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L’annuncio
Ervea sorseggiava una tazza di tè, seduta sui gradini della finestra. Nell’altra mano teneva un giornale di annunci lavorativi. Sfogliava le pagine nella speranza di trovare qualcosa che facesse al caso suo. Aveva detto a Eleonora che avrebbe preso in considerazione ogni possibile lavoro, ma si rese conto che non avrebbe davvero potuto fare qualsiasi cosa. Era maldestra e non era molto brava con i numeri, non aveva mai maneggiato grosse cifre e temeva quella responsabilità. Non si sarebbe sentita a suo agio a lavorare in una tavola calda o una caffetteria. Le piacevano i libri, ma non c’era alcun annuncio che riguardava la ricerca di personale in una libreria. Le piacevano i fiori, ma non aveva certo il pollice verde e le sue competenze in fatto di piante si fermavano alle vaghe nozioni di fotosintesi clorofilliana apprese quando era a scuola. Continuava a cercare, ma non trovava nulla. Suo padre le aveva garantito un piccolo mantenimento lì a Milano, ma Ervea non voleva essere di peso, voleva conquistare libertà e autonomia. Arrivò all’ultima pagina del giornale. Tra gli annunci ne lesse uno dal titolo in grassetto che diceva: «Strumenti Musicali Righi cerca personale». Aveva già letto quel nome sull’insegna del negozio alla cui vetrina era esposto il pianoforte verticale. Era il lavoro di cui le aveva parlato Eleonora. Si chiese quante persone, al suo posto, avrebbero colto l’occasione al volo; ma lei, di musica non voleva sapere più nulla. Eppure era lì, da sua cugina. La sua arpa era in bella mostra nell’altra stanza e, benché lei non la suonasse in presenza di Ervea, se ne percepiva comunque la presenza. E poi spartiti, libri di musica e dischi campeggiavano ovunque per la casa. Si ritrovò a chiedersi perché avesse accettato l’invito della cugina, se andare lì a Milano non sarebbe stato peggio che restare a Lecce, dove tuttavia si sentiva sopraffatta dalla mancanza di sua nonna.
Sospirò, richiuse il giornale e ripose la tazza nel lavandino.
Eleonora non c’era, era alle prove del concerto in cui avrebbe dovuto suonare. La casa era deserta, gli unici suoni provenivano dalla strada.
Trascorse ore a guardare, dalla finestra, la vita che brulicava lì sotto.
Dopo qualche ora sentì la cugina rientrare.
«Che hai combinato questa mattina?», esordì Eleonora, lasciando le chiavi sulla consolle e dirigendosi nel piccolo salotto. Si appoggiò a una parete e si sfilò le scarpe.
«Sei stanca?», disse Ervea, ricomponendosi.
L’altra sbuffò con il labbro all’insù, spostando la frangetta sulla fronte.
«Giusto un po’», rispose.
Lasciò cadere sul divano la borsa che aveva su una spalla, da cui sbucavano degli spartiti.
«Allora, che cosa hai fatto di bello?», continuò, liberando i capelli dalla lunga treccia.
«Mah, nulla di che».
«Sono passata dal negozio di strumenti musicali», disse Eleonora, mentre prendeva i volumi e riponeva gli spartiti nella libreria di fronte al divano.
«Uhm, quindi?»
«Cercano ancora personale».
«Lo so».
«Come lo sai?».
Ervea prese il giornale e lo aprì all’ultima pagina, indicando l’annuncio del negozio.
«È scritto qui», rispose.
«Sei davvero sicura di non voler nemmeno provare? Con la mia buona parola ti prenderebbero subito».
«Non mi va di essere raccomandata».
«Allora proponiti senza fare il mio nome».
«Non è detto che mi prendano».
«Sei capace, conosci la musica. Chi meglio di te?»
«Qualcuno che, magari, sarebbe più entusiasta di me di lavorare in un posto come quello».
«Non so come fare con te», mormorò in tono rassegnato.
«Non fare nulla, allora».
Rimasero in silenzio. Eleonora sospirò, mentre recuperava le scarpe. Entrò in camera da letto e vi rimase per un po’, per poi tornare in salotto come una furia.
«Invece qualcosa devo pur farla!», sbottò.
Ervea trasalì.
«Che cosa ti prende?», domandò, confusa.
«Mi prende che ti voglio bene».
«Anche io, ma…».
«Ma niente! Io mi sento in dovere di fare qualcosa per te, lo capisci?»
«Ma sto bene».
«Non è vero. Ti ho sentito piangere ieri notte. Non sono riuscita a venire ad abbracciarti perché avevo timore di turbarti, non sapevo se avermi accanto ti avrebbe fatto bene o avrebbe solo peggiorato la situazione. Così sono rimasta a letto, pensando a cosa fare».
«Non ti avrei certo cacciato».
«Buono a sapersi, per le prossime volte».
«Ehi…».
Eleonora avanzò di qualche passo, abbracciando improvvisamente la cugina. «Dieci anni», mormorò.
Ervea deglutì. Sapeva a cosa si riferiva. Erano dieci anni che aveva scelto di non suonare più. E aveva deciso di interrompere quel lungo silenzio solo sei mesi prima, per sua nonna. Ma alla fine non ci era riuscita.
«Nora…».
«Non ne uscirai chiudendo la porta. Perché, che tu lo voglia o no, certe porte si riaprono sempre. È solo affrontando e abbracciando il tuo passato che infrangerai le tue paure».
«E se non ci riuscissi?»
«Ti aiuterò io. Voglio che tu accetti il mio aiuto».
«Sei sempre stata testarda, Nora».
«Come nonna Nice», disse, scostandosi.
Ed era vero, Eleonora aveva lo stesso temperamento, il suo cipiglio orgoglioso, la sua testardaggine e il suo coraggio. Grazie al carattere era riuscita a tenere testa alla famiglia e a guadagnarsi l’indipendenza, andando via di casa quando aveva appena diciassette anni.
«Non so nemmeno da dove iniziare», ribatté Ervea, arresa.
La cugina prese il giornale e le mostrò l’annuncio. «Inizia da qui!».
«Non ti arrendi mai, eh?»
«Mai. Soprattutto se si tratta di te. Credo che questo impiego sia proprio ciò che ti serve. E poi il figlio del proprietario è un ragazzo simpatico, potresti iniziare a fare qualche amicizia».
«Ma c’è quel pianoforte, vederlo è stato…».
«Un pugno nello stomaco?»
«Anche peggio».
«Bene, incassa e vai avanti. Se non ci vuoi provare per te, fallo per me». Sbatté le palpebre, mostrando le lunghe ciglia.
La ragazza incurvò le labbra all’insù e prese il giornale.
«D’accordo, chiamerò».
«Non c’è bisogno», ribatté, facendo un sorriso sornione.
«Che vuoi dire?»
«Ci ho già parlato io questa mattina, ti aspettano alle 18:00 per un colloquio».
«Che cosa?». Ervea sgranò gli occhi.
«Hai capito bene».
«E se non avessi accettato?»
«Avrei finto un pianto isterico, ti saresti intenerita e avresti ceduto. Ti conosco troppo bene».
Arresa, Ervea si portò una mano sulla fronte.
«E sia».
Eleonora esultò, saltando su due piedi.
«Ma tu vieni con me!», disse la più giovane, puntandole un dito contro.
«Non avevo certo intenzione di lasciarti sola», rispose l’altra, euforica.