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IL REBUS
Non possiamo risolvere un problema
continuando a pensare
negli stessi termini nei quali lo abbiamo posto.
ALBERT EINSTEIN
Era quasi mezzogiorno quando, ancora frastornato, scesi a fare colazione. La capricciosa chimica dell’alcol mi aveva tenuto sveglio fino alle sei del mattino. Dopo aver letto il discutibile articolo di Jensen, pubblicato su una rivista inglese di poco conto, avevo impiegato parecchio a addormentarmi, ma i postumi continuavano a fare il loro corso.
La sala da pranzo del Marthahaus era abbastanza animata. Vicino a una delle vetrate vidi Sarah Brunet, fresca come una rosa, che leggeva «L’Express», una rivista svizzera in lingua francese.
Mi salutò frettolosamente senza smettere di leggere, cosa che in un primo momento interpretai come un segno di imbarazzo per la baldoria della notte appena trascorsa. Tuttavia, quando finì l’articolo e lasciò cadere la rivista sul tavolo, non mi parve di scorgere sulle sue guance alcuna traccia di rossore.
Quella donna mi sconcertava. La sua fredda eleganza seduttrice non combaciava con quel disordine di vestiti nella stanza, né con gli eccessi compiuti la notte precedente. Esisteva una Sarah conformista di giorno e un’altra Sarah completamente diversa di notte?
Desiderai che fosse così e che la nostra avventura durasse ancora altre notti. Tra i vari vantaggi, questo avrebbe significato essere ancora vivi.
«Lo hai letto?»
«Sì», dissi, mentre mi portavo la tazza di caffè alle labbra. «Ma ho le mie riserve sul buon senso di chi lo ha scritto».
«Tutto quello che riporta è vero», rispose lei molto seria. «Anche se Jensen ha volutamente sorvolato su alcuni dati rilevanti».
«Cioè?»
«Quando si parla di Tesla solitamente si cita un’ipotesi alquanto provocatoria, che Jensen ha trascurato. Sospetto che non voglia che qualcun altro indaghi in quella direzione. Per questo mi interessava che leggessi l’articolo: la cosa più significativa è quello che non racconta».
«Perché non parli più chiaro? Ho i postumi di una sbornia tremenda e non ho energie sufficienti per indovinare quello che il danese pazzo non ha scritto nel suo articolo».
Sarah colpì delicatamente la tovaglia bianca con la busta misteriosa, dalla quale uscirono i francobolli affrancati a Firenze prima dell’euro. Mentre lei spiegava, disposi i venti francobolli da 50 lire in fila indiana. Una bella processione di tante Eva.
«Jensen non menziona la formula E = mc2 né la sua relazione con la prima moglie di Einstein».
«Ora sì che non ti capisco. Perché un articolo su Tesla dovrebbe parlare della formula dell’energia?»
«Perché si crede che la formula più famosa di tutti i tempi sia stata trovata da Mileva Marić́, che la cedette a suo marito per aiutarlo a raggiungere la notorietà».
«Sciocchezze!», risposi, assumendo la posizione intransigente di Pawel. «In che modo una donna che non portò a termine la scuola superiore avrebbe potuto trovare la formula della bomba atomica?»
«Con l’aiuto del suo amico Nikola Tesla, naturalmente. Nessuno ai suoi tempi ne sapeva più di lui sull’energia e le leggi che la regolano. Pertanto, non è strano che condividesse le sue conoscenze affinché Mileva, che era una matematica, arrivasse alla conclusione che l’energia è uguale alla massa per la velocità della luce al quadrato. Di fatto, Tesla aveva già realizzato esperimenti con l’elettromagnetismo prima che Einstein scrivesse sull’argomento. Per questo c’è chi afferma che la teoria della relatività sia nata dalla collaborazione tra Nikola e Mileva».
Non avevo forze per discutere, dato che parte del mio cervello era ancora addormentata. Inoltre, non volevo contrariare Sarah in piena fase di avvicinamento.
«È possibile che Einstein prendesse in prestito molte idee da altri scienziati», dissi. «Senza dubbio, la sua capacità di sintesi lo trasformava in un divulgatore eccezionale. Ci sono teorie che si è soliti associare a lui, come quella secondo cui lo spazio e il tempo si contraggono, sebbene essa sia stata esposta precedentemente da Lorentz, il premio Nobel olandese».
Dopo questo sfoggio di erudizione – ricordavo il dato per un testo che avevo redatto da poco tempo – restammo di nuovo in silenzio. Il dolce profumo di Sarah mi stordiva. Desiderai passarle le dita tra i capelli e baciarla sul collo, ma sapevo che alla luce del giorno mi avrebbe respinto.
Per distrarmi da quella donna che mi attraeva a sé con forza centripeta, osservai nuovamente i francobolli di Eva. In tutto ammontavano a 1000 lire, una cifra che a suo tempo equivaleva a qualcosa come 60 centesimi di euro. Che cosa poteva essere stato inviato con ognuno di quei francobolli?
All’improvviso, nella mia testa qualcosa fece «click» e compresi il messaggio, che era più che altro un rebus. Fui sul punto di gridare «Eureka!» o un anacronismo simile, ma alla fine abbassai la voce affinché solamente Sarah potesse conoscere la mia scoperta.
«Credo di sapere il nome di chi ci ha mandato questa busta. È la stessa persona che ha organizzato la riunione di Cadaqués. Con questo rebus continua ad attrarci verso il suo segreto».
La francese interruppe nuovamente la lettura per interrogarmi in silenzio con l’azzurro dei suoi occhi.
«Decifralo da sola», annunciai. «Prima di tutto, somma il valore di questi francobolli».
Ebbe bisogno di un paio di secondi per rispondere:
«Mille».
«E che personaggio biblico c’è in questi francobolli?»
«Eva».
«Ora devi solo unire le due parole».
Sarah contenne un grido di emozione nel dire:
«Mileva...».
«Qui hai il mittente delle lettere», dissi trionfante.
«Un momento... È una conclusione brillante, ma non ha senso. Come può essere il mittente qualcuno deceduto nel 1948?».
Respirai per non agire avventatamente a causa dell’emozione. Ora veniva la parte più azzardata della mia tesi:
«Sappiamo che Mileva ebbe una figlia. Ancor di più, una figlia segreta».
«Certo, Lieserl, che se oggi fosse viva avrebbe centotto anni. Lo ha detto Pawel».
«Ora supponiamo che la figlia non riconosciuta del genio, da cui ereditò un formidabile segreto, abbia trasmesso questa eredità alla propria figlia. A quell’epoca era molto comune prendere il nome del nonno o della nonna. Pertanto, la figlia di Lieserl si chiamerebbe...».
Scossa dalla rivelazione, Sarah si portò una mano al petto e disse:
«Mileva».