Epilogo
I giorni delle danze
Margherita
Quando lasciai il viola del crepuscolo e raggiunsi la luce e la musica, la sala da ballo era uno scintillare e volteggiare di danzatori e luci. Sembrava impossibile che Ramsay Hall avesse ricominciato a vivere, e quel ballo era solo l’inizio. C’era ancora molto da fare prima di poterla aprire al pubblico, e ci sarebbe voluto del tempo, ma sarebbe successo. Alla fine, Torcuil si era convinto che Ramsay Hall avesse un grande potenziale e aveva contattato il National Trust for Scotland; con il loro supporto avevamo potuto iniziare i lavori. Una rappresentante del National Trust, Anne, si trovava lì quella sera, accanto a Torcuil, sorridente e con un bicchiere in mano. Era rimasta affascinata da Ramsay Hall e ci avrebbe aiutato a riportarla in vita. Ero fiera di aver contribuito con il mio duro lavoro a realizzare tutto ciò, di averne preso parte anch’io.
I nostri sguardi si incrociarono, e lei sollevò il bicchiere verso di me; ricambiai il sorriso, poi i miei occhi si posarono su Torcuil, accanto a lei dall’altra parte della sala, come se nonostante tutta quella luce, l’unica cosa che potessi vedere chiaramente fosse il suo viso. Mi guardò. Poi si voltò verso Anne, mormorò qualcosa, e si incamminò verso di me, i suoi occhi che non lasciavano i miei, come se fossimo attratti a vicenda, legati da un nastro invisibile.
«Vieni», mi sussurrò all’orecchio, e mi portò via, attraverso la sala affollata e poi fuori, di nuovo nel crepuscolo estivo. Diverse persone avrebbero notato la nostra assenza, ma né a me né a lui importava.
Torcuil mi condusse attraverso il giardino e poi sull’erba bagnata di rugiada, e finalmente sotto gli alberi, lontano da sguardi curiosi. Ci fermammo e ci abbracciammo stretti come colti dallo stesso impulso, e per un attimo tutta quella situazione sembrò così irreale e improbabile che mi sentii scollegata da me stessa. Era come se mi stessi guardando dall’alto, questa donna che aveva osato cambiare e aveva preso decisioni coraggiose, seguendo il suo cuore. Solo due mesi prima, ero nella mia camera da letto nella periferia di Londra, a domandarmi come fosse possibile che la vita mi fosse sfuggita di mano e si fosse trasformata in qualcosa che non riconoscevo e non sentivo appartenermi. E adesso mi trovavo in un angolo sperduto della Scozia, tra le braccia di un uomo che non era mio marito, eppure sembrava conoscermi e capirmi molto meglio di quanto avesse mai fatto Ash.
Mi ricordai che cosa mi aveva detto Torcuil solo poche settimane prima – sembrava una vita fa –, che la vita era come un film o un romanzo, senza però il lieto fine. E invece il nostro lieto fine era lì davanti a noi, pronto per essere afferrato.
«Tu mi hai ridato la libertà», mi bisbigliò tra i capelli.
Lo allontanai quanto bastava per guardarlo in faccia. Stavo per rispondere: “Anche tu mi hai ridato la libertà”, ma non mi sembrò giusto dirglielo.
Perché non era vero.
Lui non mi aveva ridato la libertà. Ero io che me l’ero ripresa.
Così non dissi nulla. Mi limitai a baciarlo, e in quel bacio c’era qualcosa che non sentivo da tanto tempo. La possibilità di avere più amore nella mia vita, un amore diverso da quello che provavo per i miei figli. La possibilità di amare di nuovo, di lasciare che quel sentimento fiorisse e crescesse nel mio cuore. La possibilità di credere che potesse andare tutto bene.
La sua mano premette sulla mia schiena e il suo bacio fu tenero e lento. Da Ramsay Hall proveniva il suono della musica in lontananza, la brezza fresca profumata di pino mi accarezzava i capelli e le spalle nude e tutto si amalgamava nel mio cuore come una sinfonia di felicità.
Sì, mi ero ripresa la libertà, e c’era una nuova vita in serbo per me.
Rientrammo, le guance che mi pizzicavano per il gelo della sera. Dalle finestre della sala vedevo la notte calare lentamente. La musica procedeva a pieno ritmo e le donne sembravano rose danzanti nei loro abiti da sera. Ed eccola lì, mia figlia, che chiacchierava con Inary. Indossava il vestito che avevamo scelto insieme, un abito luccicante che le lasciava le spalle scoperte ed esaltava le sue lunghe gambe. I capelli erano pettinati in folte onde dorate e la sua pelle riluceva; la sua giovane bellezza era una gioia da contemplare. Ma quello che mi rendeva più felice era ciò che emanava da lei: un senso di gioia e sicurezza che non avevo mai visto sul suo volto. I nostri sguardi si incontrarono e lei mi sorrise, un sorriso che era quello di una donna e allo stesso tempo di una bambina, carico di promesse ma anche di innocente stupore.
La mia Lara.
Un gruppetto di persone la circondò all’improvviso. Due ragazzi e due ragazze, in kilt e abito da sera. Una delle ragazze portava l’apparecchio e i ragazzi sembravano imbarazzati, entrambi rossi in viso mentre si avvicinavano a Lara. Inary si scusò e lasciò Lara con i suoi nuovi amici. La guardai, e lei annuì leggermente, sorridendo.
Mia madre era accanto a me e mi guardò mentre osservavo Lara, poi mi toccò il braccio per richiamare la mia attenzione. «Quella è Madison… Oh, e Rebecca Paterson. Conosco i loro genitori. I ragazzi invece sono Davy e Calum Munro. Vanno tutti alla Kinnear High School. Saranno nella stessa classe di Lara».
Le scuole erano già ricominciate in Scozia, ma Lara avrebbe ritardato solo di una settimana e il preside mi aveva assicurato che non sarebbe stato un problema.
Vidi Madison e Rebecca chiacchierare allegramente con Lara, mentre i ragazzi guardavano e sorridevano, e quella scena mi scaldò il cuore. Dopo un po’, Lara venne verso di me; aveva le guance arrossate e le brillavano gli occhi. «Il prossimo weekend esco con loro», disse.
«Fantastico».
«Ho un ottimo presentimento sulla mia nuova scuola».
«Sì, anch’io sento che andrà bene», dissi, mentre la band – e Angus tra loro – saltellava in un reel pazzo e gioioso. La musica fece cantare il mio cuore. Poco dopo, Torcuil tornò da me e mi avvolse un braccio intorno alla vita, senza preoccuparsi di chi ci stesse guardando.
La mia “estate farfalla” era giunta al termine, e tutta la mia vita era cambiata. I giorni in cui mi guardavo nello specchio senza riconoscere la donna che vedevo erano ormai passati, e la mia testa e il mio cuore erano di nuovo in perfetto accordo. Sentivo di essere nel posto a cui ero destinata, circondata dalle persone che amavo.
Ricordai una cosa che avevo pensato appena arrivata a Glen Avich: che speravo nascesse una nuova Margherita. Ma ora mi rendevo conto che quello che cercavo non era una nuova me stessa, bensì la vera me stessa.
Adesso non dovevo far altro che vivere la mia vita.