Capitolo 4

 

Non c'era ragione perché Annelise si sentisse così esausta. Aveva fatto un unico ballo ed era rientrata a casa non oltre mezzanotte. Si era ritirata subito, met­tendo in chiaro che Hetty doveva fare altrettanto, e mezz'ora dopo era già sotto le coperte.

Il letto era comodo e la stanza era già stata riscalda­ta dal fuoco nel camino. Avrebbe dovuto addormen­tarsi appena posata la testa sui cuscini.

Ma non fu così. Era comprensibile che anche una donna pratica come lei, di ventinove anni, fosse turba­ta dal suo primo bacio. Tanto più che a baciarla era stato un uomo che lei disprezzava, che la chiamava dragonessa, si prendeva gioco di lei e aveva mire ne­faste sull'innocente Miss Hetty Chipple.

Grazie al cielo i suoi piani non la riguardavano, se non per il fatto che riteneva suo dovere contrastarli. Quanto al bacio, era riuscita a non perdere la testa; non l'aveva ricambiato né gli aveva allacciato le brac­cia al collo. Si era limitata a restare immobile, come una martire al rogo, mentre le fiamme si alzavano in­torno a lei.

Si rotolò nel letto, prendendo a pugni il cuscino.

Era vergognoso che avesse provato piacere, ma in fondo era normale. Dopo tutto, l'accoppiamento face­va parte degli istinti umani ed era naturale godere dei baci e delle carezze. Non che l'avesse accarezzata e nemmeno toccata in modo inappropriato, se non con le sue labbra. Nessun uomo avrebbe dovuto avere una bocca così sensuale; era ingiusto nei confronti di tutte le donne sensibili. Non che lei lo fosse, naturalmente. E anche se lo fosse stata, era troppo realistica per pen­sare di essere qualcosa di più di una seccatura e un in­tralcio per Christian Montcalm. Si divertiva solo a giocare con lei come un gatto con il topo, in attesa di prede più importanti.

Si liberò delle coperte. Forse era meglio che legges­se qualcosa che l'aiutasse a dormire e che non avesse nulla a che fare con i baci. Un bel trattato sull'ammi­nistrazione delle terre, per esempio, avrebbe potuto rivelarsi interessante.

Mentre assisteva alla rovina delle ultime proprietà di suo padre, riusciva a pensare solo a piccole miglio­rie che avrebbero potuto salvaguardarne il valore. La rotazione delle colture, qualche miglioramento alle ca­se dei fattori, la cura del bestiame...

No, inutile pensare a queste cose. Ormai i terreni e la vecchia tenuta erano andati per sempre, venduti per pagare i debiti di gioco del padre. La sua unica spe­ranza era trovare una casetta in campagna dove vivere i suoi giorni in pace, in compagnia di cani e gatti, dato che non avrebbe avuto figli.

Si sentì percorrere da un brivido e tornò sotto le co­perte. Stava ragionando come una donna di cinquan­tanni e non come una di trenta. Non aveva mai pensa­to di avere un marito e dei figli, così aveva imparato a essere autosufficiente. Le uniche offerte che poteva pensare di attirare sarebbero venute da parte di un ve­dovo che aveva bisogno di qualcuno che tenesse a fre­no i suoi figli. Avrebbe preferito fare la governante piuttosto che essere ripagata dei suoi sforzi dividendo il letto con un uomo irritabile.

E adesso perché pensava a dividere il letto con un uomo? Si coprì la testa con un cuscino per escludere la luce e mettere a tacere i pensieri che la tormentava­no. Troppa immaginazione, si disse.

Il giorno dopo avrebbe visto le cose nella giusta prospettiva. Le macchinazioni di Montcalm sarebbero state scoperte; lei avrebbe messo in guardia Mr. Chip­ple sul suo conto e con un po' di fortuna, gli sarebbe stato vietato di avvicinarsi a Hetty. Allora Annelise sarebbe potuta avanzare a testa alta e dimenticare lo spiacevole incidente sulla terrazza di Lady Bellwhite.

Se solo fosse riuscita a dormire.

 

Il giorno dopo si svegliò più tardi del solito, anche se la casa era ancora silenziosa. Si alzò dal letto e an­dò ad aprire le imposte. Il sole si era già levato e c'era ancora poca gente per le strade. La maggior parte del­le persone aspettava le undici per fare la tradizionale passeggiata nel parco, per vedere e farsi vedere.

Si era già vestita quando udì il grido e, anche se non sembrava allarmante, si precipitò fuori della stan­za senza scarpe, chiedendosi se quel serpente di Mont­calm era riuscito a intrufolarsi in casa o se si trattava di un vero serpente.

Non era nessuno dei due. Fu abbastanza facile tro­vare la stanza di Hetty; era in fondo al corridoio e la porta era aperta. Anche se le grida si erano calmate, Miss Hetty era in un evidente stato di agitazione.

Annelise si fermò sulla soglia, concedendosi qual­che istante per ammirare lo sfarzo della camera. Tutto era un'esplosione di rosa, dal copriletto alle poltronci­ne di raso, compresi i vestiti abbandonati in giro. Pro­babilmente Hetty aveva mandato via la cameriera.

L'effetto era quello di una bomboniera. Poi avverti il profumo delle rose e capì il motivo dell'eccitazione di Hetty. Mazzi di rose in piena fioritura profumavano la stanza come un negozio di fiorista.

Miss Hetty era così deliziata dall'omaggio che le fece una buona accoglienza. «Non sono stupende?» chiese ad Annelise. «Deve aver comprato tutte le rose rosa che c'erano in città!»

«Sono davvero tante» convenne con qualche riser­va, ma Hetty era troppo eccitata per notarlo.

«Che uomo meraviglioso!» cinguettò, guardando le rose come se volesse stringerle al petto. Se ne sarebbe pentita, pensò Annelise, dato che quella qualità di rose aveva delle spine particolarmente forti ed era un com­pito pressoché impossibile toglierle tutte anche se il fiorista aveva fatto del suo meglio per rimuoverle.

Annelise conosceva bene le rose e sapeva che quel­le erano della qualità più costosa. Si chiese perché Montcalm le avesse scelte: non poteva essere stato che lui a mandarle. Era un gesto sfarzoso, forse legger­mente privo di tatto, e la quantità esagerata faceva pensare a una punta di ironia, che Hetty evidentemen­te non aveva colto.

Teneva in mano un biglietto. «C'è scritto: Queste rose sono solo un inizio per rendere giustizia alla vo­stra bellezza.» Si voltò verso Annelise con un sorriso di trionfo. «Non ve l'avevo detto? In poche settimane sono riuscita a conquistare l'uomo più affascinante di Londra.»

«Sta cercando una moglie ricca» disse Annelise, un po' dispiaciuta di doverle ricordare la sordida realtà della vita.

Ma Hetty si limitò a stringersi nelle spalle. «Non è il solo. Se devo sposarmi per il mio denaro, posso al­meno scegliere un uomo bello.»

«La bellezza è una dote superficiale» osservò An­nelise, sentendosi come una vecchia governante di set­tantanni.

«E tutto quello che fa è così delizioso» concluse Hetty con sguardo sognante.

Stava ricordando i suoi baci, pensò Annelise pro­vando una strana sensazione che si rifiutò di analizza­re. Christian Montcalm aveva detto che Hetty era più esperta di lei, ricordò all'improvviso.

Tutt'a un tratto non trovò più nulla da dire e ricordò di essere ancora a piedi nudi, con i capelli sciolti lun­go la schiena, in un abbigliamento ben poco signorile.

«Ti incontrerò a colazione, mia cara» disse, cercan­do di raccogliere tutta la propria dignità.

Hetty le fece un cenno con la mano, quasi senza no­tarla, e Annelise uscì nel corridoio.

Una delle cameriere la stava aspettando davanti alla porta della sua stanza. Era la stessa che era uscita con lei nel parco la mattina prima, Lizzie. Fece una rive­renza quando la vide avvicinarsi e Annelise avvertì uno strano presentimento.

«Mi chiedevo se poteste aiutarmi, Miss Kempton. Ho qualche esperienza come cameriera personale e sarei onorata di offrirvi i miei servigi.»

Era così tanto tempo che Annelise non aveva una cameriera personale che l'idea la metteva a disagio. «È molto gentile da parte vostra, Lizzie, ma sono abituata a fare da sola.»

La giovane parve delusa. «Come volete, signorina, ma fatemelo sapere se doveste cambiare idea.»

«Grazie.» Si aspettava che Lizzie se ne andasse, ma vide che indugiava. «C'è qualcos'altro?»

«Miss Hetty non è stata la sola a ricevere dei fiori, stamani. Li ho appena messi nella vostra stanza.»

Oh, Dio, pensò Annelise. Che altro insulto doveva aspettarsi? Un mazzo di ortiche?

No, non poteva essere Montcalm; non conosceva nemmeno il suo nome. Che fosse lo stesso Chipple?, pensò inorridita. Se avesse dovuto combattere anche contro le sue attenzioni, avrebbe lasciato Hetty in ba­lia di Montcalm senza pensarci due volte.

Ma riuscì a non tradire la propria agitazione. «Gra­zie, Lizzie. È tutto, per il momento.»

La povera giovane sembrò delusa di essere conge­data, ma Annelise non voleva dare a nessuno la soddi­sfazione di vedere la sua reazione. Attese finché la cameriera fu sparita lungo il corridoio ed entrò nella sua stanza. Fece appena in tempo a chiudere la porta prima di rimanere bloccata dalla sorpresa.

Davanti a lei c'era un mazzo di bellissimi fiori pri­maverili: iris, giunchiglie, delicate rose selvatiche, tut­te in tenui sfumature pastello.

Il biglietto era sul tavolino e il suo nome era scritto chiaramente in inchiostro nero da una mano maschile. Onorevole Miss Annelise Kempton. Vedendolo, Annelise provò una punta di delusione. Non poteva venire da lui. Mr. Montcalm non conosceva il suo nome.

E perché mai avrebbe dovuto mandarle dei fiori? Per lui era solo una spina nel fianco, peggio di quelle delle rose di Hetty. Doveva essere stato Mr. Chip­ple... tranne che, conoscendo il suo gusto eccessivo, sicuramente non avrebbe mai scelto una composizione così delicata.

Aprì la busta sigillata con diffidenza, quasi si aspet­tasse di vederne uscire dei ragni. Il messaggio era an­cora peggio: Dragonessa, fatemi sapere quando siete pronta per la lezione numero tre.

Si sentì avvampare in tutto il corpo, anche se non era abituata ad arrossire. Così, dopo tutto, conosceva il suo nome, anche se preferiva usare quel nomignolo irritante. Se avesse avuto un po' di buon senso, avreb­be gettato i fiori dalla finestra, ma i fiori erano una delle sue debolezze e sarebbe stato un peccato sciupa­re quel mazzo così perfetto.

Poteva ignorare la loro provenienza e limitarsi a di­struggere il biglietto, decise. Il fuoco era il sistema migliore, dato che i domestici tendevano sempre a es­sere curiosi, ma le braci nel camino si erano spente completamente.

Il vestito che aveva indosso era privo di tasche, perciò piegò con cura il biglietto e lo nascose tra i se­ni, l'unico posto sicuro che le venne in mente. Dopo aver raccolto i capelli in uno chignon e aver infilato le scarpe, uscì dalla stanza richiudendo la porta dietro di sé.

Christian Montcalm alloggiava in Upper Kilgrove Street. Come gentiluomo scapolo, non era tenuto ad avere una casa di città, che non sarebbe stato in grado di mantenere dal momento che era già in arretrato di sei mesi con la pigione e solo il suo sorriso affascinan­te gli aveva evitato di essere buttato in strada. Per for­tuna la sua affittuaria era un'anziana signora che lo nu­triva a tè e pasticcini e lo trattava come un figlio.

C'erano dei momenti in cui non riusciva nemmeno a ricordare la sua bellissima madre, come se facesse parte di un mondo completamente diverso. Tutto que­sto apparteneva al passato e tanto valeva dimenticarlo, dato che non sarebbe tornato mai più.

Era nato in Francia e per questo molti lo considera­vano francese, ma si sbagliavano.

I Montcalm erano una vecchia famiglia orgogliosa. Il nonno di Christian, il Visconte Montcalm, era fra­tello di un duca ed era un vecchio senza cuore, inte­ressato più al nome di famiglia che ai suoi parenti. Il padre di Christian, Geoffrey, era il figlio minore, sen­za titolo, e aveva commesso l'errore d'innamorarsi di una donna francese. Madeleine de Chambord era una vera bellezza, figlia di un marchese, e possedeva ab­bastanza denaro perché le minacce del visconte non riuscissero a impedire il matrimonio. Quando Geof­frey aveva deciso di stabilirsi in Francia, suo padre non aveva potuto fare nulla, così si era limitato a dise­redare il figlio minore. Geoffrey e Madeleine avevano vissuto felici in un piccolo castello in Normandia.

Christian era il secondo di cinque figli, tre maschi e due femmine. Il fratello maggiore, Laurent, aveva pre­so sul serio il suo ruolo e tendeva a fare la predica ai fratelli minori. Dopo Christian veniva Helene, che aveva ereditato la bellezza della madre; poi Jacqueline, un diavoletto scatenato con il viso spruzzato di lentig­gini, e infine Charles-Louis, dai riccioli d'oro, gli oc­chi blu e il carattere mite. Mentre Laurent si sentiva responsabile per tutti i fratelli, Christian era legato so­prattutto al fratellino più piccolo. Aveva grandi pro­getti per lui: gli avrebbe insegnato a cavalcare, a fare la corte alle ragazze e non dare ascolto ai bacchettoni come Laurent.

Erano una famiglia felice e la loro casa era sempre aperta a uno stuolo di cugini.

Non avrebbe dovuto andarsene. Nessuno parlava di quello che stava succedendo, ma lui avrebbe dovuto accorgersene. Quando aveva compiuto i quattordici anni, Laurent era stato mandato in Inghilterra a cono­scere il nonno ed era riuscito a conquistare l'appro­vazione del vecchio prima di fare ritorno a casa. Non c'era da stupirsene, dato che erano entrambi dei mora­listi dalla mentalità ristretta, aveva pensato il giovane Christian.

Poi era venuto il suo turno. Non voleva partire, sa­pendo che non avrebbe incontrato i favori del nonno. Laurent era il figlio obbediente e rispettoso. Christian era la pecora nera e finiva sempre per mettersi nei guai, per la disperazione della madre e il divertimento del padre. Ricordava la volta in cui si era azzuffato con tre ragazzi di campagna che l'avevano ridotto a una maschera sanguinante. Anche loro non se l'erano cavata bene, ma Christian si era rifiutato di fare i loro nomi. Un contadino che alzava la mano su un nobile rischiava la vita, anche se era solo un bambino.

Aveva fatto di tutto per evitare il viaggio in Inghilterra, compreso scendere di nascosto dalla nave e tornare a piedi a St Matthieu. Era l'unica volta che ricordava di aver visto suo padre veramente in collera con lui e la volta successiva, quando l'avevano fatto salire a bordo, si era arreso con il broncio. Non che avesse molte scelte, dato che avevano mandato con lui un valletto corpulento che l'aveva depositato alla tenuta del nonno e aveva fatto ritorno in Francia prima che Christian potesse cercare di seguirlo.

Odiava quel nonno freddo e meschino quanto il vecchio odiava lui. Christian assomigliava troppo alla madre, gli diceva sempre. Bello, inutile e troppo fran­cese. Una volta Christian gli aveva gridato che prefe­riva essere un francese piuttosto che un rigido, stupido inglese pieno d'orgoglio e senza cuore.

Il visconte l'aveva colpito con uno schiaffo in viso. Sfortunatamente l'alterco avveniva in cima alle scale e Christian era caduto, spezzandosi un braccio e una gamba, il che gli aveva impedito di tornare in Francia al momento stabilito.

Non aveva mai perdonato suo nonno. Non per lo schiaffo o le ossa rotte, ma per avergli impedito di tornare a casa, finché poi non era stato più possibile farlo. Il Terrore imperversava in Francia e aveva rag­giunto anche la tranquilla campagna della Normandia.

Sapeva come era morta la sua famiglia, anche se non voleva pensarci. La ghigliottina dava una morte rapida, ma il lungo viaggio sul carro doveva aver riempito di terrore le sue sorelle, sapendo quello che le aspettava. E come potevano aver giustiziato anche un bambino come Charles-Louis?

Ma morire bruciati nel castello doveva essere stato peggio. Tutta la servitù, i parenti, la nonna materna e il valletto che l'aveva accompagnato in Inghilterra erano morti in quel modo, compresa la giovane servetta che gli aveva concesso il primo bacio. E lui non aveva potuto fare nulla per salvarli.

Si era chiesto spesso se i tre ragazzi che l'avevano picchiato fossero stati tra la folla inferocita. Era pro­babile. Sapeva che c'erano torti e ragioni da entrambe le parti, ma ancora adesso odiava i francesi con tutto se stesso, rinnegando quella parte di sé.

Erano passati vent'anni da allora e raramente gli ca­pitava di pensarci. Non aveva idea del perché gli fosse venuto in mente proprio quella mattina. Forse perché, nonostante si considerasse ormai inglese, non soppor­tava la lombata di manzo con la birra di prima matti­na. Bevve la sua cioccolata, assaggiò una brioche e rimase a fissare il cielo che era azzurro come gli occhi del suo fratellino.

Quando Crosby Pennington si presentò a casa sua, puntuale come sempre nonostante la quantità di alcol che aveva ingerito, Christian si era già lavato e vestito ed era pronto ad affrontare il mondo, con la mente concentrata sulla fin troppo facile conquista di Miss Hetty Chipple e sulla prospettiva ben più interessante d'incontrare nuovamente la dragonessa.

Probabilmente aveva gettato i suoi fiori dalla fine­stra, pensò. Adesso sapeva chi era, la figlia di Sir Ja­mes Kempton, che aveva dissipato la sua eredità e si era ammazzato a cavallo, lasciando tre figlie. Due erano sposate e la terza era una donna impoverita cui restava solo il titolo di Onorevole.

La dragonessa. Aveva avuto la sua Stagione, gli avevano detto, ma non aveva trovato marito. Probabil­mente l'aveva vista in qualche occasione ma, nono­stante la sua altezza, non l'aveva notata. A quell'epoca Christian era attratto solo dalle bellezze appariscenti e la dragonessa, per quanto possedesse un certo fascino, non era un diamante.

Portava gli occhiali! Incredibile... Non aveva mai visto donne sotto i quarantanni con gli occhiali. Prefe­rivano strizzare gli occhi con espressione ingenua e vivere in una sorta di nebbia piuttosto che rovinare il loro aspetto, ammesso che ci fosse qualcosa da rovi­nare.

Miss Kempton non era priva di attrattive. Aveva begli occhi grigi dietro le lenti e una bocca deliziosa. La sua pelle vellutata gli faceva desiderare di vederla nuda e, anche se era un po' troppo coriacea per la maggior parte degli uomini, per lui rappresentava una sfida interessante.

Ma ora doveva concentrarsi e assicurarsi la mano di Miss Chipple prima che qualcuno gli mettesse i basto­ni fra le ruote... qualcuno come la dragonessa, che l'a­veva classificato subito come uno sciagurato.

E come al solito, questo gli faceva venir voglia di comportarsi ancora peggio.

Sarebbe stata la sua ricompensa e la sua sfida. Una volta sposata e portata a letto Miss Chipple, non ne­cessariamente in quest'ordine, avrebbe potuto dedicar­si all'onorevole Miss Annelise Kempton.

E avrebbe scoperto se la dragonessa aveva dei veri artigli.