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Gli agenti di guardia alla casa di Katrin verso la mezzanotte videro Albert uscire sbattendosi la porta alle spalle, salire in macchina e partire. Sembrava avere molta fretta; i poliziotti notarono che si era portato dietro la stessa valigia che aveva quando era rientrato dall'estero quella sera. Gli agenti non avevano visto altri movimenti e di Katrin non c'era alcun segno.
Chiamarono una volante della polizia che si trovava nelle vicinanze: seguì Albert fino all'Hotel Esja, dove l'uomo prese una stanza per la notte.
Erlendur si presentò a casa di Katrin alle otto del mattino successivo. Elinborg era con lui. Pioveva ancora. Non vedevano il sole da giorni. Suonarono il campanello per tre volte prima di sentire rumore di passi all'interno, poi la porta si aprì e apparve Katrin. Elinborg notò che indossava ancora gli stessi vestiti del giorno precedente e che aveva pianto. Aveva il viso molto teso e gli occhi rossi e gonfi.
"Scusatemi" disse Katrin come frastornata," ma devo essermi addormentata sulla sedia. Che ora è?" "Possiamo entrare?" chiese Erlendur.
"Non avevo mai detto ad Albert quello che era successo" disse entrando in casa senza invitarli. Erlendur ed Elinborg si scambiarono un'occhiata e la seguirono.
"Mi ha lasciata ieri sera" continuò Katrin. "Ma che ora è? Credo di essermi addormentata sulla sedia. Albert era furioso. Non l'ho mai visto così arrabbiato." "Può contattare qualcuno della sua famiglia?" chiese Elinborg. "Qualcuno che possa venire a stare con lei? I suoi figli?" "No, Albert tornerà e si sistemerà tutto. Non voglio disturbare i ragazzi. Si sistemerà tutto. Albert tornerà." "Perché era così furioso?" domandò Erlendur. Katrin si era seduta sul divano del soggiorno, Erlendur ed Elinborg presero posto di fronte a lei, proprio come il giorno precedente.
"Era davvero furibondo, Albert. Lui che di solito è così calmo. Albert è una brava persona, ed è sempre stato buono con me. È un bel matrimonio, il nostro. Siamo sempre stati felici." "Forse preferisce che torniamo più tardi" disse Elinborg. Erlendur le lanciò un'occhiataccia.
"No" replicò Katrin," è tutto a posto. Si sistemerà tutto. Albert tornerà. Deve solo riprendersi un po. Mio Dio, com'è difficile. Avrei dovuto dirglielo subito, ha detto. Non è riuscito a capire come abbia potuto tenere per me questa faccenda durante tutto questo tempo. Mi ha urlato contro." Katrin li guardò. "Non aveva mai urlato così con me." "Vado a chiamare un dottore" disse Elinborg alzandosi. Erlendur non credeva alle sue orecchie.
"No, è tutto a posto" la rassicurò Katrin. "Non è necessario. Sono un po confusa per aver dormito male. Sto bene. Si sieda, cara. Si sistemerà ogni cosa."
"Che cosa ha detto ad Albert?" chiese Erlendur. "Gli ha raccontato dello stupro?" "Avrei voluto dirglielo da sempre, ma non ho mai trovato il coraggio. Non avevo mai raccontato a nessuno di questa disgrazia. Ho cercato di dimenticarla, come se non fosse mai successa. Spesso è stato difficile, ma in qualche modo è andata. Poi siete arrivati voi e io non ho potuto fare a meno di dire tutto, per liberarmene. In un certo senso sono stata meglio. E come se mi aveste alleggerita di un fardello immenso, sapevo che potevo parlarne apertamente e che era l'unica cosa giusta da fare. Anche dopo tutto questo tempo." Katrin tacque.
"Si è arrabbiato perché non gli raccontò subito dello stupro?" chiese Erlendur.
"Sì." "Non ha compreso il suo stato d'animo?" domandò Elinborg.
"Ha detto che avrei dovuto dirglielo subito. Certo, è comprensibile. Ha detto di essere sempre stato onesto con me e che non se lo meritava." "Non sono sicuro di capire" commentò Erlendur. "Pensavo che Albert fosse una persona migliore. Avrei detto che avrebbe cercato di consolarla, di starle vicino nella difficoltà, e non che si sarebbe precipitato fuori dalla porta." "Lo so" convenne Katrin. "Forse non gliel'ho detto nel modo giusto." "Il modo giusto" fece Elinborg senza cercare di nascondere il suo sdegno. "Come si può raccontare nel modo giusto una cosa del genere?" Katrin scosse la testa. "Non lo so. Giuro, non lo so." "Gli ha detto tutta la verità?" chiese Erlendur.
"Gli ho detto quello che ho detto a voi." "Nient'altro?"
"No" rispose Katrin.
"Gli ha raccontato solo dello stupro?" "Solo" ripetè Katrin. "Solo! Come se non fosse abbastanza. Come se non fosse abbastanza l'essere venuto a sapere che ero stata violentata e che non gliel'avevo mai detto. Non è abbastanza?" Tacquero.
"Non gli ha detto di vostro figlio minore?" chiese infine Erlendur.
Katrin lo guardò con gli occhi a un tratto sfavillanti. "Che c'entra, il nostro figlio minore?" disse come sputando le parole.
"L'avete chiamato Einar" disse Erlendur, che il giorno precedente aveva dato una scorsa alle informazioni che Elinborg aveva raccolto sulla famiglia.
"Cosa c'entra Einar?" Erlendur la guardò.
"Cosa c'entra Einar?" ripetè la donna.
"È suo figlio" disse Erlendur. "Ma non è figlio di suo padre." "Di cosa sta parlando? Non è figlio di suo padre? Certo che è figlio di suo padre! Chi non è figlio del proprio padre?" "Mi scusi, non sono stato abbastanza preciso. Non è il figlio del padre che credeva il suo" continuò calmo Erlendur. "È figlio dell'uomo che la stuprò. Figlio di Holberg. Ha detto anche questo a suo marito? È per questo che se n'è andato?" Katrin rimase in silenzio.
"Gli ha detto tutta la verità?" Katrin guardò Erlendur. Gli sembrò che la donna si stesse preparando a fare resistenza. Passarono alcuni secondi e poi vide dalle sue labbra che si arrendeva. Le spalle si abbassarono, chiuse gli occhi, si abbandonò con tutto il corpo sul divano e scoppiò a piangere. Elinborg lanciò a Erlendur uno sguardo tagliente, ma lui continuava a fissare Katrin, per darle il tempo di riprendersi.
"Gli ha detto tutta la verità?" ripetè alla fine, quando gli sembrò che stesse un po meglio.
"Non c'ha creduto" disse.
"Che Einar non è suo figlio?" chiese Erlendur.
"C'è un rapporto molto particolare fra loro due; Einar e Albert sono sempre stati così vicini. Da quando è nato. Albert ovviamente ama anche gli altri due figli, ma Einar è il preferito. Da sempre. È il più piccolo e Albert l'ha coccolato fin dall'inizio." Katrin fece una pausa. "Forse è per questo che non ho mai detto niente. Sapevo che Albert non l'avrebbe sopportato. Gli anni passavano e ho fatto finta che non fosse successo nulla. Non ho mai detto una parola. E andava tutto bene. Holberg aveva aperto una ferita, ma perché non lasciare che si rimarginasse col tempo? Perché doveva distruggere il nostro futuro insieme? È stato così che ho tenuto sotto controllo tutto quell'orrore." "Ha saputo subito che Einar era figlio di Holberg?" chiese Elinborg.
"Avrebbe anche potuto essere figlio di Albert." Katrin fece un'altra pausa di silenzio.
"Ma glielo ha letto in faccia" disse Erlendur.
Katrin lo guardò. "Come fa a saperlo?" "Assomigliava a Holberg, vero?" continuò Erlendur. "A Holberg quand'era giovane. Una donna l'ha visto a Keflavik e ha pensato che fosse lui."
"C'è una certa somiglianza fra loro."
"Se non ha mai detto niente a suo figlio e suo marito non sapeva di Einar, perché questa resa dei conti, adesso, fra lei e Albert? Che cosa l'ha provocata?" "Quale donna a Keflavik?" chiese Katrin. "Chi è la donna che vive a Keflavik e conosceva Holberg? Viveva lì con una donna?" "No" rispose Erlendur, domandandosi se avrebbe dovuto raccontarle di Kolbrùn e Audur. Era certo che la donna ne avrebbe sentito parlare prima o poi, e non trovava nessun motivo valido per cui Katrin non dovesse sapere la verità adesso. Le aveva già detto dello stupro di Keflavik, ma adesso le rivelò il nome della vittima di Holberg e le raccontò di Audur, che era morta da piccola di una malattia grave e complessa. Le disse che avevano trovato la fotografia della lapide nella scrivania di Holberg e che questa li aveva condotti a Keflavik, da Elin. Le raccontò anche come fu accolta Kolbrùn quando sporse denuncia.
Katrin ascoltò attenta il resoconto. Le salirono le lacrime agli occhi mentre Erlendur raccontava della morte di Audur. Le disse anche di Gretar, l'uomo con la macchina fotografica che aveva visto insieme a Holberg, e di come era scomparso senza lasciar traccia e poi ritrovato sotto la soletta in cemento dell'appartamento di Holberg.
"È questo il caso di Nordurmyri di cui si parla sui giornali?" chiese Katrin.
Erlendur annuì.
"Non sapevo che Holberg avesse stuprato altre donne" disse Katrin. "Credevo di essere l'unica." "Sappiamo di voi due" precisò Erlendur. "Ma potrebbero essercene anche altre. Non possiamo sapere se verranno mai scoperte."
"Audur allora era la sorellastra di Einar" disse Katrin assorta. "Povera bambina." "È sicura che non ne sapeva niente?" chiese Erlendur.
"Certo che ne sono sicura. Non ne avevo la più pallida idea." "Einar sa di lei" disse Erlendur. "Ha rintracciato Elin a Keflavik." Katrin rimase zitta. L'agente decise di ripeterle la domanda.
"Se Einar non sapeva niente e se lei non ha mai detto nulla a suo marito, come mai suo figlio adesso tutto a un tratto ha scoperto la verità?" "Non lo so" rispose Katrin. "Aspetti, mi dica, com'è morta quella povera bambina?" "Lei sa che suo figlio è sospettato dell'omicidio di Holberg" disse Erlendur senza rispondere alla sua domanda. Cercò di formulare quanto aveva da dire nel modo più discreto possibile. Gli sembrava che Katrin fosse stranamente calma, come se non fosse una sorpresa per lei sapere che suo figlio era sospettato di omicidio.
"Mio figlio non è un assassino" disse a bassa voce. "Non potrebbe mai uccidere nessuno." "Ci sono forti probabilità che sia stato lui a colpire Holberg alla testa. Forse non aveva intenzione di ucciderlo. Probabilmente l'ha fatto in un accesso di rabbia. Ha lasciato un messaggio. C'era scritto: 'Io sono lui. Sa dirmi cosa potrebbe significare?" Katrin non rispose.
"Sapeva che Holberg era suo padre? Era a conoscenza di cosa le aveva fatto Holberg? Era mai stato a trovare suo padre? Sapeva di Audur e di Elin? E se sì, come faceva a saperlo?" Katrin teneva gli occhi fissi in grembo.
"Adesso dov'è suo figlio?" chiese Elinborg.
"Non lo so" rispose Katrin a bassa voce. "Non ho sue notizie da diversi giorni." Alzò gli occhi verso Erlendur.
"All'improvviso sapeva tutto di Holberg. Sapeva che c'era qualcosa che non andava. L'ha scoperto nell'azienda per cui lavora" disse. "Ha detto che non era più possibile tenere nascosto questo segreto. Ha detto che era tutto nella loro banca dati."