20

Ai tempi, mesi prima, quando Elio le aveva mostrato il programma, e le aveva detto dove e quando si sarebbe svolto quell’evento, Teresa non ci aveva dato peso alcuno.

Una delle solite stravaganze di Elio, aveva pensato.

«Fanno una mostra» aveva detto vago, allungandole distratto il volantino.

«A Trento, domenica 27 maggio.»

«E che mostra è?» aveva buttato lì lei.

«Ma niente. Niente di importante…»

Solo che poi, alcuni attimi di silenzio dopo, come capita agli anziani quando si emozionano, non era riuscito a trattenersi.

«È la mostra per i novant’anni del Giro d’Italia, la fanno qui vicino, a Trento; e la fanno il 27 maggio perché ci passa il Giro d’Italia, quindicesima tappa, la Trento – Tre Cime di Lavaredo. Erano diciotto anni che non si vedeva più una tappa del genere, e una mostra così non si è mai fatta prima…»

«Da non credere…» aveva allora detto Teresa.

«E invece…» aveva insistito entusiasta Elio.

«Intendevo: da non credere che tu me lo stia dicendo…»

Ed Elio aveva capito che forse, di meno interessante di quella mostra, per la sua compagna, avrebbe potuto esserci solo una sfilata di bikini brasiliani. Eppure le aveva detto anche un’altra cosa.

Una cosa piccola, che quel giorno aveva aperto in Teresa solo una piccola crepa di attenzione. Che però oggi, dopo la morte di Elio, era diventata un burrone profondissimo, scavato lungo il suo cuore.

Elio le aveva detto che in mostra, a Trento, quel 27 maggio, prima del tappone dolomitico, ci sarebbero state le biciclette dei grandi ciclisti del passato.

E non solo: con loro, con le biciclette, ci sarebbero stati anche i ciclisti. I grandi ciclisti del passato.

«Tipo, indovina chi?» le aveva chiesto Elio.

E adesso quel ricordo acquisiva tutto un altro senso.

«E quella di Coppi, signora Teresa?»

«Quella di Coppi ci sarà, Bic, certo che ci sarà» gli rispose Teresa, chiudendo la valigia, sentendo una fitta dolorosa, come ogni volta che qualcuno pronunciava quel nome: Coppi.

Fausto Coppi.

«Mi piace la bici di Coppi, signora Teresa, mi piace tantissimo!»

«Piace anche a me, Bic, anche a me. Ora cammina, però, sembri tu quello vecchio e io quella che deve tirare il gruppo.»

E lui cominciò a tirare quella valigia a rotelle, con il manico telescopico, che cigolava più delle vecchie giunture di Teresa.

«E Pantani?», e si fermò di nuovo. E la guardò come un bimbo di dieci anni guarda la nonna in attesa di un dono. «E quella di Pantani? Ci sarà quella di Pantani?»

«Bic, ti prego: andiamo. O perdiamo il treno!»

E poi, per cercare di non essere troppo dura con quel suo strano e improvvisato compagno di viaggio, aggiunse: «E comunque sì, ho letto il programma», e glielo aveva lanciato, togliendolo dalla borsetta: un libretto plastificato di una ventina di pagine, quello che aveva trovato Elio nella “Gazzetta dello Sport”. «Ci sarà. Ci sarà esposta anche la bicicletta di Pantani.»

«Incredibile, signora Teresa! Incredibile!»

Bic.

Quando lo guardava le veniva in mente il loro primo incontro.

«Dunque Sri Lanka?» aveva ricapitolato Elio, il giorno in cui l’aveva conosciuto, invitandolo a sedere in casa loro per un tè caldo.

«So benissimo dov’è: è a sud dell’India.»

«Sudest» lo aveva corretto subito Teresa, riempiendo le tazze.

«Meglio, meglio! A sudest c’è un clima migliore. E comunque è a sud del Mare delle Laccadive» si era ripreso Elio.

«A ovest del Mare delle Laccadive» lo aveva ripreso Teresa.

E Bic ne era rimasto stupito.

«Conoscete bene voi mio Paese! Quando siete stati?»

«Mai» gli avevano risposto insieme, Elio e Teresa.

E a chiacchiere e biscotti avevano finito due teiere. Del tè di Bic.

Poi, quando tutto era cambiato, quando Teresa lo aveva visto alla porta della sua solitudine, con quel mazzo di rose passite, qualche giorno prima, non aveva avuto cuore di trattarlo troppo male.

«Grazie, Bic. Ma sono vedova da tre giorni. Non posso accettarle. E poi per te sono vecchia.»

E Bic aveva sorriso. Era un uomo gentile. Almeno era così che era sempre sembrato a loro.

«Non sono per lei, signora Teresa. Sono per Elio.»

«È morto, Bic. E comunque basta con ’sta storia che porti rose a mio marito. Vuoi farmi ingelosire?»

Bic era rimasto un po’ perplesso. Lo sapeva bene che Elio era morto! Lo sapeva benissimo! Aveva letto l’annuncio funebre fuori dal condominio, aveva visto la bara partire da casa, col carro e il corteo, per andare al cimitero.

La sapeva bene la storia che era morto la mattina, e sapeva anche come: facendo colazione, al tavolo della cucina, da solo, e poi era esplosa la caffettiera lasciata sul fornello acceso, e il boato aveva svegliato Teresa che l’aveva trovato così.

Morto.

E con tutto il caffè schizzato sul soffitto.

Sapeva tutto.

«Queste rose non sono per Elio, Bic. Al limite sono per il cimitero. Il che, se ci pensi, fa una bella differenza, no?»

Una differenza che Bic non colse mai. Per Bic quelle rose erano per Elio. Non per il cimitero.

Però lui le aveva sorriso. Le voleva bene. Le sorrideva sempre. Al punto che poi, quella volta, alla fine, Teresa aveva accettato anche i fiori.

Che colpe aveva Bic? Perché avrebbe dovuto trattarlo male? Era Elio che odiava, adesso, non certo quel ragazzo che glielo ricordava. Era Elio che le aveva rovinato la vita, lasciandola sola, avendole raccontato sempre e solo storie false, bugie.

«In cambio del pensiero, Bic, se vuoi qualcosa di mio marito prendilo pure. Elio ne sarebbe stato felice. Scarpe, maglioni, giacche… quello che vuoi.»

«Bicicletta?» aveva chiesto lui.

«Quella mai» era scattata lei. «Era di sua madre!»

«Signor Elio ha ancora signora mamma che va in bicicletta?»

Era stato proprio in quel momento che Teresa si era trovata davanti tutti i pezzi: Bic con la sua ingenuità, la questione della bicicletta, la mostra per il novantesimo Giro d’Italia a Trento e i ciclisti che sarebbero andati lì a inaugurarla. Proprio la mostra che Elio avrebbe tanto voluto vedere.

«Se non posso prendere bicicletta» aveva intanto proseguito Bic, «allora non prendo niente signora Teresa. Non sono venuto per prendere, ma solo per portare fiori. Non mi serve niente. Ho tutto. Perché», ed eccola qui la frase che aveva graffiato di amarezza e nostalgia le orecchie di Teresa, «la vita è giusta con chi ha un progetto. E io ho progetto. Altro non serve.»

La vita è giusta con chi ha un progetto.

Bic la diceva spesso quella cosa.

Che avesse mai ragione?

Forse era per questo che la vita con lei era sempre stata ingiusta, perché non aveva mai avuto un progetto, non aveva mai fatto null’altro che aiutare Elio a completare i suoi? E a lei? E a lei chi ci pensava? Perché a lei non ci aveva pensato lei stessa, per esempio?

E allora aveva raccontato a Bic il progetto che le era venuto in mente. E gli aveva detto che se lui l’avesse aiutata non solo gli avrebbe pagato il viaggio, ma gli avrebbe anche dato dei soldini. Come ricompensa.

Molto interessante, aveva pensato Bic. Avrebbe dovuto vendere un prato di rose per guadagnare la cifra che gli stava offrendo Teresa.

E aveva pensato a quanto quei soldi, poi, avrebbero aiutato il suo progetto. E allora l’aveva guardata. E com’è ovvio le aveva sorriso.

Così erano finiti a Milano. Il primo traguardo era stato raggiunto.

Ora bisognava scegliere, perché di domenica c’erano solo due possibilità per arrivare a Trento: treno fino a Verona e poi ancora treno da Verona a Trento, oppure diretto fino a Bolzano e da lì, con la corriera delle valli, quell’oretta di curve e monti che è la Bolzano-Trento. Un viaggio che, per assurdo, durava circa un’ora meno dell’altro.

E Teresa aveva i minuti contati. Non doveva sbagliare nulla. E Teresa scelse quello.

Si avviarono sulla banchina del diretto per Bolzano. Sembravano un’anziana signora e il suo badante indiano. Non avrebbero mai insospettito nessuno. Erano perfetti.

E, nell’attesa del treno, a Teresa, Bic era sembrato davvero uno studente in gita.

«Cipollini? Quella di Cipollini? E di Bugno? E di Chiappucci?»

«Tutte, Bic. Tutte. Ci saranno le biciclette di tutti questi ciclisti qui…»

E l’aveva sentita anche lei, nella sua memoria, la cantilena del vecchio Elio che ripeteva come una filastrocca a macchinetta, nelle settimane prima di morire, tutti i partecipanti alla grande mostra di Trento.

Elio le aveva nominato tutti gli ospiti. E lei li aveva trovati tutti poco interessanti.

Tutti tranne uno.

L’ultimo.

Quello che davvero non si aspettava di sentir nominare.

L’unico che contava per lei.

«E sai chi ci sarà anche?»

«Fausto Coppi?»

«Fai la seria, Teresa… è morto nel 1960… siamo andati anche al funerale, a Castellania, in provincia di Pavia!»

«Alessandria! Castellania è in provincia di Alessandria! E non ci siamo andati! L’abbiamo visto in televisione. E poi se ’sta mostra è davvero un evento così importante, come può mancare Fausto Coppi…»

Elio aveva sbuffato, di fronte a quell’insensata ostinazione. Poi però aveva ripreso coraggio e aveva continuato: «Comunque ci sarà anche un altro ciclista che sarebbe bello conoscere…».

«Moser. Francesco Moser.»

«Lui ci sarà, certo… ma soprattutto ci sarà…»

«Chi? Ti prego, dimmelo tu…» Teresa si era spazientita. «Non sono mai stata brava con le biglie. E non ho mai imparato bene i nomi dei ciclisti…»

«Lucien Teisseire!» aveva detto allora di colpo Elio.

Ed era stato lì che Teresa era impallidita.

«Lucien Teisseire» aveva sussurrato, ancora tramortita. «Ma avrà cent’anni… ne abbiamo ottanta noi…»

«Ottantotto, Teresa. Ha solo ottantotto anni. Ed è ancora un torello come quando correva contro Coppi, alla Milano-Sanremo. Nel giorno del nostro ballo. Alto, grosso, con quelle spalle che potresti appoggiarci sopra le colonne del cielo, e lui lo reggerebbe. Con i ricciolini chiari chiari, oddio, oggi bianchi, ma sempre quelli, e gli occhi azzurri, oddio, cerulei ormai, ma sempre quegli stessi occhi. Te lo ricordi che bello che era, no? E porterà da esporre la bicicletta del 1946. Quella della nostra Milano-Sanremo. Quella che se in salita fosse riuscito a far andare più veloce…»

«Noi non ci saremmo mai incontrati.»

«Quella! Dovremmo vederla quella bicicletta, no? È grazie alla sua lentezza che è iniziato il nostro tempo!»

No, Teresa non l’aveva spiegato proprio bene nei dettagli, a Bic, il progetto che aveva in mente. Altrimenti quello non sarebbe stato tanto entusiasta.

Gli aveva solo chiesto di accompagnarla a Trento, alla mostra per i novant’anni del Giro d’Italia, alla partenza della tappa per le Cime di Lavaredo. Più come un omaggio a Elio che non come un suo bisogno, gli aveva detto. Come un pellegrinaggio.

Da sola, a ottant’anni, non ce l’avrebbe mai fatta. Ma con un ragazzo di trentacinque che aveva attraversato il mondo per venire a Milano a vendere i fiori, che problemi avrebbe avuto ad arrivare fino a Trento?

Bic aveva sorriso.

Anche Teresa aveva sorriso.

E solo lei sapeva cosa ci fosse dentro il suo sorriso.

Perché – e come vanno queste cose nelle menti di chi soffre, bisogna soffrire per capirlo davvero – c’era un unico dettaglio della sua storia d’amore con Elio che poteva essere ancora modificato, e quel dettaglio era Teisseire: Lucien Teisseire. Un dettaglio fondamentale: l’origine. La causa. Il principio di tutto.

E per quei misteri incomprensibili che sono i pensieri di una donna anziana che ha perso l’amore di una vita, ecco che tutto il dolore che provava, di colpo, era diventato colpa sua: di Lucien Teisseire.

Anche di Elio, certo, ma più ancora di Lucien Teisseire.

Solo che con Elio non avrebbe più potuto arrabbiarsi, mentre con Lucien Teisseire… a lui avrebbe potuto dirlo che le aveva rovinato la vita! Oh sì! Eccome se avrebbe potuto! Avrebbe potuto urlarglielo, a quel vecchio culo molle di un francese, che era tutta colpa sua se la sua vita oggi era un disastro. Se gli anni che le restavano da vivere senza Elio sarebbero stati orribili, molto più di quanto erano stati belli i sessanta precedenti, vissuti con Elio.

Che vita avrebbe avuto, lei, senza quel ciclista scarso, lento al punto da prendersi quindici minuti di ritardo da Coppi, un ritardo che in una gara ciclistica, tra il primo e il secondo, in tutta la storia del ciclismo, non si era mai visto!

Che vita avrebbe avuto lei se quel ragazzone francese fosse stato davvero un campione e non un cotechino transalpino montato sui pedali?

Se quel ciclista fosse stato davvero un campione, lei non avrebbe mai incontrato Elio, non si sarebbe fatta fregare da tutte le sue storie, da tutte le sue palle da sognatore che non erano altro che bugie. Storie. Menzogne.

Odiava Lucien Teisseire. E glielo avrebbe detto: gli avrebbe urlato che lui non era un campione. Era un bidone! Era l’uomo che le aveva rovinato la vita.

E lo avrebbero visto tutti, in televisione, all’inaugurazione della mostra: una vecchia signora che urla in faccia a un vecchio ciclista: “Bidone criminale! Mi hai rovinato la vita!”.

Quando arrivò il treno per Bolzano, Bic aiutò Teresa a salire in carrozza, sistemandole il bagaglio e aspettando che l’anziana e arrabbiata signora prendesse posto. Che si addormentasse o anche solo chiudesse gli occhi. E vedendola lì, nel suo viaggio verso la grande mostra ciclistica per i novant’anni del Giro, per un istante la immaginò felice.

Perché la vita è giusta con chi ha un progetto, pensò ancora osservando la donna. Le sue rughe di pelle stanca, i suoi occhi scavati dagli anni. E nello studiarla si commosse. E aprì di nascosto il proprio piccolo portafoglio.

Una ragazza dalla pelle d’ambra, dentro una fototessera dagli angoli smangiucchiati, lo guardava con un sorriso fatto di nostalgia. Dietro, piccolo, appena inquadrato oltre le spalle, lo sfondo e la terra e i profumi e i colori di un Paese lontano.

Lei.

Il suo Paese.

Quella foto che gli fece solo dire: «La vita è giusta con chi ha un progetto».

Appena un secondo prima che partisse il treno.