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Tre giorni dopo
Il vento che fischia fuori dalla finestra non mi fa dormire. Adrian è accanto a me che russa. Evie, per ora, è ancora nel suo letto. Ma da un momento all’altro so che potrebbe svegliarsi e cominciare a piangere. E forse è per questo che non riesco a dormire. Lo so, però, che in realtà i motivi sono anche altri. È per Dean che è ancora nascosto là fuori, chissà dove. Domani mattina, appena arriva, devo dire a Rachel dell’ultimo mazzo di fiori appassiti che abbiamo trovato davanti alla porta. Le montagne che ho sempre tanto amato adesso mi sembrano una minaccia. Perché nascondono un fuggitivo.
E non è neanche solo per Dean. È per Julia e Nathan. Per mia madre e Ruby. Per Amelia, che ultimamente è sempre così scontrosa. È per Nancy, che forse ha messo le mani sul computer di Adrian. È sapere che qualcuno che era – o forse è ancora – in casa nostra ha ucciso Selena.
Prendo il telefono sul comodino. È l’una e mezzo. Non ha senso restare a letto se devo continuare a girarmi e rigirarmi. Decido di alzarmi. Prendo la vestaglia, me la infilo ed esco dalla stanza. Passo davanti alla camera di Nathan e Julia e a quella di Janice. Mi piange il cuore a pensare a tutte le stanze che resteranno vuote perché probabilmente non arriveranno altri ospiti, considerato che in questa casa è successa l’ennesima tragedia. Ho un brivido quando penso al corpo di Violet Brown appeso a una corda legata alle travi della mansarda, dove dormiamo noi. Quante tragedie sono avvenute qui. Saremo costretti ad andarcene? Ma dove? Non possiamo permetterci di tornare a Londra.
Quando arrivo in cucina, mi stupisco di vedere che la luce è accesa. Il cuore accelera subito perché penso che sia Dean. Non essere ridicola, mi dico. Allora apro piano la porta. Seduti al bancone della colazione ci sono mamma e Nathan. Parlano seri, con una bottiglia di vino mezza vuota davanti.
Quando entro, si girano a guardarmi.
«Che succede?» chiedo.
Nathan ha un’espressione affranta. È ancora vestito, a differenza di mamma che è in camicia da notte. La cosa mi fa intuire che non è ancora andato a letto.
Accendo il bollitore. Non ce la faccio, a bere vino. «Hai parlato con Julia, mi pare di capire», gli dico mentre prendo una bustina di camomilla e la metto in una tazza.
Nathan abbassa la testa e se la prende tra le mani.
«Sì, ci ha parlato», risponde mamma, accarezzandogli la schiena come fosse un bambino di sei anni.
«E? Adesso sa di Ruby?»
«Sì, le ha detto tutto.» Mamma mi lancia un’occhiataccia, ma io fingo di non vederla.
Nathan alza la testa. Ha gli occhi rossi. Si riempie un altro bicchiere di vino e lo butta giù.
L’acqua bolle e la verso nella mia tazza, poi li raggiungo al bancone. Mi siedo accanto a Nathan, in modo tale che lui sia seduto tra me e mamma.
«Nathe?»
Mio fratello mette giù il bicchiere. È vuoto. Fa un sospiro, lungo, profondo, pieno di rimorsi. «Sì, adesso sa di Ruby. Ed è sconvolta, come potrai immaginare. Soprattutto perché lei non può avere figli.»
«Dov’è ora?»
«A letto. Non mi vuole con lei, per cui mamma mi ha dato le chiavi di un’altra camera. Fresia.»
La camera di Dean. Vorrei fargli altre domande. Per esempio, se pensa che Julia lo perdonerà, ma poi capisco che sarebbe insensibile da parte mia. E tra l’altro non sono sicura di essere pronta a sentire che Julia vuole il divorzio.
«Quindi lo sapevi anche tu?» mi chiede mamma in modo aspro, accusatorio. Quando parla con me usa un tono diverso, che non ha mai con Nathan.
«Immagino che adesso dirai che anche questo è colpa mia, no?» le rispondo, senza neanche guardarla.
Nathan sposta indietro lo sgabello. «Vado a letto.» Barcolla un po’.
«Ce la fai?» chiediamo io e mamma all’unisono.
«Vuoi che ti accompagni in camera?» aggiunge lei.
Nathan si adombra, irritato. «Sto bene. E voglio stare da solo.» Poi esce dalla cucina e lo sentiamo salire le scale con passi pesanti.
Io e mamma restiamo in silenzio a fissare la porta aperta. Poi mamma si alza. Anche il suo bicchiere è vuoto. Si stringe la vestaglia alla vita. Ha perso un po’ di peso e con quella camicia da notte mi sembra tanto piccola e fragile.
«Tu lo sapevi, che il vero padre di Ruby è Nathan?»
Lei non risponde, ma la sua faccia parla per lei.
«Te lo ha detto Selena?»
«Sì. Ma da poco.» Si strofina gli occhi. «Il punto è che a me Selena preoccupava molto. Perché era imprevedibile. La madre le aveva causato tantissimi danni.» Abbassa la voce. «È stata capace di uccidere il padre, santo cielo! Era come una bomba a orologeria pronta a esplodere. Ho pensato che, facendola venire qui, magari sarei riuscita a parlarle e a farla ragionare. Volevo convincerla a tornare con Nigel, perché lui poteva darle la sicurezza che desiderava... e di cui aveva bisogno.»
«Ma davvero era violento con lei?»
«No. È una delle tante bugie che ha inventato Selena.»
«E tu come fai a saperlo?»
Mamma si versa un altro goccio di vino. «Perché me lo ha detto lei. Con me non riusciva a mentire. Non troppo a lungo, almeno. Nigel è una brava persona in realtà. È per questo che non sono intervenuta e non mi sono opposta al fatto che la polizia volesse affidargli Ruby. Lui sapeva di non essere il padre della bambina, ma non gli importava. Perché le amava entrambe. Selena lo ha lasciato per via di una lettera.»
«Che lettera?»
Penso subito al telefono che avevo prestato a Selena e che avevo ritrovato nella tasca della sua giacca di velluto. Riferisco a mamma dello scambio di messaggi che ho letto. «In effetti si nominava una lettera... Allora forse era con Nigel che parlava. Che tipo di lettera?»
«Non me lo ha detto.» Mette via il bicchiere. «Credo che avesse a che fare con Ruby e che abbia causato una grossa lite, cui Ruby ha assistito. Ed è per questo che Selena lo ha lasciato.»
Rifletto se sia il caso o no di riferire i sospetti di Julia sulla salute di Ruby, poi mi convinco che è meglio di no. Mi pare che mia madre sia già abbastanza provata.
Si alza, mordendosi il labbro. «Be’, adesso però me ne vado a letto. Spero che Nathan stia bene. Non è forte come te. È un ragazzo fragile. Chi può dire che impatto abbiano avuto su di lui quei primi anni di vita.»
È sabato. Julia e Nathan oggi in teoria dovrebbero fare il check-out, come pure Janice. Ma non è che ci serva liberare le camere, purtroppo. L’unica prenotazione che avevamo ha disdetto stamattina per problemi di salute. Ma faccio fatica a non pensare che in realtà il vero motivo siano le recensioni negative.
Le uniche a essere già scese per colazione sono le mie figlie, Ruby e Janice. Sono stanca. Evie stanotte si è svegliata ed è venuta da noi. Stamattina però non si ricordava niente. Ormai è diventata un’abitudine, viene da noi praticamente tutte le notti. E, quando non succede, ci sembra un miracolo.
Sono preoccupata per Amelia, comunque. Mentre Evie divora il suo toast e Ruby ingurgita le uova con una tale velocità che sembra aver paura che qualcuno gliele porti via, lei spilucca e basta.
Sto andando da Janice a portarle il suo tè, quando Nathan entra in sala da pranzo. Ha le occhiaie e non si è fatto la barba. Sembra sbattuto, sfinito. Si mette al tavolo dietro le bambine. Da lì mi accorgo che può guardare Ruby. Lei è seduta vicino a Evie e ridacchia assieme a lei. Amelia, invece, ogni tanto alza gli occhi al cielo. Nathan fissa Ruby come se non credesse possibile che sia davvero sua figlia. Ma in effetti la somiglianza c’è: il mento appuntito, i capelli biondo cenere, la fossetta sulla guancia e le labbra carnose. Sono proprio uguali. Come ho fatto a non notarlo prima?
Mamma porta via le bambine appena hanno finito di fare colazione perché cominciano a dare fastidio. Ruby è molto allegra e questa cosa mi stupisce. Non si direbbe mai che ha perso la madre solo tre giorni fa.
Quando loro se ne sono andate, io prendo una sedia e mi metto davanti a Nathan. Mi sporgo sul tavolo per non farmi sentire da Janice. «Stai bene?»
«Ancora non riesco a credere che sia mia figlia. Cioè, lo so, che è vero, ma...»
Poso una mano sulla sua. «Ti capisco.»
«Non penso che Julia mi perdonerà mai. Non mi rivolge la parola. Ti dispiace provare ad andarci a parlare?» È talmente disperato e triste che gli dico di sì. «Selena sosteneva che la bambina fosse malata. Infatti è magrissima. E anche... piccolina per la sua età, no?»
Gli stringo la mano e mi avvicino ancora di più, quasi a sfiorare il suo naso col mio. Non posso rischiare che Janice ci senta. «Julia ha dato un’occhiata alle cartelle cliniche di Ruby. Lei pensa che Selena forse...» Cerco le parole giuste. «... gonfiasse un po’ i problemi di Ruby.»
Lui mi guarda, adesso ho la sua piena attenzione. «Cioè? Stiamo parlando della sindrome di Munchausen per procura?»
Annuisco.
«Cavolo. Possibile, secondo te?»
Gli lascio la mano. «Guarda, all’inizio ho pensato che Selena non avrebbe mai fatto una cosa del genere alla figlia. Ma in effetti, da quando è morta, Ruby cammina molto meglio. Non usa né i tutori né la sedia a rotelle. Mangia cose che Selena sosteneva le facessero male e ha un bell’appetito. A colazione ha divorato due uova e un toast. Secondo Julia, le analisi dicono che non è allergica né ai latticini né al frumento.» Quest’ipotesi mi fa star male, ma devo cominciare ad accettare la possibilità che Julia abbia ragione. Non posso rifiutarmi di credere a qualcosa solo perché non mi piace.
«Ma è abuso di minore», esclama Nathan. Poi si appoggia allo schienale della sedia e aggiunge: «No, non ce la faccio, a sopportare pure questo, adesso».
Janice si gira e ci chiede: «Tutto a posto?»
Chiedo scusa a Nathan sottovoce. Non avrei dovuto parlargliene così. Mi alzo, vado da Janice e le sorrido. «Tutto bene. Gradisci altro tè?»
Adrian è in salotto con Rachel e col detective Middleton. Quando arrivo, sta finendo di raccontare loro dell’ultimo mazzo di fiori che ci è stato recapitato. Rachel ha alcuni fogli A4 in mano. Adrian deve averli presi dal cassetto della cucina quando io ero con Nathan. Avevamo deciso che ne avremmo parlato con Nancy prima di dirlo alla polizia.
La faccia di Middleton è molto seria mentre ascolta mio marito. Io mi siedo accanto a lui sul divano. Dobbiamo essere un fronte compatto.
Quando Adrian ha finito, il detective si schiarisce la voce. «A che ora arriva la signora delle pulizie?»
Guardo l’orologio. «Tra una decina di minuti.»
«Bene. Dovremo parlarle e capire se c’entra qualcosa con questi fogli. Ma, per quanto riguarda i fiori e il biglietto, mi pare di capire che pensiate siano opera di Dean?»
«E di chi altri, se no?» rispondo io. «Non l’avete ancora trovato?»
Il detective Middleton, con rammarico, scuote la testa. «No, ma stiamo facendo tutto il possibile. C’è anche un’altra cosa, però: siamo riusciti ad avvisare la madre di Selena della morte della figlia, ma del padre non c’è traccia. Sapreste indicarci dove risieda adesso questo...» Consulta il taccuino che ha in mano «... signor Owen Hughes?»
Guardo Adrian. Lui non sa niente di quello che è successo a zio Owen e purtroppo non glielo posso dire. Resterà per sempre un segreto che dovrò nascondergli, e la cosa mi rende molto triste. Soprattutto perché ci siamo promessi che d’ora in poi ci diremo sempre tutto.
«Sono anni che non vedo zio Owen. L’ultima cosa che ho saputo di lui è che, mi pare una quindicina di anni fa, ha lasciato zia Bess e Selena e se n’è andato.»
«Ma non mi aveva detto che sua madre era in contatto con lui?»
«Ehm... così pensavo. Ma, quando gliel’ho chiesto, mia madre mi ha detto che anche lei non lo sente da anni», balbetto. Mi succede sempre quando dico una bugia.
Middleton scrive qualcosa sul suo taccuino. «Ho capito. Va bene. Poi non so se Rachel ve l’ha già detto, ma abbiamo trovato alcuni biglietti nella borsa di Selena. Sono di Dean e si allude a un segreto di cui lui era a conoscenza. Le chiedeva dei soldi. Ne sapete qualcosa?»
Quindi il biglietto che ho trovato io l’ha scritto Dean? Ma perché Selena l’ha messo nel mio cassetto? Forse sospettava che l’avrebbe uccisa e voleva che io lo trovassi?
Ma lui era innamorato di mia cugina? Selena diceva che voleva scappare via con lei. Forse era un’altra delle sue bugie?
«No, mi dispiace.»
Rimaniamo in silenzio. Io continuo a guardare il detective negli occhi. Non posso essere la prima ad abbassare lo sguardo o capirà che ho mentito.
Tiro quasi un sospiro di sollievo quando Middleton alla fine dice: «Va bene. Allora aspettiamo che arrivi Nancy, così possiamo chiederle di questi fogli».
Gli sorrido, ancora scossa per aver mentito a ben due poliziotti. Da bambina mi sentivo subito in colpa se la maestra sgridava qualcun altro, anche se io non avevo fatto niente (perché io mi comportavo sempre bene, come diceva anche Selena).
Adrian si offre di andare a preparare una tazza di tè per Rachel e per il detective Middleton e io guardo fuori dalla finestra. Le cime delle montagne sono completamente coperte dalla nebbia, che sembra quasi la glassa che si usa sulle torte. Ho un fremito d’ansia. Non hanno ancora preso Dean. Com’è possibile che sia abbastanza vicino da poter venire a portarci fiori e biglietti minacciosi ma anche abbastanza lontano da riuscire a non farsi trovare?