Madge Keeley - la figlia di David
David Keeley - il padre «invisibile»
Mabelle Annesley - l'uccello con l'ala spezzata
Gerard Annesley - il marito
Roger Graham - l'innamorato di Madge
Signora Graham - la madre di Roger
Doris Coles - una ragazza scout
Ispettore Winkfield - il sagace poliziotto
Satterthwaite guardò fuori dalla finestra. Pioveva a dirotto. Rabbrividì. Pochissime case di campagna erano riscaldate nel modo migliore. Ma si rallegrò all'idea che nel giro di poche ore si sarebbe trovato in viaggio, lanciato verso Londra. Una volta passati i sessant'anni, Londra era realmente il posto migliore per vivere.
Si sentiva un po' vecchio e patetico. In maggioranza, il gruppo di ospiti che c'erano in casa era formato da giovani. Quattro di questi erano appena andati in biblioteca a organizzare una seduta spiritica. Lo avevano invitato ad accompagnarli ma lui aveva preferito rifiutare. Non riusciva a divertirsi nel conteggio monotono delle lettere dell'alfabeto e nella solita confusione senza senso che ne risultava.
Sì, Londra era il posto migliore per lui. Era contento di aver declinato l'invito di Madge Keeley quando aveva telefonato per invitarlo a Laidell mezz'ora prima. Una personcina giovane e adorabile, certamente, ma Londra era la cosa migliore.
Satterthwaite rabbrividì ancora una volta e ricordò che, di solito, in biblioteca ardeva un bel fuoco. Aprì la porta e si avventurò con cautela nella stanza oscurata.
«Se non do fastidio...»
«Era una N o una M? Dovremo contare di nuovo. No, naturalmente no, signor Satterthwaite. Lo sa che stanno succedendo cose entusiasmanti? Lo spirito dice di chiamarsi Ada Spiers e ha avvertito il nostro John qui presente che sta per sposare prestissimo una ragazza che si chiama Gladys Bun.»
Satterthwaite si mise a sedere in una grande e comoda poltrona di fronte al fuoco. Le palpebre gli si abbassarono sugli occhi e si appisolò. Di tanto in tanto si riscuoteva e gli giungeva all'orecchio qualche brano dei discorsi che si stavano facendo intorno a lui.
«Non può essere P A B Z L... a meno che non sia un russo. John non spingere. Ti ho visto. Credo che stia per arrivare un nuovo spirito.»
Un altro pisolino. Poi un nome lo fece sobbalzare, risvegliandolo del tutto.
«Q U I N. È giusto?»
«Sì, ha dato un colpo che vuol dire sì.»
«Quin. Hai un messaggio per qualcuno che è qui dentro? Per me? Per John? Per Sarah? Per Evelyn? No... ma non c'è nessun altro. Oh! Forse è per il signor Satterthwaite? Dice "Sì". Signor Satterthwaite, il messaggio è per lei.»
«Che cosa dice?»
A questo punto Satterthwaite era sveglissimo, ed era seduto teso sulla poltrona, con gli occhi che gli brillavano.
Il tavolino si mosse e una delle ragazze cominciò a contare: «LAI... non è possibile... non ha senso. Non ci sono parole che comincino con LAI».
«Vada avanti» disse Satterthwaite, e il tono di comando che assunse la sua voce fu talmente aspro che venne ubbidito senza esitazione.
«LAIDEL... e un'altra L... oh! Sembra tutto qui.»
«Andate avanti.»
«Devi dirci qualcosa di più, per favore.»
Una pausa.
«Sembra che non ci sia più niente. Il tavolino è completamente immobile. Come si fa a essere così sciocchi!»
«No» disse Satterthwaite pensieroso. «Non credo che sia sciocco.»
Si alzò in piedi e uscì dalla stanza. Andò immediatamente al telefono.
«Posso parlare con la signorina Keeley? E lei Madge, mia cara? Vorrei cambiare idea, se posso, e accettare il suo cortese invito. Il mio ritorno in città non sembra più così urgente come sembrava. Sì... sì... arriverò in tempo per la cena.»
Riappese, mentre una strana vampata di rossore gli coloriva le guance vizze. Quin... il misterioso Harley Quin. Satterthwaite contò sulla punta delle dita le volte che era stato messo in contatto con quell'uomo del mistero. Dove c'entrava il signor Quin, succedeva qualcosa! Che cosa era successo o stava per succedere... a Laidell?
Di qualsiasi cosa si trattasse c'era lavoro per lui. In un modo o nell'altro avrebbe avuto una parte attiva da svolgere. Di questo era sicuro.
Laidell era una casa grande. Il suo proprietario, David Keeley, era un uomo silenzioso dalla personalità indefinita che sembrava far parte dell'arredamento. La sua apparenza insignificante non aveva niente a che vedere con le capacità intellettuali: David Keeley era un matematico brillantissimo e aveva scritto un libro totalmente incomprensibile per il novantanove per cento degli esseri umani. Ma come tanti uomini di intelligenza brillante, non irradiava né magnetismo né vigore fisico. C'era una battuta di spirito ricorrente che lo riguardava: era stato definito «l'uomo invisibile». I domestici lo saltavano quando servivano i contorni, e gli ospiti si dimenticavano di salutarlo al loro arrivo e quando si congedavano.
Sua figlia Madge era molto diversa. Era una giovane donna simpatica ed energica, che scoppiava di vitalità. Era schietta, sana, normale, ed estremamente carina.
Fu lei a ricevere Satterthwaite al suo arrivo. «Com'è stato gentile a venire... alla fin fine.»
«Assolutamente squisito da parte sua consentirmi di cambiare idea. Madge, mia cara, lei è uno splendore.»
«Io sto sempre bene.»
«Sì, lo so. Ma c'è qualcosa in più. Lei ha un aspetto... radioso è la parola che avevo in mente. Le è successo qualcosa, mia cara? Qualcosa... di speciale?»
Lei rise... e arrossì leggermente. «È terribile, signor Satterthwaite. Lei indovina sempre le cose.»
La prese per una mano. «Ah, dunque si tratta di questo? È arrivato il Principe Azzurro?»
Era una definizione all'antica, ma Madge non vi badò. Trovava simpatiche le maniere antiquate di Satterthwaite.
«Immagino di sì. Ma, a dir la verità, nessuno dovrebbe saperlo. È un segreto. Tuttavia non mi importa che lei lo sappia, signor Satterthwaite. Lei è sempre stato così gentile e comprensivo.»
Satterthwaite apprezzava il fatto di poter essere messo al corrente, sia pure di rimbalzo, delle storie d'amore. Era vittoriano e sentimentale. «Non devo quindi chiedere chi è il fortunato mortale? Allora tutto quello che posso dire è questo: spero che sia degno dell'onore che lei gli sta facendo.»
È proprio un amore, il vecchio Satterthwaite, pensò Madge.
«Credo che andremo straordinariamente d'accordo» disse. «Vede, ci piace fare le stesse cose, e questo è tremendamente importante, vero? Abbiamo molto in comune, e conosciamo tutto l'uno dell'altra e così via. È una cosa che dura già da un bel pezzo. E questo dà una sensazione così piacevole di sicurezza...»
«Indubbiamente» disse Satterthwaite. «Ma, secondo la mia esperienza, non si può mai conoscere proprio tutto di un'altra persona. Fa parte dell'interesse e del fascino della vita.»
«Correrò questo rischio» disse Madge ridendo, e lo accompagnò nel suo alloggio.
Satterthwaite fece tardi. Non aveva portato con sé un cameriere, e il fatto di vedersi disfare le valige da uno sconosciuto era una cosa che lo agitava sempre un po'. Quando scese al pianterreno trovò tutti gli altri già radunati e, secondo lo stile moderno, Madge disse semplicemente: «Ecco il signor Satterthwaite. Io muoio di fame. Andiamo a cena».
E precedette gli altri insieme a una donna alta dai capelli grigi e dalla personalità singolare. Aveva una voce molto squillante e incisiva e le sue fattezze, disegnate nettamente, erano piuttosto belle.
«Come sta, signor Satterthwaite?» disse David Keeley.
Satterthwaite sussultò. «Come sta?» disse. «Non l'avevo vista.»
«Nessuno mi Vede» disse Keeley in tono triste.
Entrarono in sala. Il tavolo era un ovale basso di mogano. Satterthwaite venne messo a sedere tra la giovane padrona di casa e una ragazza piccola di statura, bruna, molto cordiale, dalla voce risonante e con una risata squillante e risoluta che esprimeva più la decisione di essere allegra a ogni costo che la gioia vera e propria. Sembrava che si chiamasse Doris ed era il tipo di giovane donna per il quale Satterthwaite aveva la massima antipatia. Secondo la sua opinione, una ragazza del genere non aveva nessuna giustificazione artistica per esistere.
Dall'altro lato di Madge c'era un uomo sulla trentina che assomigliava talmente alla donna dai capelli grigi da non lasciar dubbi sul fatto che fossero madre e figlio. E di fianco a lui...
Satterthwaite restò col fiato sospeso.
Non avrebbe saputo spiegare di che cosa si trattava con esattezza. Non era bellezza. Era qualcos'altro, qualcosa di molto più elusivo e inafferrabile della bellezza.
Stava ascoltando la conversazione piuttosto noiosa del signor Keeley, con la testa un po' china da un lato. Era lì, presente - così sembrò a Satterthwaite - eppure era come se non ci fosse! In certo qual modo, era molto meno reale di qualsiasi altra persona seduta intorno al tavolo ovale. C'era qualcosa di stupendo nell'inclinazione languida della testa. Alzò gli occhi, e per un attimo incontrarono lo sguardo di Satterthwaite attraverso la tavola, e allora la parola che stava cercando gli venne in mente di colpo.
Incantesimo, ecco cos'era. Aveva questa caratteristica. Creava l'incantesimo intorno a sé. Avrebbe potuto essere una di quelle creature che sono umane solo a metà, una di quella Gente Misteriosa che viene fuori dalle Montagne Cave. Faceva apparire fin troppo reale qualsiasi altra persona.
Però, al tempo stesso, in modo strano, suscitava la sua compassione. Era come se questa sua semi-umanità le fosse di ostacolo. Cercò una frase che la descrivesse... Un uccello con l'ala spezzata, pensò improvvisamente.
Soddisfatto, tornò all'argomento delle ragazze scout, e si augurò che Doris non avesse notato quel suo momento di distrazione. Quando lei si rivolse all'uomo che le stava seduto dall'altra parte, lui, si rivolse a Madge.
«Chi è la signora seduta vicino a suo padre?» le disse a bassa voce.
«La signora Graham? Oh, capisco, lei vuol dire Mabelle. Non la conosce? È Mabelle Annesley. Era una Clydesley, una degli sfortunati Clydesley.» Lui sussultò. Gli sfortunati Clydesley. Ricordava. Un fratello che si era suicidato, una sorella annegata, un altro perito in un terremoto. Una famiglia toccata da un tragico destino. Questa doveva essere la figlia più giovane.
Venne strappato bruscamente ai suoi pensieri. La mano di Madge toccò la sua sotto il tavolo. Tutti gli altri stavano parlando. La ragazza inclinò leggermente la testa alla sua sinistra.
«È lui» mormorò.
Satterthwaite annuì rapidamente per indicare che aveva capito. Dunque il giovane Graham era l'uomo prescelto da Madge. A giudicare dalle apparenze, sarebbe stato un po' difficile trovare qualcosa di meglio, e Satterthwaite era un osservatore acuto. Un giovanotto di aspetto piacevole, simpatico, abbastanza pratico e positivo. Sarebbero stati una bella coppia. Erano due ragazzi che avevano i piedi sulla terra: bravi, sani, socievoli.
A Laidell ci si comportava ancora secondo usanze un po' all'antica. Le signore furono le prime a lasciare la sala da pranzo. Satterthwaite si sedette vicino a Graham e cominciò a chiacchierare con lui. Il suo primo giudizio sul giovanotto venne confermato, eppure gli rimase la sensazione che ci fosse in lui qualche cosa di stranamente falso. Roger Graham era distratto, sembrava che il suo cervello fosse altrove, e quando appoggiò il bicchiere sul tavolo lo fece con mano tremante.
Ha in mente qualcosa che lo preoccupa, pensò Satterthwaite che era un acuto osservatore. Non tanto importante quanto lui pensa che sia, oserei dire. Comunque, mi domando di che si tratta.
Satterthwaite aveva l'abitudine di inghiottire un paio di pastiglie digestive dopo i pasti. Avendo trascurato di portarle con sé, salì nella sua camera a prenderle.
Per tornare in salotto, percorse il lungo corridoio del piano terreno. Pressappoco a metà di esso si trovava un locale chiamato Stanza della Terrazza. Quando guardò al di là della porta aperta, passandovi davanti, Satterthwaite si fermò sui due piedi.
La luce della luna entrava a fiotti nella stanza. E i vetri a piombo delle finestre vi creavano uno strano disegno ritmico. Sul basso davanzale della finestra era seduta una figura con la testa e le spalle leggermente inclinate da un lato, e sfiorava leggermente con le dita le corde di un ukulele. Non si trattava di un ritmo moderno ma di una melodia molto antica, il battito di zoccoli di cavalli fatati che galoppavano su colline fatate.
Satterthwaite rimase a guardare affascinato. La giovane donna portava un vestito di chiffon blu scuro, di stoffa opaca, pieghettato e arricciato in modo tale da dare l'impressione del piumaggio di un uccello. Era china sullo strumento e stava mormorando sommessamente una cantilena. Satterthwaite entrò nella stanza, lentamente. Le era vicino quando lei alzò gli occhi e lo vide. Non sussultò, né tanto meno sembrò sorpresa.
«Spero di non dare fastidio» cominciò lui.
«La prego... si sieda.»
Lui prese posto su una seggiola di legno di quercia. La giovane donna canticchiava sottovoce.
«C'è un'atmosfera piena di magia stanotte» disse. «Non le pare?»
Sì, c'era un'atmosfera piena di magia tutt'intorno a loro.
«Mi hanno chiesto di andare a prendere il mio uke» disse lei. «E mentre passavo di qui, ho pensato che sarebbe stato così piacevole restarmene da sola al buio, sotto la luce della luna.»
«Allora io...» e Satterthwaite fece per alzarsi, ma lei lo trattenne.
«Non vada via. In certo qual modo, lei... lei si addice a questa atmosfera. È strano, ma è così.»
Satterthwaite tornò a sedersi.
«È stata una strana serata» disse la giovane. «Mi trovavo fuori nei boschi verso la fine del pomeriggio, quando ho incontrato un uomo - uno strano tipo di uomo - alto e bruno, simile a un'anima perduta. Il sole stava tramontando e la luce, filtrando attraverso le foglie degli alberi, lo faceva sembrare una specie di Arlecchino.»
«Ah!» Satterthwaite si sporse in avanti sentendo che il suo interesse si ravvivava.
«Volevo parlargli... sembrava... sembrava che somigliasse a qualcuno che conosco. Ma l'ho perduto fra gli alberi.»
«Io credo di conoscerlo» disse Satterthwaite.
«Davvero? È... interessante, non trova?»
«Sì, è interessante.»
Ci fu una pausa. Satterthwaite era perplesso. C'era qualcosa che avrebbe dovuto fare - almeno questa era la sua impressione - ma non sapeva di che si trattasse. Eppure, certo... aveva a che fare con questa ragazza. Disse in tono piuttosto imbarazzato: «Qualche volta... quando uno è infelice... ha voglia di andarsene e di star solo...».
«Sì. È vero.» Si interruppe all'improvviso. «Oh, capisco quello che vuole dire. Ma si sbaglia. È proprio il caso opposto. Volevo star sola perché sono felice.»
«Felice?»
«Tremendamente felice.»
Aveva parlato con tono molto sereno e tranquillo ma Satterthwaite provò una sensazione di panico improvviso. Ciò che questa curiosa ragazza voleva dire quando dichiarava di essere felice non era assolutamente la stessa cosa che avrebbe voluto dire Madge Keeley, pur usando le stesse parole. La felicità, per Mabelle Annesley, significava una specie di estasi intensa e vivida, qualcosa che era più che umano. Istintivamente Satterthwaite si tirò un poco indietro.
«Io... non lo sapevo» disse imbarazzato.
«Certo che non poteva saperlo. Non è... la vera e propria felicità... non sono ancora felice... ma lo sarò.» Si sporse un po' verso di lui. «Lei sa che cosa vuol dire trovarsi in un bosco, un grande bosco con ombre cupe e alberi vicini l'uno all'altro tutt'intorno a lei, un bosco dal quale potrebbe anche non uscire mai, e poi, improvvisamente... proprio di fronte a lei, vedere il paese dei suoi sogni... luminoso e stupendo... e capire che basta soltanto uscire dall'ombra degli alberi e dall'oscurità per esserci?»
«Ci sono talmente tante cose che sembrano belle» disse Satterthwaite «prima di raggiungerle. Qualcuna delle cose più brutte del mondo dà l'impressione di essere la più bella.»
Si sentì il rumore di un passo sull'impiantito. Satterthwaite girò la testa. Un uomo biondo, con una faccia vacua e quasi legnosa, era entrato. Si trattava dell'uomo che il signor Satterthwaite aveva notato appena a tavola.
«Ti stanno aspettando, Mabelle» disse.
Lei si alzò. Quell'espressione era sparita dal suo viso, la voce era calma e spenta. «Vengo, Gerard» disse. «Stavo parlando con il signor Satterthwaite.»
E uscì dalla stanza, seguita da Satterthwaite. Questo girò appena la testa sulla spalla mentre usciva e non poté non notare l'espressione che si era disegnata sulla faccia del marito di lei, un'espressione disperata e bramosa. Incantesimo, pensò Satterthwaite. E lui lo sente fino in fondo. Poveretto... Il salotto era bene illuminato. Madge e Doris Coles levarono rumorose proteste. «Mabelle, piccola stupida... sei stata via un secolo.»
Lei sedette su un basso sgabello, accordò l'ukulele e cantò. Tutti si unirono al coro. Sembra impossibile, pensò Satterthwaite, che siano state scritte tante canzoni cretine che hanno per soggetto My baby!
Tuttavia dovette ammettere che quei toni sincopati e lamentosi potevano suscitare una certa commozione. Per quanto, naturalmente, non fossero da comparare con il vecchio valzer del tempo andato!
L'aria s'impregnò di fumo. Il ritmo sincopato continuò.
Niente conversazione pensò Satterthwaite. Niente buona musica. Niente pace. Rimpianse che il mondo fosse diventato così rumoroso. Non c'era più speranza.
Improvvisamente Mabelle Annesley si interruppe, gli rivolse un sorriso e cominciò a cantare una canzone di Grieg.
Mio cigno... mio bel cigno...
Era una delle canzoni favorite di Satterthwaite. Gli piaceva la nota di stupita sorpresa del finale.
Dunque eri soltanto un cigno? Soltanto un cigno?
Dopo di che, la riunione si sciolse. Madge offrì qualcosa da bere mentre suo padre, raccolto l'ukulele abbandonato, si metteva a strimpellarlo distrattamente. Tutti si scambiarono la buona notte e si spostarono lentamente sempre più vicino alla porta. Parlavano contemporaneamente. Gerard Annesley sgusciò via inosservato, lasciando gli altri.
Fuori dalla porta del salotto, Satterthwaite augurò cerimoniosamente la buona notte alla signora Graham. C'erano due scalinate: una, a portata di mano, l'altra in fondo a un lungo corridoio. Fu salendo quest'ultima che Satterthwaite raggiunse la sua camera. La signora Graham e suo figlio salirono per la scalinata più vicina, per la quale li aveva già preceduti il silenzioso Gerard Annesley.
«Farai meglio a prendere il tuo ukulele, Mabelle» disse Madge. «Te lo dimenticherai, domattina, se non lo prendi adesso. Dovete partire talmente presto!»
«Venga, signor Satterthwaite» disse Doris Coles afferrandolo vigorosamente per un braccio e commentando, da quella ragazza chiassosa che era: «Chi dorme non piglia pesci...».
Madge lo prese per l'altro braccio e tutt'e tre si avviarono di corsa per il corridoio, fra squilli di risa da parte di Doris. Si fermarono in fondo per aspettare David Keeley, che li seguiva a passo molto più tranquillo, spegnendo man mano le luci. Tutt'e quattro salirono insieme.
Satterthwaite stava preparandosi a scendere in sala da pranzo per far colazione, la mattina seguente, quando sentì bussare lievemente alla porta e Madge Keeley entrò. Era pallida come un cencio e tremava da capo a piedi.
«Signor Satterthwaite!»
«Mia cara bambina, cos'è successo?» le prese una mano.
«Mabelle... Mabelle Annesley...»
«Sì?»
Cos'era successo? Che cosa? Qualche cosa di terribile... lo sapeva, questo. Madge faticava a trovare le parole.
«Mabelle... si è impiccata stanotte. Dietro la porta della sua camera. Oh, è troppo orribile.» La voce le si spezzò e cominciò a singhiozzare.
Impiccata. Impossibile. Incomprensibile!
Mormorò qualcuna delle solite parole che servisse a calmare Madge e si affrettò a scendere al pianterreno. Trovò David Keeley con un'aria abbattuta.
«Ho telefonato alla polizia, Satterthwaite. Era l'unica cosa da farsi. Così ha detto il dottore. Ha appena finito di esaminare il... il... oddio, che faccenda spaventosa. Doveva essere disperatamente infelice... per farlo a quel modo. Strana, quella canzone, ieri sera. Il Canto del Cigno, eh? Sembrava quasi un cigno lei stessa... un cigno nero.»
«Già.»
«Il Canto del Cigno» ripeté Keeley. «Sta a dimostrare che ce l'aveva già in mente, eh?»
«Così sembrerebbe... sì, certo si direbbe che è stato proprio così.»
Esitò, poi chiese se poteva vedere... se, cioè...
Il padrone di casa comprese subito che cosa voleva dire la sua balbettante richiesta. «Se desidera... avevo dimenticato che lei ha un debole per le tragedie umane.»
Lo precedette su per l'ampia scalinata. In cima alle scale c'era la camera occupata da Roger Graham, e di fronte a questa, sull'altro lato del corridoio, la camera di sua madre. La porta di quest'ultima era socchiusa e ne usciva una leggera nuvola di fumo.
Il cervello del signor Satterthwaite registrò una sorpresa momentanea. Non aveva pensato la signora Graham donna capace di fumare così presto al mattino. Anzi, si era fatto l'idea che non fumasse del tutto.
Proseguirono lungo il corridoio fino alla penultima porta. David Keeley entrò nella stanza seguito da Satterthwaite.
Si trattava di un locale non molto grande, che rivelava da vari segni di essere occupato da un uomo. Una porta si apriva sulla parete interna e dava su una seconda stanza. Da un gancio appeso in alto sulla porta penzolava ancora un pezzo di corda tagliata. Sul letto...
Satterthwaite restò a guardare per un minuto quel mucchietto di chiffon stazzonato. Notò che era tanto arricciato e pieghettato da somigliare alle piume di un uccello. Quanto al volto, dopo la prima occhiata non lo guardò più.
Passò con lo sguardo dalla porta con il suo pezzo di corda penzolante a quell'altra che comunicava con la stanza adiacente e dalla quale erano entrati.
«Quella porta era aperta?»
«Sì. Per lo meno così dice la cameriera.»
«Annesley dormiva lì? Non ha udito nulla?»
«Nulla dice...»
«Quasi incredibile» mormorò Satterthwaite. Tornò a dare un'occhiata alla forma distesa sul letto.
«E dov'è adesso?»
«Annesley? Giù al pianterreno, con il dottore.»
Scesero e trovarono che era arrivato un ispettore di polizia. Satterthwaite fu piacevolmente sorpreso quando lo riconobbe: era una vecchia conoscenza per lui, l'ispettore Winkfield. L'ispettore salì con il medico e pochi minuti dopo arrivò la sua richiesta che tutte le persone che si trovavano in casa si radunassero nei salotto.
Le persiane erano state chiuse, e l'intera stanza aveva un aspetto funereo. Doris Coles appariva spaventata. Di tanto in tanto si tamponava gli occhi con il fazzoletto. Madge era risoluta e attenta, aveva ormai riacquistato pienamente il controllo dei suoi nervi. La signora Graham era composta, come sempre, con la faccia grave e impassibile. Sembrava che la tragedia avesse colpito suo figlio più acutamente di qualsiasi altro. Quella mattina aveva veramente l'aspetto di uno straccio. David Keeley, come al solito, si era mimetizzato sullo sfondo.
Il marito della defunta se ne stava seduto da solo, un po' in disparte. Aveva una curiosa aria smarrita e attonita, come se faticasse a rendersi conto di quanto era accaduto.
Satterthwaite, dall'aspetto esteriormente composto, dentro di sé fremeva di eccitazione per l'importanza di un dovere che ben presto avrebbe dovuto essere eseguito.
L'ispettore Winkfield, seguito dal dottor Morris, entrò e si chiuse la porta alle spalle. Si schiarì la gola e parlò. «Questo è un avvenimento tristissimo... molto triste, certo. Date le circostanze, è necessario che io ponga a ognuno qualche domanda. Sono sicuro che nessuno solleverà obiezioni. Comincerò con il signor Annesley. Mi perdonerà se glielo chiedo, signore, ma la sua buona consorte aveva mai minacciato di togliersi la vita?»
Impulsivamente Satterthwaite aprì le labbra, poi le richiuse. C'era tempo in abbondanza. Meglio non parlare troppo presto.
«Io... no, non credo.»
La sua voce era talmente esitante, talmente diversa dal solito che tutte le persone presenti nella stanza lo guardarono di sottecchi.
«Ne è sicuro, signore?»
«Sì... sono... sicurissimo. Non l'ha mai detto.»
«Ah! Le risulta che sua moglie fosse infelice per qualche motivo?»
«No, io... no, non mi risulta.»
«Non le diceva mai nulla? Non le confidò mai, per esempio, di sentirsi depressa?»
«Io... no, niente.»
Qualsiasi fosse la sua opinione, l'ispettore non disse nulla. Al contrario, passò al punto successivo. «Vuole descrivermi brevemente ciò che è accaduto ieri sera?»
«Noi... siamo andati tutti a letto. Mi sono addormentato immediatamente e non ho sentito niente. Mi hanno risvegliato gli urli della cameriera questa mattina. Mi sono precipitato nella camera comunicante con la mia e ho trovato mia moglie... l'ho trovata...»
Gli si spezzò la voce. L'ispettore fece segno di sì con la testa.
«Sì, sì, basta così, non occorre entrare in particolari. Quando ha visto per l'ultima volta sua moglie? Ieri sera?»
«Io... giù al pianterreno.»
«Al pianterreno?»
«Sì, siamo usciti tutti insieme dal salotto. Io sono salito direttamente, lasciando gli altri che parlavano nell'atrio.»
«E non ha più visto sua moglie? Non le ha dato la buona notte quando è salita a dormire?»
«Ero già addormentato quando è salita.»
«Eppure vi ha seguito soltanto pochi minuti più tardi. È così, vero, signore?» guardò David Keeley, il quale annuì.
«Mezz'ora più tardi non era ancora salita.»
Annesley aveva parlato in tono impermalito. Gli occhi dell'ispettore si spostarono lentamente verso la signora Graham. «Si è per caso fermata a chiacchierare nella sua stanza, signora?»
Forse era stata solo una impressione di Satterthwaite oppure era seguita una lievissima pausa prima che la signora Graham rispondesse, nel suo solito modo tranquillo e deciso: «No, sono andata direttamente in camera mia e ho chiuso la porta. Non ho sentito niente».
«E lei dice, signore» l'ispettore aveva riportato la sua attenzione su Annesley «che dormiva e non ha udito nulla. La porta di comunicazione era aperta, vero?»
«Io... credo di sì. Però mia moglie avrebbe potuto entrare nella sua stanza dall'altra porta che dà direttamente sul corridoio.»
«Ma anche in questo caso, signore, ci sarebbero sempre stati certi rumori... un rantolo di soffocamento, un tamburellare di tacchi sulla porta...»
«No.»
Era stato Satterthwaite a parlare, impetuosamente, incapace di trattenersi. Gli occhi di tutti si puntarono su di lui, pieni di sorpresa. E Satterthwaite diventò nervoso, cominciò a balbettare e arrossì.
«Io... io le chiedo scusa, ispettore. Ma devo parlare. Lei sta imboccando la strada sbagliata... una strada completamente sbagliata. La signora Annesley non si è uccisa... ne sono certo. È stata assassinata.»
Nella stanza calò un silenzio di morte, poi l'ispettore Winkfield disse in tono pacato: «Che cosa la porta a dire questo, signore?».
«Io... una sensazione. Una sensazione molto forte.»
«Però io penso che ci debba essere qualcosa di più. Deve esserci una ragione particolare.»
Be', la ragione particolare c'era. Si trattava del misterioso messaggio che gli aveva mandato Quin. Ma era una cosa, questa, che non si poteva raccontare a un ispettore di polizia. Il signor Satterthwaite si lambiccò disperatamente il cervello per trovare un'altra risposta e la trovò.
«Ieri sera, mentre stavo parlando con la signora Annesley, mi disse che era molto felice. Molto felice... Solo questo. E una frase del genere non è logica in chi sta pensando di suicidarsi.»
Era trionfante. Aggiunse: «Poi rientrò in salotto a prendere il suo ukulele per non dimenticarselo la mattina dopo. Anche questo non sembra un gesto da suicida».
«No» ammise l'ispettore. «No, forse non lo era.» Si rivolse a David Keeley. «Ha portato l'ukulele di sopra con lei?»
Il matematico cercò di ricordarsene. «Credo... sì, l'ha portato. Ha salito le scale tenendolo in mano. Ricordo di averla vista mentre svoltava la curva della scalinata prima di spegnere la luce qui giù.»
«Oh!» esclamò Madge. «Eppure adesso è qui.» E con un gesto drammatico indicò l'ukulele che si trovava su un tavolo.
«Curioso» disse l'ispettore. Attraversò a passi rapidi la stanza e suonò il campanello.
Un rapido ordine spedì il maggiordomo alla ricerca della domestica incaricata di fare le camere al mattino. Quando arrivò rispose senza esitazione. L'ukulele era stato la prima cosa che aveva spolverato lì, in quella stanza, la mattina stessa.
L'ispettore Winkfield la mandò via e poi disse asciutto: «Vorrei parlare privatamente con il signor Satterthwaite, per favore. Tutti gli altri possono andare. Però nessuno deve lasciare la casa».
Satterthwaite cominciò subito a snocciolare il discorso che si era preparato. «Sono... sono certo, ispettore, che lei ha preso in mano le redini di questo caso in modo eccellente. Eccellente. Io ho solo avuto l'impressione che... avevo questa fortissima sensazione, come dicevo...»
L'ispettore lo ammutolì alzando una mano. «Lei ha perfettamente ragione, signor Satterthwaite. La signora è stata assassinata.»
«Lo sapeva, allora?» Satterthwaite era quasi dispiaciuto.
«C'erano alcuni elementi che hanno insospettito il dottor Morris.» Guardò il dottore, che si era fermato con loro, e questi confermò la dichiarazione con un cenno del capo. «Abbiamo fatto un esame approfondito. La corda che è stata trovata intorno al collo della donna uccisa non era quella con cui è stata strangolata... era un tipo di corda molto più sottile, più simile a un filo metallico. È penetrato addirittura nella carne. I segni della corda vi sono stati sovrapposti. La signora è stata strangolata e appesa a quella porta in un secondo tempo per far pensare a un suicidio.»
«Ma chi...»
«Sì» disse l'ispettore. «Chi? Ecco il problema. Che cosa si può dire di un marito che dorme nella camera adiacente, che non ha neppure detto buona notte a sua moglie e non ha udito nulla? Secondo me, non dobbiamo andare a cercare troppo lontano. Dobbiamo scoprire in quali rapporti erano queste due persone. Ecco dove lei può esserci utile, signor Satterthwaite. Lei può avere sentore delle cose in un modo che a noi non è possibile. Cerchi di sapere che relazioni c'erano fra i due coniugi.»
«Non posso dire che mi piaccia molto...» cominciò Satterthwaite irrigidendosi.
«Non sarebbe il primo delitto nel quale lei ci ha aiutati. Ricordo il caso della signora Strangeways. Lei ha un fiuto per questo genere di cose, signore. Un vero e proprio intuito.»
Sì, era vero... aveva intuito. Disse in tono pacato: «Cercherò di fare del mio meglio, ispettore». Gerard Annesley aveva ucciso la moglie? Era stato lui? Satterthwaite tornò col pensiero alla sua aria disperata e infelice della sera precedente. Gerard la amava... e soffriva. La sofferenza può spingere un uomo a compiere strane cose.
Però c'era qualcos'altro... qualche altro fattore. Mabelle aveva parlato di se stessa come di una persona che sta per uscire da un bosco... che è piena di aspettativa nell'attesa della felicità... non una felicità quieta, razionale... ma una felicità irrazionale... un'estasi selvaggia...
Se Gerard Annesley aveva detto la verità, Mabelle non era tornata nella sua camera per lo meno per un'altra mezz'ora. Eppure David Keeley l'aveva vista salire per quelle scale. C'erano altre due camere occupate in quell'ala della casa. Quella della signora Graham e quella di suo figlio.
Suo figlio. Ma lui e Madge...
Eppure Madge avrebbe dovuto subodorare qualcosa. Però Madge non era il tipo di ragazza da avere queste intuizioni. Eppure, con tutto ciò, non c'è fumo senza fuoco...
Fumo!
Ah! Gli venne in mente una cosa. Un filo di fumo che filtrava in lente spire dalla porta della camera da letto della signora Graham.
Agì seguendo un impulso improvviso. Salì immediatamente la scalinata ed entrò nella camera della signora Graham. Era vuota. Chiuse la porta dietro di sé e diede un giro di chiave.
Poi andò alla grata del camino. Un mucchietto di frammenti carbonizzati. Con estrema cautela vi frugò dentro con un dito. La fortuna era dalla sua parte. Proprio in mezzo c'era qualche frammento che non era bruciato... frammenti di lettere. Laceri pezzetti in disordine e tuttavia gli svelarono qualcosa di estremamente prezioso:
La vita può essere meravigliosa, carissimo Roger. Non avevo mai saputo... tutta la mia vita è stata un sogno finché ti ho incontrato, Roger... credo che Gerard sappia... mi dispiace, ma cosa ci posso fare? Per me niente è reale all'infuori di te, Roger. Saremo insieme, presto.
Che cosa gli dirai a Laidell, Roger? Scrivi in un modo strano... ma io non ho paura...
Con estrema cautela Satterthwaite infilò tutti quei frammenti in una busta che aveva preso dallo scrittoio. Poi andò alla porta, girò la chiave e la spalancò... per trovarsi faccia a faccia con la signora Graham.
Fu un momento imbarazzante e, per un attimo, Satterthwaite perdette la sua compostezza. Fece quello che, forse, era la cosa migliore: affrontò la situazione con semplicità.
«Ho frugato nella sua camera, signora Graham. Ho trovato qualcosa... un pacchetto di lettere non perfettamente bruciate.»
Un'ondata di allarme le passò sulla faccia. Scomparve in un baleno. Però c'era stata.
«Lettere della signora Annesley a suo figlio.»
Lei esitò per un attimo, quindi disse senza perdere la calma: «Precisamente. Ho pensato che fosse meglio bruciarle».
«Per quale ragione?»
«Mio figlio è fidanzato e sta per sposarsi. Queste lettere, se fossero state rese pubbliche in seguito al suicidio della povera ragazza... avrebbero potuto essere la causa di molto dolore e molti guai.»
«Tocca a suo figlio bruciare le lettere che gli appartengono.»
A questo, lei non ebbe risposta. E Satterthwaite approfittò del vantaggio ottenuto.
«Ha trovato queste lettere nella sua camera, le ha portate nella propria e le ha bruciate. Perché? Lei aveva paura, signora Graham.»
«Io non ho l'abitudine di aver paura, signor Satterthwaite.»
«No... ma questo era un caso disperato.»
«Disperato?»
«Suo figlio poteva essere in pericolo di essere arrestato... per omicidio.»
«Omicidio!»
Si accorse che la donna impallidiva, e continuò in fretta: «Lei ha udito la signora Annesley entrare in camera di suo figlio, ieri sera. Le aveva già parlato del suo fidanzamento? No, mi accorgo che non l'aveva ancora fatto. Glielo deve aver detto in quell'occasione. Hanno litigato, e lui...».
«È una menzogna!»
Erano talmente assorti in quel loro duello verbale da non udire un passo che si avvicinava. Roger Graham era arrivato alle loro spalle senza che né l'uno né l'altro se ne accorgessero.
«Va bene mamma, non ti preoccupare... venga da me, signor Satterthwaite.»
Satterthwaite seguì il giovanotto nella sua camera. La signora Graham aveva voltato le spalle a tutt'e due e non fece alcun tentativo per seguirli. Roger Graham chiuse la porta.
«Ascolti, signor Satterthwaite. Lei pensa che io abbia ucciso Mabelle. E convinto che io l'abbia strangolata qui... e l'abbia portata in camera sua per impiccarla dietro quella porta... in un secondo tempo... mentre tutti dormivano?»
Satterthwaite lo fissò con gli occhi sbarrati. Poi disse una cosa stupefacente: «No, non lo credo».
«Dio sia ringraziato per questo! Non avrei potuto uccidere Mabelle. Io... l'amavo. O forse no? Non lo so. È un tale groviglio che non riesco a spiegarlo. Sono affezionato a Madge... lo sono sempre stato. È una brava ragazza. Andiamo molto d'accordo. Però Mabelle era diversa. Era... non so spiegarlo... qualcosa di speciale, come un incantesimo. Credo di aver avuto paura di lei.»
Satterthwaite annuì.
«Era come una follia... una specie di estasi meravigliosa. Ma era impossibile. Non avrebbe funzionato. Cose di questo genere... non durano. Adesso so che cosa significa quando si dice che una persona è sotto l'influsso di un incantesimo.»
«Sì, dev'essere stato qualcosa di simile» disse Satterthwaite pensieroso.
«Io... volevo liberarmi. Volevo dirlo a Mabelle... ieri sera.»
«Però non gliel'ha detto?»
«No, non gliel'ho detto» disse Graham lentamente. «Glielo giuro, signor Satterthwaite, non l'ho più vista dopo averle augurato la buona notte giù al pianterreno.»
«Le credo» disse Satterthwaite.
Si alzò. Non era Roger Graham che aveva ucciso Mabelle Annesley. Forse poteva aver desiderato di sfuggirle, di staccarsi da lei, ma non poteva averla uccisa. Aveva avuto paura di lei, paura di quella selvaggia, intangibile personalità quasi fatata che c'era in lei, aveva conosciuto l'incantesimo, e gli aveva voltato le spalle. Aveva rinunciato a questo per ciò che era sicuro e realistico, ed aveva abbandonato il sogno inafferrabile che poteva condurlo... neppure lui sapeva dove.
Era un giovanotto posato e pieno di buonsenso e, come tale, privo di interesse per Satterthwaite, che era un artista e un conoscitore della vita.
Lasciò Roger Graham nella sua camera e scese al pianterreno. Il salotto era vuoto. L'ukulele di Mabelle era abbandonato su uno sgabello vicino alla finestra. Lo prese in mano e ne sfiorò distrattamente le corde. Non sapeva niente di quello strumento, però il suo orecchio gli disse che era stonato in un modo abominevole. Girò una chiave, tanto per provare qualcosa.
Doris Coles entrò nella stanza. Lo guardò con aria di rimprovero. «L'uke della povera Mabelle» disse. Il suo evidente tono di condanna rese ostile Satterthwaite.
«Me lo accordi» disse, e aggiunse: «se ne è capace».
«Naturale che ne sono capace» disse Doris, ferita di fronte a un'insinuazione di incompetenza, in qualsiasi campo fosse.
Glielo tolse dalle mani, toccò una corda, girò con un gesto deciso una chiave... e la corda si spezzò.
«Be', ma guarda! Oh! Adesso capisco... però è incredibile. Si tratta della corda sbagliata... una misura troppo grossa. È una corda da la. Che stupidaggine, averla messa qui! Certo che si spezza quando si cerca di intonarla. Com'è stupida la gente!»
«Sì» disse Satterthwaite. «La gente è proprio stupida... perfino quando cerca di essere intelligente.»
Il suo tono era tanto strano che la ragazza lo fissò sbarrando gli occhi. Satterthwaite le tolse di mano l'ukulele e ne staccò la corda spezzata. Poi uscì dalla stanza, tenendola in mano. In biblioteca trovò David Keeley.
«Ecco» disse.
E gli mostrò la corda. Keeley la prese. «Cosa sarebbe?»
«Una corda spezzata di ukulele.» Fece una pausa e poi: «Che ne ha fatto dell'altra?».
«L'altra?»
«Quella con la quale l'ha strangolata. Lei è stato molto intelligente, vero? Tutto è stato fatto con grande sveltezza... proprio nello stesso momento in cui stavamo ridendo e chiacchierando tutt'insieme nell'atrio. Mabelle è tornata in questa stanza a prendere il suo ukulele. Lei ne aveva tolta una corda poco prima, quando ci stava giocherellando. Gliel'ha gettata intorno alla gola e l'ha strangolata. Poi è uscito, ha chiuso a chiave la porta e ci ha raggiunto. In seguito, nel cuor della notte, è sceso di nuovo e... si è occupato di sistemare il cadavere appendendolo al gancio di quella porta. E ha messo un'altra corda all'ukulele... ma si trattava della corda sbagliata. Ecco perché lei è stato stupido.»
Ci fu una pausa.
«Ma perché l'ha fatto?» disse Satterthwaite. «In nome di Dio, perché?»
Keeley scoppiò a ridere: una serie di bizzarri scoppi di risa striduli che suscitarono un vago senso di nausea in Satterthwaite.
«È stato talmente semplice» disse. «Ecco perché! E poi... nessuno mi notava mai. Nessuno vedeva mai quello che stavo facendo. Ho pensato... ho pensato che questa volta mi sarei divertito io a loro spese.» Scoppiò di nuovo in quella risatina isterica e guardò Satterthwaite con occhi da folle.
Satterthwaite fu ben felice che in quel momento entrasse nella stanza l'ispettore Winkfield.
Fu ventiquattr'ore più tardi, durante il viaggio verso Londra, che Satterthwaite si svegliò da un pisolino per trovarsi un uomo alto e bruno seduto di fronte nello scompartimento del vagone ferroviario. Non ne rimase del tutto sorpreso.
«Mio caro signor Quin!»
«Sì... sono qui.»
Satterthwaite disse lentamente: «Non ho quasi il coraggio di guardarla in faccia. Sono pieno di vergogna. Non ci sono riuscito».
«Ne è sicuro?»
«Non l'ho salvata.»
«Però ha scoperto la verità.»
«Sì, questo è vero. Avrebbe potuto essere accusato uno o l'altro di quei due giovanotti... Così, se non altro, ho salvato la vita di un uomo. Ma lei... lei... quella strana creatura incantata...» gli si spezzò la voce e non proseguì.
Quin lo guardò.
«È la morte, il male peggiore che può capitarci?»
«Io... be'... forse... no.»
Satterthwaite ricordò... Madge e Roger Graham... la faccia di Mabelle alla luce della luna... la sua serena felicità che non era di questa terra...
«No» ammise. «No... forse la morte non è il male peggiore.»
Ricordò lo chiffon blu, arricciato, del vestito di Mabelle che gli era parso simile alle piume di un uccello, un uccello con un'ala spezzata.
Quando alzò di nuovo gli occhi, si trovò solo. Il signor Quin non era più al suo posto. Però aveva lasciato qualcosa dietro di sé.
Sul sedile c'era un uccello, rozzamente scolpito, in una strana pietra color azzurro pallido. Probabilmente non possedeva un gran valore artistico, ma aveva qualcos'altro.
La qualità elusiva e sfuggente degli oggetti incantati.
Così lo definì Satterthwaite... e lui era un intenditore.