12
Ancora sbigottito e molto, molto in collera, Tyrell decise che gli piaceva vederla sulle spine. Si stringeva il suo cosiddetto erede al petto e aveva le gote scarlatte. Non c’era, ormai lui lo sapeva, nulla di innocente in quella donna, se non l’aspetto fisico. «Mamma» ordinò con una calma che era ben lungi dal provare.
«Prendi il bambino, per favore.»
Lizzie impallidì di colpo. «No!» gridò.
Una volta ancora, l’insano impulso di proteggerla assalì Tyrell, e ci sarebbe ricaduto, se non avesse avuto l’assoluta certezza che era una bugiarda calcolatrice, oltre che un’attrice consumata. Persino in quel momento sembrava davvero terrorizzata.
Tyrell sapeva bene che quel bambino non era suo. Ma che razza di squallido giochetto era quello? Non si era mai sentito tanto furibondo.
«Vi prego» stava sussurrando Lizzie alla contessa. «Non portatemi via mio figlio.»
«È solo perché voi e Tyrell possiate parlare con calma» la confortò lei, rivolgendole un sorriso. «Ve lo prometto.»
E ora piangeva, pensò Tyrell, irritato. La maggior parte delle donne aveva un aspetto pietoso quando piangeva, e lei non faceva eccezione. Eppure, sorprendentemente, lo assalì il desiderio di prenderla fra le braccia e baciarla fino ad asciugarle tutte le lacrime. Pensare che era stato disposto a darle tutto ciò che desiderava se avesse accettato di diventare la sua amante! Ma era evidente che Miss Fitzgerald aveva mire ben più ambiziose.
La guardò mentre, con profonda riluttanza, come se temesse di non rivederlo mai più, dava il bambino a sua madre. Un fremito di compassione si agitò in lui, ma Tyrell lo ignorò. Quella donna non meritava alcuna pietà.
Mentre lo portavano via, guardò il piccolo e mille sospetti, mille dubbi gli colmarono d’un tratto la mente. Quel bambino gli somigliava molto, non c’erano dubbi. Doveva aver preso i tratti scuri dal padre, perché lei aveva la carnagione chiara. D’un tratto un assurdo pensiero gli attraversò la coscienza. E se non fosse stato di Elizabeth?
Ma no, era impossibile! Lei non sarebbe mai arrivata al punto di far passare il bimbo di qualcun’altra come suo. E poi era evidente che il pensiero di perderlo la terrorizzava. No, quel piccino doveva davvero essere di Elizabeth.
Tyrell era furioso. Non gli piaceva affatto trovarsi in mezzo a tanta confusione. La sua era stata una vita di certezze, di regole e principi. Il suo futuro era già deciso: lui era l’erede e aveva dei precisi doveri nei confronti di Adare e della sua famiglia. Ed ecco che all’improvviso arrivava quella donna con un bambino che forse era suo, forse no, e si creava una situazione terrificante.
Quando tutti furono usciti dal salone andò ad accertarsi che le pesanti doppie porte fossero ben chiuse, poi, le braccia incrociate sul petto, si mise davanti a lei. Se non fosse stato tanto furioso, si sarebbe goduto il suo evidente disagio. Ebbene, se lo meritava... anzi, meritava ben di peggio. A voce bassa, molto bassa, le domandò irritato: «Per chi mi prendete?».
Lizzie scosse il capo, sconvolta.
«Pensate che io sia tanto stupido?» insistette Tyrell, e la sua voce era un sibilo.
«N... no, milord, non... non lo credo affatto» balbettò lei, come se si vergognasse.
Un altro dei suoi trucchi. Tyrell non riusciva più a sopportarli. Si avvicinò ancora di più e l’afferrò per una spalla. Era piccola e fragile sotto la sua mano.
«Smettetela di fingervi una verginella irreprensibile. Sappiamo entrambi che non c’è niente di innocente in voi. E sappiamo entrambi che quel bambino non è mio figlio» affermò in tono gelido. «Come avete osato presentarvi qui nel patetico tentativo di costringermi a sposarvi?» Non aveva mai incontrato una giocatrice più spietata, eppure, quando la guardò in viso, vide nei suoi occhi solo dolore e vulnerabilità.
«Sono io la stupida. Mi dispiace» sussurrò Lizzie. Stava tremando.
«Vi dispiace?» Per un attimo lui le strinse ancora più forte la spalla. Fulminea, gli attraversò la mente l’idea di stringerla a sé e, a furia di baci, costringerla a confessare ogni cosa. «Non ho mai visto un piano più mostruoso del vostro!» ruggì invece e la lasciò, facendo un passo indietro per mettersi a quella che sperava fosse una distanza di sicurezza da lei. Ma era confuso più che mai, poiché sentiva che il proprio autocontrollo si stava pericolosamente affievolendo. «Credevate davvero di venire qui con quel bambino e convincere tutti che è mio figlio? Credevate davvero di convincere me... quando noi non abbiamo mai fatto l’amore?»
Lei si morse le labbra. «No» sussurrò.
«No?»
«Io volevo che i miei genitori lasciassero in pace me e il mio bambino, ma mi hanno tormentato in ogni modo e hanno preteso di sapere chi fosse il padre. Io però non potevo dir loro la verità, così ho pensato che se gli avessi raccontato che eravate voi – un uomo tanto superiore a me – si sarebbero arresi. Invece mi hanno trascinato qui e hanno chiesto un matrimonio assurdo. Sono qui solo perché sapevo che avreste negato ogni cosa. Vedete, milord, io non ho mai voluto intrappolarvi.»
«Perché non volete rivelare il nome del padre?» le domandò Tyrell, sempre sospettoso. «Che cosa nascondete?»
«Il fatto è che io non voglio sposarlo» rispose Lizzie dopo una piccola esitazione.
Deciso più che mai a scoprire la verità, lui insistette. «Chi è il padre del bambino?»
Per tutta risposta lei scosse il capo.
Allora, dimenticando ogni prudenza, Tyrell le si avvicinò. Poi, torreggiando su di lei, ripeté: «Voglio sapere chi è il padre».
Lizzie sussultò, ma di nuovo scosse il capo, mentre una lacrima le rigava il viso.
Tyrell si odiava. «Non avrete paura di me?» le chiese, facendosi ancora più vicino.
Lizzie annuì, continuando a piangere. «Ma so che non mi fareste mai del male, milord» sussurrò.
Lui si fermò. Quella donna riusciva a sbriciolare la sua determinazione con una sola parola, un solo sguardo. Decise di abbandonare l’argomento, per il momento. Consapevole che in lui la rabbia si mescolava con un violento desiderio, si allontanò. «Vi capita spesso di andare a letto con uomini che non volete sposare?»
«È... è stato un errore» sussurrò lei senza guardarlo in faccia. «La notte, la luna, le stelle. Sono... sono certa che capite, milord» aggiunse, le gote di nuovo scarlatte.
Tyrell la immaginò insieme a un amante senza volto, nuda e incantevole, che gemeva di passione sotto i raggi della luna piena. Non si era mai sentito tanto eccitato.
«Oh, capisco» replicò, un sorriso ironico che gli incurvava le labbra. «Capisco» ripeté e sentì violento il desiderio di ferirla. «È evidente che continuate a mentire. Non credo che vogliate davvero nascondere la verità sul padre del bambino. Oh, no. Io penso invece che cerchiate in qualche modo di spingermi a sposarvi.»
«Non so perché pensiate una cosa simile. Io non voglio sposarmi e non voglio sposare voi. Quello che voglio è ritornare a casa con mio figlio!»
Di nuovo Tyrell incombeva minaccioso su di lei. «E io insisto che diciate la verità. Ditemi la vera ragione per la quale siete qui a dichiarare di essere la madre del mio bambino. Se non è il matrimonio che cercate, allora sarà denaro. Ammettete la verità!»
Lei lo guardò. Aveva un’aria così fragile e devastata che Tyrell avvertì il folle desiderio di consolarla. E poi la sentì sussurrare: «Avete ragione, milord. Io volevo costringervi a sposarmi, ma è evidente che non sono abbastanza intelligente per riuscirci. I Fitzgerald sono una famiglia di miserabili».
Era quella la confessione che voleva, eppure ne fu stranamente disturbato, intristito. Cosa ancora peggiore, quelle parole gli suonarono false. La guardò e rimpianse di non riuscire a leggere nella sua mente, come un indovino.
Si considerava un buon giudice delle persone, gli era sempre stato facile percepire le ambizioni, le trame, i complotti in un’altra persona, ma in quel momento era perplesso. Elizabeth Fitzgerald aveva appena confessato la sua bieca ambizione, ma lui sentiva che si trattava dell’ennesima bugia.
«Vi giuro che non mi avvicinerò più a voi. Io e Ned torneremo a Raven Hall, voi a Dublino. Sposerete la figlia di Lord Harrington e ben presto nessuno ricorderà più questo spiacevole episodio.»
Tyrell si domandò perché lei continuasse ad avere gli occhi umidi. Avrebbe potuto giurare sulla Bibbia che quella donna desiderava davvero andarsene al più presto con il suo bambino e che non l’avrebbe cercato mai più. Era possibile che stesse dicendo la verità?
Tormentato da mille dubbi, esitò e lei dovette percepire la sua incertezza poiché gli si avvicinò e lo toccò. «Farò tutto ciò che desiderate, milord, se direte al conte che non siete il padre di Ned e ci lascerete tornare a casa.»
«Tutto?» le sussurrò lui afferrandole una mano, mentre una vaga sensazione di trionfo cominciava a impadronirsi di lui.
Lizzie lo guardò, subito allarmata, e tentò invano di liberarsi dalla sua stretta. «Quasi... tutto.»
Tyrell rise. «Volevate dire che mi dareste ciò che voglio, non è così, Miss Fitzgerald?»
Lei cominciò a scuotere la testa, cercando di divincolarsi, ma lui le strinse più forte la mano. «Vi ho chiesto di diventare la mia amante.»
«Ma state per fidanzarvi!»
Per tutta risposta Tyrell la spinse lentamente all’indietro fino a intrappolarla contro la parete. Gli piaceva il fatto che lei gli arrivasse solo al petto.
«Temo di sì, ma credo che questo fatto non abbia nulla a che vedere con me e con voi» rispose in tono mellifluo.
«Che cosa volete fare?» gli chiese lei, spaventata, e cominciò a puntargli le mani sul petto per allontanarlo da sé.
«Che cosa voglio?» Tyrell immaginò di fare l’amore con lei quella stessa notte, di godersi fino allo stremo quel corpo voluttuoso, e le sorrise, stringendo quei piccoli pugni nelle sue grandi mani e tenendoseli contro il petto. «Voglio riconoscere quel bambino.»
«Che cosa?»
Lui le fece scivolare le mani sui fianchi e la strinse a sé. «Non farò mancare nulla né a voi né al bambino. Voi dovrete solo scaldarmi il letto e in cambio vostro figlio avrà il mio nome.»
Con una mano le sollevò il viso, mentre con l’altra continuava a stringerla. Lei sembrava terrorizzata. «Dopo stanotte non sarete più tanto riluttante. Non avete nulla da temere, Elizabeth. Come vi ho già detto, non vi mancherà mai niente» le sussurrò.
Lizzie gemette e in quel piccolo suono soffocato Tyrell riconobbe il desiderio. Allora in lui ogni pensiero coerente si frantumò, scomparve. Restò soltanto la passione, la brama per quelle labbra, per quei seni. Attirandola ancora più a sé, le sfiorò la bocca.
Lei sussultò, un brivido la percorse e, approfittando di quel momento di smarrimento, Tyrell le insinuò la lingua tra le labbra. Non aveva mai desiderato tanto una donna, non sapeva nemmeno se sarebbe riuscito ad aspettare la sera per poterla avere. Quel desiderio era incomprensibile, non aveva senso, ma ormai nulla più aveva senso per lui.
E Lizzie si premette contro il suo corpo, rispondendo al bacio con una brama che eguagliava la sua.
Era giusto così. Fu quello il solo pensiero che attraversò la mente di Tyrell mentre la baciava; un pensiero stupefacente, assurdo, insistente...
«Tyrell!» Era la voce del conte, di suo padre.
E lui, come in lontananza, la udì. Stava baciando Elizabeth da quella che gli pareva un’eternità... o era stato soltanto un breve istante? Chiuse gli occhi, continuando a stringerla, il corpo posseduto da un desiderio che non credeva possibile. Poi, lentamente, riprese il controllo di sé e la lasciò, voltandosi a guardare suo padre.
Il conte era sulla soglia, sul volto un’espressione di totale disapprovazione.
Consapevole della presenza di Lizzie alle sue spalle, vicinissima, pervaso dall’assurdo desiderio di proteggerla, si girò verso di lei e, con un lieve sorriso, le disse: «Andate da vostro figlio. Tra poco parleremo».
Lizzie aveva il volto arrossato, i capelli un po’ spettinati, le labbra ancora turgide, ma annuì, un’espressione di profonda gratitudine negli occhi. Quindi, senza avere il coraggio di guardare il conte, uscì di corsa dalla stanza.
Tyrell la osservò andare via, poi passò davanti al padre e andò a chiudere le porte. «Ho deciso che lei e il bambino resteranno qui ad Adare. Io provvederò a ogni necessità di Miss Fitzgerald e di mio figlio» annunciò.
«Davvero stai pensando di tenere qui anche lei?» Il conte non credeva alle proprie orecchie.
«Non voglio separarla da... mio figlio» replicò con fermezza Tyrell. «Mi dispiace, ma non cambierò idea. È la cosa migliore per il bambino. Le assegneremo delle stanze non lontano dalla camera del bambino, ma lei resterà ad Adare.»
Il conte continuava a fissare suo figlio, senza parole.
Tyrell inclinò il capo. Era la prima volta che dava un ordine a suo padre. In quel momento capirono entrambi che i loro ruoli erano mutati. Il figlio era salito sul trono al posto del padre.
Lizzie si fermò sulla soglia della stanza che le era stata assegnata. Rosie, che teneva per mano Ned, era alle sue spalle. La contessa intanto dava ordine a una cameriera di accendere il fuoco e aprire le finestre, visto che le tende di raso verde erano tirate.
Lizzie sapeva che i Conti di Adare erano ricchi, ma non si aspettava certo il vasto appartamento che l’avrebbe ospitata. La stanza nella quale si trovava era incredibilmente ampia. Aveva un enorme camino sormontato da una mensola di marmo scuro di fronte al quale erano disposte diverse poltrone e un sofà. Sopra la mensola era appeso un ritratto di qualche antenato dei de Warenne, che sorrideva con la sicurezza e l’arroganza che solo i ricchi e i potenti hanno. Il divano era della stessa tonalità verde muschio delle pareti a stucco, mentre le poltrone che vi stavano di fronte erano rivestite di una tappezzeria rosa e oro, come la decorazione a stella sul soffitto. Il pavimento era in legno di quercia, coperto da tappeti persiani sui toni dell’oro e del rosso. C’era anche una zona destinata al pranzo, con un elegante tavolo di quercia sul quale era posata una composizione di fiori freschi e che era circondato da quattro sedie rivestite di morbida pelle. Infine, all’estremità opposta della stanza, diverse finestre guardavano sui famosi giardini di Adare.
«Spero che qui starete bene» disse la contessa con un sorriso. «La vostra camera da letto è da questa parte» aggiunse, indicandole una porta aperta su un’altra stanza.
Lizzie seguì il suo sguardo e vide una camera nella quale prevaleva il color oro, dominata da un enorme letto a baldacchino, dalle cortine anch’esse dorate.
Dunque Tyrell la stava sistemando ad Adare in qualità di sua amante. Lizzie era confusa, incredula, eccitata. Si era aspettata di essere ridicolizzata e cacciata via; si era aspettata di essere odiata da Tyrell per avergli mentito. Ma lui non la odiava, non la odiava affatto e quel letto ne era la prova. La desiderava a tal punto da confermare le sue menzogne e dichiarare che Ned era proprio figlio.
Le sembrava di vivere un sogno meraviglioso, un sogno che temeva sarebbe svanito al suo risveglio.
Lei, Lizzie Fitzgerald, la timida, l’insignificante Lizzie stava per diventare l’amante di Tyrell de Warenne.
«Vi sentite bene, Miss Fitzgerald?» le domandò la contessa alle sue spalle.
Lizzie non l’aveva nemmeno sentita avvicinarsi. Si voltò verso quella gentildonna tanto bella ed elegante e sussurrò: «Siete sicura che queste stanze siano per me?».
La contessa sorrise. «Ma certo. Questa è una delle ali per gli ospiti ed è qui che Tyrell ha voluto che vi sistemaste.»
«Non potrò mai ringraziarvi per tanta gentilezza» replicò Lizzie dopo una piccola esitazione. «E mi dispiace per la scenata che oggi abbiamo fatto in casa vostra.»
«Ma, mia cara, se non desideravate una scenata, perché allora avete rivelato ai vostri genitori che Ned è il figlio di Tyrell?»
«Non l’ho fatto. L’unica a saperlo era mia zia Eleanor. Aveva promesso di mantenere il segreto, ma ieri ha deciso di rompere quella promessa.»
La contessa le prese la mano. «Noi non ci conosciamo, ma sono lieta che vostra zia abbia parlato. Ned ha il diritto di vivere la vita che noi possiamo offrirgli. E io sono felice di avere un nipotino» concluse con un sorriso.
«Oh, lui è così intelligente, così spiritoso, così bello! Somiglia tanto a suo padre...» Lizzie arrossì e s’interruppe.
La contessa la studiò per un momento, poi indicò un’altra stanza. «Quella invece è la camera di Ned e Rosie. Vi occorre altro?»
Lizzie si guardò intorno e sentì il cuore batterle più forte per l’eccitazione. «Credo che staremo benissimo, grazie.»
«Bene.» La gentildonna esitò. «Potrei portare Ned a fare una passeggiata in giardino? Sono così impaziente di conoscerlo meglio.»
«Ma certo» acconsentì Lizzie. «Rosie, puoi accompagnare Lady Adare?»
La balia annuì e il terzetto si allontanò.
Rimasta sola, Lizzie cercò di esaminare con lucidità la situazione. Nonostante fosse ormai considerata una donna perduta, conosceva bene la differenza tra ciò che era giusto e ciò che era sbagliato. Una relazione clandestina era sbagliata, il matrimonio era giusto. Ma dopotutto che cosa importava, visto che il mondo la riteneva già poco più che una cortigiana? Che cosa importava, quando Tyrell stava per dare il suo nome a Ned?
In un certo senso lui la stava ricattando, questo lo sapeva, ma la sua proposta avrebbe soprattutto fatto il bene di Ned. La sua famiglia ne avrebbe sofferto molto, Lizzie sapeva anche questo, ma ormai non era più possibile tornare indietro. Tyrell le aveva fatto capire con chiarezza che non le avrebbe mai permesso di tornare a casa con il bambino.
E d’altronde, se era sincera fino in fondo con se stessa, doveva ammettere che lei non voleva tornare a casa. Presto, molto presto sarebbe diventata l’amante di Tyrell de Warenne.
Un interrogativo le attraversò la mente. Lui avrebbe capito che era vergine? Lizzie sapeva che un uomo esperto come Tyrell era di certo in grado di distinguere una cortigiana da una fanciulla illibata, e dunque lei doveva trovare il modo d’ingannarlo ancora una volta e nascondergli la propria innocenza.
Aveva sentito dire che la prima volta si provava un poco di dolore e si perdeva del sangue. Ebbene, lei avrebbe ignorato il dolore, il sangue si poteva lavare. Si domandò se non avrebbe potuto fargli bere abbastanza vino da renderlo confuso e impedirgli di realizzare che stava facendo l’amore con una vergine. Forse poteva aggiungere al vino una pozione soporifera, della valeriana, per esempio.
Sì, concluse più eccitata che mai, avrebbe fatto portare del vino in camera e l’avrebbe drogato con della valeriana. Ce n’era in ogni casa, in ogni cucina.
Di nuovo tornò a guardare il letto. Contro lo schienale erano ammassati diversi cuscini, finemente ricamati. Il copriletto era in broccato dorato, come le cortine del baldacchino. Incapace di trattenersi, entrò nella camera da letto e tirò indietro le coperte. Come aveva sospettato, le lenzuola erano di seta. Le accarezzò e sentì ogni nervo del corpo formicolare.
«Non posso aspettare che sorga la luna...» mormorò Tyrell de Warenne alle sue spalle. «E a quanto pare neanche voi.»
Lizzie si girò di scatto.
Lui era sulla soglia, appoggiato contro lo stipite. Aveva un sorriso indolente sulle labbra, ma non c’era nulla di pigro nella luce che gli illuminava lo sguardo.
«Milord» sussurrò lei, «non mi aspettavo nulla di simile.» E, senza distogliere gli occhi dal suo viso, indicò con un gesto della mano le stanze.
«Come vi ho detto, alla mia amante non mancherà mai nulla. Deduco che siate soddisfatta della sistemazione.»
Lizzie riuscì ad annuire. Lui non le era vicinissimo, ma la sua presenza era calda, pareva avvolgerla, irresistibile nella sua forza.
«Allora ne sono lieto» mormorò Tyrell, avvicinandosi.
Ogni parte del corpo di Lizzie parve tendersi, il fuoco divampò nelle sue vene, eppure lui non l’aveva ancora neppure toccata.
«La contessa tornerà fra poco» tentò di obiettare.
Lui la prese fra le braccia. «Ho chiuso la porta.»
Lizzie non riusciva più a parlare o a muoversi, desiderava soltanto i suoi baci e il cuore pareva volerle esplodere nel petto. Un sorriso curvò lentamente le labbra di Tyrell.
«Siete incantevole» mormorò con voce roca, toccandole il viso.
«E voi siete l’uomo più bello che io abbia mai visto» rispose lei con fervore.
Un lampo divertito gli attraversò lo sguardo. «Vogliamo scambiarci altri complimenti?» le chiese Tyrell, lasciando scorrere la punta di un dito lungo il suo viso e fermandosi poi sulle sue labbra.
Bastò quel semplice tocco per accendere il fuoco nel ventre di Lizzie e lui lo capì poiché scese con il dito più in basso, sulla gola.
«Sento il vostro cuore battere veloce, come le ali di un colibrì, Elizabeth.» E il dito scivolò sui seni.
Lizzie gemette.
«Voglio che vi spogliate, Elizabeth.»
Lizzie si rese conto di quello che lui le aveva detto, ma stranamente si sentì esaltata, non spaventata.
Tyrell le abbassò il corpetto. «Voglio ammirare ogni più piccola parte del vostro corpo» sussurrò.
Le stava strappando l’abito, ma a lei non importava. Lo strappo rivelò la camiciola sottile, l’ombra scura dei capezzoli. Allora Tyrell chiuse la mano in un pugno e le sfiorò con le nocche le punte erette, scivolando poi sotto il tessuto leggero.
Lizzie strinse le labbra per impedirsi di gemere.
Lui continuò a strofinare i capezzoli, il suo respiro era aspro, affrettato; poi la fece inarcare all’indietro e li reclamò con la bocca. Li stuzzicò, li leccò, li mordicchiò fino a che Lizzie non cominciò ad ansimare, mentre un misterioso languore, un desiderio che si faceva quasi sofferenza nasceva nel centro del suo corpo. «Non fermatevi» si udì implorare.
«Non mi fermerò mai» mormorò Tyrell, sollevandola e posandola sul letto. Lizzie guardò il suo volto stravolto dalla passione, così vicino all’estasi, e, incapace di trattenersi, gli afferrò la testa e lo baciò sulla bocca. Voleva assaporare, gustare e non solo le sue labbra, ma ogni minuscola parte del suo corpo.
Sorpreso da quell’aggressione, Tyrell staccò per un istante la bocca dalla sua e, sorridendo, le strappò l’abito in due. Lo sguardo offuscato dal desiderio, le afferrò i seni nudi. «Mi ricordate la Venere di Botticelli» le sussurrò. «E presto m’immergerò in voi.»
I loro sguardi s’incontrarono e con entrambe le sue mani su di sé, Lizzie l’implorò come non aveva mai fatto prima. «In fretta, milord, in fretta, prima che sia troppo tardi!»
Allora lui chinò il capo e la baciò di nuovo. Un bacio profondo, avido, prepotente. In preda a un’eccitazione insostenibile, ormai, lei s’inarcò, tentando invano di entrare in contatto con il corpo del suo amante.
«Mia povera cara» bisbigliò lui. E le sollevò le gonne.
«Sì, presto, sì» ansimò Lizzie.
Tyrell restò un istante a guardarla, poi le posò il palmo della mano sul morbido triangolo scuro. Di colpo Lizzie sgranò gli occhi e i loro sguardi s’incontrarono, poi ogni cosa scomparve per lei. Restò solo la sua mano che le apriva i petali e l’accarezzava, indiscreta e sapiente. Una tensione insopportabile l’avvolse e finalmente, perduto ogni controllo, Lizzie esplose e gridò, mentre l’onda del piacere la trascinava lontano, molto lontano.
Quando tornò in sé, si ritrovò ad ansimare in un letto a baldacchino che non era il suo, con l’abito strappato in due, le gonne sollevate intorno ai fianchi e Tyrell de Warenne che si toglieva la giacca e si sbottonava la camicia, un’espressione di desiderio selvaggio sul viso.
Ancora a cavalcioni su di lei, Tyrell le prese il volto fra le mani. «Siete sempre così o è solo per me?»
«Che cosa intendete dire?» gli chiese lei di rimando, ancora stordita dall’intensità del piacere appena provato.
«Mi avete sentito!» gridò Tyrell e di scatto la baciò ancora sulla bocca, insinuando la lingua fra le sue labbra dischiuse. Fu un bacio così lungo e appassionato che Lizzie sentì il desiderio sorgere di nuovo, come un’onda che torna a salire e si prepara a travolgere ogni cosa.
Tyrell ora era su di lei, la camicia che gli pendeva aperta dal petto. «Sapevo che sarebbe stato così» sussurrò con voce roca. «Ora bacerò ogni più piccola parte del vostro corpo, Elizabeth, senza fretta. Quello che voglio è semplice. Voglio tutta la passione che avete in voi e ancora di più, così non ve ne resterà per nessun altro... compreso il padre di Ned.»
Immobilizzata in quella posizione così compromettente e tanto... promettente, Lizzie faticava a capire il senso delle sue parole. Ormai il centro nascosto del suo corpo pulsava di rinnovata urgenza.
«Sì» riuscì a rispondergli, guardandolo negli occhi.
Un lampo di trionfo gli illuminò lo sguardo. «Così alla fine vi piegate alla mia volontà» sussurrò compiaciuto. E in quel momento somigliò così tanto a Ned che Lizzie trasalì, come se uno spruzzo d’acqua gelata l’avesse colpita in pieno viso.
Cercò di rialzarsi, ma lui le impedì di muoversi.
«Ho appena cominciato...»
«Vostra madre tornerà da un momento all’altro, volete davvero che ci trovi così? C’è sempre questa sera, milord!»
Per tutta risposta Tyrell le premette le mani sulle spalle, trattenendola. Il corpo tradì Lizzie, arrendendosi all’eccitazione. «Voi e io siamo davvero una bella coppia» mormorò lui. «E non so se riuscirò a resistere fino a stasera.»
Una volta ancora Lizzie si sentì mancare. All’improvviso nulla era più importante che fare l’amore con Tyrell.
Fu in quel momento che qualcuno bussò alla porta del salone.
Immediatamente lui balzò giù dal letto e cominciò ad abbottonarsi la camicia. Infilandosi la giacca che era sul pavimento, si voltò verso di lei. «Vi ho strappato il vestito.»
Lizzie si mise a sedere sul letto e tentò di sistemarsi. «È la contessa con Ned!» sussurrò, allarmata. «E ora che cosa faccio?»
«Le dirò che state riposando. Ho già mandato un domestico a Raven Hall a prendere le vostre cose, ma dovrete aspettare che arrivino qui per avere qualcosa da indossare.»
«Potrebbero volerci ore!» esclamò lei. «Che cosa succederebbe se i vostri genitori mi chiedessero di scendere?»
«Riferirò loro che siete stanca» la rassicurò Tyrell, che ormai aveva riacquistato il pieno controllo di sé. Poi, dopo una piccola esitazione, le domandò bruscamente: «Vi ho fatto male?».
«No. Voi...» Lizzie arrossì e abbassò gli occhi. «È stato molto piacevole.»
Tyrell non si mosse e non parlò. Quando lei sollevò lo sguardo lo scoprì a scrutarla, come se volesse leggerle nella mente.
«Milord?» mormorò, allarmata.
Lui sussultò. «A stanotte.» E con un cenno del capo uscì, chiudendosi la porta alle spalle.
Tenendosi i lembi del corpetto, Lizzie lasciò che la gioia e l’esultanza colmassero il suo cuore.
Tyrell de Warenne era il suo amante.