Capitolo 18
Era una giornata tetra come l'umore di Annelise. Il suo abito marrone era stato affidato a Bessie perché lo sistemasse e l'unico vestito abbastanza sobrio nel guardaroba della prozia di Christian era una tenuta da cavallerizza verde bosco. La faceva sentire rigida e spigolosa, ma non aveva altra scelta se non voleva continuare a indossare la veste da camera o uno degli altri vestiti, tutti profondamente scollati.
Naturalmente era senza scarpe e le eleganti calze di seta scivolavano sul pavimento. Se non altro la ferita al piede stava guarendo. Raccolse i capelli in uno chignon sulla nuca, portò una sedia vicino al fuoco e sedette, determinata a non muoversi se non in caso di assoluto bisogno. Non voleva affrontare Christian Montcalm a meno che non vi fosse costretta.
Quando Mrs. Browne venne a portarle un vassoio di cibo, le bastò uno sguardo al suo volto per ritirarsi rapidamente, promettendo che si sarebbe data da fare con l'abito. Annelise sbocconcellò un po' di pane e formaggio e ignorò il resto. Doveva esserci un modo per andarsene da Wynche End al più presto. Era molto più vulnerabile di quanto avesse pensato.
Un rumore di zoccoli la riscosse dai suoi pensieri Andò alla finestra e scrutò attraverso la nebbiolina leggera, giusto in tempo per vedere Christian che si allontanava lungo il viale d'ingresso in sella a un cavallo che sembrava perfettamente sano. Quello che avrebbe potuto cavalcare William, mentre lei sarebbe stata al sicuro all'interno della carrozza. Questo fu il colpo decisivo. Avrebbe scoperto dove Christian aveva nascosto la pistola di Chipple e gli avrebbe sparato. Avrebbe fatto anche venti miglia a piedi senza scarpe pur di allontanarsi da lui e avrebbe fatto di tutto per assicurarsi di non vedere mai più quel farabutto bugiardo.
Non ebbe difficoltà a trovare la cucina e quando fece irruzione nella stanza, trovò Harry Browne seduto al tavolo davanti a una tazza di tè, mentre Bessie impastava il pane. Intuendo che quell'ingresso tempestoso preludeva a una chiacchierata tra donne, Harry si scusò e se ne andò più presto che poteva.
«Vostro marito è un uomo saggio» disse Annelise, prendendo posto al tavolo.
Bessie rise. «Fareste paura al diavolo in persona, signorina. Anche se ho l'impressione che non sia il mio Harry che volete uccidere.»
«Avete ragione. Dov'è sparito Mr. Montcalm? E dove ha trovato quel cavallo?»
«Vi ha detto di non avere cavalli?» domandò Mrs. Browne, stupita. «Be', non dovrebbe sorprendermi. Farebbe di tutto pur di ottenere quello che vuole. Non lasciatevi turbare da lui.»
«Non mi lascio affatto turbare, ma non permetterò che mi trattenga qui. Quello di cui ho bisogno e un paio di stivali o di scarpe che mi vadano bene. Ho intenzione di camminare finché non incontrerò un luogo civile dove qualcuno mi possa aiutare.»
Mrs. Browne parve ferita. «Vi aiuterò io, signorina, se è questo che volete. Mr. Montcalm mi ha dato a intendere che voleste rimanere.»
«Mr. Montcalm è un bugiardo senza pudore.»
«Si, lo è» convenne Bessie in tono comprensivo. «Avrebbe bisogno di qualcuno che gli desse una lezione.»
«Troppo tardi.»
«C'è un altro cavallo nelle scuderie. Posso chiedere a Harry che lo selli per voi...»
«Non vado a cavallo» la interruppe Annelise. «Andrò a piedi.»
«Sono più di tre miglia fino al villaggio, le strade sono piene di fango ed è in arrivo un'altra tempesta. Parlerò con Mr. Montcalm e lo convincerò a procurarvi un mezzo di trasporto.»
«Può andare all'inferno.»
«Sì, a volte sembra che quello sia proprio il suo posto. Ma non c'è da meravigliarsi che sia così; quel povero giovane ha avuto una vita molto dura. Non che questo lo giustifichi, naturalmente.»
Annelise era decisa a non raccogliere il sottile invito di Mrs. Browne a chiedere spiegazioni. Non aveva alcun interesse a conoscere la dura vita di Christian Montcalm.
Fece un profondo sospiro. «Perché dite così?» chiese infine.
«Perse l'intera famiglia durante il Terrore. Padre, madre, fratelli e sorelle. Assassinati a sangue freddo mentre lui si trovava in visita dal nonno. Si è sempre sentito in colpa per non essere stato con loro. Naturalmente non avrebbe potuto fare nulla; sarebbe morto anche lui, ma il senso di colpa è un fardello pesante.»
«La sua famiglia è stata uccisa durante il Terrore? Ma lui non è francese.»
«Solo per metà» la corresse Mrs. Browne. «Anche se non lo ammetterebbe mai. Ha cancellato dalla sua vita ogni traccia di quel paese. Con l'aiuto della severità di suo nonno, potrei aggiungere. Rimase orfano alla mercé di un vecchio senza cuore e imparò a sopravvivere come meglio poteva. Non beve vini francesi, non indossa abiti francesi e finge di non conoscere nemmeno la lingua, come se la sua povera famiglia non fosse mai esistita.»
«E questo giustificherebbe il fatto che mente e che usa gli altri per i propri scopi?»
«No» convenne Bessie. «Ma in lui c'è ancora qualcosa che merita di essere salvato. Harry e io non saremmo qui se non lo pensassimo.»
«Bene, non sarò io a salvarlo. E in ogni caso non lo vorrebbe.»
«Certo che no, signorina. Non pensavo nemmeno una cosa del genere» si affrettò a rassicurarla Bessie. «Volevo solo che non lo giudicaste così duramente per il suo comportamento egoista.»
«Tutto quello che voglio è allontanarmi da lui» dichiarò Annelise in tono piatto. «E per farlo ho bisogno dei miei vestiti e di un paio di scarpe.»
«Posso procurarveli. Promettetemi una cosa, signorina. Vi troverò delle scarpe, aggiusterò il vostro abito e mi assicurerò che Harry trovi un mezzo di trasporto per voi domani mattina. Può darsi che sia solo un carro ma sono sicura che riuscirà a trovare qualcosa.»
«D'accordo» disse Annelise, in attesa di sentire il resto.
«Nel frattempo nel ripostiglio c'è un paio di stivali da cavallerizza che potrebbe andarvi bene. Non sono eleganti, ma è sempre meglio di niente.»
Annelise sorrise. «Sarebbe stupendo.»
«Resterete fino a domani mattina?»
«Si» rispose senza battere ciglio. «Andrò solo a fare due passi. Ho bisogno di una boccata d'aria fresca.»
Mrs. Browne la guardò con espressione dubbiosa, ma non disse nulla. Potè solo restare a guardare mentre Annelise infilava gli stivali e usciva nell'aria ancora umida.
Era venuto il momento di guardare in faccia le difficoltà, pensò Annelise. Se non voleva restare lì, in balia di Christian Montcalm e delle proprie fantasie morbose, l'unica alternativa era andarsene. Solo perché non cavalcava da cinque anni, non significava che non potesse farlo ancora; le era sempre venuto naturale andare a cavallo e un talento innato non scompariva solo per mancanza di allenamento. In fondo indossava un abito da cavallerizza e, a quanto pareva, Montcalm possedeva un altro cavallo. Tutto quello che doveva era sellarlo, mettere i finimenti e cavalcare via. Un’operazione così semplice eppure così complicata.
Ma nascondersi nella sua stanza non era una solute. Per quanto ne sapeva, Christian sarebbe stato fuori tutto il pomeriggio. C'era sempre la possibilità che lo incontrasse nelle scuderie, al suo ritorno, ma se non altro sarebbero state presenti altre persone.
Invece non incontrò anima viva mentre attraversava la grande dimora. Il sole del pomeriggio penetrava dalle finestre dell'ala ovest, rischiarando parzialmente i locali. Se fosse stata casa sua, Annelise avrebbe tolto le tende strappate, arrotolato i tappeti logori, lavato i vetri e gettato tutti i mobili rotti. Il posto poteva essere reso abitabile con l'aiuto di pochi domestici e un tocco di buon gusto, come un mazzo di fiori raccolti in giardino.
Ma non per lei. Evitò le aiuole, resistendo al richiamo dei fiori che crescevano fra la erbacce, e si diresse verso le stalle. Per lo meno la costruzione era in buono stato; il tetto era in ordine e non c'erano vetri rotti che lasciassero entrare l'umidità. Anche suo padre era così; anche lui aveva trascurato le figlie ma si era sempre preoccupato che i cavalli fossero ben accuditi. Annelise non sapeva rimproverarlo per questo. Poteva perdonare più facilmente la mancanza di attenzione verso gli esseri umani che quella nei confronti degli animali, che non potevano difendersi da soli. Il modo in cui Christian Montcalm teneva le stalle era la prima cosa positiva che vedeva in lui.
L'interno odorava di fieno fresco, di letame e di quell'odore di cavalli ben tenuti che le era così familiare. Le ricordava i giorni della sua infanzia, quando era stata felice, ma le riportava alla mente anche ricordi dolorosi. Non c'era giorno che non sentisse la mancanza di suo padre, dei suoi modi affascinanti del suo ottimismo incrollabile anche di fronte al disastro. Non aveva mai saputo se la caduta fosse stata incidente o meno. Suo padre era un cavallerizzo troppo esperto, anche quando aveva bevuto, per commettere un errore tale da farlo volare oltre la testa del cavallo e farlo finire contro la palizzata, spezzandosi il collo. Ma se avesse avuto intenzione di uccidersi, non avrebbe messo in pericolo il suo cavallo. Avrebbe preso una delle sue pistole da duello e si sarebbe sparato un colpo.
Forse aveva voluto evitare che fosse la figlia a trovarlo. Era sempre stato particolarmente affezionato ad Annelise; lei capiva le sue debolezze e lo amava ugualmente, mentre le sue sorelle lo consideravano solo una seccatura e una fonte d'imbarazzo.
C'erano momenti in cui era perfino contenta che fosse morto in quel modo. L'ultima cosa che avrebbe ricordato era la corsa sfrenata prima del fatidico salto, in sella al suo cavallo preferito, con il vento tra i capelli e gli occhi che brillavano di gioia. Quando l'avevano trovato, stava sorridendo e i suoi occhi senza vita fissavano il cielo.
Annelise non aveva voluto che sparassero al cavallo. Non era colpa sua se il suo padrone era stato disarcionato e a volte le pareva che anche l'animale soffrisse come lei per la perdita. Ma non c'era denaro, la tenuta era intestata a un lontano cugino d'America e i cavalli erano stati venduti per far fronte ai debiti. Anche la sua giumenta, Gertie, se n'era andata. L'unica cosa che la consolava era che, ovunque si trovasse, L’avrebbero fatta correre, mentre lei non avrebbe più potuto cavalcarla nemmeno se l'avesse tenuta con sé.
Tutti questi ricordi erano troppo penosi per lei, e Annelise li allontanò dalla mente, raddrizzò le spalle e avanzò. Dato che era venuta fin lì, il minimo che poteva fare era esaminare i cavalli di Christian e vedere se se la sentiva di cavalcarne uno.
Rimpianse immediatamente questa decisione quando Christian varcò la soglia delle scuderie, in abito da cavallerizzo.
Non sembrò particolarmente felice di vederla, «Che cosa ci fate qui?» chiese. «E che cos'è quell’abito che indossate?»
«Buon pomeriggio a voi» rispose in tono sostenuto. «È un abito da cavallerizza, forse un po' fuori moda ma perfettamente utilizzabile. Credo che appartenesse alla vostra prozia. E che cosa potrei cercare in una stalla se non dei cavalli?»
«Voi avete paura dei cavalli.»
«Niente affatto.»
«Semplicemente non vi piacciono?»
«Io adoro i cavalli.» Non aveva intenzione di dargli più informazioni di quante gliene dovesse. Una piccola vendetta che non riuscì ad attenuare la sua sensazione di disagio.
«Adorate i cavalli, non ne avete paura ma non sapete cavalcare?»
«Non ho mai detto questo. So cavalcare benissimo. Ho scelto di non farlo.»
La fissò a lungo. Aveva i capelli sciolti e scomposi dopo la cavalcata, gli zigomi arrossati dall'aria fresca. Sarebbe stato un marito affascinante per qualche ereditiera, pensò Annelise. Ma non era lì per lei e parve ricordarsene all'improvviso.
«Avete cambiato idea?» le chiese.
«Ho pensato semplicemente di visitare le vostre scuderie e vedere se ci fosse una cavalcatura adeguata. Prima me ne andrò da Wynche End, meglio sarà per entrambi.»
«Sono d'accordo» disse in tono gelido. «Aspetto visite e la vostra presenza sarebbe difficile da spiegare.»
«Capisco.» Visite? Probabilmente aveva messo gli occhi su un'altra ereditiera. Avrebbe dovuto saperlo. Quando non c'erano altre donne nei dintorni, si divertiva a stuzzicarla e a prendersi gioco di lei, ma appena si presentava un'alternativa, la dimenticava rapidamente.
La stava studiando intensamente, ma Annelise mantenne un'espressione tranquilla e impenetrabile. Suo padre sarebbe stato orgoglioso di lei. «I miei vicini hanno due figlie in età da marito» riprese Christian in tono più affabile. «Sono entrambe graziose e i loro genitori sembrano disposti a sorvolare sulla mia reputazione non proprio cristallina pur di unire le due proprietà. Non sarebbero felici se pensassero che ho un'amante.»
«Un'amante? Per l'amor del cielo!» sbottò Annelise. «Basterebbe che mi vedessero per capire quanto sia ridicola l'idea.»
«Penso che sottovalutiate la tendenza del mondo ai Pettegolezzi e ai pensieri morbosi» mormorò lui. «E Penso che sottovalutiate anche voi stessa...» Un rumore improvviso, proveniente da una delle poste sul fondo delle scuderie, lo interruppe a metà della frase.
Era un cavallo che lanciava nitriti acuti e batteva gli zoccoli contro le pareti del recinto.
«Che cosa diavolo...?» esclamò Christian, voltandosi.
Il giovane stalliere, Jeremy, accorse con aria allarmata. «La giumenta saura ha qualcosa che non va. Pare che soffra molto.»
«Si è fatta male? Ha mangiato qualcosa che può averle disturbato lo stomaco?»
«No, signore, sono stato molto attento. Quando avete incominciato a parlare, ha preso a scalciare come una furia.»
Il cavallo lanciò un altro nitrito e Annelise si sentì la pelle d'oca. Non poteva essere. Era troppo improbabile, troppo assurdo. Il verso di un cavallo era uguale a un altro a quella distanza, non era possibile che fosse proprio Gertie...
«Scusatemi» disse bruscamente Christian, voltandole le spalle.
Ma Annelise l'aveva già preceduto, raccogliendo le gonne e correndo verso i recinti interni.
Jeremy cercò di sbarrarle la strada. «Miss Kempton, potrebbe essere pericoloso» disse, ma lei lo ignorò, dedicando tutta la sua attenzione al cavallo che aveva scatenato quel trambusto.
Era una bella giumenta dal manto scuro, con una stella bianca in fronte e due macchie bianche sui garretti anteriori, ben visibili mentre prendeva a calci il recinto per liberarsi.
«Non posso crederci» mormorò Annelise. «La mia piccola Gertie.»
Christian l'aveva raggiunta e le posò una mano sulla spalla per trattenerla, ma per una volta il suo tocco non le fece alcun effetto. Si liberò della mano e apri cancelletto della posta, ignorando le proteste di Jeremy e del suo padrone.
Poi scese il silenzio quando Gertie chinò il capo, posandolo contro Annelise, in pace. Lei stava piangendo e non le importava chi la vedesse. Accarezzò il collo della giumenta sussurrandole parole dolci che nessun altro poteva sentire. Gertie spinse il naso contro la sua spalla, come se volesse cercare conforto.
Annelise non si rese conto di quanto tempo trascorro così nella stalla, con Christian e Jeremy a distanza di sicurezza. Niente importava se non che l'unica creatura che l'amava incondizionatamente era di nuovo con lei.
Gertie sollevò il muso, guardando i due uomini.
«Adesso sì che è tornata a essere la mia Gertrude» disse Jeremy. «Non so che cosa le abbia preso. Non avreste dovuto avvicinarvi, signorina. I cavalli possono essere pericolosi quando sono agitati...»
«Miss Kempton non corre alcun pericolo» intervenne Christian. «È il suo cavallo, non è così?»
Annelise fece un passo indietro, asciugando le lacrime. Dov'erano i suoi occhiali quando ne aveva bisogno? «Molto tempo fa» spiegò. «Quando mio padre morì, vendemmo tutti i cavalli.»
«Vostro padre... doveva essere Sir James Kempton?» domandò Christian.
«Sì.»
«Quell'irresponsabile! Voi siete molto diversa da lui.»
Annelise si voltò di scatto, improvvisamente infuriata, e uscì dalle scuderie, lasciando Jeremy a finire di tranquillizzare il cavallo. «Non m'importa quali odiosi pettegolezzi abbiate sentito» disse in tono minaccioso.
«Mio padre era un uomo onesto e per bene!»
«Che aveva un piccolo problema con il gioco e con l'alcol. Che morì lasciando le figlie senza casa e senza un penny.»
«Dannazione a voi!» imprecò Annelise, dimenticando dov'era, dimenticando ogni cosa se non il dolore che avevano risvegliato le sue parole. Si avventò su di lui per colpirlo, ma Christian era preparato e le afferrò il polso a mezz'aria. L'attirò a sé e la strinse tra le braccia, accarezzandole i capelli e la schiena. Annelise non voleva il suo conforto, ma a poco a poco il calore del suo corpo la raggiunse, insieme alla sua voce che sussurrava parole tenere. Smise di lottare e diede sfogo alle lacrime.
Un istante dopo Mrs. Browne era al suo fianco e la prendeva dalle braccia di Christian per stringerla in un abbraccio materno. In un primo momento sembrò che lui non volesse lasciarla andare, poi allentò la stretta e Mrs. Browne la guidò verso casa.
La condusse in cucina, dove la fece sedere davanti a una tazza di tè addolcito con il miele e a un piatto di biscotti allo zenzero. Per tutto il tempo continuò a parlarle in tono dolce, dandole di tanto in tanto un buffetto rassicurante. Finalmente Annelise smise di piangere e bevve il tè, sforzandosi di sorridere.
«Vi sentite meglio, mia cara?»
«Ho fatto la figura della stupida» mormorò.
«Su, su, a volte abbiamo bisogno di piangere. E bello essere sempre forti, ma a volte le cose arrivano a un punto tale che non resta che piangere. Dopo di che ci si asciuga gli occhi, si raddrizzano le spalle e si riprende la propria vita. Non è così?»
«Sì.» Annelise aveva già raddrizzato le spalle e assaggiò i biscotti allo zenzero.
«Dirò due parole a Mr. Christian. Non so che cosa abbia fatto per sconvolgervi tanto, ma gli dirò quello che penso...»
«Non è stato lui. È stata Gertie, la mia giumenta.»
«Credevo che non andaste a cavallo» osservò Bessie, stupita.
Annelise era stanca di dare spiegazioni. «Una volta cavalcavo» disse. «Prima che mio padre morisse.»
«Ah, capisco. Credo che abbiate bisogno di tornare a casa.»
Annelise avrebbe pianto ancora, ma aveva esaurito le lacrime. «Lo farei, ma non possiedo più una casa.» Trattenne un singhiozzo. «Posso avere degli altri biscotti?»
«Tutti quelli che volete, mia cara. Vedrete che alla fine si risolverà tutto.»
Lei si sforzò di sorridere. «Se lo dite voi» disse, senza crederci nemmeno per un istante.
Annelise fissava la pioggia che rigava i vetri della finestra. Aveva bisogno di essere riparata, come tutto in quella vecchia casa che cadeva in rovina. Il vento sibilava attraverso le fessure come uno spettro. Ma non c'erano spettri nella vita di Annelise; i morti restavano morti. Le sarebbe piaciuto avere la possibilità di rivedere suo padre, di dirgli che gli voleva bene, che...
Aveva rimesso il suo abito marrone e la biancheria cotone e aveva ancora una scarpa sola, anche se Mrs. Browne aveva fatto del suo meglio per lucidarla. Come Cenerentola, pensò, solo che lei non si preparava ad andare a un ballo, ma a rientrare nell'ombra.
Meglio così, si disse. Era una donna con i piedi per terra e sapeva che era inutile aspirare a qualcosa al di là della sua portata.
In realtà, la sua posizione nella vita era troppo fragile. Il suo stato di povertà cancellava quei privilegi che avrebbero dovuto garantirle il suo nome e le sue ascendenze. Tutto quello che le restava era la sua reputazione impeccabile, ma ora anche quella era irrimediabilmente macchiata.
Avrebbe dovuto saperlo fin dall'inizio che posare gli occhi sull'affascinante Christian Montcalm sarebbe stata la sua rovina. E il peggio era che lui non aveva fatto nulla per incrinare le sue sicurezze. Aveva sempre pensato di sapere quello che era e quello che voleva, ma era bastato il tocco delle sue labbra per farle capire che non sapeva nulla di se stessa.
Si alzò dal sedile accanto alla finestra e prese la borsa di velluto che conteneva le perle false. False come le sue certezze. Indossò la collana in un gesto di sfida, e tornò a fissare nel buio. Doveva andarsene da quel posto, doveva fare qualche progetto, ma la sua mente era vuota. Il pensiero di abbandonare un'altra volta Gertie le era troppo doloroso. Quello di non rivedere mai più Christian Montcalm era intollerabile. Eppure era l'unica cosa che avrebbe dovuto augurarsi se fosse stata sana di mente.
Non lo udì arrivare; i suoi passi erano leggeri come quelli di un gatto o di un ladro. Lui non si diede la pena di bussare alla porta, ma l'aprì ed entrò nella stanza come se gli appartenesse.
«Mrs. Browne mi ha detto che non avete toccato cibo a pranzo» disse bruscamente. C'erano solo poche candele nella stanza e Annelise non riusciva a vedere chiaramente il suo volto, ma in fondo era meglio così, si disse.
«Non avevo fame» rispose con voce incolore.
«E avete indossato di nuovo i vostri abiti monacali. Devo dire che vi preferivo con la veste da camera della mia prozia. Anche se la tenuta da cavallerizza non era male.»
Lei non raccolse la provocazione. «Devo andarmene da qui.»
Non aveva richiuso la porta dietro di sé e la sua figura si stagliava contro la luce che veniva dal corridoio. Sembrava inquieto, a disagio, mentre si aggirava per la stanza. «Non hanno ancora mandato una carrozza per voi» disse, fermandosi accanto al letto disfatto.
«Ma entrambi sappiamo che se voleste, potreste trovare un mezzo. Mi avete mentito fin dall'inizio, vero? Avrei potuto andarmene in qualsiasi momento.»
«Non siate così dura. Niente è impossibile se si possiede il denaro necessario, e in questo momento sono abbastanza fornito. Era solo molto difficile e mi avrebbe costretto a sopportare per ore le chiacchiere di Hetty. Quando ho dovuto scegliere tra la mia sanità dentale e la vostra reputazione, non ho esitato. Sono un uomo egoista.»
In un altro momento Annelise avrebbe inarcato un sopracciglio, ma ora era troppo stanca anche per un semplice gesto.
«Devo andarmene da qui» ripetè.
Lo vide aggrottare la fronte alla luce delle candele.
«C’è un cavallo che conoscete bene e potrei mandare con voi Harry perché vi faccia da scorta. Non dovete nemmeno preoccuparvi di restituirmi Gertie, non l’ho mai vista vivace come oggi.»
«Non siate ridicolo. Non ho i mezzi per mantenerla Inoltre vi ho già detto che non vado a cavallo.»
«Ma sapete farlo. Quando avete smesso? Il giorno in cui morì vostro padre?»
Nemmeno questo riuscì a strapparle una reazione Naturale che lo sapesse. Sapeva tutto quello che voleva sapere su di lei. Sapeva quanto fosse vulnerabile nei suoi confronti, nonostante le proteste. Sapeva che quello che desiderava più di ogni altra cosa era che la stringesse tra le braccia e che la baciasse... Non importava se l'avrebbe ferita, se avrebbe distrutto la sua reputazione, lasciandola alla deriva. Lo desiderava ugualmente.
«Sì» rispose. «Il giorno in cui morì mio padre.»
Lui rimase a lungo in silenzio. Se fosse stato un altro uomo, Annelise avrebbe pensato che fosse nervoso, ma Christian Montcalm non era il tipo da lasciarsi mettere in difficoltà alla presenza di una donna.
«Ho deciso di fare un nobile gesto» disse bruscamente.
Le sue parole riuscirono a riscuoterla dal torpore. «Davvero?» chiese, guardandolo in viso.
Lui continuò a vagare per la stanza, senza guardarla. «Vi lascerò andare.»
«È mai stato messo in dubbio?»
«No. L'unico dubbio riguardava il modo in cui ve ne sareste andata da qui, ma ho cambiato idea. Lascerete questa casa illibata come siete arrivata. Qualche bacio rubato non dovrebbe fare una grande differenzi siete così rigida e austera che nessuno vi crederebbe capace di un comportamento licenzioso.»
«No, non credo. Ma voi avete giurato a William Dickinson che sarei stata perfettamente al sicuro qui. L'avete giurato anche a me.»
Lui non batté ciglio. «Ho mentito» disse semplicemente. «Lo faccio spesso quando mi conviene. Credevo che ormai l'aveste capito.»
La sua impudenza ebbe l'effetto di risvegliare la collera di Annelise. Si alzò dal sedile e si piazzò di fronte a lui. «Di che cosa state parlando?»
Era pericolosamente vicino e le ricordava le bestie feroci che aveva visto al Circo Astley, che l'avevano affascinata con la loro bellezza e il pericolo potenziale che rappresentavano.
«Volevo rovinarvi, dragonessa» mormorò. «Volevo farlo nel modo più delizioso. Ero deciso a spingermi ben oltre la lezione numero tre, fino a farvi diventare un'esperta. Volevo insegnarvi tutto quello che so dei piaceri carnali, fino a farvi perdere anche l'ultima traccia di rigidezza.» La sua voce era sommessa, velata di rimpianto e ancora seducente.
«Ma perché? Per puro divertimento?» gli chiese. «Per una scommessa o per malignità? Perché volevate rovinare la mia vita? Che cosa vi ho fatto per spingervi a essere così crudele?»
Le rivolse un mesto sorriso. «Siete ancora così ingenua» disse. «Malvagità, divertimento o crudeltà non hanno niente a che vedere con tutto questo. Io vi desideravo. E quando desidero qualcosa, tendo a prenderla senza badare alle conseguenze.»
Parlava in tono distaccato, distante, come se stesse Orlando di un altro. E in effetti l'uomo che le stava di fronte aveva ben poca somiglianza con quello che aveva pianificato a mente fredda di sedurla. Solo che erano entrambi bellissimi.
Annelise non riuscì a dipanare le emozioni che si affollavano dentro di lei e non avrebbe saputo dire perché si sentisse così profondamente ferita. Quando parlò, la sua voce era fredda come il ghiaccio. «Mi fa piacere vedere che avete riconosciuto il vostro errore» disse. «Quando posso aspettarmi che mi procuriate un mezzo per partire?»
«Browne dovrebbe essere in grado di trovare una carrozza decente per domani mattina e Mrs. Browne chiederà a una giovane donna del villaggio di accompagnarvi. Probabilmente incrocerete la mia carrozza che sta tornando a prendervi, ma questo non ha importanza. Quello che conta è che vi allontaniate al più presto dai miei artigli perversi, vero?»
«Sì.»
Lui rimase immobile, chiaramente imbarazzato. «Dovreste mangiare qualcosa. Dirò a Mrs. Browne di prepararvi un altro vassoio.»
«Non ho fame.»
«Non me ne importa, dannazione!» replicò, scostando i capelli dal viso con un gesto nervoso. «Avete bisogno di mangiare qualcosa.»
«Non me ne importa, dannazione!» gli fece eco. «Non c'è niente che possiate costringermi a fare se non ne ho voglia.»
Era riuscita a sorprenderlo. «Che linguaggio, dragonessa!» osservò, piegando le labbra in un tenue sorriso. «Dove l'avete imparato? Nelle stalle di vostro padre?»
«E se così fosse? A voi cosa importa?»
«C'è sempre qualcosa di irresistibile in una vergine che impreca come uno stalliere» mormorò.
«Ma voi siete così nobile da resistere alle mie lusinghe da sirena.» C'era una nota di velato rimpianto nella sua voce e Annelise si augurò che passasse inosservata.
Non fu così fortunata. Christian la fissò a lungo, inclinando il capo di lato, e il sorriso si allargò sul suo volto, raggiungendo gli occhi scuri e impenetrabili.
«Forse» mormorò.
Poi allungò una mano verso di lei.