie il sarcasmo di Mo, ed è segno che sta per cedere. Devo andarci piano e indurlo a spifferare.
«Ci penso io.» Mi alzo. «Allora, Boris sta conducendo un’operazione dal nome in codice Barone Sanguinario, in cui c’entra un evento ad Amsterdam che ha richiesto l’intervento di Mo, e…»
Scuotono entrambi la testa verso di me.
«No, no» dice Andy.
«Amsterdam era il Club Zero» rettifica Mo. «Un fatto marginale. Hai portato la lettera?»
Andy tira fuori una busta e lei la intasca. «Grazie.»
«In realtà tutto si riconduce al caso Nightmare Green» dice Andy, serio. «Le altre operazioni sono marginali. Tutto comincia con il caso Nightmare Green.»
«Davvero?» chiedo con finta disinvoltura, perché in realtà quelle parole mi gelano la schiena.
«Sì.» Fa un mezzo sorriso. «A quanto pare, abbiamo agito con presupposti sbagliati. La situazione va deteriorandosi.»
“Caso Nightmare Green” è il nome in codice della fine del mondo.
Avete notato che io e Mo non abbiamo figli? E neppure un gatto, il premio di consolazione della classe media oberata dal lavoro? C’è un motivo. Voi li vorreste dei figli, se foste certi che tra un paio di anni dovreste sgozzarli per il loro bene?
Noi esseri umani viviamo in fondo a una pozzanghera di ossigeno e azoto sulla superficie di un pianetino roccioso che orbita intorno a una stella irrilevante in uno dei tanti cosmi. Non siamo soli. Ci sono altri esseri in altri universi, altre cosmologie, che pensano, viaggiano ed esplorano. Ci sono alieni nelle profondità degli oceani e abitanti nelle tenebre incandescenti ad alta pressione del mantello superiore terrestre, più strani delle peggiori allucinazioni. Sono terribilmente potenti, eredi di millenni di civiltà tecnologica. Costruivano astronavi e aprivano portali nel tempo quando i vostri e i miei antenati si prendevano a colpi di clava e stabilivano a sassate chi aveva il pisello più grosso.
Ma gli Abissali e gli Ctoni sono polvere sotto i piedi di razze più antiche, come noi siamo cugini presuntuosi dei primati. Colonizzarono il nostro pianeta nell’era precambriana. Inutile cercarne i resti. Da quelle epoche dimenticate, sono sorti e affondati interi continenti, l’atmosfera ha cambiato densità e composizione, la luna orbita tre volte più in là, e per farla breve se ne sono andati.
Ma, a loro volta, le antiche razze sono polvere sotto le appendici multiformi degli dei morti che…
Avete già smesso di leggere un paragrafo fa, vero? Ammettetelo: vi siete stufati. Allora vado dritto al punto: abbiamo un grosso problema, le cui dimensioni sono definite dalla densità computazionale e dalla geometria. Dopotutto, la magia è un ramo della matematica applicata e quando si elaborano informazioni, si provocano onde nella ultrastruttura platonica della realtà che possono amplificare e rafforzare…
La cruda verità è che sei miliardi di esseri sono troppi su questo pianeta. E pensiamo troppo rumorosamente. I nostri cervelli sono neurocomputer incredibilmente complessi. Più osservatori ci sono, più è la stranezza quantica osservata, più incongruenze si insinuano nella nostra realtà. La stranezza è già macroscopica, da decenni. Presto supereremo una soglia critica che, aggiunta alla deriva del sistema solare in una zona dove lo spazio si assottiglia, sveglierà entità assopite da eoni e attirerà la loro attenzione su di noi.
Non possiamo evitare il caso Nightmare Green distruggendo tutti i computer e tornando alla carta e alla penna. Così facendo, l’intero ciclo del nostro sostentamento si fotterebbe e moriremmo di fame. Non servirebbe nemmeno una guerra nucleare e friggere i tizi col pisello più grosso. Gli olocausti hanno conseguenze sfruttabili per gli stessi scopi, come hanno scoperto a loro spese i nazisti.
Il caso Nightmare Green è l’equivalente demonologico di una reazione a catena. Le menti umane equivalgono ai nuclei di plutonio. Mettine insieme tanti in uno spazio troppo piccolo e inizieranno a surriscaldarsi. Supera di colpo la soglia e diventeranno incandescenti. Allora gli antichi dei si svegliano, sentono il profumino del buffet e si preparano a ingozzarsi.
La nostra organizzazione è stata istituita per attivare contromisure occulte dell’Impero Britannico nella lotta al nazismo, ma ha proseguito fino a oggi, con uno scopo simile: proteggere la nazione da una sfilza di minacce metanaturali e l’obiettivo di sopravvivere al caso Nightmare Green. Il Regno Unito è ben posizionato. Un paese sviluppato ad alta concentrazione urbana – nel senso che gli abitanti vivono in città dal nucleo compatto e difendibili – con una popolazione non eccessiva e ben distribuita, e i sistemi di sorveglianza più sofisticati del mondo. Se pensate che nell’ultimo decennio il Regno Unito sia diventato un incubo orwelliano, sorvegliato in ogni angolo da telecamere, avete ragione. Ma c’è un motivo: dappertutto sono puntate le telecamere basilisco di Scorpion Stare della rete difensiva Maginot Blue Stars, pronti a tracciare e colpire i minimi tentativi di irruzione. Ci sono anche altre misure protettive, più discrete. Ultimamente il nostro budget è aumentato. Vi siete mai chiesti perché si vedono per le strade tanti furgoni della polizia dotati di telecamere?
Il caso Nightmare Green incombe, e sarà estremamente pericoloso. È una minaccia più grande del riscaldamento globale, del picco del petrolio e dalla Guerra fredda messi insieme. Non abbiamo la certezza di sopravvivere per vedere la luce in fondo al tunnel quando finalmente usciremo da questa congiunzione fatale, le stelle avverse chiuderanno gli occhi e la realtà tornerà normale. Ma una cosa è sicura: faremo del nostro meglio.
La sera, dopo che gli Idraulici hanno upgradato le nostre difese e Andy ha finito con le domande e se n’è andato, ordino un curry, e stavolta guardo dallo spioncino quando suonano, e poi vado di sopra con Mo, una bottiglia di single malt e una scatola di cioccolatini molto costosi che tenevo da parte per una serata del genere. Sono stanco morto, mi pulsa la faccia intorno alle suture a farfalla e mi sento infinitamente vecchio. Mo sta… meglio.
«Tieni.» Le passo la scatola, mi siedo sulla sponda del letto e mi sfilo i calzini.
«Non dovevi… Hai innestato l’allarme?»
«Certo.»
«Sicuro?»
Mi sfilo tutto il resto e lo ammucchio sui calzini. «Se stanotte ci prova un ladro, si becca il più grosso shock della vita.» E ce la rimetterebbe. «Ricordati di disattivarlo se metti piede sulle scale o apri le finestre.»
«O se la casa va a fuoco.»
«Esatto.» Poggio i cuscini alla spalliera. «Siamo al sicuro.» Ma non se la notizia bomba di Andy è vera, però non glielo ricordo. Mi appoggio all’indietro. «Un cicchetto?»
«Magari. O suicidio da cioccolatini?»
«Perfetto.»
Per un po’ restiamo in silenzio. Io riempio due bicchieri, Mo pesca nella scatola delizie al cacao, poi ci scambiamo i doni. Fuori piove e il ticchettio dell’acqua sui vetri si mescola al fruscio distante di ruote sul bagnato, ma nella nostra bolla suburbana col riscaldamento centralizzato, siamo isolati dal resto del mondo.
«A proposito, non ti ho ringraziato» dice lei.
«Per cosa?»
«Hai raccolto i cocci, cazziato Andy in mia difesa e sei stato molto caro.»
Metto giù il bicchiere. «Grazie a te, per avermi salvato la vita oggi pomeriggio.»
«Ma se tu non lo avessi fatto cadere, mi avrebbe sparato.»
«L’avrebbe fatto prima a me.»
Mi offre la scatola di cioccolatini. «Prendine uno.»
Ne scelgo uno che sembra merda di marmotta, ma ha un odore migliore. «Perché?»
«È un pezzo unico. Paragoniamo la vita a una scatola di cioccolatini. Sono tutti pezzi unici. Facciamo che rappresentino tutti degli eventi significativi. L’unica cosa che possiamo dire di ciascuno di loro prima di mangiarlo è di averlo scelto fra gli altri, che sono sempre di meno. Ma hanno una cosa in comune…»
«Sono tutti a base di Theobroma cacao» dico, mettendomi a masticarne uno che mi sono appena infilato in bocca.
«Sì. Ora facciamo che la pianta del cacao rappresenti i tratti distintivi della realtà. Non sappiamo niente di come sarà il prossimo cioccolatino, tranne che sarà marrone e squisito. Ma quelli che abbiamo già mangiato hanno ristretto le possibilità di scelta, e se abbiamo già esaurito le praline alla nocciola, potremmo trovarci all’improvviso circondati dai ripieni morbidi.»
«Pensavo li prendessimo a caso.»
«No, li prendiamo senza indicazioni, ma li scegliamo in base all’aspetto, ci sei? Possiamo sceglierli, ma non sappiamo come saranno.»
«Che ripieno c’era nel cioccolatino che hai preso ad Amsterdam?»
Lei fa una smorfia. «Assenzio. O amanita falloide.» Il fungo più velenoso, così chiamato perché ha la forma di un cazzo, e chi lo mangia muore.
«Ti va di parlarne?»
Lei beve un sorso di single malt. «Non ancora.» Ha un pallido sorriso sulle labbra. «Ma è bello sapere che posso farlo quando voglio.» Rabbrividisce e manda giù di colpo il resto del bicchiere.
«Credi ad Andy?» chiede.
«Preferirei di no. Intendi…»
«L’accelerazione.»
«Già.» Resto per un attimo in silenzio. «Non ne sono sicuro. Lui sostiene sia il risultato del lavoro del dottor Ford della sezione Ricerca e sviluppo, che si è servito di metodi analitici per rilevare errori nelle osservazioni stocastiche sequenziali in siti ampiamente separati, e Mike Ford non è uno che prende cantonate.» Subdolo ed esile, con un contorto senso dell’umorismo e una mente così affilata da poterci tagliare i diamanti: questo è il nostro amato dottor Ford. «Mi piacerebbe sapere che ne pensa il gruppo di ricerca di Cantor sulla lunga durata al Santa Hilda, ma sospetto che dovremmo andare a Mahogany Row per avere il permesso di parlare con loro di quello che stanno facendo. Sono tenuti in quarantena, e per buone ragioni.» Soprattutto per proteggere la sanità mentale degli altri: è un gruppo di almeno quattro stregoni del massimo livello, che lavora da oltre trent’anni a un unico progetto di ricerca. Nel frattempo sono diventati sempre più misteriosi. Il solo parlare con loro e riflettere troppo sulle loro risposte può causare la sindrome di Krantzberg, l’orribile encefalopatia di cui soffrono le persone che dedicano un eccessivo lavorio mentale alla magia simbolica. (In questo caso, la mappa è il territorio. Se vi arrovellate troppo sul teorema sbagliato, non meravigliatevi se poi entità extradimensionali si mettono a mangiucchiare pezzettini della vostra materia grigia.) «Voglio vedere i dati grezzi di Ford» dice Mo, pensierosa. Mette giù il bicchiere e vi poggia sopra la scatola di cioccolatini. «Se l’accelerazione è vera, ci restano solo pochi mesi.»
E lì è l’inghippo. Quello che ha scoperto Ford, ci ha detto Andy, è uno squarcio accelerato nell’ultrastruttura probabilistica dello spazio-tempo. Se esiste, il primo segno sarà l’amplificazione dell’efficacia dei nostri strumenti taumaturgici. In tal caso, però, acquisterà velocità. Ford preconizza un cambiamento di fase, come una pila di plutonio che passa dalla criticità ordinaria, lo stato di un reattore nucleare controllato, al pronto critico, con un’improvvisa e indesiderata emissione di energia, a metà fra una normale reazione nucleare e un’esplosione. Nessuno l’aveva mai previsto prima: tutti noi pensavamo che il caso Nightmare Green sarebbe esploso di colpo, non con una transizione di settimane. Una deflagrazione invece di un meltdown. Per pochi giorni saremo come dei, poi lo squarcio distruggerà le pareti del mondo e lascerà entrare gli incubi.
«Dovremmo sfruttare al massimo il tempo che ci rimane» riflette lei ad alta voce.
Metto giù il bicchiere e mi rivolto dalla sua parte. «Sì.»
«Vieni qui» dice lei, allungando il braccio libero verso di me.
Fuori dalla finestra, l’oscurità stringe in una morsa la nostra fragile bolla di luce e calore. La ignoriamo, nella nostra frenesia animalesca. Ma arriverà.
La mattina dopo, di comune accordo, dormiamo fino a tardi, poi ce ne stiamo in cucina per una colazione scandalosamente lunga. Mo mi guarda soddisfatta con gli occhi assonati e il piatto vuoto davanti a lei. «Mi ci voleva.» Lancia un’occhiata colpevole al cartone vuoto delle uova accanto alla padella sulla piastra. «Il mio girovita disapprova, ma lo stomaco dice: “’Fanculo”.»
«Goditela finché puoi. Pensavo di andare in ufficio nel pomeriggio.»
«Ma sei in malattia» mi fa notare Mo.
Mi verso un’altra tazza di caffè. «Dopo quello che ha detto Andy, penso di dare almeno una ripassata all’ufficio di Angleton, per vedere se trovo qualcosa che è sfuggito agli altri, prima che la pista si raffreddi. Inoltre, ci sono delle pratiche che voglio prendere, tanto per avere qualcosa da leggere nel fine settimana.»
«Non voglio che porti il lavoro a casa.» Incrocia le braccia, ostinata.
«Mi spiace, ma c’è qualcosa che devo leggere».
«Non lo farai! E comunque non siamo autorizzati.»
«Invece sì. Da ieri questo è un sito sicuro di livello due» replico. «Non porto a casa niente di segreto, solo materiale d’archivio. È classificato come “confidenziale”, ma vecchissimo, solo d’interesse storico.»
Lei inarca un sopracciglio. «Perché?»
«Quando Angleton mi ha mandato a Cosford non mi ha fatto il quadro completo, ma mi ha dato una lista di letture.»
«Cazzo.» È seccata, buon segno. Ma poi guarda di lato, e capisco che non ha finito. «Cos’è quella?»
«Quella?» chiedo allegro, invece di gracchiare: “Oh, merda!”. «Una scatola di cartone.»
«Con sopra la foto di un iPhone» scandisce.
«È vuota» mi affretto a rassicurarla.
«Esatto.» Manda giù un sorso di caffè. «Sbaglio o ne conteneva uno? Che ora hai in tasca?»
«Ehm, sì.»
«Non avevi niente di meglio da fare, Bob?»
«Era come minimo un glamour di livello quattro» dico sulla difensiva. «E comunque mi serviva un nuovo cellulare.»
Lei sospira. «Perché, Bob? Quello vecchio puzzava?»
«Ho lasciato il tablet nell’Hangar 6, a Cosford» le comunico. «È bruciacchiato ai margini e non c’è spazio neanche per la metà dei miei contatti sul vecchio telefonino.»
Mo ruota gli occhi. «Di quanto hai intaccato la carta di credito? Lo restituisci se ti colpevolizzo abbastanza?»
«Ci avevo pensato» ammetto. «Ma poi è venuto Brains e ci ha installato qualcosa.»
«Come?»
«Lavora a una versione di Ofcut per iPhone. Ha pensato che fosse un cellulare in dotazione. Prima di restituirlo devo portarlo in ufficio a farlo ripulire, o i Revisori ci appenderanno tutti e due per le palle.»
«Aspetta. Esiste una versione di Ofcut per iPhone? E com’è?»
«Guarda.»
Un quarto d’ora dopo mi avvio all’ufficio senza il mio tessoooro. Mo è ancora seduta in cucina, incantata dal campo di distorsione della realtà del JesusPhone, e tocca affascinata le icone simili a caramelline colorate. Ho la tremenda sensazione che l’unico modo di ottenere il suo perdono sarà comprarne uno anche a lei per il suo compleanno.
In realtà ho un motivo per andare al lavoro di cui non ho voluto parlare a Mo.
Così, subito dopo essere passato dall’ufficio a firmare la richiesta delle coordinate di archivio che mi ha scribacchiato Angleton, vado giù per un corridoio, supero una passerella e salgo nell’ufficio di sicurezza. Non possiamo scendere direttamente nell’archivio, a cinquanta metri di profondità sotto la nostra sede principale, ma due volte al giorno si effettuano le consegne dei materiali richiesti.
«C’è Harry?» chiedo al tipo col vestito blu dietro il banco. Legge annoiato un giornale gratuito del pomeriggio.
«Harry? E lei chi è?» Si raddrizza.
Gli mostro il tesserino. «Bob Howard, in servizio attivo. Voglio parlare con Harry o con il funzionario di turno. Opzioni difensive personali.»
«Opzioni dif…» Guarda il tesserino. «Ah, lei è uno di loro. Va bene. Attenda qui, signore. La accontento subito.»
Non esiste la “licenza di uccidere”, come nei romanzi e nei film di spionaggio, e gli agenti segreti non girano armati. A me, poi, le pistole non piacciono. Ma due giorni fa la mia protezione si è bruciata nell’incidente di Cosford, ieri sono stato colpito sulla soglia di casa da un sicario zombie di piazza Dzerzhinsky, e a questo punto è meglio correre ai ripari, che nel mio caso significa venire da Harry, cioè…
«Bob, ragazzo mio! Che ti è successo? La tua ragazza ti ha rotto una bottiglia in testa?»
Harry il Cavallo è l’armiere. La pancia che gli trabocca dalla cintura, i capelli bianchi che si diradano e una benda sull’occhio, da pirata. Mi riprendo dalla sua pacca sulla schiena e mi raddrizzo. «Non proprio, Harry. Due giorni fa mi è andata arrosto la protezione e sono in massimo allarme. C’è stato un incidente…»
«A vederti la zucca, ti serve un’armatura, ragazzo. Vieni, vediamo come attrezzarti.» Apre di scatto la porta interna e mi spinge nella sua piccola bottega degli…
Avete presente la scena di Matrix in cui Neo dice: “Ci servono delle pistole” e lo sfondo bianco si trasforma in un incrocio fra l’aeroporto di Heathrow e il retro di un poligono? Ecco a cosa somiglia l’ufficio temporaneo di Harry al terzo piano della sezione Sicurezza del Nuovo distaccamento. Solo, è stretto e illuminato da una lampadina da sessanta watt sorvegliata da un ragnetto assonnato.
Harry prende da una parete una specie di M16 imbottito di steroidi e un caricatore a tamburo grande quanto uno pneumatico. «T’interessa un fucile d’assalto Atchisson AA-12? Con selezione da colpo singolo ad automatico? Caricatore da venti colpi calibro dodici magnum, compresi quelli speciali per eliminare manifestazioni paranormali, granate FRAG-12 stabilizzate ad alette, proiettili al fosforo e d’argento, ciascuno con su incisa la Litania di Kar-Nesh.» Fa scorrere il cursore con un risuonare di metallo simile al catenaccio che chiude le porte dell’inferno.
«E, ehm, qualcosa di meno ingombrante? Da portare nascosto addosso senza sembrare uno che prende l’autobus con addosso armi anticarro?»
«Mammoletta.» Harry ripone l’AA-12 sulla rastrelliera e il caricatore in un cassetto. «Allora dimmi cosa vuoi.»
«Innanzitutto, una nuova protezione di classe quattro da portare ventiquattr’ore su ventiquattro.» Faccio una pausa. «Poi una Mano della Gloriaa di categoria tre, con la base di argento e un adeguato sostegno. Per il resto mi affido a te. Ho l’autorizzazione per una Glock, e pensavo a quella e a una scatola di munizioni. Non la porterò sempre addosso, ma la terrò a casa per scacciare i rompiscatole.»
Nota la mia espressione. «Hai avuto un problema?»
«Un tentativo d’intrusione fisica.»
«Chi altri avrebbe accesso all’arma?»
Scelgo con cura le parole. «Casa mia adesso è un sito sicuro di livello due. L’unica altra residente è mia moglie. La dottoressa O’Brien non ha l’autorizzazione per le armi, ma ha altre competenze e sa che non si gioca con i giocattoli degli altri bambini.»
Harry riflette attentamente su quanto ho appena detto. «Non voglio farti pressione, Bob, ma mi serve molto di più della tua parola. Da come stanno le cose per te e per l’incantevole Dominique… a proposito, salutamela… faremo uno strappo alla regola, ma dovrò aggiungere una protezione alla sicura del grilletto.»
«Una cosa?» Questa è una novità.
«È una nuova tecnica sviluppata dai cervelloni della sezione Progetti-Q: ti prendono una goccia di sangue e regolano la sicura del grilletto in modo che possa premerlo solo il tuo dito. Naturalmente…» abbassa la voce, in tono cospiratorio «… questo non impedisce al nemico di tagliartelo e servirsene, ma prima devono toglierti la pistola e il dito per spararti addosso. Diciamo che serve più a prevenire un uso improprio delle pistole che non a impedire a tua moglie di ucciderti in un accesso di gelosia.»
Alzo gli occhi al cielo. «Va bene.»
Si illumina in viso. «E la rendiamo invisibile e silenziosa.»
«L’intera pistola?» Mi risponde con un occhiolino. «Va bene anche questo, purché non sia invisibile a me. Veniamo alla fondina. Una pistola invisibile in una fondina visibile sarebbe un inconveniente.»
«Lo sarà per chiunque non abbia il tesserino, ragazzo, oppure ti rimborso.»
«Una somma pari alla mia polizza sulla vita se invece non lo sarà e qualche intelligentone mi manda addosso una squadra dell’SO19?» (Uno dei motivi per cui non vorrei girare armato è che la polizia metropolitana di Londra applica la tolleranza zero contro tutti quelli che lo fanno. E anche se le loro unità d’assalto ufficialmente evitano gli spargimenti di sangue, provate a trovare un Idraulico durante un allarme bomba.) «Posso accontentarti.» Harry ha l’aria divertita. «È tutto?»
«Può bastare.» Una nuova protezione, una Mano della Gloria, utile per una rapida ritirata strategica, e una pistola invisibile da portare in giro, se necessario: cos’altro potrebbe chiedere una spia molto preoccupata? Ah, sì. «Hai degli allarmi per casa?» domando.
«Pensavo tu fossi per il fai-da-te a casa.» Per un attimo Harry si fa sprezzante, poi ci riflette. «Siamo davvero a questo punto?»
«Può darsi.» Mi ficco le mani in tasca e cerco di apparire preoccupato.
«Ah.» Harry si aggronda ancora di più. «Potrebbe esserci un problema. Se tu sfoderi una Mano della Gloria, una pistola e il violino della tua cara signora, hai un arsenale. Ora, supponi che io ti faccia installare un allarme, metta te e la tua signora sulla lista dei sorvegliati e un malintenzionato ti si presenti alla porta di casa. Tu e la dottoressa O’Brien reagite e scatta l’allarme. In trenta secondi vi becca la Videosorveglianza. Infuria la battaglia. Come fanno i nostri a capire che siete voi due a sparare da dentro casa? E se siete scappati dal retro? Si rischia il fuoco amico, ragazzo. Rifletti su quest’ultima richiesta.»
«Va bene.» Mi guardo attorno, nell’armeria angusta. «Hai ragione.»
Abbiamo un pulsante di emergenza installatoci dagli Idraulici, ma io intendevo un allarme portatile, personale, da tenere addosso, di quelli che pochi sono autorizzati ad avere, dato che è molto costoso, e se sei sulla lista dei sorvegliati e lo attivi, Scorpion Stare si sveglia e si mette in cerca di te e di chiunque ti minacci. Meglio non premere quel pulsante, credetemi.
«Un amuleto, una Mano della Gloria e una pistola magica invisibile. C’è altro da sapere?» chiedo.
«Sì. Torna fra un’ora e ti faccio trovare le carte da firmare. La Mano della Gloria e l’amuleto te li do appena mi porti l’autorizzazione, per la pistola ci vorrà un po’ di più.» Harry alza le spalle. «È il massimo che posso fare.»
«Sei fantastico.» Lo saluto e me ne vado. Ho altro da fare prima di tornare a casa.
Mentre vado nell’ufficio di Andy, mi blocca Iris. «Bob! Che ci fai qui? Ti avevo detto di prenderti il resto della settimana.» È un po’ irritata e ha il fiatone, come se mi fosse corsa dietro. «Ehi, che ti è successo alla testa?»
Alzo le spalle. «Cose varie.»
È preoccupata. «Nel mio ufficio.»
Non mi va: è il suo territorio. «Ascolta, Mo è tornata a pezzi da una missione, era davvero fuori di sé. Poi il lavoro l’ha seguita a casa ed è scoppiato il panico…»
Socchiude gli occhi. «Brutto?»
Indico le mie suture e lei fa una smorfia. «Hai sentito di aumenti delle attività di agenzie non affiliate a Londra, questa settimana?»
«Nel mio ufficio» ripete, stavolta con decisione.
«Va bene.»
Una volta là, chiude a chiave la porta, accende la lampadina rossa che indica di non disturbare e abbassa le tendine alla finestra di vetro che si affaccia sul corridoio. Poi si gira verso di me. «Quali parole d’ordine conosci?»
«Mi hanno autorizzato per il Club Zero.» Le manca il respiro. «Il caso Nightmare Green e la Maginot Blue Stars, ma Harry il Cavallo non ha voluto farmi installare un allarme senza la tua autorizzazione. E Angleton mi ha detto solo di sostituirlo nel comitato sul Barone Sanguinario, anche se non so ancora cos’è.»
«Wow.» Mi guarda cauta. «Angleton ti ha scaricato un bel po’ di roba sulle spalle.» Sottinteso: “per uno di rango così basso”.
«Già.» La osservo con più attenzione. Capelli ondulati castani al momento in disordine e con qualche radice argentea che comincia a spuntare, zampe di gallina ai lati degli occhi, atteggiamento irrequieto: è molto più presa di quanto non voglia darmi a vedere. «Tocca a te.»
«Prima dimmi che è successo ieri.»
«Andy è venuto a ripulire con gli Idraulici. Dovrebbe essere tutto sul rapporto di oggi.»
«Quindi…» Spalanca gli occhi. «… eravate voi? Incursione e assalto da un classe tre, respinta da agenti? È per quello che hai le suture?»
«Già.» Mi lascio andare sulla sedia degli ospiti. «Hanno cercato di rifarmi i connotati, e ci sono quasi riusciti. Oggi sono venuto a ritirare alcuni strumenti di difesa personale e a chiedere che diavolo sta succedendo. E questa storia di Angleton…»
«L’hai visto l’altro ieri.»
«Sì.» Faccio una pausa. «Non è ancora ricomparso?» Scuote la testa. «Do un’occhiata al suo ufficio per vedere se ha lasciato un indizio?»
Iris sospira. «No.» È una pessima bugiarda. «Ma se sai qualcosa…»
«Non mi piace restare all’oscuro.» Non è una buona mossa fare la voce grossa con la propria dirigente, lo so, ma a questo punto perdo la pazienza. «Succedono troppe cose brutte, e mi puzzano di azione del nemico.» Ripeto quello che ha detto Andy. «Chiunque sia il nemico. Tu continua pure con i tuoi giochetti, per me va bene, tranne che uno di quei giochetti ha seguito me e mia moglie a casa e ha cercato di ucciderci.»
«Va bene, ho afferrato» replica con calma. «Bob, se fosse per me, ti direi tutto, ma non posso. Comunque, domani si riunisce un comitato e potrò riferire le tue preoccupazioni. Chiedimelo di nuovo lunedì e ti aggiornerò sul Barone Sanguinario, oltre ad aggiungerti alla lista aggiornamenti per il Club Zero. Intanto, se posso, cosa deve consegnarti Harry?»
«Se ne sta occupando ora.» Le faccio l’elenco. «Ci hanno anche upgradato il sistema di sicurezza a casa, nel caso si ripeta la visita, anche se lo ritengo improbabile. Ora che siamo allertati, mi aspetto che ci riprovino in pubblico. È più rischioso per loro, ma adesso ci lascerebbero la pelle, a casa, perciò se vogliono davvero eliminare Mo dovranno farlo per strada.»
Iris si poggia all’indietro sulla sedia e porta una mano sulla tastiera del computer. «Se vuoi davvero un allarme, ti firmo l’autorizzazione. Ma, cos’ha detto Harry? Dagli ascolto. Non ne hai necessariamente bisogno. Per la pistola, invece, sei qualificato. Solo, non mostrarla in giro e non perderla di vista. Quanto al resto…» Sospira. «C’è stato un aumento degli incontri in pubblico da parte di tre attaché di quart’ordine dell’ambasciata russa sorvegliati negli ultimi tempi dai nostri stimati colleghi della Pattumiera.» Intende il servizio di Sicurezza, meglio noto come MI5. «Difficile dire per quale organizzazione lavorino, ma all’inizio li credevamo controllori dell’FSB. Invece pare lavorino per un altro organismo, forse il Tredicesimo direttorato. Non sappiamo esattamente cosa stia succedendo, ma cercano qualcosa, o qualcuno.»
«E poi c’è stato l’affare di Amsterdam» insisto.
Lei mi lancia un’altra occhiata tagliente. «Non eri autorizzato per quello.»
«Andy ha procurato una lettera di rottura per Mo.» Ricambio il suo sguardo, bluffando. Il balletto “ti rivelo i miei segreti se tu mi riveli i tuoi” è un noioso inconveniente del nostro lavoro.
«Be’, allora.» Il bluff funziona, inoltre dalla sua protezione risulta che ho detto la verità sulla lettera di rottura. «C’è un legame indiretto fra Amsterdam e il Club Zero.»
«Quindi c’è un incremento di attività nei Paesi Bassi e nel Regno Unito. Anche da altre parti, in Europa? Ricordi che ho partecipato a molte riunioni congiunte?»
«No comment su questo, fino alla riunione organizzativa di domani.» E il mio bluff va all’aria. «Ti ho detto tutto quello che potevo senza autorizzazione ufficiale, Bob. Prendi il kit, sbriga quello che dovevi fare e torna a casa per il fine settimana. È un ordine! Ne parleremo lunedì, sperando di avere buone notizie per allora.»
a. Mano disseccata in salamoia recisa a un impiccato, sulle cui dita si accendono fiammelle, dal potere paralizzante. (NdT)