7
Domenica, 6 maggio 2012.
Il telefono cellulare squillava con insistenza. Aldani accese la luce. Era la Questura. Guardò l'ora prima di rispondere: le tre meno un quarto. Brutto segno.
«Dottore, sono l'agente Romualdi Paolo. C'è stato un tentativo di effrazione in fondamenta Zattere ai Gesuati, al civico 3962.»
«Effrazione? E chiamate me?»
«Mi hanno detto di avvertirla.»
«Chi ti ha detto di avvertirmi?»
«L'agente Bonaccorsi Giuseppe.»
«E chi sarebbe Bonaccorsi Giuseppe?»
«L'agente in servizio di scorta.»
«Scorta?»
«Sì, così ha detto.»
«Scorta a Irene Svetlova?»
«Sì, mi pare di sì.»
«Ti pare, eh?»
«Sì, dottore.»
«Ce l'ha un cazzo di cellulare, il Bonaccorsi Giuseppe?»
«Sì, dottore.»
«Bonaccorsi?»
«Sì.»
«Sono Aldani.»
«Buonasera, dottore, lo abbiamo preso!»
«Tonon?»
«Sì.»
«Dove ti trovi?»
«A casa della Svetlova. Con me c'è l'agente Tanduo.»
«E il Tonon?»
«Seduto sul pavimento, ammanettato e in stato d'arresto. Sta arrivando una sepolina per tradurlo in Questura.»
«Com'è andata?»
«Tanduo si trovava qui nell'appartamento, mentre io sorvegliavo il portone da una certa distanza. Si è avvicinato un tizio che corrispondeva alla descrizione, e mi sono allertato. Il tizio ha armeggiato con la serratura ed è riuscito ad aprire. Mentre saliva, la signorina abita al secondo piano, ho avvisato Tanduo, poi l'ho seguito. L'abbiamo lasciato forzare l'ingresso dell'appartamento, e il resto può immaginarlo.»
«Ottimo lavoro, Bonaccorsi. Andrò a dargli il benvenuto in Questura.»
Alle tre e tre quarti, Aldani, sbarcato dalla sepolina che gli avevano mandato, varcava l'ingresso d'acqua della Questura. Aveva necessità di un caffè come Dio comanda, ma a quell'ora di domenica mattina era abbastanza difficile. Si accontentò del solito distributore automatico. Buttò giù il liquido senza troppi complimenti e si avviò verso la saletta degli interrogatori.
Salutò l'agente di guardia alla porta. «È qui?» chiese.
L'agente annuì, la faccia assonnata.
«Entro un momento.»
Tonon Paolo aveva il fisico di un buttafuori. Squadrò Aldani come se da un momento all'altro avesse dovuto spezzarlo in due. Di certo, se lo avesse aggredito, il commissario se la sarebbe potuta cavare soltanto tirandogli una pistolettata. L'uomo aveva un'aria rincretinita a metà strada tra un culturista di serie B e un pugile all'ultimo stadio. Sorrisetto ebete e strafottente. Decisamente pericoloso.
«E bravo il nostro Tonon, che si è fatto beccare!» esordì Aldani con una punta di sarcasmo, sedendosi di fronte a lui.
L'uomo non disse nulla, ma la palpebra sinistra calò più volte sull'occhio, come se qualcosa gli fosse entrato dentro.
«Chissà cosa voleva fare in quell'appartamento, il nostro Tonon.»
«Mi no digo un casso. Aspetto il mio avvocato.» L'accento veneto era devastante.
«A dire il vero, erano considerazioni con me stesso. Non intendevo fare conversazione.»
«Mi no parlo sensa avocato. E pò, ti chi casso ti si?»
«Hai ragione, non mi sono presentato. Sono il commissario Aldani della Squadra mobile. Sai, io credo che tu ti sia proprio cacciato nei guai. Grossi guai. Omicidio, una brutta cosa.»
«Non ho ucciso nessuno.»
«Questo lo vedremo.»
«E non parlo senza avvocato.»
«Sei monotono.»
«Anca ti.»
Aldani si alzò di scatto facendo cadere la seggiola. «Senti un po', pezzo di merda, non sei il primo bullo del cazzo che si è seduto su quella sedia, e ti garantisco che, quando si è alzato, quello cui bruciava il culo non ero io.» Gli sembrò che la scenata gli fosse riuscita bene. Non era uso a quel tipo di sparate, ma in quella situazione...
Tonon sembrava impassibile, ma la palpebra ora andava su e giù senza sosta. Si passò anche due dita sull'occhio per tentare di fermare l'incontrollabile tremito, ma con scarsi risultati.
«Hai quasi quarant'anni, non sei più un giovincello. Abbiamo prove tali da spedirti in galera per tanto di quel tempo che ne uscirai quando ormai sarai vecchietto. Se ne uscirai.»
«Non... non mi fai paura.»
«Non volevo mica farti paura. Soltanto spiegare a quella testa di cazzo che ti ritrovi sul collo che non ti conviene fare il duro. Ammorbidisciti, e vedrai che magari andremo d'accordo. E forse ti risparmierai qualche anno di galera, anche perché i tuoi amici non si sbatteranno per te, stanne certo, ti lasceranno nella merda. Tu pensi di essere furbo, ma loro sono più furbi di te. Non ti conviene coprirli. Pensa ai tuoi interessi.»
«Cosa vuoi da me?»
«Perché l'hai uccisa?»
«Non so di cosa parli.»
«Helen Habduc.»
«Non la conosco.»
«Ci sono le tue impronte, stronzo.»
«E allora? Sarò andato da lei qualche volta.»
«Allora la conoscevi?»
«...»
«Che la conoscevi non c'è dubbio. Eri un habitué della I&H Relations, vero?»
«“I-e-acca” cosa?»
«L'agenzia di escort di Rialto, non fare il finto tonto.»
«Forse ci accompagnavo degli amici. Non è mica un reato, no?»
«Ammazzare sì.»
«Non l'ho ammazzata io.»
«Allora, dovrai spiegare perché sul pavimento c'era l'impronta del tuo dito di merda, fatta col sangue.»
Tonon non disse nulla. La palpebra ormai era più chiusa che aperta. «Non l'ho ammazzata io.»
«Sei di nuovo monotono.»
«È la verità, cazzo!»
«Se non sei stato tu, ti conviene farmi un nome.»
«Io non c'entro.»
«Che palle, Tonon! Ti facevo stupido, ma non fino a questo punto. Sei così fedele ai tuoi datori di lavoro da andare in galera al posto di qualcun altro?»
«Io non dico più niente.»
«D'accordo. Comunque, non puoi negare che conoscevi Helen. Ci sono decine di testimoni.» Decine magari no, ma così faceva più effetto.
«D'accordo, la conoscevo, e allora?»
«Anche la sua amica bionda che volevi andare a trovare stasera?»
«Più o meno.»
«Ci andavi a letto?»
«Magari! Quella troia di slava non voleva saperne.»
«Mi riferivo a Helen.»
«Mi no ghe vado co le negre.»
«Hai qualcosa contro le donne di colore?»
«Io? No!»
Aldani osservò in silenzio il suo interlocutore, e lo vide sotto una luce diversa. Che quel deficiente fosse anche un razzista di merda? In effetti...
In quel momento si aprì la porta, e l'agente introdusse un uomo in abiti eleganti.
«Avvocato!» esclamò Tonon.
«Avvocato, questa sì che è una sorpresa», disse Aldani.
«Questo interrogatorio non è regolamentare, commissario, lo sa meglio di me», esordì Giuseppe Bellemo in tono professionale appena intaccato dall'alzataccia.
Aldani si chiedeva come quel tizio fosse riuscito a vestirsi in modo così impeccabile anche alle quattro del mattino. «Certo che lo so, ma non lo stavo mica interrogando, vero Tonon?»
L'uomo guardò l'avvocato, poi il commissario, poi di nuovo l'avvocato. «Stavamo soltanto parlando», disse infine, chinando la testa fino a guardarsi le scarpe.
«Come mai è venuto di persona, avvocato?» chiese Aldani.
«La cosa non la riguarda.»
«Glielo ha chiesto qualcuno di importante?»
«La smetta, commissario.»
«Va bene. Allora, le chiedo: come mai conosce il qui presente Tonon, pregiudicato e maggiore indiziato per l'omicidio di Helen Habduc?»
«Le ripeto, la cosa non la riguarda.»
«Va bene, avvocato, se la mette così, ci penserà il piemme a torchiare l'arrestato. E sarà mia cura consegnarglielo quanto prima. Aspettate qui», concluse Aldani e uscì senza fretta dalla stanza.
Un'ora e mezzo dopo, un motoscafo della Penitenziaria accoglieva il Tonon per accompagnarlo alla vicina Casa circondariale di Santa Maria Maggiore e metterlo a disposizione del pubblico ministero. Aldani sospettava che, grazie ai buoni uffici dell'avvocato Bellemo, l'interrogatorio non avrebbe prodotto risultati apprezzabili, anche perché il Tonon sembrava essersi rincuorato dalla presenza di Bellemo. Ai suoi occhi doveva sembrare che gli «amici» non lo avessero abbandonato.
«Buongiorno, dottore. Quello era l'avvocato Bellemo, o sbaglio?» chiese Manin, interrompendo i pensieri di Aldani.
«Non sbagli.»
«E che diavolo ci faceva qui a quest'ora?»
«È l'avvocato di Tonon.»
«Scherza?»
«Non scherzo.»
«Questa sì che è buona.»
«Tu come mai sei già qui?»
«Dopo che lei mi ha telefonato, sono subito passato da Irene per vedere come stava.»
Aldani squadrò Manin. «E come stava?»
«Bene. In realtà, dormiva quando hanno preso Tonon, non si è quasi accorta di nulla. Dottore, ha fatto bene ad assegnarle la scorta.»
«Già. È stata una buona idea.»
«Cos'ha detto Tonon?»
«Stavamo giusto per sintonizzarci sulla stessa frequenza, quando è arrivato il suo avvocato.»
«E quello lì come l'ha saputo?»
«Gli hanno fatto fare la telefonata, al Tonon.»
«Potevano aspettare un po', no?»
«È quello che ho pensato anch'io. Manin, noi comunque siamo i buoni.»
«Non è strano che l'avvocato si sia messo in mezzo per difendere il Tonon?»
«Sì.»
«Perché non lo hanno lasciato andare al proprio destino?»
«Forse perché così possono tenerlo meglio sotto controllo. Magari temono che quel cretino si faccia sfuggire qualche nome eccellente.»
«Dottore, pensa sia stato lui?»
«Non lo so. È un tipo pericoloso, quello è certo. Ed è anche razzista. Ti dirò, oltre a essere un cretino, è mezzo psicopatico. Gli servirebbe un analista. Non è detto, però, che sia stato lui.»
Aldani tacque. Poi sospirò: «Ho bisogno di un caffè. Non sono ancora le sei. Ci sarà un bar aperto in piazzale Roma? O alla stazione?»
«In stazione, dottore.»
«Allora, andiamo.»
Un pensiero vago gli frullava per la testa, senza riuscire a trovare uno sbocco sensato, e la chiacchierata con Basenti faceva da catalizzatore. Alla luce della nuova autopsia, infatti, l'ipotesi del suicidio aveva definitivamente perso consistenza. Qualcuno aveva fatto fuori Mirco Albrizzi, e l'indiziato principale sembrava essere il partito degli affari. Ma c'era anche quell'ingombrante presenza a Venezia di Thomas che ascoltava le conversazioni proibite del fratello. Aveva sentito qualcosa che non avrebbe dovuto? Come mai era scomparso?
Il pensiero, in effetti, riguardava Thomas e la sua permanenza a Venezia. La cartina fornitagli da Zurlini non era, però, di grande aiuto. Certo, sapere che il telefono era acceso era un indizio interessante, e fra l'altro la Postale aveva confermato che il cellulare non si era mosso da quel cerchio, ma se non riuscivano ad arrivarci più vicino, era del tutto inutile.
Tornò a dispiegare la mappa sulla scrivania, nella speranza che a mente fresca gli venisse qualche idea.
In quel momento entrò Manin. «Ancora con quella mappa, dottore?»
«Secondo me, ha molto da dirci, anche se non riusciamo a capire cosa.»
Aldani si chiuse in un suo pensiero.
«Cos'ha in mente, dottore?»
«Che Thomas forse ha sentito qualcosa di importante.»
«E poi?»
«Chi lo sa.»
«L'avranno mica fatto fuori?»
«Non lo escludo, ma il telefono è ancora acceso.»
«E se l'avessero beccato ad ascoltare?»
«Ci avevo pensato. Da quelle parti non ci sono posti dove nascondersi, avrebbe dato nell'occhio.»
«L'immagine di Thomas acquattato per ore e ore nella penombra di una calle non è molto credibile, però.»
«Hai ragione.»
«Dottore, e se si fosse nascosto sull'acqua?»
«Sull'acqua?»
«Intendo dire, dentro un motoscafo ormeggiato lì vicino. Un nascondiglio perfetto.»
«Non è male come idea. E come se lo sarebbe procurato, il motoscafo?»
«Lo ha rubato. O lo ha noleggiato, magari.»
«Non lo so. Se soltanto riuscissimo ad arrivare a quel maledetto telefono.»
«La zona è troppo ampia per essere di qualche utilità.»
«Già, non abbiamo la più pallida idea di dove sia...» Aldani si fece distrarre da un pensiero improvviso.
«Dottore?»
«Manin...»
«Sì?»
«Fai una verifica tra le proprietà di Mirco Albrizzi e delle sue società.»
«Cosa cerchiamo?»
«Un appartamento, un magazzino, un ufficio, un locale qualsiasi che si trovi all'interno o nelle vicinanze della zona segnata sulla mappa.»
«Un ago in un pagliaio.»
«Forse, ma spero in una botta di culo. Ce lo meritiamo, a questo punto.»
«Cosa cerca di dimostrare?»
«Non lo so. Forse che Thomas ha incontrato il fratello.»
«Dottore, non sarà semplice.»
«Vai in Comune, all'ufficio Urbanistica. Ti daranno una mano.»
«Ma oggi è domenica, l'ufficio è chiuso.»
«E noi lo facciamo aprire, cazzo! E di corsa! Questa è o non è un'indagine di Polizia?»
«Certo, dottore!»
«Muoviti, allora! Non credo servirà scomodare il sindaco, ma, se incontri difficoltà, fammi sapere. Abbiamo sempre l'asso nella manica.»
«Sarebbe?»
«Il questore, no?»
Manin fu di ritorno in una ventina di minuti. «Dottore, ho appuntamento fra un'ora a palazzo Contarini Mocenigo. Un geometra del Comune è a nostra disposizione. Non c'è stato bisogno di scomodare il sindaco.»
«Bene.»
«Dottore?»
«Che c'è?»
«Ma, secondo lei, la banda dei quattro ha fatto fuori Mirco Albrizzi?»
«Forse, non direttamente.»
«Pensa a Tonon?»
«Quello di certo ha tutte le carte in regola.»
«Dunque, Tonon ammazza Albrizzi, inscenando il suicidio, perché è in possesso di qualcosa di compromettente per la banda...»
«Per il partito degli affari. La faccenda, secondo me, si gioca molto più in alto.»
«Tonon non trova quello che cerca, ma viene a sapere in qualche modo che ce l'ha Helen...»
«Esatto, e fa fuori anche lei. Forse non era previsto, magari si è fatto prendere la mano, comunque non trova ciò che cerca. Almeno così sembra.»
«Ma come si spiega la lettera di addio? Non è plausibile che l'abbia scritta sotto dettatura e l'abbia poi chiusa nella cassaforte.»
«In effetti, non lo è. Mi ci sto arrovellando, ma non trovo una spiegazione sensata.»
«Un bel casino.»
«Senti, Manin, non ci riesco a star qui ad aspettare, vado io in Comune.»
Palazzo Contarini Mocenigo, a San Marco, un'originale costruzione patrizia della metà del Cinquecento, di proprietà del Comune, ospitava vari uffici, tra cui la sede dei ghebi, la Polizia municipale.
Aldani si fece accompagnare da un vigile fino a un ufficio al secondo piano. Il locale puzzava di fumo stantio, e l'uomo che sedeva alla scrivania, seminascosto da un paio di giganteschi schermi, alzò appena lo sguardo per osservarlo. Non sembrava molto felice di essere lì e non accennò ad alzarsi.
«Di solito, gli uffici comunali sono chiusi di domenica», buttò lì, acido.
«Di solito, le indagini per omicidio se ne fottono se gli uffici comunali sono chiusi», rispose secco Aldani. Certi tipi vanno messi in riga subito.
Il tizio, infatti, sembrò rendersi conto di aver esagerato. Si alzò, per andargli incontro. «Moretti Antonio», disse porgendo la mano.
«Commissario Aldani, Squadra mobile della Questura di Venezia.»
«Sono a sua disposizione, commissario. Anche se non ho capito bene che cosa possiamo fare per la Polizia.»
Aldani porse all'uomo un foglio con un elenco di nomi. «Abbiamo necessità di identificare tutte le proprietà che Mirco Albrizzi possedeva nel centro storico. Comprese le società che facevano capo a lui.»
«Quello che si è suicidato?»
«Già.»
«Ci vorrà un po'.»
«Ho tutto il tempo.»
«Bene, allora comincio.» L'uomo si sedette e iniziò a digitare rapido sulla tastiera.
Aldani si spostò alle sue spalle. «Le dispiace, se guardo mentre lavora?» chiese con noncuranza.
«Prego», rispose il geometra, ma si percepiva che la cosa lo indisponeva.
Ogni tanto l'uomo allungava una mano verso un pacchetto di Marlboro che spuntava da un mucchio di fogli buttati alla rinfusa, ma la ritirava quasi subito. Dopo quaranta minuti di lavoro in totale silenzio, si appoggiò all'indietro sullo schienale, emettendo un suono gutturale di evidente soddisfazione. «Ecco qua.»
Aldani, che aveva seguito il lavoro del geometra, annuì. Aveva già individuato quello che gli interessava: una proprietà situata quasi al centro della zona in cui la tecnica della CSA indicava la presenza del cellulare di Thomas. Toccò con un dito il pallino blu. «Che cos'è?»
«Palazzo Zane. Si affaccia sul rio San Vidal. Risulta disabitato da molti anni. E non tocchi con le dita lo schermo, per favore.»
Aldani lo squadrò torvo. «Proprietà di Albrizzi?»
«No, non più. Da anni risulta intestato a una delle società dell'elenco, la Polifilo Holding.»
«Si può ingrandire?»
Il geometra armeggiò col mouse fino a rendere visibili i dettagli del palazzo.
«Non è granché», osservò Aldani.
«La CTR al cinquemila è così.»
«CTR?»
«La Carta Tecnica Regionale. È in scala uno a cinquemila, di meglio non si può fare.»
«Mi può stampare l'elenco di tutte le proprietà che ha individuato?»
Il geometra provvedette in silenzio. Qualche minuto dopo, porgeva al commissario alcuni fogli con le informazioni richieste.
«Grazie. Lei è stato di grande aiuto», disse neutro Aldani, congedandosi.
«Prego», sussurrò l'uomo con la mano che già agguantava il pacchetto di sigarette.
Aldani attendeva impaziente l'arrivo del trasporto a bordo riva del Ferro. Aveva chiesto a Manin di raggiungerlo subito.
Scorse l'inconfondibile livrea del Toni che si faceva strada alla solita maniera, andando ad appoggiarsi senza grazia contro una palina che aveva conosciuto tempi migliori.
Manin, senza scendere, accennò a un saluto con la testa.
«Buongiorno, dotto'!» esclamò il solito Vitiello. «Dove andiamo?»
«A palazzo Zane. Vicino al ponte dell'Accademia. Lo conosci?»
«No.»
«Sta in rio San Vidal.»
«Capito.»
«Andiamo», esortò Aldani, salendo sulla barca. «Un solerte funzionario del Comune mi ha aiutato a individuare una vecchia proprietà di Albrizzi che sta proprio al centro della zona segnata nella mappa.»
«Speriamo bene», disse Manin.
Imboccarono rio San Vidal svoltando a sinistra dal Canal Grande, poco prima del ponte dell'Accademia. Per qualche decina di metri il rio era costeggiato sulla destra dal campo, poi si infilava tra i palazzi incombenti, restringendosi. Quello che cercavano sorgeva sulla sinistra, giusto dove finiva il campo.
Se palazzo Albrizzi aveva bisogno di un restauro, palazzo Zane andava ricostruito. Più che decadente, sembrava un rudere. Poggiava dal lato sinistro su una costruzione restaurata di fresco, e anche per questo spiccava nella sua trasandatezza. Era un palazzo semplice, androne, piano nobile, e due mezzanini. La porta d'acqua, serrata da un portone marcito, doveva essere in disuso da molti anni. A destra del portone, l'ingresso a volta ribassata di una cavana, il tipico ricovero veneziano per le barche, sorta di microdarsena interna ai palazzi. Non erano molti quelli che ne erano dotati. Anche la cavana doveva aver avuto, un tempo, una chiusura, ma ormai restavano soltanto alcuni pezzi di legno che penzolavano dai cardini rugginosi. Da fuori si intravedeva l'androne del palazzo, nella cui penombra dondolava un motoscafo.
«Vitiello, ferma la barca! Manin, hai visto?»
«Sì.»
«Riesci a leggere la targa?»
«Un momento. Forse... VE... 2... 38... Vitiello, ferma 'sta cazzo di barca! Allora... Ci sono: VE2384.»
«Fai controllare dalla sala operativa.»
Manin tirò fuori il telefono e andò a sedersi dentro il Toni.
«Vitiello, torna indietro e facci scendere lì», disse Aldani, indicando alcuni scalini a lato di un ponte scalcinato che dal campo traversava il rio per terminare a ridosso del palazzo. A Venezia ce ne sono parecchi di ponti come quello. «Ecco l'ingresso di terra.»
«Dottore, ho la risposta», esclamò Manin concitato, uscendo dalla cabina.
«Allora?»
«La Capitaneria dice che il motoscafo risulta intestato all'Avis.»
«La società di autonoleggi?»
«Sì. Stanno cercando di contattare la sede di Venezia per avere dettagli.»
«La cosa si fa interessante.»
«Già. Chiamano, appena hanno novità.»
«Bene. Andiamo», disse Aldani.
I due poliziotti scesero dalla lancia e affrontarono il ponte. Giunti in fondo, osservarono perplessi il portone dell'ingresso di terra che, a differenza dell'altro, sembrava in perfetta efficienza.
«Che si fa? Si butta giù?» propose Aldani.
«Dottore, ce l'ha l'autorizzazione?»
«Ho dimenticato di chiederla.»
«Comunque, mi pare solido. Forse troppo, per le mie spalle», osservò Manin.
«Facciamo un tentativo. Vitiello, tu piazza il Toni davanti alla cavana», disse Aldani, sporgendosi dal ponte.
«Perché?» chiese l'agente.
«Perché non si sa mai!» rispose brusco il commissario.
«Capito.»
«E senza far troppo casino.»
«Capito», ripeté Vitiello, spingendo piano la manetta.
«Forza, Manin, datti da fare.»
«È proprio necessario, dottore?»
«Quel motoscafo non mi ispira niente di buono.»
«Ok.»
Ci vollero tre forti spallate, prima che la serratura del portone cedesse. Entrarono con cautela nell'androne. Sulla destra, scorsero il motoscafo che risaltava nel chiaroscuro creato dalla luce proveniente dal rio. Davanti a loro, le scale che portavano al piano nobile. I gradini erano polverosi, ma la parte centrale recava tracce evidenti del passaggio recente di qualcuno. Aldani si limitò a indicarle a Manin, che annuì senza dire nulla. In quel momento, un rumore proveniente dai piani superiori focalizzò l'attenzione dei due poliziotti. Sembrava una porta che si chiudeva.
«Tirala fuori», ordinò sottovoce il commissario che non girava mai armato. La sua Beretta 92 SB, insieme con i proiettili 9x19 parabellum, la teneva quasi sempre in Questura, nella celletta di sicurezza assegnatagli. Non solo non si sarebbe mai sognato di portarsela a casa, ma nemmeno in servizio.
Manin lo guardò dubbioso. «Pensa che...»
«Non penso niente. Forza!» sibilò Aldani.
L'ispettore obbedì ed estrasse la Beretta d'ordinanza. Col «pezzo» in mano faceva una certa impressione.
«Andiamo!» ordinò il commissario, affrontando le scale. Quando arrivò sul pianerottolo del piano nobile, si arrestò. «Questa è un'operazione di Polizia! Uscite con le mani in alto!» urlò. Non gli capitava spesso di usare la formula di rito, e ogni volta si trovava in imbarazzo a dire quelle parole.
I due poliziotti restarono immobili auscultando la penombra, ma non un rumore, non uno scricchiolio interruppe l'umido silenzio di quel palazzo fatiscente. Il salone era vuoto e polveroso. Esplorarono con cautela le varie stanze che apparivano disabitate da tempo.
Aldani stava ormai pensando che si fosse trattato di un falso allarme, quando il colpo echeggiò lungo le scale facendo sussultare i due uomini.
«Pistola?» chiese Manin.
«Credo di sì. Forse un piccolo calibro», confermò Aldani.
«Chiamo rinforzi?»
«Non credo sarà necessario. Ho un brutto presentimento. Andiamo.»
Salirono fino al primo mezzanino. Lì c'erano segni evidenti che quel piano era abitato. Sul tavolo al centro del salone principale c'erano resti recenti di cibo e bottiglie d'acqua. Le stanze, però, erano deserte. Anche una delle camere da letto, che sembrava essere stata usata da qualcuno.
Salirono al secondo mezzanino e controllarono le stanze: vuote e abbandonate da tempo. Restava soltanto un'ultima porta chiusa. Aldani fece un cenno a Manin, che puntò l'arma e spalancò la porta con un calcio violento. E finalmente lo videro. Il cadavere.
Un'ora dopo il fatto, palazzo Zane brulicava di persone indaffarate. Era tutto un andare e venire: poliziotti, Scientifica, medico legale, piemme, capo della Mobile. Si erano attivati tutti, il circo di Polizia giudiziaria al gran completo. Mancava soltanto il questore. Perfino qualche giornalista, saputo chissà come del fattaccio, spintonava davanti all'ingresso, anche se, si stupì Aldani, Danieli non c'era. D'altra parte la notizia era davvero grossa: Thomas Wilson, così almeno dicevano i documenti, e lo confermava un primo riconoscimento basato sulla fotografia a suo tempo fornita dalla moglie, si era sparato in bocca un colpo di pistola, precisamente della Beretta 82 con numero di matricola abraso ritrovata nella vasca. Suicidio. Stavolta non c'erano molti dubbi.
Il corpo era adagiato nella vasca da bagno, immerso nel proprio sangue. La nuca era sfondata e la materia cerebrale impiastricciava il muro. Il proiettile si era conficcato in un armadietto di legno dietro la vasca. Il bossolo era finito dietro il water. Aldani non vi si era soffermato molto, la vista del sangue, a dir poco, lo disturbava.
Doria e il suo gruppo, ancora una volta, erano stati chiamati a fare i rilievi. Di domenica, con buona pace di Polillo.
Aldani se ne stava appoggiato al muro del salone e osservava meditabondo quel via vai schizofrenico. Si sentiva molto stanco, ma per fortuna nessuno sembrava curarsi di lui. Il capo della Mobile e il piemme continuavano a parlottare tra loro, come se il morto non ci fosse. Chissà cosa avevano da raccontarsi... Manin, insieme ai colleghi della Scientifica, stava setacciando da cima a fondo il palazzo.
Il cellulare squillò, scuotendolo dal torpore dei suoi pensieri. Era il questore.
«La richiamo tra un minuto», disse Aldani e chiuse. Scese al piano nobile, che in quel momento era deserto.
«Mi dica, signor questore.»
«Che diavolo sta succedendo, Aldani?»
«Abbiamo trovato il fratello di Albrizzi.»
«Questo lo so! Mi vuole spiegare perché è morto?»
«Si è sparato un colpo in bocca.»
«Aldani, so cosa è successo. Voglio capire perché non lo avete fermato.»
«Non abbiamo fatto in tempo. Siamo entrati, lui ci deve aver sentito, ho intimato l'alt, se n'è scappato nel bagno su al mezzanino e si è sparato.»
«Non le pare strano?»
«Sì, è da un'ora che ci sto pensando.»
«Ritiene che avesse già preparato tutto?»
«Secondo me, sì. Il nostro arrivo forse ha solamente accelerato una decisione già presa. Dal nostro ingresso allo sparo non sono trascorsi neanche due minuti.»
«Troppo poco per organizzarsi.»
«Esatto, signor questore.»
«Lo sa che ci saranno tutti addosso, ora?»
«Me ne rendo conto, ma in un modo o nell'altro questa storia dovrà pur finire.»
«Questo è certo, Aldani, non creda che anch'io non ne abbia le palle piene.» Quell'espressione confermò al commissario che il suo rapporto col signor questore, negli ultimi giorni, era cambiato. «Siete sicuri che sia proprio Thomas Wilson?»
«Così dicono i documenti, e la foto che ci aveva dato la moglie è inequivocabile. Appena il corpo sarà trasferito all'obitorio, la accompagneremo per il riconoscimento.»
«L'avete già avvertita?»
«Ho mandato l'ispettore Zurlini a prenderla. Intanto, la faccio portare in Questura, poi ci parlo io.»
«Ci vada leggero.»
«Non si preoccupi.»
«Bene, Aldani, molto bene. Torno ad arginare il fiume in piena.»
«In bocca al lupo, signor questore.»
«Questo pomeriggio dovremo tenere una conferenza stampa.»
«Capisco, signor questore.»
«Sicuro?»
«Certo, mi faccia sapere a che ora.»
«Bene, Aldani, molto bene.»
Zennari si presentò accompagnato da un agente.
«Grazie, è uno dei nostri», disse il commissario.
«Va bene, dottore.» L'agente lanciò uno sguardo perplesso al vecchio.
«Ciao, collega», salutò Aldani.
«Grazie per avermi chiamato.»
«Figurati. In fondo, questo filone d'indagine è anche roba tua, no?»
«In un certo senso», disse l'ex poliziotto, increspando le labbra.
Aldani lo aggiornò. «Vuoi vederlo?» chiese infine.
«Non ti dispiace, vero?»
«Certo che no. In fondo a destra. Io, però, resto qui.»
Zennari annuì e si diresse con passo sicuro verso il bagno. Ne uscì un minuto dopo, lo sguardo basso. Non sconvolto - quell'uomo ne aveva viste di cotte e di crude nella sua vita - ma triste. Soltanto triste.
Un'ora dopo la folla nel palazzo si era alquanto assottigliata. Basenti, ormai in servizio permanente sul caso Albrizzi e tutti i cadaveri collegati, lo aveva relazionato in pochi secondi, mentre i portantini rimuovevano il morto. D'altra parte non c'era molto da dire, stavolta. Canziani e Schiavon se n'erano andati, dimenticando di fargli la solita paternale. Era come se la morte di Thomas avesse messo una pietra tombale al caso. Secondo lui, invece, lo complicava ancora di più. Aldani sentiva che gli sfuggivano troppe cose, ma non aveva idea di dove cercare spiegazioni. Gli stava venendo il mal di testa.
Manin comparve all'improvviso.
«Novità?» chiese Aldani.
«Abbiamo frugato dappertutto, ma non c'è traccia del registratore.»
«Strano. Dove lo avrà nascosto?»
«Potrebbe anche essersene liberato, dottore.»
«Potrebbe, ma non credo. Dev'essere da qualche parte.»
«Dirò ai ragazzi di dare un'altra occhiata.»
«Va bene.»
«Poi vado giù a vedere, il dottor Doria è sceso con un agente a controllare non so cosa.»
«Va bene.» Aldani era sempre più stanco. Decise di telefonare ad Anna. Tirò fuori il telefono e, controvoglia, cominciò a premere i tasti.
«Dottore! Venga, forse abbiamo trovato qualcosa», gridò Manin, salendo le scale.
Aldani lo guardò imbambolato.
«Nell'androne, dottore», precisò Manin, accompagnando la frase con un gesto eloquente delle mani.
Aldani rimise infine il telefono nella tasca e si mosse.
Un agente della Scientifica lavorava accucciato attorno al bordo della cavana interna. Segni di gesso delimitavano l'area. Doria, in piedi, era curvo verso la zona oggetto di attenzione.
«Cosa avete trovato?» chiese Aldani senza indirizzarsi a un interlocutore particolare.
«Sangue», rispose Doria, asciutto come sempre.
«Sangue? E di chi?»
Doria non rispose, limitandosi a squadrare torvo il collega. «Hanno tentato di ripulire, ma senza convinzione. Guarda.»
«A quando risale?»
«Parecchi giorni fa, direi.»
«È vicino all'acqua.»
«Già.»
«Chissà...»
«A cosa stai pensando?» chiese Doria.
«Se il sangue fosse di Mirco?»
«Perché proprio di Mirco?»
«Abbiamo tre cadaveri, e non può essere di Helen, né di Thomas.»
«C'è del buon senso in quello che hai detto.»
«Lo so.»
«Potremmo trovarci di fronte alla scena primaria.»
«Già, se Mirco è stato ammazzato, come ormai credo, potrebbe essere successo proprio qui. Tutto il resto sarebbe soltanto una messa in scena.»
«Un bel casino.»
«Manin, torniamo in Questura. La moglie di Thomas ci aspetta. Raccatta Zennari, dev'essere ancora qui da qualche parte.»
«Non vi invidio», concluse Doria.
«Già. Fammi sapere appena puoi.»
Usciti dal palazzo, Aldani si accorse che Vitiello e il Toni erano ancora lì ad attendere nel rio. Durante il tragitto fino alla Questura, Aldani non disse una parola. Vitiello non aprì bocca. Manin e Zennari pure. Non c'era molto da dire.
Annunciarlo alla moglie fu più semplice del previsto, la donna sembrava aspettarsi la brutta notizia. Quando Aldani glielo comunicò, con tutto il garbo di cui fu in grado, lei non disse una parola e si mise a piangere in silenzio.
Il commissario attese che si fosse calmata, poi chiese a Manin di accompagnarla all'obitorio. La donna si alzò per seguire l'ispettore. Aldani gli lanciò uno sguardo, e l'altro annuì piano.
I due uscirono dall'ufficio senza dire parola.
Manin lo chiamò al cellulare.
«Com'è andata?»
«Il morto è Thomas Wilson.»
«La moglie come sta?»
«Come vuole che stia, dottore, è stato uno strazio, ma era come rassegnata.»
«Ora dov'è?»
«L'ho accompagnata in albergo.»
«Bene.»
«Dottore, mi hanno confermato dall'Avis che il motoscafo è stato noleggiato da Thomas Wilson, il 18 aprile.»
«Il motoscafo...»
«Sì.»
«Il motoscafo!»
«Dottore?»
«Manin, lo hanno perquisito?»
«Non lo so. Io no. Forse i ragazzi...»
«Fallo. Subito! Vai a palazzo Zane e...»
«Non serve, dottore, dovrebbe essere stato già rimorchiato in deposito.»
«Ah. Allora, torna qui di corsa!»
L'imbarcazione non era ancora stata tirata in secca e nell'attesa dondolava ormeggiata al molo. Era domenica, e ogni attività era rallentata. I segni dei rilievi della Scientifica, macchie rossastre su tutte le superfici dove una mano poteva essere stata poggiata, erano evidenti. Aldani, in piedi sul molo, stava ancora pensando al da farsi, quando arrivò una sepolina a tutta velocità. L'agente alla guida fu abile ad accostare la barca al molo senza sbatterci contro. Ne discese Manin.
«Dottore! Dottore!»
«Cosa urli, Manin? Era impossibile non vederti arrivare.»
«Avevo capito che...»
«Forza, salta sul motoscafo di Thomas e comincia a rovistare. Sei tu l'esperto di barche, no?»
Manin non colse subito l'allusione, poi fece un salto atterrando sul fondo.
«Cosa stiamo cercando, dottore?»
«Secondo te?»
«Capito.»
Per prima cosa aprì il cruscotto vicino al timone. Ne tirò fuori, aggrovigliati in una matassa di fili neri, un paio di cuffie e un microregistratore. Li sollevò, tenendo un filo tra due dita, per mostrarli al commissario, come si mostra al fotografo una trota gigante appena pescata.
«Fai venire qualcuno della Scientifica a prendere le impronte», disse Aldani, scuotendo la testa.
Un'ora dopo Aldani e Manin, nell'ufficio dell'ispettore, ascoltavano le famose intercettazioni ambientali rese possibili dal piazzista di oggetti, «amico» dell'investigatore privato Tony Cox. Nonostante la cifra pagata, l'audio era davvero uno schifo, ma tutto sommato intelligibile.
Dopo dieci minuti, Aldani si tolse le cuffie e fece cenno all'ispettore di fermare l'audio. «Mi sono rotto le palle. Manin, continua tu.»
«Ci vorranno ore, dottore.»
«Hai qualcosa di meglio da fare?»
Tornò nel suo ufficio e chiamò Anna. Aveva riprovato più volte, senza mai ricevere risposta. Cominciava a preoccuparsi.
Stavolta, Anna rispose: «Che cosa vuoi?»
«Perché non rispondi?»
«Non avevo voglia di parlare con te.»
«Adesso ne hai?»
«Poca. Allora, cosa vuoi?»
«Sapere come state.»
«Perché, ti interessa ancora?»
«Piantala.»
«Piantala tu.»
«Ok. Ricominciamo: come state?»
«Bene.»
«Non mi chiedi come va l'indagine?»
«Dovrei?»
«Dovresti.»
«Come va l'indagine?»
«Abbiamo trovato il fratello.»
«Non mi sembri felice.»
«Si è sparato un istante prima.»
«È morto?»
«Sì.»
«Ti senti in colpa?»
«Un po'.»
«Pensi che avresti potuto evitarlo?»
«Non lo sapremo mai. Ma... no. Credo di no.»
«Allora, fattene una ragione.»
«Sei sempre così razionale, tu.»
«È per quello che mi hai sposata, no?»
«Stronza.»
«Ci sentiamo stasera.»
Il fantasma di quel pensiero latente ricominciò a tormentarlo. Che diavolo gli aveva detto Manin? All'improvviso si alzò e uscì con passo spedito dall'ufficio. «Manin!»
L'ispettore fermò il registratore e si tolse le cuffie. «Non ho ancora finito, dottore.»
«Non sono qui per quello.»
«Ah, no?»
«Giorni fa mi hai detto qualcosa a proposito di Mirco Albrizzi.»
«È probabile che ne abbia dette parecchie.»
«Spiritoso. È importante. Riguardava la sua vita privata, i rapporti con le prostitute...»
«Rapporti sessuali?»
«Sì.»
«Ah, forse me l'aveva riferito Bustelli?»
«Mi pare di sì.»
«Ho capito: il vizio che aveva di violentarle nel bagno? Per finta, s'intende.»
«Quello! Voglio parlare con la donna.»
«Quale donna?»
«Quella che ha raccontato l'episodio a Bustelli. Voglio parlarci subito.»
«È importante, dottore?»
«Te lo chiederei?»
«Ok, chiamo Bustelli.»
Due ore dopo Bustelli si presentò alla porta dell'ufficio di Aldani insieme con una ragazza strepitosa sui venticinque anni, lo sguardo un po' intimorito, ma non più di tanto.
«Dottore, questa è Mikla Roamu.»
Aldani non gli chiese come avesse fatto a rintracciarla. «Si sieda, signorina Roamu.»
La ragazza obbedì.
«Vengo subito al punto: qualche giorno fa, lei ha riferito all'ispettore Bustelli alcuni particolari dei suoi rapporti con Mirco Albrizzi.»
«Intende rapporti sessuali?»
«Esattamente», confermò quasi sollevato.
Mikla guardò Bustelli, poi tornò a osservare il commissario.
«Non si preoccupi, non mi interessa il suo lavoro. Sto indagando su una serie di omicidi», la prevenne.
Mikla sembrò valutare la situazione, poi parlò: «Mirco aveva gusti particolari».
«Si spieghi meglio.»
«Voleva farlo sempre nel bagno... Voleva che mi vestissi da ragazzina... E voleva prendermi da dietro... E, mentre scopava, mi chiamava sempre Laura... Non so, ma non mi è mai venuta voglia di chiedergli perché, a quel maiale.»
«Ciao, Doria, hai qualcosa per me?»
«Aldani, lo sai che ne ho le palle piene di sentirti?»
«Sapessi io! Allora?»
«Non ci crederai, ma stavo per chiamarti.»
«...»
«Il sangue sul pavimento della cavana è dello stesso gruppo di quello di Mirco Albrizzi. Questo naturalmente non significa che sia suo.»
«Naturalmente.»
«I capelli sono identici a quelli del morto, però.»
«Capelli?»
«Sì, quelli che abbiamo trovato incastrati sullo spigolo della cavana.»
«Non me ne avevi parlato.»
«Forse li abbiamo trovati dopo che te ne sei andato.»
«Insomma, c'è una buona possibilità che quella sia la scena primaria?»
«Direi di sì. La certezza ce l'avremmo soltanto col DNA.»
«E la pistola?»
«Tieniti forte: la Beretta con cui Thomas si è sparato è la stessa che ha espulso il bossolo trovato sul motoscafo di Albrizzi. Dal caricatore mancano due colpi. Nessun riscontro, invece, col proiettile che ha ucciso Helen.»
«Come sei riuscito ad avere così in fretta la perizia balistica?»
«Non ce l'ho. Oggi è domenica, e sarebbe stata dura ottenere qualcosa dal gabinetto regionale di Padova, per cui non ci ho nemmeno provato.»
«Come sarebbe?»
«Ho dato un'occhiata io stesso ai due bossoli: i segni del percussore sulla capsula dell'innesco e i segni di espulsione ed estrazione sono inequivocabili. La pistola di Thomas è la stessa che ha sparato a Mirco. Nessuna corrispondenza, invece, tra le rigature del proiettile che ha ucciso Thomas e di quello che ha ucciso Helen. Sono stati di certo sparati da due armi diverse. Vedrai che la perizia confermerà tutto.»
«Non ho dubbi.»
«Dimenticavo le impronte sul registratore: sono di Thomas.»
«Naturalmente. Grazie, Doria. Spero di non sentirti più per parecchio tempo.»
«A chi lo dici!»
«Dottore, ho finito.»
Manin era stravolto da ore di ascolto.
«Trovato qualcosa?»
«Sì. Deve ascoltare lei stesso, dottore.» L'ispettore aveva una faccia strana.
«Ci vorrà molto?»
«No. Una decina di minuti. Gli ultimi dieci.»
Manin armeggiò con il software di ascolto nel PC per ritrovare il punto. «Ecco, ci siamo», disse porgendo una cuffia al commissario.
Rumore di passi che salgono scale.
Un uomo e una donna stanno parlando tra loro con una certa concitazione.
All'inizio, il dialogo è inintelligibile, poi si cominciano a distinguere le parole.
Donna: «Ti ho detto che ho capito!»
Uomo: «I dettagli sono importanti, altrimenti il piano va a puttane.»
D.: «Mi sono rotta le palle del tuo piano.»
U.: «Non ricominciare, Helen. Andrà tutto bene. Loro non muoveranno un dito contro di me.»
D.: «Come fai a esserne così sicuro?»
U.: «Li ho coinvolti per tempo nella messinscena. Ognuno di loro ha fatto qualcosa. Ci sono dentro fino al collo.»
D.: «Cosa hanno fatto?»
U.: «Perché vuoi saperlo?»
D.: «Così sto più tranquilla.»
Pausa.
D.: «Allora?»
U.: «Bassan ha predisposto i conti esteri su cui ho trasferito i soldi. È il suo lavoro. Bellemo mi ha procurato la pistola e un cellulare clonato. Col suo mestiere ha le conoscenze giuste.»
D.: «Me lo immagino. Non lo sopporto, quell'uomo.»
U.: «Sa fare il suo lavoro. Vania, invece, mi ha aiutato a rastrellare contanti in BancaVeneta, come sa farlo lei... E il mio caro zietto, infine, ha fatto da ufficiale di collegamento col governatore, tanto per evitare che si mettesse di traverso.»
D.: «Ufficiale di collegamento?»
U.: «È un modo di dire. Significa che ci ha parlato.»
D.: «Come ci sei riuscito?»
U.: «A fare cosa?»
D.: «A convincerli ad aiutarti.»
U.: «Con il dossier.»
D.: «Li hai ricattati?»
U.: «In un certo senso, ma ci sono andato giù leggero. Ho promesso che glielo avrei consegnato.»
D.: «E lo hai fatto?»
U.: «Certo che no! Non sono mica cretino. Dovevi vederli com'erano incazzati oggi, quando gli ho detto che il dossier me lo tenevo ancora per un po', fino a quando non saremmo stati al sicuro all'estero. Erano delle iene.»
D.: «Mirco, stai scherzando col fuoco.»
U.: «Lo so.»
D.: «E se vengono a sapere che io ho accesso al dossier?»
U.: «Come vuoi che facciano? Te lo ripeto, andrà tutto liscio.»
D.: «Ma perché hai insistito per darmelo?»
U.: «Perché è più sicuro. Se mi succede qualcosa...»
D.: «Hai detto che non ti succederà niente!»
U.: «Lo so! È solo una precauzione, cazzo!»
D.: «D'accordo!»
Pausa.
D.: «Allora, Mirco, tu prendi il tuo motoscafo e io ti seguo, giusto?»
U.: «Sì, lo portiamo da qualche parte in laguna, spruzzo il sangue che ho preparato, piazzo il bossolo e torniamo a casa col tuo motoscafo.»
D.: «Poi ci nascondiamo in quel palazzo che cade a pezzi...»
U.: «No! Tu riporti al noleggio il motoscafo, lo ormeggi a piazzale Roma e butti le chiavi nella cassetta dell'Avis. Poi torni a casa tua.»
D.: «E tu?»
U.: «Io mi nascondo a palazzo Zane e aspetto che passi la bufera.»
D.: «Era meglio se ce ne andavamo subito all'estero.»
U.: «No! Te l'ho spiegato, è troppo rischioso. Nel caso sospettassero che non sono morto, i primi giorni saranno tutti in allerta. Dopo qualche settimana, invece, nessuno si ricorderà più di me.»
D.: «Va bene. Senti, se proprio dobbiamo farlo, facciamolo subito.»
U.: «Ok, allora muoviamoci.»
Rumore di passi in allontanamento.
«Qui si ferma la registrazione di Thomas.»
Aldani era pensieroso. «Non credo che avesse bisogno di sentire altro.»
«Secondo lei, a quando risale questo colloquio?»
«Direi a quell'ultimo venerdì sera. Il riferimento alle litigate che abbiamo ricostruito è chiarissimo.»
«Pensa che Thomas abbia affrontato il fratello?»
«Forse è andato ad aspettarlo proprio a palazzo Zane. Comunque, è difficile dire cosa sia successo. Avranno discusso, magari litigato.»
«E Mirco è morto.»
«Già, ma non credo quella sera. Secondo Basenti, è morto tra il lunedì e il mercoledì successivi.»
«Incidente od omicidio?»
«Questo, Manin, non credo lo sapremo mai.»
«Dottore, supponiamo che Mirco abbia raccontato tutto al fratello: la messinscena, i capitali trafugati, la fuga. Potrebbe aver motivato la cosa in mille modi. Magari ha tentato di convincerlo a parteciparvi, offrendogli denaro.»
«No, Manin. Io credo che Thomas fosse lì per ben altro motivo. Secondo me, dei soldi non gliene fregava niente.»
«Perché ne è così sicuro, dottore?»
«Laura, la sorella.»
«Cioè?»
«Oggi, grazie a Bustelli, ho avuto la conferma che Mirco abusava di lei.»
«Intende dire... sessualmente?»
«Sì.»
Manin non replicò subito. «Ora capisco», disse infine.
«Sì, la fuga della famiglia a Londra, i soldi che Mirco inviava a Laura che venivano ogni volta rifiutati...»
«Ma, allora, la banda dei quattro non c'entra nulla.»
«C'entra, c'entra. Hanno aiutato Mirco a mettere in piedi la messinscena. Sotto ricatto, beninteso.»
«Di rendere pubblico il dossier?»
«Già, l'assicurazione sulla vita di Mirco.»
«E la morte di Helen?»
«Credo che in questo la banda dei quattro abbia delle responsabilità, ma ancora non so fino a che punto. Vedremo dove porteranno le indagini.»
«Pensa che Tonon sia innocente?»
«Innocente, quello? Lo escludo. Non so, però, se l'ha uccisa lui.»
«Qualcuno del giro di Gaffin?»
«Peggio: un sicario.»
«Mafia?»
«Mafia, Manin. Ricordi le indagini della Finanza?»
«Quelle sul riciclaggio?»
«Esatto. Hanno molto più che sospetti, e il dossier che gli abbiamo mandato gli sarà di aiuto.»
«Ma il movente è stato comunque il dossier?»
«Credo di sì. Se fossero riusciti a metterci le mani sopra, avrebbero corso molti meno rischi tutti quanti.»
«In che senso?»
«Non penserai che distruggere la copia elettronica in possesso di Helen potesse essere sufficiente. Mirco avrebbe potuto farne arrivare una a chiunque, da ovunque. Anche dopo la sua morte, se opportunamente predisposto. No, credo volessero soltanto sapere di preciso che cosa avesse in mano Mirco per avere, se necessario, il tempo di neutralizzarlo.»
«Dottore, ma come avranno saputo che Helen ne era a conoscenza?»
«Non ne ho idea.»
«È inquietante.»
«Che non ne ho idea?»
«No, la mafia.»
«Ai tempi di Faccia d'angelo era cronaca di tutti i giorni. Comunque, se necessario, se ne occuperà la Direzione Investigativa Antimafia. Immagino che Colucci sia già in contatto.»
«E la pistola?»
«Quale?»
«Quella con cui Thomas si è ucciso. Come se l'è procurata?»
«Dimenticavo: secondo Doria, è quasi certo che il bossolo trovato sul motoscafo sia stato sparato dalla Beretta di Thomas, che a questo punto è anche la pistola fornita da Bellemo a Mirco.»
«Com'è possibile? Mirco non se n'era sbarazzato?»
«Magari aveva deciso di tenersela fino a che non fosse stato al sicuro. Chi lo sa.»
Ci fu una lunga pausa.
«Ora che facciamo, dottore?»
«Non lo so, Manin. Ci vediamo dopo. Intanto devo aggiornare De Girolami.»
«Signor questore, posso venire a relazionarla sugli ultimi sviluppi del caso Albrizzi?»
«Sviluppi? In che senso, “sviluppi”? Che altro diavolo è successo, Aldani?»
«Posso?»
«Va bene, venga immediatamente, però.»
La sala faticava a contenere la folla di giornalisti vocianti. Il questore si sedette come sempre al centro, alla sua destra il capo della Mobile, Schiavon, alla sua sinistra Aldani. Al solito Rosati delle Relazioni esterne toccava il compito di gestire la conferenza stampa.
Aldani salutò Danieli con un cenno. Si era assicurato che fosse presente.
Espletati i convenevoli iniziali, la parola passò al questore: «Come immagino già saprete, siamo forse giunti alla fine della vicenda. Questa mattina, il fratello di Mirco Albrizzi, Tommaso, da tempo residente a Londra e scomparso una decina di giorni fa a Venezia, si è tolto la vita, poco prima che venisse individuato, a palazzo Zane in campo San Vidal. Non conosciamo il motivo del gesto, ma presumiamo sia legato alla morte di Mirco Albrizzi, che con tutta probabilità non si è suicidato». Il questore calcò la voce sul «non».
Un forte brusio si levò dai giornalisti, colti di sorpresa da quella notizia. Qualcuno alzò la mano.
«Le domande dopo!» urlò Rosati, faticando a imporsi.
Quando la calma fu tornata, il questore riprese a parlare come se niente fosse: «Una serie di indizi ci porta a ipotizzare che Mirco Albrizzi sia rimasto vittima di un incidente, o addirittura ucciso. È probabile che il suicidio fosse una messinscena». Il brusio tornò a farsi sentire più forte che mai, ma il questore zittì tutti con un gesto secco della mano. «Anche la morte di Helen Habduc è da ricollegare alla vicenda Albrizzi. La donna possedeva informazioni riservate che qualcuno ha tentato di recuperare. Le indagini sulla morte della Habduc sono in pieno svolgimento, e l'indiziato principale, tale Tonon Giovanni, è già stato arrestato questa notte...» Era troppo, la sala esplose, coprendo il resto della frase. Impossibile proseguire senza dare la parola alla selva di mani alzate. Rosati guardò implorante il questore che annuì. Aldani si preparò all'impatto.
Un'ora dopo, tanto c'era voluto per placare la sete di notizie dei giornalisti, Aldani, sfinito, sedeva nell'ufficio del questore. Schiavon si era liquefatto, immaginò fosse andato a parlare con Canziani.
«I giornalisti per un po' se ne staranno buoni», commentò asciutto De Girolami.
«Domani ce li avremo addosso di nuovo.»
«Ce ne preoccuperemo domani. Piuttosto, Aldani, mi dica cosa pensa davvero di questa storia, al di là di quanto avevamo concordato prima della conferenza stampa.»
Aldani cercò di sintetizzare il proprio pensiero, perché un'idea se l'era fatta, e bella chiara. «Signor questore, dagli indizi raccolti in questa settimana di indagine, mi sento di affermare che Mirco Albrizzi è morto a palazzo Zane, dove Thomas lo aveva forse scoperto, grazie a quanto ascoltato nell'intercettazione ambientale. Mi sento anche di dire, ma questa è più una mia supposizione, che Mirco sia morto annegato, dopo essere caduto in acqua in seguito a un forte colpo alla testa, forse dovuto all'impatto con lo spigolo della cavana nell'androne del palazzo. Questo spiega perché il cadavere presentava acqua nei polmoni, come chiarito nel secondo referto autoptico, quello del dottor Basenti.»
«È per questo che ha voluto che facessi ripetere l'autopsia?»
«Sì.»
«Non capisco: si è trattato di incidente o di omicidio?»
«Incidente... Omicidio... Non è dato sapere. Fatto sta che Thomas deve aver pensato di approfittare del piano del fratello, di cui ormai era al corrente, per liberarsi del corpo, e ha inscenato il suicidio. Ha preso la pistola di Mirco, gli ha sparato un colpo in bocca e ha buttato il corpo in laguna, servendosi del motoscafo che aveva a suo tempo preso a noleggio. La cavana interna a palazzo Zane ha di certo agevolato le operazioni.»
«O magari Thomas ha sparato al cadavere poco prima di gettarlo in acqua.»
«In effetti, in laguna nessuno avrebbe sentito lo sparo.»
«Sembra il piano premeditato di una persona lucida e calcolatrice.»
«Il piano era già bello che pronto. Thomas ha dato soltanto il tocco finale.»
«Aldani, si rende conto che forse non riusciremo a incastrarli?»
«Chi, i quattro? Sì, signor questore. Intanto, però, un bell'avviso di garanzia non glielo toglie nessuno. Poi si vedrà.»
«Magra consolazione. E poi c'è quel Tonon.»
«In effetti, non sarà facile cavargli qualcosa.»
«Sta pensando al governatore, vero?»
«È così evidente?»
«Se lo tolga dalla testa. Quello sarà impossibile metterlo all'angolo. Nonostante quel riferimento nella registrazione, che, per inciso, sarà difficile utilizzare in tribunale. Sa anche questo, vero, Aldani?»
«Sì, signor questore.»
«Mi dica: è vero che Zennari ha il cancro?»
Sul momento Aldani restò spiazzato. «Sì, gli resta poco da vivere. Molto poco.»
«È per questo che ha così a cuore quella vecchia storia?»
«Immagino di sì. Si è messo in testa di risolvere quel caso di omicidio.»
«Si riferisce all'uccisione del fidanzato di Laura Albrizzi?»
«Sì, signor questore. Il caso era stato archiviato senza individuare l'aggressore.»
«Capisco. Voglio parlarci. Dov'è adesso?»
«Da qualche parte in Questura.»
«Lo trovi e gli dica di venire da me.»
«Collega, il questore De Girolami vuole parlare con te.»
«Con me?» chiese incredulo Zennari, seduto nel «suo» ufficio.
«Sì.»
«E cosa vuole?»
«Non lo so.»
«Sa del tumore?»
Pausa. «Sì, ma non gliel'ho detto io. Lo aveva già saputo da qualcun altro.»
«Le voci corrono.»
«Già, la gente fatica a farsi i cazzi propri.»
«Devo andarci subito?»
«Se fossi in te, io lo farei.»
«Com'è andata dal questore?» chiese Aldani.
Zennari se ne stava sulla porta con lo sguardo perso nel vuoto. «Chiederà al piemme di riaprire il caso», rispose come soprappensiero.
«Davvero?»
«Già.»
«E non sei contento? Era il tuo scopo, no?»
«Il mio scopo era risolverlo.»
«Non pensi di avere nuovi elementi?»
«Certo. Ora sono sicuro che quel povero ragazzo l'ha ammazzato Mirco per gelosia. Ma non so come provarlo.»
Esther Clarke aprì la porta della stanza all'hotel Due Dogi. Gli occhi erano cerchiati e gonfi, ma tutto sommato sembrava stare bene. «Buongiorno, commissario. Entri.»
«Vuole che scendiamo a bere qualcosa?» chiese Aldani con poca convinzione.
«Preferisco di no. Le dispiace?»
Aldani scosse la testa ed entrò.
Una donna che somigliava a Esther sussurrò in inglese qualcosa che Aldani non capì.
Esther annuì. «Mia sorella Martha», disse.
La sorella si infilò tra Aldani e l'uscio, salutò il commissario con un cenno del capo e si richiuse la porta alle spalle.
«Ha fatto presto», commentò Aldani.
«Quando potrò riavere il corpo?» chiese Esther, andando subito al punto.
«Ci vorrà qualche giorno.»
«Sarà complicato?»
«Non si preoccupi, ci penso io. È il minimo che posso fare.»
«Non se ne faccia una colpa.»
«Colpa? E di cosa?»
«Non è colpa sua, se mio marito si è ucciso prima che riusciste a fermarlo.»
«Non potevamo certo immaginare...»
«Appunto.»
«Però non capisco.»
«Che cosa non capisce, commissario?»
«Lei se lo spiega, il suicidio?»
«Non so. Non so più niente. Credevo di conoscerlo, ma forse non era così. Da qualche tempo, non era più lui. Dev'essere successo qualcosa di grave.»
«Fra Thomas e Mirco?»
«Sì.»
«Pensa che l'abbia ucciso lui?»
La donna non rispose subito. «Chissà... Forse hanno litigato. Lei cosa pensa?»
«Io mi devo attenere ai fatti.»
«E i fatti cosa dicono?»
«Che in quel posto è accaduto qualcosa che ha sconvolto suo marito.»
«Scoprirete cosa è successo?»
«Ci proveremo, ma non sarà facile. E non è detto che ci riusciremo.»
«A volte è meglio non sapere, commissario.»
«Non capisco, signora Clarke. A cosa si riferisce?»
«È proprio necessario che le risponda?»
Aldani ci pensò su. «Forse no. Ora devo andare. La terrò al corrente.»
Quando uscì dall'albergo non se ne rese subito conto. Sui masegni del campo si stavano materializzando grosse macchie scure: gocce, gigantesche. L'odore di polvere bagnata saturava l'aria. Insomma, stava piovendo, anzi diluviava.
Aldani si accorse che si stava infradiciando, quando ormai fradicio lo era già. Non che fosse un problema, doveva soltanto fare attenzione a non prendersi un malanno. Alla sua età...