24

Leonardo andò in bagno. Si infilò in doccia. Ma non si accorse nemmeno dell’acqua che lo investì in lunghissimi spaghetti liquidi.

Freddissima. Poi meno. Poi calda. Poi troppo calda.

Poi giusta.

Non si accorse di nulla.

Neppure di avere già addosso quella prima zampa nel petto.

Bugie.

Mentre si insaponava la testa e un poco di schiuma gli entrava negli occhi, pensò a Sofia come a una creatura misteriosa tutta fatta di una sottile trama di bugie. Una creatura fatta così da sempre.

Possibile che non se ne fosse mai accorto?

Fin dalla prima notte che avevano dormito insieme. Quella di un giugno caldo, sudato. Fatta d’aria stagnante come l’affanno molle dell’estate.

Era stata lei a chiamarlo.

«È che c’è il vento» aveva detto.

«Vento?» si era stupito lui.

«Sì, mi sposta le tende. E a me fa paura dormire da sola quando c’è vento.»

«Ma a Novara non c’è mai vento…»

«Ma io vivo un poco in campagna. E ti giuro che qui c’è. Lo vedo. Muove le tende. Quel tanto da spaventarmi.»

Leonardo aveva guardato fuori dalla finestra, era tutto fermo. Però le aveva detto: «Dài, ti aspetto».

Sofia aveva spento il ventilatore e le tende si erano fermate. Poi automobile, strada, qualche curva: ed eccoli insieme.

A Leonardo lo aveva raccontato solo molto tempo dopo. Che per fare il vento aveva acceso il ventilatore.

E glielo aveva raccontato ridendo. Senza darci alcun peso.

«Sapevo che me lo avresti confessato, sai?» le aveva sorriso lui. «Ti conosco. E lo so che tra noi non ci sono segreti!»

E Sofia aveva riso forte.

«E chi ti ha detto che tra noi non ci sono segreti?» gli aveva risposto.

«Me l’ha detto il nostro amore…»

«E ti ha mentito. Perché non ci ameremmo davvero se tra noi non ci fossero dei segreti!»

«In che senso?» aveva detto lui.

«Segreto!» aveva concluso lei. E lo aveva baciato.

E lui l’aveva guardata.

Aveva addosso solo la sua camicia bianca da uomo. Le gambe lunghe e nude, il petto pieno a minacciare l’esplosione di quell’unico bottone chiuso al centro. E le curve di una ragazza di trent’anni tutte lì. E la pelle tesa, come quella di un tamburo, a evocare una danza a ogni carezza.

Che soddisfazione poter guardare Sofia così, aveva pensato allora Leonardo. Così nuda, così da vicino. Con il brivido di un ladro che ruba uno sguardo, con il terrore quasi d’essere scoperto a fare qualcosa di proibito. Con la certezza di poterlo fare, perché Sofia era sua.

Forse fu ricordando quel momento che a Leonardo spuntò la seconda zampa. Un attimo prima che gli spuntasse la terza. Quando ricordò cosa disse Sofia subito dopo.

«Sono fortunata» aveva detto lei, «sono sempre riuscita a fare del buon sesso. Fin da quando ho sedici anni.»

«Io ho iniziato a venti…» aveva detto lui forse in parte infastidito, un pizzico ingelosito, ma soprattutto compiaciuto.

«Be’, hai perso un sacco di tempo.»

«Che per di più non saprei come recuperare…»

«Ma io sì» aveva detto Sofia.

E si era slacciata ancora quell’unico bottone di camicia.

Le prime tre zampe spuntarono lì, nei pensieri di Leonardo, nel ricordo selvaggio delle loro prime volte. Quando proprio non riuscivano mai a smettere. Sofia aveva vissuto un tempo così anche prima di lui? Anche senza di lui? Ma si può essere invidiosi di un tempo in cui non si è stati presenti? Si può essere gelosi di un passato a cui non si appartiene? Stagioni perse per sempre?

Si erano scritti anche loro, ovviamente.

Giulio e Sofia.

E lei per tutto quel tempo non era mai riuscita a chiamarlo così.

«Sei rimasta l’unica a chiamarmi Ismaele» le aveva detto nel primo di quei loro incontri nascosti al resto del mondo. Quando era stato lui a raggiungerla a Novara, in cascina. Col treno da Verona. Quando lei gli aveva garantito che l’avrebbe trovata sola. Che tutti sarebbero stati impegnati a tagliare il riso, fuori.

E loro avrebbero avuto il tempo di ridere, invece. Dentro.

E di giocare a fare l’amore.

Per la loro prima volta. Cercando di capire come funzionavano quei corpi adolescenti.

«Sai tenere un segreto?» aveva chiesto poi lei, rivestendosi timida, bellissima e impacciata.

«So stare muto per anni» aveva detto lui.

«A lui non lo diremo mai, va bene?»

«Va bene. Tanto tutti insieme non ci rivedremo mai più.»

«Neanche per liberare la luna?»

E Ismaele aveva riso fortissimo.

«Ogni tanto ci penso ancora a quella storia. E penso che io, nella vita, ne ho fatte un sacco di cazzate, ma forse quella è proprio la più grande di tutte», e l’aveva chiusa così. Senza avere però il coraggio di rispondere nel merito.

La settimana dopo si erano rivisti, solo loro due. E poi ancora per tutte le volte che la cascina era libera.

Per un tempo durato anni che era stato bello per entrambi. Per un tempo che poi, d’un tratto, era finito.

Che ne sapeva Leonardo di tutto questo?

Nulla.

Poteva immaginarlo? No.

Si vestì. Uscì di casa. A piedi. Senza perdersi un istante d’ansia.

Faceva tutto come se Sofia fosse lì presente, lo guardasse, lo fissasse seguendolo a ogni passo. E non gli rivolgesse la parola, mai.

Una sensazione che lo infastidiva moltissimo.

Come se lei fosse lì solo per ricordargli che era andata via. Che lo aveva lasciato da solo senza dare spiegazioni.

O meglio: una spiegazione l’aveva data, era andata via in virtù della loro regola. Del loro patto. Non aveva fatto nulla di male.

Era giustificata, allora?

Fu ripensando a quella regola che nel respiro gli spuntò la quarta zampa.

Mentre camminava per strada, Leonardo prese a pensare a come lei glielo aveva sempre detto che sarebbe sparita, che c’era la possibilità che all’improvviso sarebbe andata via e sarebbe tornata solo dopo tre giorni. Ma lui non le aveva mai creduto. Glielo aveva detto fin dal principio che c’erano regole e segreti. Perché non l’aveva mai presa sul serio?

Era impensabile! Ma era impensabile che l’amore fosse un patto? Era impensabile che l’amore fosse una regola? Era impensabile che l’amore fosse un segreto?

Era davvero impensabile tutto questo?

Forse no, forse aveva ragione Sofia, ma la sua, quella di stabilire un confine entro cui l’altro non sarebbe mai potuto entrare, un confine, tutto proprio, di completa esclusione, era una regola giusta? O era una regola egoista? Era una regola che aveva a che fare solo con se stessi o anche con l’amore?

Leonardo non riusciva a capirlo.

Però la quinta zampa spuntò lì: l’amore, pensò, non è fatto di limiti. Amore significa poter avere, sapere, godere in tutto e per tutto dell’altra persona, significa essere tutto. Per la persona che si ama. Senza limiti.

Invece ora Sofia gli sembrava aver posto solo quelli: dei limiti.

Sofia che faceva del buon sesso da quando aveva sedici anni, e con chi? Sofia che riceveva una telefonata in piena notte, e andava via. E dove? E con chi? Sofia che giocava a dare regole. Ecco l’altra zampa: chi era Sofia?

La sua ragazza o una ragazza e basta?

Leonardo entrò nel bar in cui facevano colazione insieme, quasi tutte le domeniche.

Prese un caffè come ogni volta. Rifiutò il cornetto come sempre.

«Tutto qui?» chiese il barista.

«Oggi è così» rispose lui allungando sul bancone due monete. Poi però aggiunse qualcosa di troppo. Qualcosa che non gli era stato chiesto.

Qualcosa per spiegare la ragione per cui era solo. Senza Sofia.

Il barista lo ascoltò a lungo, ogni tanto muoveva la testa, come ad annuire. Poi gli indicò la cameriera.

«Giovanna, quella con gli occhi a mandorla, la cinesina, la conosci, no? Lavora qui da un po’. Ecco, ascoltami: secondo te Giovanna si chiama Giovanna? Io non lo so mica se si chiama davvero così. Ma sai qual è il bello? Che non mi interessa. Arriva puntuale, lavora bene, è gentile con tutti. E quando ha finito va via. E torna il giorno dopo. Tutti i giorni, anche la domenica. Mi ha detto che si chiama Giovanna. Mi va bene così. Che m’importa se è una bugia? Cosa mi interessa chi è davvero e quello che fa quando non ci sono io? Se ci pensi bene, non credi che l’amore sia così? Deve funzionare quando c’è. Quando c’è e basta.»

E Leonardo non disse nulla.

Fu il barista a fare il resto.

«Anche perché, amico mio, le donne sono matte. E la gelosia è solo la mamma di tutti i ragni.»

E Leonardo lo guardò più attento.

Ordinò un altro caffè.

«Ripeti un po’ quello che hai detto…»

«Di Giovanna?»

«No, della gelosia.»

«Che è la mamma di tutti i ragni!»

La mamma di tutti i ragni.

La mamma del Re dei Ragni.

Eccola lì, l’aveva trovata.

Era lui.

Lui si era trasformato nella mamma del Re dei Ragni.

Fatto di una zampa per ogni desiderio di possesso.

E se non capì ogni cosa, tirò un respiro lungo, come avesse fatto una gran corsa, o come se stesse per immergersi in apnea.

E forse sbagliando si fidò di Sofia.

E del loro patto.

E gli scappò un sorriso.

E prima di riprendere il cammino, sul banco, lasciò la mancia per Giovanna.