11
Rocambole all’hotel Meurice
«Non è stata la Cagoule» disse Sánchez. «O almeno così giura Verdier.»
«Allora rimane soltanto una possibilità» replicò Falcó.
«I rossi?»
«Già.»
Passeggiavano lungo lo stagno del Luxembourg. Si erano incontrati venti minuti prima vicino alla Closerie des Lilas, sotto la statua del maresciallo Ney. Di tanto in tanto, Falcó tirava fuori un fazzoletto per soffiarsi il naso. Gli smoccicava un po’ e la testa gli faceva male. Il tuffo gli era costato un leggero raffreddore che combatteva con cafiaspirine e cognac.
«Potrebbero essere stati anche i nazisti, che conducono il proprio gioco» disse Sánchez dopo averci pensato su ancora un po’. «O gli italiani, con i loro soliti pastrocchi.»
«È possibile» ammise Falcó, «ma meno probabile.»
Sánchez lo guardò di sottecchi. Stavolta non portava né cappello né cravatta, ma un foulard al collo e un berretto che, sopra i baffi, gli dava un incongruente aspetto da proletario distinto. Aveva sempre la solita aria affaticata.
«Veda lei» disse. «In gioco c’è la sua pelle… È riuscito a vederli in faccia?»
«A quello che avevo di fronte, sì: scuro, statura media, bisognoso di farsi la barba.»
«Poteva essere spagnolo?»
«Forse… Anche se a Parigi è facile contrattare qualcuno per un lavoro del genere. I coltelli non hanno patria.»
«È stato fortunato, dopo tutto.»
«Già.»
Lo era stato davvero, pensò Falcó. La pugnalata che gli aveva squarciato la giacca da dietro aveva mancato la carne per pochissimo, la ringhiera del ponte era vicina e, al momento di cadere, di sotto non passava nessuna chiatta su cui si sarebbe sicuramente schiantato le ossa.
«Molto fortunato» aggiunse.
Il salto l’aveva scagliato direttamente nella Senna, ciuf, facendolo affondare nell’acqua fredda e torbida che gli aveva mozzato il respiro. Poi aveva smanacciato per salire in superficie e per cercare di tenersi a galla, ancora intontito, prima di nuotare spinto dalla corrente verso la banchina più vicina mentre la gente assiepata sul ponte e sulle rive lo indicava e chiedeva soccorso. Ai due gendarmi che l’avevano aiutano a uscire dall’acqua, che gli avevano dato un bicchiere di acquavite e portato una coperta, aveva raccontato di essere caduto come un idiota sporgendosi sulla ringhiera per scattare una fotografia. Gli agenti erano stati gentili, gli avevano dato da fumare, l’avevano portato al posto di polizia fluviale per raccogliere la sua dichiarazione e l’avevano accompagnato in albergo in taxi. Questione risolta, almeno per quell’aspetto.
«C’è una spiegazione» disse Sánchez.
«Me ne vengono in mente parecchie.»
«Questa è ragionevole. Abbiamo uno dei nostri all’ambasciata repubblicana: un informatore prezioso, con accesso alla chiave della macchina di decifrazione Kryha-Marconi che hanno lì… E crede che lei sia stato identificato.»
«Sotto quale nome?»
«Non si fanno nomi, a parte Ignacio Gazán. Ma sospettano che lei non sia chi dice di essere, e che forse lavora per noi.»
«Che strano. E quanto sono stati veloci… Sono qui da pochi giorni.»
«Magari qualcuno l’ha riconosciuta. Forse c’entra quel Navajas, il nuovo capo dell’intelligence a Parigi.»
Falcó rifletteva. Tanto va la gatta al lardo, concluse. In fin dei conti, la gatta era lui. Sánchez lo osservava, con aria inquisitiva.
«Ha spedito lettere per posta ordinaria?… Di solito la corrispondenza con la Spagna viene controllata dalle cellule comuniste del servizio postale francese.»
«No. Nessuna.»
Continuava a riflettere, ma l’intontimento dovuto al raffreddore lo distraeva un po’. Gli pizzicava il naso, che sentiva umido. Bestemmiando tra sé, tirò fuori ancora una volta il fazzoletto dal taschino della giacca.
«Non può essere.» Si soffiò il naso e rimise in tasca il fazzoletto. «Non così presto. Qui sta succedendo qualcosa di strano.»
«Tutto è strano di questi tempi. Magari è una coincidenza.»
«Non credo alle coincidenze. Nel nostro lavoro, sopravvalutarle può costare caro. Niente di più sospetto di una coincidenza.»
Sánchez scosse la testa. Un abbozzo di risata, subito repressa, lo fece tossire brevemente.
«Come una coltellata sul Pont des Arts» ironizzò.
«Per esempio.»
«Quello che è chiaro è che ce l’hanno con lei. Temo che sia diventato un bersaglio fisso. Dovrà sbrigarsi con la faccenda Bayard.»
«È a buon punto di cottura. Oggi dev’essere pronta per la sentenza.»
«Sono felice di sentirlo.»
Dopo aver guardato di nascosto di qui e di là, si avvicinò un po’ di più e passò a Falcó il giornale che aveva in tasca, dopo averne indicato le pagine con l’indice giallastro, come se gli stesse mostrando un titolo.
«Lì c’è una busta con nuove foto: lei, lui e quell’inglese, da buoni amici… Ha bisogno di altre immagini?»
«No. Queste sono sufficienti.»
«Magari Bayard è la spiegazione. Qualcuno inizia a scaldare i motori, e non gli importa che lei venga scoperto nella manovra.»
«Così presto?» Falcó si stava di nuovo soffiando il naso. «È questo che mi sorprende. Sono ancora necessario.»
«La cosa strana, se sono i rossi e sospettano di lei, è che non avvisino Bayard.»
Falcó scosse la testa.
I rossi, si diceva, o l’Abwehr tedesco. Senza scartare lo stesso Ammiraglio, propenso a mordere con la bocca chiusa. In questo, il Cinghiale era privo di scrupoli. Era capacissimo di sollevare un angolo della coperta e lanciargli dietro i cani, sicuro che il suo agente avrebbe saputo cavarsela.
«Forse stanno ancora analizzando la questione.»
«Bella analisi, cercare di pugnalarla.»
«Meglio questo che un colpo alla nuca.»
Sánchez gli rivolse un sorriso affilato.
«Mi scusi se vado oltre i limiti, ma ho l’impressione che tutto questa la diverta… Mi sbaglio?»
«Ognuno vede le cose a modo suo.»
«Cercano di ammazzarla, fa un bel tuffo, può essere stato identificato e qualcuno la tiene sotto tiro… Non è un film di Harold Lloyd.»
«Al nostro lavoro si viene avendo già pianto a casa.»
«Sì… Immagino di sì.»
Rimasero un momento in silenzio, guardando i bambini che giocavano intorno allo stagno. Sánchez ebbe un altro accesso di tosse, e anche se si portò il fazzoletto alla bocca e lo rimise a posto facendolo sparire con destrezza, Falcó riuscì a scorgere i soliti piccoli schizzi.
«Come è entrato nei servizi?… È un militare, vero?»
L’uomo storceva i baffi quasi con tristezza.
«Si nota molto?»
«Non tanto. Forse il modo di portare i vestiti… Immagino che segni il carattere, come essere stato puttana o prete.»
Sánchez si tolse il berretto, passandosi una mano sulla fronte e sulle ampie stempiature. Di colpo sembrava ancora più stanco.
«Il 18 luglio ero alla Caserma della Montagna a Madrid… Quando quella gentaglia è entrata e ha cominciato a uccidere tutti i capi e gli ufficiali, sono riuscito a fuggire togliendomi l’uniforme, mescolato ai soldati che si arrendevano. Quelli che mi conoscevano, mi apprezzavano. Non mi hanno denunciato.»
«Caspita. Un vero miracolo.»
«Letteralmente.» Si infilò di nuovo il berretto mentre guardava, prevenuto, Falcó. «Un miracolo… Lei è credente?»
Senza rispondere, Falcó finse di badare al suo portasigarette, prendendone una. L’aveva asciugato bene dopo l’immersione nella Senna, così come l’accendino e il resto degli oggetti che aveva nelle tasche. Le cose irrecuperabili erano l’orologio, completamente rovinato, l’impermeabile e il cappello, portati via dalla corrente.
«Sono riuscito ad arrivare a casa di mio fratello, in calle Castelló» continuava a raccontare Sánchez. «Era un medico. Mi sono nascosto lì per tre giorni finché la portinaia ci ha denunciati. Sono venuti di notte e si sono portati via mio fratello. Io sono riuscito a fuggire di nuovo, dai tetti. Sono passato con i nostri a Guadarrama… Parlo francese, inglese e tedesco, e un mio cugino è il segretario del conte de los Andes. Mi hanno destinato prima a Saint-Jean-de-Luz e poi qui.»
Al terzo tentativo con l’accendino, Falcó riuscì ad accendere la sigaretta.
«Cosa ne è stato di suo fratello?»
«L’hanno portato nella prigione clandestina di Fomento e poi l’hanno fucilato alla Casa de Campo… Mia cognata, l’hanno violentata quando è andata a reclamare il marito.»
L’aveva detto con freddezza oggettiva. Lentamente e senza inflessioni. Poi tornò a guardare, indifferente, i bambini che giocavano.
«Sogno spesso di andare a cercare la portinaia quando entreremo a Madrid» aggiunse all’improvviso. «Pensi che ce ne sono, di rossi, non è vero?… Centinaia di migliaia. E molti di loro sono assassini… Ma io, così come mi vede, voglio soltanto trovare quella portinaia.»
Detto ciò, si strinse nelle spalle. Piegava la testa di lato, assorto in pensieri e ricordi.
«Leocadia Garrón Espejo, si chiama. Non me ne dimentico.»
Fecero in silenzio qualche passo. Con una certa difficoltà, Sánchez trattenne un altro accesso di tosse. Quando si toccò l’angolo delle labbra, un sorriso minaccioso gli increspò la bocca.
«Spero di vivere abbastanza» concluse.
Falcó non si stava godendo la sigaretta. Sicuramente a causa del raffreddore, il suo sapore era insoddisfacente. Gli irritava il naso e la gola, perciò la lasciò cadere a terra con fastidio.
«Quanto a lei e all’ambasciata rossa» disse Sánchez, già con un tono diverso, «non so cos’altro dirle. Tutto questo è più grande di me. Conosco soltanto una parte del gioco. Sono una semplice pedina.»
«Tutti lo siamo.»
«Invece lei sembra più un alfiere o un cavallo… Continuo a ricevere istruzioni di assisterla al massimo. E hanno chiesto una comunicazione diretta.»
«Salamanca?»
«Sì.»
«Che sorpresa.»
«All’hotel Meurice abbiamo una linea telefonica per casi speciali.»
«Caspita… Una linea sicura?»
«Nei limiti del possibile. È carissima da mantenere, e perciò la usiamo soltanto per le emergenze. Ci chiedono di stabilire il contatto oggi, questo pomeriggio alle quattro.»
«Con chi?»
«Se non lo sa lei…» Di nuovo il sorriso minaccioso. «In questo sono soltanto il messaggero.»
Da Lipp servivano il miglior gin fizz di Parigi, così Falcó ne ordinò uno non appena arrivò. Léo Bayard e Eddie Mayo erano già lì, sotto un grande specchio, seduti a un tavolino nella parte posteriore e con Petit-Pierre accanto, che li sorvegliava dal bancone. Era l’ora dell’aperitivo e la birreria era piena di gente dall’aria borghese che si comportava in maniera informale. Lo specchio rifletteva camerieri in giacca nera e lunghi grembiuli che andavano e venivano con piatti di frutti di mare e bottiglie di vino in secchielli di ghiaccio. C’era un intenso mormorio di conversazioni.
«Abbiamo saputo che si è fatto una nuotata nella Senna» disse Bayard, divertito. «Ora ci racconti tutto.»
Falcó obbedì senza fare obiezioni. Era un narratore eccellente, ameno, sfacciato, e il suo fascino rendeva simpatico qualunque comune aneddoto. Quello del fiume era buono per farsi bello; così, esagerando la propria goffaggine nel fare la presunta fotografia, prendendosi in giro da solo – era maestro anche in questo –, raccontò come aveva perso l’equilibrio, il successivo tuffo, e come era stato ripescato a riva dai gendarmi, fradicio come un tonno.
«Mi hanno detto che non passa settimana senza che qualcuno tenti di suicidarsi proprio lì. In genere, sono sartine innamorate e cassieri che hanno sottratto fondi; però di solito lo fanno di notte e senza nessuno in vista… Ho risposto che anch’io avrei voluto suicidarmi quand’ero in acqua, ma per la vergogna.»
Bayard rideva e Eddie sorrideva, osservando pensierosa Falcó.
«Non mi aspettavo che fosse così imbranato» disse lei.
Indossava un tailleur grigio inconfondibilmente Chanel, con una camicia bianca e una cravatta che le davano un equivoco e attraente tocco androgino. Con i capelli biondi e lisci a caschetto, era bellissima.
«Si sorprenderebbe per quanto imbranato posso essere» rispose Falcó.
Lei continuava a sorridere altezzosa, con il gomito sul tavolo e una sigaretta fumante nella mano in alto, accanto al mento.
«Ne dubito.»
«Se le raccontassi…»
Falcó aveva preso il fazzoletto per soffiarsi il naso con discrezione.
«Scusatemi» disse.
«Assaggi quest’ostrica» gli raccomandò Bayard.
Era deliziosa. Falcó, che aveva ormai terminato il suo cocktail, l’accompagnò con un sorso di chablis. Si avvicinarono dei conoscenti a salutare Bayard e lui li accolse in piedi, mentre Eddie e Falcó si fissavano.
«Picasso mi ha fatto un ritratto» disse lui. «Sono contentissimo.»
Lei non parve sorpresa.
«Pablo è un bruto capriccioso.»
«Con me è stato gentile.»
«Gli è simpatico.» Rimase in silenzio per un attimo mentre il sorriso svaniva dalle sue labbra. «Lei è simpatico a tutti… Atterra sempre così?»
«Com’è così?»
«In piedi, come i gatti.»
«Faccio quello che posso.»
«In effetti… Lo fa. Ha talento per la conversazione.»
«E lei ha talento per il silenzio.»
Eddie gli lanciò uno sguardo indecifrabile.
«Questo è un elogio, immagino» disse.
«Certo. Quello che ancora non so è se sono simpatico a lei.»
La temperatura si abbassò di un paio di gradi.
«Anche in questo caso fa quello che può, no?»
«Con le mie migliori risorse.»
«Già.»
Rimase un attimo in silenzio, il mento appoggiato alla mano che reggeva la sigaretta.
«Anche a me piacerebbe farle un ritratto… Le dispiacerebbe posare per me?»
Falcó tardò cinque secondi a rispondere, perché non se l’aspettava. Neanche sbronzo perso. Il suo viso in un archivio fotografico, tipo divo del cinema. Immaginò, malizioso, ciò che avrebbe detto l’Ammiraglio se, aprendo una copia di «Harper’s Bazaar», si fosse imbattuto nella sua faccia.
«Perché dovrebbe dispiacermi?»
«Certo.» Continuava a studiarlo, pensosa. «Perché dovrebbe dispiacerle?»
Bayard era tornato al tavolo dopo aver salutato i suoi conoscenti. Sembrava allo stesso tempo inquieto e soddisfatto.
«Sono dei giornalisti amici, di «Ce soir» e «L’Humanité»… Dicono che la corazzata Deutschland, che si trova a Ibiza, è stata attaccata da aerei della Repubblica… Ventidue marinai morti e settantatré feriti!»
«Caspita» disse Eddie, facendo un tiro dalla sigaretta.
Falcó comprendeva benissimo la gravità dell’evento. In quel momento le linee telefoniche e le telescriventi cifrate dovevano essere incandescenti. Era senza dubbio l’incidente internazionale più grave dall’inizio della guerra.
«Attacco deliberato?» domandò.
Bayard fece un’espressione di ignoranza.
«Non si sa… A quanto pare, Valencia parla di un errore, ma non so che errore possa esserci con una nave enorme come quella.»
«Sicuramente è stato fatto apposta» disse Eddie.
«Può essere una cosa buona, eh?… L’intervento tedesco, reale ma non ufficiale, dopo di questo si toglierà la maschera… Hitler non l’incasserà sportivamente. Farà qualcosa, costringendo la Francia e la Gran Bretagna a non rimanere a braccia incrociate… Non pensa, Nacho?»
«È possibile.» Falcó eluse la domanda. «Di queste cose non capisco granché.»
«Allora, quindi, la guerra potrebbe internazionalizzarsi.»
Eddie mostrò il suo dissenso.
«Dubito che Stalin, in questo momento, voglia opporsi apertamente a Hitler e a Mussolini» obiettò. «Almeno non ancora.»
«È possibile» ammise Bayard. «Ma in ogni caso, sembra una buona mossa della Repubblica. Un… Be’. La cosa che dicono gli spagnoli quando giocano a carte.»
Guardò Eddie, senza risultato, e poi fece ricorso a Falcó, cercando la parola.
«Un órdago, una puntata dell’intero piatto?» azzardò lui.
«Esatto.» Bayard prese la sigaretta dalle dita di Eddie e aspirò il fumo con piacere. «E confesso che provo invidia. V’immaginate?… Aver potuto, quando ero con la squadriglia, bombardare una corazzata tedesca. Nientedimeno.»
«Avresti dato la vita per questo» disse Eddie.
«Senza alcun dubbio.»
«Lei parla della Spagna» commentò Falcó «come di una magnifica avventura.»
«E lo è stata.» Ora Bayard sorrideva con genuino candore. «La più bella della mia vita: buoni compagni, vera azione e una causa giusta… Cos’altro si può desiderare?»
«Le dispiace avere smesso?»
Vide il viso dell’altro incupirsi.
«Non tanto. Ha cominciato ad arrivare gente poco affidabile: internazionali con moventi oscuri, lo sa. Si perdeva l’innocenza originaria. Perfino gli spagnoli la perdevano… Ho smesso di sentirmi a mio agio, così mi sono riproposto di aiutare in un altro modo. Ed eccomi qua, a fare quello che posso.»
Falcó ritenne giunto il momento. Proponiglielo con calma, si disse. E con belle parole. Tirò fuori il tubetto di cafiaspirine e se ne mise due in bocca, masticando il sapore amaro prima di mandarle giù con un sorso di vino.
«Come vanno i finanziamenti di Cieli di Spagna?»
Bayard fece un’espressione desolata.
«Avanzano con difficoltà.»
«Ci ho riflettuto, e credo che interverrò nel suo film.»
«Dice sul serio? Alla fine si è deciso?»
«Completamente… Se me lo permette, è ovvio.»
Bayard era rimasto a bocca aperta. Il ciuffo sulla fronte conferiva un’aria giovanile al suo stupore.
«È una notizia formidabile» titubò. «Non so cosa dire.»
Con grande naturalezza, senza darvi importanza, Falcó estrasse da una tasca l’avallo della banca Morgan che si era procurato quella mattina a place Vendôme e lo mise sul tavolo. La cifra era in bella vista sulla prima pagina: 100.000 franchi.
«Ognuno deve aiutare come può.»
Bayard si passò una mano sul viso mentre leggeva il documento. Il naso gli si era affilato e gli occhi gli brillavano, compiaciuti.
«Lei è un uomo nobile, caro amico.» Lo mostrò alla donna. «Non ti pare, Eddie?»
«Certo.» Lei non guardava il documento, ma Falcó. «Nobilissimo.»
Bayard sollevava le mani con i palmi in avanti, in imbarazzo.
«Non se ne pentirà, glielo assicuro.»
«Lo spero.»
«Le do la mia parola. Ci sarà dentro tutto: La corazzata Potëmkin, E·jzenštejn e gli espressionisti tedeschi… Il cinema è l’arma moderna. Pensi all’attenzione che gli prestano i nazisti, che sanno mentire come nessun altro. Un libro può arrivare a migliaia di lettori, ma un film lo vedono centinaia di migliaia di persone…»
Fece una pausa mentre Falcó prendeva il fazzoletto e si soffiava ancora una volta il naso. Poi, Bayard allungò una mano per stringere, affettuoso, una mano di Eddie.
«Il cinema, caro Nacho» proseguì, «riunisce la totalità di una civiltà: film comici nei paesi capitalisti, bellici nei paesi fascisti, epici e tragici in quelli comunisti… Tra questi ultimi c’è il nostro.»
«La Francia non è ancora comunista» obiettò Eddie. «E alla Spagna sta costando fatica esserlo.»
Bayard aveva ancora la mano sopra la sua.
«Tutto arriverà, mia cara. Il mio film aiuterà un po’.»
Lei ritirò la mano per prendere il suo bicchiere di vino. Se lo portò alle labbra senza smettere di guardare Falcó al di sopra del bordo.
«Quando vorrebbe iniziare le riprese?» s’interessò lui.
«Non più tardi di agosto» rispose Bayard. «Le passerò la sceneggiatura, che è già pronta. Ha quarantacinque sequenze. Un buon amico spagnolo, Luis Buñuel, la sta supervisionando per me… Ha visto i suoi film?»
«Uno, mi pare. Quello dell’occhio e del coltello?»
«In effetti. Quello è suo.»
«Girerà in Spagna?»
«Sui fronti di battaglia, sì. Con persone reali, non con attori: autentici miliziani, contadini, donne antifasciste… Sono in contatto con il governo di Valencia e con quello della Generalidad catalana e loro forniranno i mezzi.»
Bayard si era entusiasmato via via che parlava, con i gomiti appoggiati al tavolo e inclinato in avanti con veemenza. A quel punto si fermò, sospirò e si adagiò sulla sedia.
«L’unica cosa che non hanno è il denaro. Quello devo cercarmelo io. Per questo è così importante, così commovente, il suo gesto di oggi.»
«Bisognerà formalizzare un contratto» suggerì Falcó.
«Naturalmente. Le passerò una copia di quello che ho firmato con il mio editore, Gallimard, che investe anche lui dei soldi sul film. Può averlo domani stesso.»
«Mi sembra perfetto.»
«Formidabile. Dovremmo festeggiare, no?» Bayard fece un cenno al cameriere più vicino. «Che ve ne pare di una bottiglia di champagne?»
«E stasera potremmo tornare al Mauvaises Filles» suggerì Eddie.
Alle quattro meno un quarto di quel pomeriggio, lasciandosi alle spalle il rumore del traffico e dopo aver preso le precauzioni di rigore, Falcó passò sotto i portici di rue de Rivoli ed entrò nell’atrio dell’hotel Meurice, camminando sotto i grandi lampadari la cui luce si rifletteva sulle mattonelle lucide a motivi ottagonali. Sánchez, che stavolta portava la cravatta e indossava un irreprensibile completo, aspettava seduto su una poltrona del salottino contiguo alla reception. Quando lo vide entrare, si alzò e prese a camminare senza aprire bocca, precedendolo lungo le scale.
Non si parlarono neanche quando arrivarono al secondo piano, dove il tappeto smorzò il rumore dei loro passi. Procedevano a un paio di metri l’uno dall’altro. Alla fine del corridoio, Sánchez si fermò davanti alla porta di una suite e bussò due volte, fece una pausa, bussò ancora una volta e poi altre due. Quando la porta si aprì, oltrepassò la soglia seguito da Falcó, che si ritrovò con una pistola puntata contro di lui. La impugnava una donna di mezz’età, i capelli castani raccolti sulla nuca molto poco alla moda, con indosso una gonna blu e una giacca leggera di lana grigia. L’arma, che nelle sue mani sembrava sproporzionata, era una nera e minacciosa Star calibro .9 lungo.
«Faccio parte dei buoni» disse Falcó.
«È così» confermò Sánchez.
La donna abbassò l’arma e si scostò di lato. La suite era spaziosa, con mobili eleganti, tappeti e incisioni ottocentesche incorniciate. Sulla sinistra c’era la camera da letto e sulla destra il salotto. Lì, su un tavolo, era installato un centralino Ericsson completo, un vecchio modello, i cui cavi si introducevano in un foro praticato nella parete. La luce delle due finestre, schermata dalle tende, incorniciava un divano sul quale era seduto un uomo che si alzò lentamente in piedi.
«Buon pomeriggio» salutò Falcó.
L’uomo che si era alzato era corpulento, ultrasessantenne, con i capelli di un colore biondo cenere, brizzolati come i baffi. Aveva un’aria distinta e vestiva bene, molto formalmente, con la leggera nota snob di un gilet di camoscio. Sapeva di lozione da barba. Non fece il gesto di stringere la mano di Falcó. La sua destra insolitamente piccola, perfino delicata, che sfoggiava al mignolo un sigillo d’oro, rimase abbandonata al lato del corpo, quasi come uno sgarbo.
«Sono il conte di Tájar» disse, secco.
Falcó annuì. Ricordava quell’uomo perché l’aveva visto durante l’infanzia e la gioventù. Presidente del Jockey Club locale, noto industriale e proprietario di estesi possedimenti di terra, Beltrán Díaz-Carey, conte di Tájar, era da sempre un noto monarchico. Collaboratore del dittatore Primo de Rivera, militante di Acción Española, deputato alle Cortes, dopo la sollevazione del 18 luglio aveva aiutato il conte de los Andes a creare i servizi d’informazione nazionali in Francia.
«Conosco la sua identità reale» disse a bruciapelo l’aristocratico, con scarsa simpatia.
Falcó sorrise indifferente.
«Il mondo è un fazzoletto.»
«Ho avuto molti rapporti con suo padre, che riposi in pace.»
«Lo so.»
«E lei è stato a scuola con uno dei miei figli, mi pare.»
«Sì. Con Luis… Come sta?»
«È a Jerez, a fare il suo dovere.»
La parola dovere fu sul punto di strappare a Falcó un altro sorriso, ma lo trattenne in tempo. Luis Díaz-Carey, il figlio del suo interlocutore – lo ricordava come un ragazzo timido e imbranato, un po’ balbuziente – si era distinto per la sua crudeltà nella repressione dei contadini dopo la vittoria dei sollevati nell’Andalusia occidentale. Ed era ancora lì, al comando di una milizia di cavallerizzi armati trasformata in polizia rurale, a liberare le campagne di Jerez dalla marmaglia marxista e da altra malerba.
«Il suo dovere, sì» rispose docile. «Ovviamente.»
L’altro lo guardava con grande attenzione, calibrandolo.
«Conosco i suoi precedenti… Non ha una buona reputazione come individuo, ma come agente sì. Da Salamanca l’hanno molto raccomandata.»
«Su questo ho poco da dire.»
«Immagino.»
Tájar lo studiò ancora un po’, come se tentasse di stabilire fino a che punto quel bel ragazzo, ben vestito, dal curriculum discutibile e dal sorriso insolente, meritasse le risorse che stava per mettere al suo servizio. Per un attimo guardò Sánchez come chiedendogli se anche lui gli dava il suo avallo. Alla fine sembrò accettarlo, rassegnato, e indicò il centralino.
«Ho istruzioni per permetterle di usarlo. Ha una linea sicura con Salamanca.»
«Interviene il centralino dell’albergo?»
«No, per nulla.» Tájar incluse nel suo gesto la donna con la pistola. «La signora è la nostra operatrice telefonica.»
La donna, che aveva lasciato la Star su un tavolino, annuì seria. Aveva un aspetto poco femminile, perfino monacale. Scarpe con i tacchi bassi, calze opache. Gli occhi erano piccoli e duri.
Tájar tirò fuori un orologio d’oro dal gilet e guardò l’ora.
«Procediamo, se è d’accordo.» Si voltò di nuovo verso Sánchez e poi ancora verso Falcó. «Preferisce che la lasciamo da solo?»
Non farà differenza, si disse lui guardando la telefonista, che stava già prendendo posto davanti al quadro del centralino e si stava infilando delle cuffie con il microfono incorporato. Con Suor Pistola presente, dedusse, tutto quello che dirò verrà fedelmente riportato. Perciò andiamo al sodo.
«Non è necessario, grazie.» Lasciò il cappello sul divano, prese il fazzoletto e si soffiò discretamente il naso. «Per me potete restare.»
«Pronto?… Pronto?… Villa Tormes?»
«La metto in comunicazione con Villa Tormes» disse una voce maschile e lontana. «Attenda un attimo.»
La linea era migliore di quanto Falcó si aspettasse; pulita e quasi priva di interferenze. Seduta davanti al quadro telefonico, Suor Pistola manipolava gli spinotti con grande efficienza. Ne aveva introdotto uno in uno dei jack superiori, sotto il quale si era accesa una piccola luce pilota, prima di indicare a Falcó un telefono di bachelite nera piazzato su un tavolino con accanto una sedia. Adesso, seduto e con l’auricolare vicino a un orecchio, Falcó aspettava che si stabilisse la comunicazione. Di fronte a lui, sul divano, il conte di Tájar fingeva di sfogliare la rivista illustrata «Voilà». Sánchez era in piedi vicino alla finestra, appoggiato alla parete, e di tanto in tanto scostava le tende per sorvegliare la strada.
«Pronto?» insistette Suor Pistola. «Villa Tormes?»
«Sì, un attimo… Grazie… Villa Tormes all’apparecchio.»
Una pausa, un clic e un lieve ronzio. Alla fine, dall’altro capo del filo, risuonò una voce familiare.
«Pronto?… Rocambole?»
Sentendosi chiamare in quel modo, Falcó sorrise. Il suo nome in codice per il contatto l’aveva scelto l’Ammiraglio in persona. Lo pseudonimo di un ladro e di una canaglia ti sta come un guanto, aveva detto quando l’aveva salutato alla partenza. Immaginò il capo dello SNIO nell’ufficio di Salamanca, mentre fumava la sua pipa, con l’occhio di vetro e quello sano allineati in un ammicco sarcastico. Divertendosi per il nome in codice del suo agente.
«Buon pomeriggio, signore» disse Falcó.
«Rapporto.»
«Non ci sono grandi novità. Ho rapporti con l’Orco e mi sono guadagnato la sua fiducia.»
«A che punto è il racconto della Pipa Rotta? Il suo amico lo sta finendo?»
«È un po’ in ritardo, perciò ho ancora tempo… Agirò nelle prossime ventiquattr’ore.»
«E con Merlo?»
«Anche con lui nei tempi stabiliti. Immagino che per quest’altra faccenda sia pronta tutta la copertura esterna.»
«Completamente. Manca soltanto il suo tocco finale.»
«Affermativo. Ci sono quasi.»
«Tutto bene su questo fronte, allora.»
«Sì.» Esitò un istante. «C’è soltanto da segnalare una certa reticenza da parte della donna di Merlo, ma non ne conosco il motivo… Forse antipatia personale, o diffidenza.»
«Questo compromette il suo lavoro?»
«Non sembra.»
«Allora la ignori. Si concentri sull’obbiettivo.»
«C’è un’altra questione, e credo che lei ne sia al corrente. Ho dovuto fare un bagno.»
Un silenzio. Falcó immaginava la smorfia divertita dell’Ammiraglio. O furiosa. Con lui non si poteva mai essere sicuri di come avrebbe preso le cose.
«Sì, ci è arrivato il rapporto… Avete identificato i responsabili?»
«Negativo.» Falcó guardò Sánchez, che era sempre accanto alla finestra. «Ma qui lo mettono in rapporto con la nuova gestione dell’azienda con cui siamo in concorrenza sul mercato locale.»
«O forse comincia a muoversi la faccenda di Merlo.»
Seguì un silenzio lungo, al punto che Falcó pensò che si fosse interrotta la comunicazione.
«Qualche suggerimento, Villa Tormes?»
L’Ammiraglio ci mise ancora un po’ a rispondere.
«Forse sarà opportuno dare del caffè a questo nuovo dirigente, approfittando del fatto che lei si trova lì… Ci sono mezzi per occuparsene?»
Falcó guardò di nuovo Sánchez, poi il conte di Tájar, che sfogliava la sua rivista come se tutto gli fosse indifferente.
«Per quanto ne so, non troppi» disse. «Qui si occupano più di informazioni che di operazioni. Ma può parlarne con loro.»
«Potrebbe occuparsene lei stesso?»
«Ho troppi fronti aperti, Villa Tormes.» Fece una pausa e non riuscì a evitare il sarcasmo. «Non sono un uomo orchestra.»
Dall’altro capo della linea risuonò nettamente un grugnito.
«Lei sarà quello che le dirò di essere… È chiaro?»
«Chiarissimo» sospirò Falcó.
«Non l’ho sentita bene, Rocambole.»
«È chiarissimo, signore.»
Seguì un altro silenzio. L’Ammiraglio stava riflettendo.
«Posso ordinare che lì le diano una mano… Le sembra opportuno?»
«Naturalmente, Villa Tormes. In questo genere di cose, più siamo, più ci divertiamo.»
«Non c’è da scherzarci su.»
«Immagino di no, signore.»
«Allora non faccia il pagliaccio, carallo. Tanto meno al telefono… Adesso mi passi il socio principale e scompaia.»
Falcó offrì l’auricolare al conte di Tájar e si alzò.
«Sì, pronto?» disse l’aristocratico.
Falcó si era avvicinato alla finestra, dove Sánchez era sempre appoggiato alla parete. Scostò un po’ la tenda e diede un’occhiata a rue de Rivoli. Sembrava tutto tranquillo.
«Vogliono che faccia fuori anche Navajas» disse a bassa voce. «E che lei mi aiuti.»
L’altro annuì, lentamente. Non sembrava sorpreso.
«Era prevedibile» disse.