Basso Lazio, al confine con la Campania.

Protesa sul mare, Gaeta è meta di villeggiatura per molti romani, ma in passato lo è stata anche per imperatori, consoli e ricche famiglie patrizie.

Perché?

Perché qui, oltre allo splendido paesaggio, ci sta del cibo da paura.

Mare e monti si contendono il primo posto sul podio dei piatti più tipici.

Tra allevamenti di cozze, carne di prima scelta e frutti della terra.

Di Gaeta, infatti, tre sono i prodotti più tipici: le olive, ingrediente di pregio per gli chef di tutto il mondo.

La tiella, che unisce il meglio del pescato alla ricetta più tradizionale.

I dolci natalizi, come i mostaccioli: impasto a base di cotognata rivestito con pasta di cioccolato.

E poi, in pochi lo sanno, qui a Gaeta è conservata la più antica testimonianza della pizza: un documento del 997 ne prova l’esistenza, anche se era quella bianca; il pomodoro arriverà dopo la scoperta dell’America.

Una città tutta da scoprire insomma, che scommetto mi riserverà un sacco di sorprese.

Anche perché qui come ti giri senti la storia: da Ulisse, al Medioevo, ai Borboni. Loro sì che ci capivano di sapori.

È la prima volta che vengo qui, anche se Gaeta è a due passi da Roma.

E già solo per il viaggio ne è valsa la pena: paesaggi mozzafiato che danno sul mare e un’infinità di punti di ristoro dove, con un bel bicchiere di vino in mano, ti metti a guardare il mare e trovi la pace.

Tra una mozzarella di bufala e un po’ di prosciutto.

Già prima di arrivare, ho sentito profumo di sfida gagliarda.

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Il mio giro d’ispezione inizia tra le vie della città.

E qui trovo subito qualcosa da provare: le olive di Gaeta.

Che nulla hanno a che fare con quelle greche.

Ottimo inizio.

Colore: violaceo.

Sapore: un inconfondibile retrogusto di vino.

E poi se le mangiava pure Enea. Si dice…

Si raccolgono a fine novembre rigorosamente a mano, per non danneggiarle.

Poi vengono scelte, lavate e messe in salamoia, che altro non è che acqua e sale.

Oppure ci fanno l’olio. Una volta era la chicca dei mercanti, che partivano per l’Oriente e la Francia per venderlo.

E cosa potrebbe stare benissimo sotto un filo d’olio, se non una bella mozzarella di bufala di Gaeta?

L’idea mi è venuta incrociando un negozio di formaggi.

Bella succosa.

Non la mordo, la azzanno.

E baffi e braccia si bagnano di latte e siero.

Ci voleva.

Anche se non ho ancora trovato il giusto cibo di strada…

Ma ho un’idea.

Voi penserete che mo’, visto che Gaeta sta sul mare, me ne vado ad assaggiare il pesce.

E invece no! Perché Gaeta non è solo mare.

Entro in una macelleria e conosco Anna.

Una donna molto umile e preparata, che riesce a trasmettermi con il suo entusiasmo l’amore per il suo lavoro e per i frutti della sua terra.

La prima cosa che mi propone di assaggiare è la liatina di maiale: stinco, piede, cotica, peperoncino, sale e spezie, tra cui il cumino abbrustolito e setacciato, tutto in gelatina.

Mica se scherza, qua.

La liatina è un piatto tipico invernale fatto con la gelatina di maiale, ovvero il collagene sciolto della bestia.

Tutti gli aromi stanno là dentro, ed è proprio il grasso, quello buono, che dà intensità ai sapori.

E la carne è di una morbidezza strepitosa.

Ma passiamo ad altro.

Anna mi chiede se può farmi assaggiare la suffolatura.

Ovvio che sì, anche se non ho idea di cosa sia.

Mi spiega che la gelatina, quando si posa, viene soffiata e poi messa da parte.

Oh, soffiata davvero!

Ci vogliono pazienza e due polmoni così.

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Il grasso che viene separato dopo la cottura è poi arricchito con peperoncino e semi di cumino.

È talmente unta che con questa ci ingrassano anche le barche.

Uno spreco totale.

La si può mangiare in vari modi, oltre che da sola. Spalmata su un crostino, per esempio, ma la si usa anche come aroma, aggiunta alla zuppa di pesce.

Mari e monti.

Tornano sempre, qui…

Lascia un po’ il felpato in bocca, ma è buonissima.

Saluto Anna e ’sta volta vado alla ricerca di un piatto di pesce.

E un bel baretto che si affaccia sulla strada fa giusto giusto al caso mio.

È gestito da una coppia affiatatissima, che cucina non solo per i turisti, ma perché qui c’è davvero il culto del pesce.

Mi propongono un sauté di cozze e vongole.

Propongono… me lo trovo davanti.

E che faccio, non mi ci butto?

Ovviamente tutto pescato di Gaeta.

Molto street, anche se non nel senso stretto del termine.

È tutta roba veloce da mangiare, cibi semplici e davvero «da porto», anche perché si mangiano al volo.

Sauté di cozze e vongole

Lavate e pulite bene cozze e vongole. Mettetele in due pentole separate e fatele cuocere a fuoco vivo, coperte, finché si aprono. Alle cozze aggiungete 1 bicchiere di vino bianco.

A parte, fate soffriggere dell’aglio, poi unite le cozze, le vongole e le rispettive acque di cottura (ben filtrate).

Pepate e aggiungete del prezzemolo.

Servite con del pane abbrustolito.

IL CONSIGLIO DI CHEF RUBIO: volendo, si può aggiungere un po’ di salsa di pomodoro quando si versano i molluschi in padella.

Mmm, le cozze… mi ricordano i miei primi passi da chef.

Quando, in Nuova Zelanda, ho iniziato a cucinare.

Nel ristorante dove lavoravo c’era un lavapiatti samoano che puliva anche il pesce.

Solo che metà finiva nei piatti del ristorante e metà nel suo stomaco.

È lui che mi ha fatto assaggiare le cozze crude.

Che però non erano cozze: erano bistecche.

Enormi.

Torno con i piedi per terra e mi accorgo che il mio appetito ha stupito perfino i due cuochi.

Forse perché mi sono fatto anche la scarpetta.

«Lo dobbiamo sorprendere ancora di più», dice il marito guardando la moglie.

E mi offrono i pulpatielli affogati.

Tipo moscardini.

Appena pescati, molto teneri e leggeri.

Con un sughetto che è la morte sua e le olive. Di Gaeta.

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Che con i polpetti si sposano che è un piacere.

Ottimo. Ma questo pesce è un po’ troppo leggero per me.

È ora di trovare qualcosa di fritto.

Torno sul lungomare.

E ti trovo un bel ristorantino che, come quello dei miei due amici di poco fa, dà sulla strada.

Ho esaudito il mio desiderio con un bel calzone fritto, con ricotta di pecora e totano.

’Sto mare e monti torna sempre.

E devo ammettere che questa è una delle cose più buone assaggiate in tutta la serie.

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Guarda un po’ chi incontro appena metto piede all’interno delle mura della città: un tiellaro.

Carlo. Seduto su una panchina, sta aspettando di poter sfornare il suo piatto.

Che faccia al caso mio?

Mi presento, e lui subito mi fa assaggiare la tiella con scarola e olive di Gaeta.

Due sfoglie di pasta che racchiudono un ripieno semplice, ma gustoso.

La tiella è un piatto molto antico: si dice che re Ferdinando IV, alla fine del Settecento, durante i suoi soggiorni a Gaeta usasse confondersi con il popolo e, ammirando le donne che stendevano la pasta per la pizza, avesse preso spunto per ideare questo piatto.

Che, essendo un pasto completo, diventò una pietanza adatta a pescatori e contadini: facile da trasportare, calorica al punto giusto, si può conservare per giorni senza che il sapore si alteri.

Ed è buona anche fredda.

La tiella perfetta è composta da uno strato sottile di pasta e da un ripieno morbido, ma non inzuppato.

Quella che sto mangiando ora è la giusta sintesi di tutto questo.

Mi ricorda un po’ la classica torta rustica romana, con la scarola.

Ne provo un’altra: cozze e fiori di zucca.

Sugosa al punto giusto.

E poi arriva lei: la tiella con il polpo.

«Solo chi è nato a Gaeta può farla», mi dice Carlo.

Forse perché m’ha provocato, forse perché è davvero il top, ho deciso: questo sarà il piatto sfida.

Ma voglio una combo: cozze e polpo.

Carlo accetta senza esitare.

E senza paura.

Ah, se se ne pentirà…

Fondamentale ora è trovare gli ingredienti freschi per il ripieno.

Ma, visto che io le cose semplici mai, mi ritrovo in barca a tirare su reti di cozze.

Sempre a sudarmele le cose…

Accanto a me ci sono due pescatori, che mi insegnano come raccogliere le reti.

Loro lo fanno tutti i giorni: partono la mattina, prendono le cozze, le puliscono e le separano da quelle rotte.

Me ne fanno assaggiare una.

In una parola: speciale.

«Levamele che se no faccio ’na strage.»

Sarei capace di mangiarmene a quintali.

Dopo averle tirate in barca, cominciamo a selezionarle.

Gli altri indossano i guanti, e scopro presto perché. A mie spese. Con un bel taglio.

Sono mortali.

Ma ne valeva la pena per avere ’ste delizie fresche fresche.

Ora mi manca il polpo.

Chiedo al mio amico pescatore dove posso trovarlo.

Mi indica il porto e… mi dà una zampa di gallina.

«Se non peschi con questa non li pigli.»

Eh? Ma siamo sicuri?

A quanto pare, sì: mi spiegano che il polpo è attratto dal bianco, perché i suoi occhi non colgono i colori ma il grado di luminosità. E il bianco, per loro, è un faro.

Quindi si usano zampe di gallina, giusto per non buttare via niente, o stracci bianchi, legati a una polpara.

Mi ricorda tanto quando, da bambino in Sardegna, pescavo i granchi con la canna da pesca e un piombino.

I polpi si possono pescare sia in mare sia nei porti.

E proprio qui, sulla banchina, incontro Italo.

Pescatore da una vita, è un tipo loquace e vivace.

È un personaggio: non ha un cellulare, ma stai sicuro che quando hai bisogno di lui lo trovi sempre.

Anche se non hai la garanzia che, a metà delle riprese, non prenda e se ne vada…

Ma la sua cultura sulla pesca mi è indispensabile, e in qualche modo riesco a farmi insegnare come prendere il polpo.

Butto la mia corda (e la mia zampa) e aspetto che abbocchi.

Un paio di tentativi a vuoto, sotto il sole cocente.

E poi, eccotelo: un bel polpo avvinghiato alla zampa.

Lo tiro su e mi si appiccica subito al braccio. E mi sgagna pure un bel morso.

Mortacci tua…

Però ora ho proprio tutto. O quasi…

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Oltre agli ingredienti per la pasta della tiella, mi accorgo che mi manca qualcosa di più importante: la ricetta.

Che qui tutti conoscono. Ogni famiglia ne ha una. Ma ogni famiglia la tiene ben stretta.

Lo scopro chiedendo in giro per le vie del centro.

Oh, nessuna gaetana vuole svelarmi il segreto.

E mo’?

Mi dirigo verso una bancarella di verdura.

«Salve. Mi servirebbero dei pomodori, del prezzemolo… e se ce l’ha pure la ricetta dell’impasto della tiella.»

Ma niente, la signora non la sa fare. Però mi dice a chi rivolgermi.

È proprio lì accanto a noi.

Vestito a pois, parlantina e uno sguardo che ti cattura.

Reginella.

Una signora d’altri tempi.

La nonna che tutti vorremmo avere.

Ma attenti, pare che faccia strage di cuori, qui.

E capisco perché.

Con un: «Andiamo, bello», mi prende la mano e mi invita a casa sua per insegnarmi i segreti della tiella.

Una di quelle case al pianterreno che danno sulla strada, con le mura vecchie.

Bellissima.

Scopro presto che fare la tiella non è così facile. Non tanto per la ricetta, quanto perché Reginella è un militare sotto mentite spoglie.

Riconosce le dosi a occhio, le misura al grammo.

E mi bacchetta in continuazione.

Manco fossi uno chef alle prime armi.

Ma il risultato è uno spettacolo: una pasta perfetta, tanto fina che ci si vede attraverso.

E alla fine, Reginella la rubacuori ammetto che ha stregato anche me.

Bene, sono pronto.

Ho gli ingredienti freschi, ho il segreto della tiella.

Che la sfida abbia inizio.

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La tiella

•  Ingredienti

800 g di pasta lievitata*

100 g di cozze di Gaeta sgusciate

700 g di polpo verace

150 g di pomodoro

80 g di olive di Gaeta snocciolate

2 cucchiai di olio extravergine d’oliva

prezzemolo

aglio

peperoncino

sale

Fate bollire il polpo per venti minuti, poi lasciatelo raffreddare e tagliatelo a pezzetti.

Unite in un unico recipiente cozze, pomodoro tagliato a cubetti, olive, olio, sale, aglio, prezzemolo e peperoncino.

Lasciate riposare il tutto per una mezz’ora.

A parte, preparate due dischetti di pasta lievitata da 350 g ciascuno.

Stendete il primo in una teglia tonda per pizza ben oliata con diametro di 28-30 centimetri.

Versatevi sopra il composto degli ingredienti distribuendolo fino ai margini della teglia.

Sovrapponete il secondo dischetto e chiudete i margini, facendo bene attenzione a saldare i due strati di pasta con le dita.

Con una forchetta, bucate la parte superiore della tiella in modo da far fuoriuscire l’aria.

Mettete nel forno caldo a 200 °C e lasciate cuocere per circa venti minuti.

Servite a temperatura ambiente.

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Come si mangia

Assolutamente con le mani. Che ve lo dico a fà?

Curiosità sugli ingredienti

Il segreto per la riuscita di una tiella perfetta sta negli ingredienti: olive e olio di Gaeta sono un must. Una volta si diceva che l’olio doveva colare fino ai gomiti, in una tiella doc. Ma, oltre a essere uno spreco, confonderebbe i sapori e la renderebbe un po’ troppo unta. E se dico io troppo unta…

Consigli di cottura

Le cozze non devono cuocere tanto, devono rimanere carnose.

Il polpo va tagliato lungo e fino, per poterlo distribuire bene nella tiella. Così è anche più facile da mordere.

Stendete la pasta più sottile che potete.

Varianti

Il ripieno della tiella ha moltissime varianti. Tra le tante, le più popolari sono con la scarola, le zucchine, gli spinaci e il baccalà, i calamari o le alici.

*Sì, il segreto della pasta rimane a Gaeta…