Cronaca di una tragedia veramente accaduta

 Come c'era da aspettarsi, il tentato suicidio di Benedetta Mascheroni godette fin dal primissimo momento di un'enorme attenzione mediatica.

 La ragazzina dal terrazzo pare avesse scavalcato la ringhiera e fosse salita su un cornicione, e minacciava di buttarsi dal quinto piano.

 Urlava, strepitava, piangeva. Diceva che la sua vita era rovinata, che non aveva più senso vivere... che il mondo era fatto soltanto da persone crudeli che ce l'avevano con lei (perché poi non era in grado di spiegarlo). Quando qualcuno si rese conto della situazione lei era vicino alla finestra del bagno. Proprio da quella finestra i suoi genitori, il fratello e un sacerdote cercavano di farla desistere.

 "Benedetta, non fare pazzie".

 "Benedetta, qui ti vogliamo tutti bene".

 "Benedetta, stai calma, avvicinati a noi".

 In basso, in mezzo a decine di auto posteggiate si era assiepata una folla numerosissima, in attesa di assistere all'esito: sia che la ragazza venisse salvata, sia che si fosse spiaccicata al suolo in fondo ci sarebbe stato qualcosa di interessante da vedere. I presenti si spintonavano per assicurarsi i posti migliori.

Ciascuno cercava di ritrarsi in un selfie nel quale sullo sfondo comparisse la ragazzina suicida. Purtroppo lei era troppo in alto, lontana, non si vedeva niente. Si allestirono delle materassature di fortuna, finché non arrivarono i pompieri che tesero un gran telone, ma poteva servire a qualche cosa?

Arrivarono operatori del Centro di assistenza psicologica per adolescenti, il capo della polizia, forse il prefetto, il sindaco e chi sa chi: si assieparono sul terrazzino della cucina, le voci si accavallavano.

 Da sotto qualcuno gridò: "Andate via, politici di merda, non avete rubato abbastanza?".

 Si scatenarono cori antipolitica, e altrettanti che invocavano un no alle strumentalizzazioni.

 La vicenda raggiunse il suo climax quando Benedetta, che pareva convinta a desistere e che si stava avvicinando un centimetro alla volta alla finestra del bagno, da dove avrebbero potuto afferrarla senza rischi, parve scivolare sul cornicione, spossata, sfinita, distrutta. Fu quello il momento in cui entrò in azione il robusto don Providi, che si sbilanciò verso l'esterno, retto da due parenti dei Mascheroni, robusti anche loro, e riuscì ad artigliare Benedetta, trascinandola dentro la finestra del bagno.

 Un enorme applauso si scatenò dal basso, e cori, e osanna. Qualcuno piangeva, altri si battevano grandi pacche sulle spalle, in molti, anzi tutti, facevano delle fotografie, dopo averne scattate già a centinaia nelle fasi precedenti.

 La diretta TV su RAI 3 era iniziata quasi subito, in totale durò circa due ore, ed ebbe altissimi livelli di share (oscurò i soliti programmi pomeridiani di tronisti e talk show). Quando alle 15 e 55 il parroco afferrò Benedetta (un nome profetico) tutta Milano risuonò dell'applauso che i pochi fortunati poterono esercitare dal vivo: nei bar, nei condomini, negli istituti per anziani, praticamente tutta la città batteva le mani all'unisono.

 Ciò non toglie che fin da subito cominciò a infuriare la polemica: a cosa era stata portata questa ragazzina, fin dove poteva arrivare la pressione esercitata dai social network, dai media, e chi aveva scatenato il tutto, con il preciso scopo di portare la bambina al gesto estremo?

 Donatella seguì per intero la diretta televisiva. Si sarebbe strappata i capelli. Cosa ho fatto, cosa ho fatto? pareva urlare dentro di sé, non poteva farlo a voce alta perché davanti alla televisione c'era anche Gianmarco, che si gustava lo spettacolo, ovviamente augurandosi un epilogo tragico.

 Avesse saputo qual era in quel momento il tumulto interiore della sua mamma. Questa era sconvolta, dilaniata, esplosa, eppure cercava di mantenere un atteggiamento sobrio, certamente stupito e compreso, povera Benedetta, in fondo era sempre una migliore amica della figlia.

 "Secondo me non si butta" disse Gianmarco "è tutta una finta".

 "Ma cosa dici, sei senza cuore?".

 Una volta conclusa la diretta Donatella si chiuse in camera, troppo turbata. Si gettò sul letto. Una vertigine di pensieri la sconquassava, di ordine e orientamento diversi.

 Da una parte pensava vagamente all'opportunità di buttarsi sotto un treno, oppressa da enormi sensi di colpa, o di vergogna, che non è lo stesso. Se la finestra di camera sua fosse stata dotata di tendaggi, ci si sarebbe aggrappata. In fondo, una reazione simile a quella di Benedetta. Alla mala parata, che altro fare, se non (tentare) il suicidio? Eppure qual è la mia, di mala parata? In effetti che la colpa è tutta mia chi lo sa? Nessuno. E allora con chi mi devo vergognare? O, in alternativa, a chi devo chiedere scusa?

 Eppure sono un verme, una schifezza, ah... ahh, come sto male!

 Non ce la faceva più, uscì dalla camera e si scagliò in cucina, a far finta di preparare qualcosa. Dal frigo estrasse tre uova e il latte e un avanzo di panna montata. Dalla dispensa farina e zucchero. Doveva tenersi occupata, prima di fare un gesto insano e affrettato.

 Ahi ahi... Che disgraziata che sono...

 Sono io la responsabile (e la protagonista) di tutto ciò!

Che in lei stesse montando la tentazione di confessare? Si macerava, c'era da perdere la testa. Cercò di mettere insieme qualche riflessione sulle conseguenze di una eventuale confessione. Pensò ai reati di cui si era resa colpevole, agli eventuali esiti giudiziari, sarebbe stata messa all'indice, e la situazione familiare, già abbastanza fragile, sarebbe esplosa: quale futuro si prospettava per i ragazzi? Glieli avrebbero tolti? Li avrebbero messi in un istituto, o dati in affidamento? Eh no, non è giusto che siano loro a pagare.

 Ma soprattutto: a che sarebbe servito? Ormai la vita e la reputazione di quelle cretine erano compromesse, nulla sarebbe cambiato anche se lei avesse rivelato la verità. Certamente lei soffriva, come madre, soffriva, ma la domanda "a chi servirebbe?" spostò il baricentro dei suoi tormenti sulla possibilità che nessuno venisse a sapere che il profilo In Canna lo aveva creato lei, nemmeno Claudio.

 D'altronde come potevano scoprirla? Si accorse che nel profondo del suo intimo sperava di farla franca. Come avrebbero potuto risalire fino a lei? E chi sarebbe andato a pensare che dietro tutto questo casino c'era una povera madre, per di più in gravi difficoltà?

E se usciva fuori il solito impostore sostenendo di essere lui Angelo In Canna? E poi, in fondo, quelle foto se le erano fatte le bambine, mica le aveva scattate lei.

 Se quella "povera bambina" di merda voleva lasciarsi andare giù dal terrazzino è forse solo colpa mia? E perché devono capitare tutte a me? Perché la vita è così grama? Cosa ho fatto per meritarmi queste sofferenze? Ci sarà mai nella mia vita uno squarcio di serenità? No, non mi spetta, il destino vuole così. E adesso divento una carnefice: mi crocifiggeranno, mi martirizzeranno, e mia figlia commenterà sul suo diario: "Mia madre è un'assassina, ha ucciso la mia migliore amica, o comunque ci ha provato". Dio, Dio, cosa ho fatto per meritarmi questo?

E in fin dei conti, chi me lo fa fare?

 Pensava queste cose mentre maldestramente stava tentando col minipimer di montare una crema chantilly.

 Margherita tornò a casa che erano passate le sei. Era andata a studiare a casa della Margona, per aiutarla un po', obbligata dalla profe. Non è che la Margona fosse antipatica, e abitava in una bella casa dove tenevano sempre tutte le luci accese, cosa che in casa di Margherita non accadeva mai.

 Entrò in casa sbuffando.

 "Marghe. Hai saputo di quello che è successo?".

 "Certo che lo so, mamma, lo sa tutta l'Italia".

 "E che ne pensi?".

 "Penso che ho una mamma che fa delle domande idiote, ecco cosa penso".

 "Ah. E che succederà adesso a quelle povere bambine?".

 "Cosa vuoi che ne sappia, mamma, mi lasci in pace?".

 "Mi sembra tutto così orribile...".

 Margherita sbatté la porta di camera e a cena non si presentò, d'altronde dalla Margona si era abbuffata di pane stracchino e prosciutto e di torta al cioccolato. Gianmarco era come se non ci fosse, guardava la partita in TV.

 Donatella aveva bisogno di parlare con qualcuno, ma con chi? L'unico era suo fratello Corrado, detto Dado, un punto fermo, anche se un gran rompicoglioni moralista e saputello, però nei periodi più difficili le aveva dato una mano. Lo chiamò.

 "Pronto, sono io".

 "Oh ciao, come va?".

 "Ho bisogno di parlarti, urgentemente".

 "Oddio, lo sapevo, cosa ha combinato questa volta?".

 "Ma chi?".

 "Come chi, tuo marito, no?".

 "Ma no, ma no, lui non c'entra".

 "E allora che è successo?".

 "Non te lo posso dire per telefono. Dobbiamo vederci".

 "Ma io sono in treno, sto andando a Pescara".

 "E quando torni?".

 "Dopodomani, alla sera".

 "Ah".

 "Ma si può sapere che ti succede?".

 "Ho fatto una cazzata".

 "Ma che dici, che cazzata?".

 "Non te lo posso dire per telefono".

 "Ma...".

 Donatella riattaccò e quando Dado la richiamò, non rispose. Ecco, di cazzate ne aveva fatta un'altra. In fondo, come poteva aiutarla suo fratello? Se avesse saputo quello che lei aveva combinato l'avrebbe costretta ad andare alla polizia a raccontare tutto. E che ne sarebbe stato di lei, e della famiglia?

 Fu presa dall'ansia, e non sapendo chi chiamare telefonò a Claudio, pur sapendo che forse non era una scelta saggia. Ma quante volte succede di sbagliare? Ne aveva bisogno.

 Claudio naturalmente sapeva dello scandalo, in qualche maniera ne era stato un testimone oculare.

 "Una cosa impressionante, da non credere, sono disorientato, stravolto".

 "Sapessi io. Però è un'altra la cosa che volevo dirti".

 "E allora?".

 "Lunedì bisognerebbe andare a prendere Margherita a scuola, con tutto quello che è successo, e io mi sa che non posso, e non ho voglia di incrociare insegnanti e genitori. Poi a te non ti conoscono".

 "Va bene, ci vado io, non ti preoccupare".

 "Devi impedire che acchiappino Margherita e la intervistino, è pieno di avvoltoi".

 "Stai tranquilla".

 "Portala a casa, di filata".

 "E se non andasse a scuola?".

 "Ma sei matto? Si immaginerebbero che ha qualcosa a che vedere con le altre, e nessuno lo deve pensare assolutamente".

 "Hai ragione".

 Una domenica di ottobre a Milano per una famigliola non integra come quella Giorgi può trasformarsi in un'occasione di tristezza. Nel quartiere c'è poca gente e non ci sono punti di riferimento domenicali, come c'erano una volta. Le strade sono grigie e semideserte e il fatto che sia facile trovare posto per la macchina fa quasi malinconia. I mariti scendono giù prima delle mogli e aspettano con il motore acceso, indisposti. Le paste le hanno già comprate. L'Inter gioca alle 21.

 Per fortuna in mattinata Gianmarco aveva la partita a Nerviano, alle dieci. Donatella lo accompagnò, metro, treno fino a Rho e poi pullman. Il Nerviano era una squadretta ben messa in campo e con un'ala destra guizzante. Morale, l'Audace, la squadra di Gianmarco, che fra l'altro giocò soltanto per quindici minuti, messo in campo quando già erano sotto di due gol, subì un netto quattro a zero, il che per Donatella fu quasi un sollievo. Almeno non c'erano polemiche e litigate fra i genitori in tribuna, un punteggio secco e indiscutibile che rimandava a casa l'Audace con le pive nel sacco.

 Gianmarco e Donatella furono di ritorno in Casoretto intorno alle tredici e andarono a prendere Margherita in parrocchia, visto che era lì per il corso di preparazione alla Cresima. Né Margherita né l'intera famiglia erano particolarmente devote, ma ormai la bambina aveva fatto l'anno precedente la Prima Comunione, tanto valeva che concludesse il ciclo catechistico e facesse anche la Cresima, e imparasse che cosa vuol dire esser parte del Corpo Mistico della Chiesa.

All'uscita Donatella se ne venne fuori con una sorpresa.

 "Allora bambini, che ne direste se andassimo a mangiarci qualcosa al McDonald's?".

 I ragazzi ci rimasero di sale, quando mai alla mamma era venuta un'idea del genere, lei che detestava il fast food, pur preparandolo tutti i giorni?

 Aderirono volentieri, ma con una riserva, come se dietro ci fosse un qualche trucco o una trappola. Invece il trucco non c'era, andarono veramente al Mac di piazzale Loreto con libertà di ordinazione. Cosa c'era sotto?

 In effetti la mamma sembrava parecchio strana, i ragazzi subodoravano qualche tranello, incredibilmente poterono ordinare Big Mac e patatine, e addirittura Coca-Cola.

Alle 14 e 40 erano a casa, il fast food si chiama così perché ci vuole poco tempo a mangiarlo.

 Ma ecco la seconda sorpresa: la mamma disse che se ai bambini faceva piacere li avrebbe portati al cinema, in zona davano Pirati dei Caraibi. Oltre i confini del mare. "Che ne dite?".

 I ragazzi erano strabiliati: McDonald's e cinema in un giorno solo?

 Andarono a vedere il film dei pirati al Plinius Multisala.

 Il film non piacque a nessuno dei tre, però intanto il tempo era trascorso, e la domenica era quasi passata.

 Quando tornarono a casa ci fu la terza sorpresa della giornata: in mezzo alla corte della casa di ringhiera c'era la BMW Z3 roadster del signor De Angelis, era un bel po' che non lo si vedeva.

 Donatella lo salutò, e gli chiese notizie.

 "Che piacere rivederla! Come sta? È tornato qua?".

 "Per il momento no, sono solo di passaggio, riparto subito. Ma come stanno i bambini? Tutto bene?".

 Gianmarco e Margherita salutarono abbastanza educatamente il vecchio De Angelis e scapparono in casa. Donatella si intrattenne qualche minuto a parlare con lui, di niente.

 Il De Angelis in realtà sembrava avere fretta. Solo allora Donatella si accorse che dentro la macchina c'era qualcun altro, forse una donna.

Si salutarono, senza troppo calore.

 Per cena Donatella riscaldò in forno delle valdostane precotte, innaffiate di Fanta. I ragazzi erano tesi, però per tutta la giornata nessuno parlò, neanche alla lontana, del fatto della Bene. C'era da esserne contenti o da preoccuparsi?

 Tutti e tre si chiusero in camera col magone, timorosi che la notte avrebbe portato cattivi pensieri e angoscianti novità. Margherita e Gianmarco in cameretta non si dissero niente, e andarono mestamente a letto. Donatella, dopo aver passato più tempo del necessario in bagno, tempo durante il quale pensava al fatto che fra fast food e cinema aveva speso 76 euro, attinti dalla super riserva, si coricò sperando che Nesbø riuscisse a farle dimenticare, anche solo per una mezz'ora, i suoi veri guai. Nella casa di ringhiera c'era un silenzio di tomba, quasi insopportabile.

 Claudio passò tutta la mattinata del lunedì aggirandosi per il quartiere. Verso le 13 era già fuori della scuola, in attesa. Con lui centinaia di altri genitori, conoscenti, nonni, zii, amici e curiosi, oltre a svariate troupe di giornalisti, cameramen, inviati. Un caos vero e proprio, determinatosi dopo il tentato suicidio di Mascheroni Benedetta. Fra la folla se ne sentivano di tutti i colori.

 "Quel maiale ha portato quella povera bambina al suicidio".

 "Una volta queste cose non sarebbero successe, una bella dose di bastonate e via".

 "Per forza che non sarebbero successe, non c'era mica internet".

 "Dicano quello che vogliono, ma è tutta colpa di...".

 Sfortunatamente per Claudio c'era anche il nonno ex maresciallo, il marito di quella col turbante, che aveva interloquito con lui proprio sotto casa di Benedetta. Questo nonno riconobbe il Giorgi, e segnalò la cosa ad altri, vicino a lui. Si formò un agitato capannello, i membri del quale giravano la testa, cercando di non farsi notare troppo, in direzione di Claudio, il quale fissava l'ingresso e non si accorse di niente.

 Il gruppetto si faceva numeroso, il maresciallo pareva dare ordini, a bassa voce. A un certo punto si mossero tutti insieme in direzione di Claudio, il quale, incuriosito, voleva proprio vedere cosa stava succedendo, e troppo tardi si rese conto che si era scatenata la caccia all'uomo, in mezzo a urla e incitamenti, e che l'obiettivo di quella caccia era lui. Lo bloccarono con facilità e lo circondarono, affluirono decine e decine di persone. Fra queste c'era anche colui che l'aveva visto gironzolare vicino a casa di Moniq.

 "È lui, è lui il maniaco, l'ho visto sotto casa dell'altra bambina, quella che per ora non ha ancora tentato di togliersi la vita!".

 "È lui il pedofilo, è lui Angelo In Canna".

 "Ma che fate, ma che dite, vi sbagliate!".

 Claudio non fece in tempo a rendersi conto di quello che stava succedendo che già in quindici-venti gli erano addosso. Prima lo trascinarono afferrandolo per l'impermeabile, poi lo gettarono a terra, infine cominciarono a massacrarlo di botte, calci e sputi.

 "Maiale", "Porco bastardo", "Carogna fetente", i picchiatori, per farsi coraggio, si aiutavano con l'insulto.

 "La voglia di importunare le ragazzine te la facciamo passare noi!"

 "Purcùn!".

 "Bèstia!".

 "Macché, le bestie sono molto meglio".

 "Anche un maiale è meglio di te!".

 A ogni imprecazione erano calci e botte, qualcuno si chinava su di lui e lo colpiva in faccia. Comparvero un paio di bastoni, con i quali gli spaccarono la faccia.

 Affluirono anche giornalisti e cineoperatori, che si guardavano bene dall'intervenire per cercare di placare gli animi. Il povero Claudio subiva percosse di tutti i tipi, un vero e proprio linciaggio. Vicino alla scuola c'era anche una vettura del 112, di controllo. Tre agenti cercarono di frapporsi, ma senza troppo slancio, visto il rischio di rimanerci nel mezzo e prenderle anche loro. Ma finalmente riuscirono a raggiungere il linciato, esanime e sanguinante, al suolo.

 Il popolo urlava: "Ecco, bravi, portatelo in galera, così domani è fuori e lo fa di nuovo!".

 "Politici di merda!".

 Con un certo ritardo arrivò l'ambulanza del 118, che a fatica si fece strada.

 Claudio fu portato al Pronto Soccorso in condizioni serie.