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I corpi giacevano l'uno di fianco all'altro sui freddi tavoli operatori dell'obitorio sulla Baronsstigur. Erlendur cercò di non pensare a come aveva riunito padre e figlia nella morte. Sul cadavere di Holberg erano già state praticate l'autopsia e tutte le analisi del caso, ma mancavano ancora gli esami che riguardavano in modo più specifico l'eventuale malattia genetica e la possibilità che l'uomo fosse imparentato con Audur. Erlendur notò che le sue dita erano nere. Gli avevano preso le impronte digitali da morto. Il corpo di Audur era avvolto in un telo di lino bianco ed era disteso sul tavolo di fianco a quello di Holberg. Non era stata ancora toccata.

Erlendur non conosceva il patologo e non riusciva a distinguere molti particolari del suo aspetto. Era alto, aveva le mani grandi, inguaiate in sottili guanti di lattice, indossava un grembiule bianco sopra il camice verde allacciato sulla schiena e un paio di pantaloni verdi dello stesso materiale. Aveva una mascherina sulla bocca e una cuffia di plastica azzurra in testa. Portava un paio di scarpe da ginnastica bianche.

Erlendur era già stato altre volte all'obitorio e si sentiva sempre male allo stesso modo. L'odore di morte gli riempiva i sensi e impregnava gli abiti, l'odore di formaldeide e degli agenti sterilizzanti e la puzza terribile di cadaveri aperti. Alcune potenti lampade al neon pendevano dal soffitto e gettavano una forte luce bianca nella sala priva di finestre. Il pavimento era rivestito di grandi piastrelle bianche, le stesse che coprivano per metà le pareti, tinteggiate nella parte superiore con una vernice plastificata. Appoggiati ai muri c'erano alcuni tavoli con microscopi e altri strumenti di analisi. Alle pareti erano appesi dei pensili, alcuni con le antine di vetro, Che mostravano oggetti e vasi che Erlendur non riusciva a identificare. Invece comprendeva bene la funzione dei bisturi, delle pinze e delle seghe disposti in file ordinate su un lungo tavolo di servizio.

Erlendur notò un profumatore per ambienti appeso a una lampada sopra uno dei tavoli operatori. Raffigurava una ragazza in bikini rosso che correva su una spiaggia bianca. Un mangianastri era appoggiato su un tavolo accanto ad alcune cassette. Dall'apparecchio proveniva musica classica. Mahler, indovinò Erlendur. Il vassoio con il pranzo del medico era sul tavolo, vicino a uno dei microscopi.

"Ha smesso di profumare molto tempo fa, la ragazza" disse il medico e guardò Erlendur che stava sulla porta come se esitasse a entrare in quella luminosissima stanza di morte e decomposizione.

"Cosa?" chiese Erlendur senza riuscire a staccare gli occhi dal fagotto bianco. C'era un tono di felice aspettativa nella voce del medico, che Erlendur non capiva.

"La ragazza in bikini, voglio dire" rispose il medico e fece un cenno con la testa verso il cartoncino profumato. "Devo procurarmene uno nuovo. Probabilmente non ci si abitua mai, a quest'odore. Entri pure. Non abbia paura. Sono solo avanzi di carne. "Sventolò il bisturi sopra il cadavere di Holberg. "Niente anima, niente vita, soltanto una carcassa di carne. Lei crede ai fantasmi?"

"Eh?" fece di nuovo Erlendur.

"Crede che le loro anime ci stiano guardando? Crede che stiano fluttuando in questa stanza oppure che siano entrate in un altro corpo? Reincarnate. Crede nella vita dopo la morte?"

"No, non ci credo" rispose Erlendur.

"Quest'uomo è morto a causa di un forte colpo alla testa, che ha prodotto una lacerazione della cute e ha sfondato la scatola cranica fino a ledere il cervello. Posso dire che chi ha sferrato il colpo si trovava di fronte a lui. È probabile che si stessero guardando negli occhi. Chi l'ha aggredito con ogni probabilità non è mancino, la ferita si trova sul lato sinistro. E si mantiene in ottima forma fisica, potrebbe trattarsi di un giovane oppure di un uomo di mezz'età, è improbabile che sia una donna, a meno che non abbia svolto del lavoro manuale. Il colpo ha causato una morte istantanea. Avrà visto il tunnel e una luce forte." "È molto più probabile che abbia preso un'altra strada" commentò Erlendur.

"Comunque. L'intestino è quasi vuoto, ci sono resti di uova e caffè, il retto è pieno. Soffriva, se non è eccessivo esprimersi così in questo caso, di costipazione. Non è insolito a quell'età. Nessuno ha chiesto di riavere il cadavere, mi sembra di aver capito, così abbiamo richiesto un permesso per utilizzarlo a scopo di studio. Cosa ne pensa?" "Che sarà più utile da morto che da vivo." Il medico guardò Erlendur, si avvicinò a uno dei tavoli, prese quello che sembrava un pezzo di carne rossa da un vassoio di metallo e lo sollevò con una mano.

"Non posso stabilire se una persona era buona o cattiva" disse. "Questo potrebbe anche essere il cuore di un santo. Quello che dobbiamo scoprire, se ho capito bene cosa mi ha chiesto, era se pompava del sangue cattivo." Erlendur guardò stupito il patologo che teneva in mano il cuore di Holberg e lo esaminava. Lo osservò maneggiare quel muscolo morto come se fosse la cosa più naturale del mondo.

"E un cuore forte" continuò il medico. "Avrebbe potuto continuare a pompare per molti anni, avrebbe potuto rendere centenario il suo possessore. Non aveva nulla." Il medico ripose il cuore sul vassoio di metallo. "C'è qualcosa di interessante riguardo al nostro Holberg" disse," anche se, nello specifico, non l'ho esaminato con questo scopo. Probabilmente lei vorrebbe che lo facessi. Presenta vari sintomi che indicano una malattia particolare. Gli ho trovato un piccolo tumore cerebrale, un tumore benigno che gli ha procurato pochi fastidi, e ha delle macchie cutanee, in particolare qui sotto le braccia" .

"Macchie di caffè?" "Caffelatte, si chiamano nei trattati. Sì, macchie di caffè. Ne sa qualcosa?" "Assolutamente niente." "Di sicuro troverò altri sintomi quando lo analizzerò meglio." "Si parlò di macchie di caffè anche per la bambina. Aveva un tumore al cervello. Maligno. Sa di che patologia si tratta?" "Non posso dire ancora niente." "Stiamo parlando di una malattia ereditaria?"

"Non lo so. "Il medico si avvicinò al tavolo dove era distesa Audur. "Ha mai sentito la storia di Einstein?" chiese.

"Einstein?" fece Erlendur.

"Albert Einstein." "Che storia?" "Una storia curiosa. Vera. Thomas Harvey. Non l'ha mai sentito nominare? Era un patologo." "No." "Era di guardia quando morì Einstein" continuò il medico. "Un tipo curioso. Aprì il cadavere, ma proprio perché si trattava di Einstein non riuscì a trattenersi e gli aprì anche la testa, per osservare il cervello. E fece ben altro. Lo rubò." Erlendur tacque. Non riusciva a capire niente di quello che gli stava raccontando il medico.

"Se lo portò a casa. Certa gente ha una strana attrazione per il collezionismo, soprattutto quando si tratta di personaggi famosi. Harvey perse il lavoro quando venne scoperto il furto, e negli anni divenne una figura misteriosa, quasi leggendaria. Cominciarono a circolare delle storie su di lui. Tenne sempre il suo cimelio in casa. Non so se la fece franca, ma i parenti di Einstein cercarono più volte di riprendersi il cervello, senza successo. Poi però con la vecchiaia si rappacificò con i famigliari e decise di restituire loro il cervello. Lo mise nel bagagliaio della macchina e attraversò tutti gli Stati Uniti per raggiungere il pronipote di Einstein in California." "E' la verità?" "Assolutamente sì." "Perché mi sta raccontando questa storia?" Il medico sollevò il lenzuolo che copriva il cadavere della bambina e guardò sotto. "Le manca il cervello" disse, e all'improvviso quell'espressione di indifferenza gli sparì dalla faccia.

"Cosa?" sussurrò Erlendur.

"Il cervello" ribadì il medico" non è al suo posto."