14

Al volante del macinino dell’agenzia percorsi il centro e mi recai in ufficio.

Bertha Cool faceva le fusa come una gatta in amore. Mi scoccò un sorriso tenero quanto materno e mormorò affettuosamente:

– Donald, diavolo d’un uomo.

– Che altro c’è?

– Ce l’hai fatta un’altra volta!

– Di che cosa stai parlando?

Bertha prese sul tavolo alcuni ritagli di giornale.

– La “Tribune”, Donald! Corpo d’un cane, che pubblicità!

Diedi una scorsa all’articolo di Malone.

– Lo sceriffo della Contea di Kern non ne sarà molto entusiasta – dissi. – Fa la figura di aver semplicemente eseguito le mie istruzioni.

– E chi se ne infischia dell’opinione dello sceriffo della Contea di Kern? Non ci paga neanche un soldo, lui. A noi occorrono clienti, buoni e bravi clienti che scuciano i loro bei dobloni sulla mia scrivania. A proposito, questo mi ricorda che quella adorabile signora Beckley è venuta a trovarmi.

“Ecco una donna piena di buon senso, Donald. Mi ha detto che naturalmente avrebbe recitato la parte della vedova inconsolabile, che, in fondo, era stata abbastanza felice con suo marito, ma che, dopo tutto, aveva ancora tutta la vita davanti a sé e che c’erano altri uomini sulla terra. E vuoi sapere una cosa, Donald?”

– Che cosa?

– Mi ha chiesto di te.

– Voleva sapere dov’ero?

– Di te, diavoletto! Voleva sapere se eri ammogliato, se uscivi con qualcuna, se avevi un’amica.

“Dopo di che, ha pagato la parcella, ha scucito il premio e ha dichiarato che aveva da affidarci altre ricerche, ma che preferiva parlarne con te personalmente, perché tu eri già al corrente della faccenda. Bisogna che tu vada subito da lei.”

– Che cosa vuole esattamente?

– Non ho capito bene, ma non ha importanza. È piena di palanche, ora. Ma, che Dio ti spacchi, Donald! Non lasciarti agganciare e non abbandonare la tua buona vecchia Bertha. Quella è capace di supplicarti di accompagnarla in Europa come guardia del corpo!

– E ti scoccerebbe, eh?

– Be’... Finché fai parte dell’agenzia no, naturalmente. Se le spese le paga all’agenzia, puoi seguirla anche al Polo Sud, se te la senti.

Lo squillo del telefono la interruppe. Con un ampio gesto delle dita cicciose quanto imbrillantate, Bertha sollevò la cornetta, rispose e aggrottò subito le sopracciglia.

– Da parte di chi?

Mi chinai per toglierle di mano la cornetta.

– Se è per me, preferisco rispondere io alle mie telefonate, Bertha.

Lei tentò di trattenere il ricevitore, poi lo lasciò andare buttandomelo quasi addosso.

– Come vuoi – ringhiò.

– Pronto? – dissi. – Parla Donald Lam.

– Sono Sandra, signor Lam. La mamma vuole parlarvi.

Un istante dopo, udii la voce di Eleanor:

– Signor Lam, slamo molto preoccupate per Amos. Non potreste fare qualcosa?

– Non so...

– Voi conoscete la nostra situazione economica. Non volevamo disturbarvi, ma bisogna pure che qualcuno intervenga in favore del povero Amos.

– Per il momento non posso dirvi niente. Vi richiamerò più tardi.

E riagganciai.

Bertha mi fissava ostile.

– Donald! Era di nuovo, quella piccola santarellina che voleva rintracciare il suo famoso zio? Che ti prende? Stai diventando filantropo a spese mie? Ci tengo a ricordarti che siamo soci. Non hai diritto di perdere tempo prezioso in quisquilie, solo perché una ragazzina buffa ti ha frignato sul gilet. Lei...

– Vuole che ritroviamo suo zio Amos.

– Zio Amos dei miei stivali! – ruggì Bertha. – Quel tizio bazzicava con la madre e la brava donna si domanda chi pagherà le sue fatture, ora che lui l’ha piantata in asso e...

– Lei sta cercando suo zio Amos – ripetei, insistendo sul nome. – Zio Amos. Questo non ti dice niente, Bertha?

La mia socia batté le palpebre.

– Amos... Vuoi dire quel tizio che ha assassinato Malcolm Beckley? Sarebbe... fulmini!

– Proprio lui.

– Accidenti! – sibilò Bertha, senza fiato.

Aspettai che gli ingranaggi del cervello di Bertha si rimettessero in movimento.

A un tratto, scosse la testa come per scacciare le vertigini ed esclamò: – Ma no, Donald, è impossibile! Come vuoi che una donna venga qui da noi a chiederci di rintracciarle il marito e cinque minuti dopo capiti un’altra persona che vuol ritrovare uno zio Amos, il quale zio Amos è proprio quello che ha assassinato il marito di quell’altra...? No! le coincidenze sono una gran bella cosa, ma c’è un limite! Dimmi un po’ tu, cos’è tutto questo guazzabuglio?

– È un caso interessante. Hai il numero di Daphne Beckley, Bertha?

– Eccolo qua. Te l’avevo appunto preparato.

Diedi un’occhiata al taccuino e composi il numero di Daphne. La sua voce dolce e carezzevole mi rispose immediatamente.

– Sì?

– Parla Donald Lam.

– Donald – tubò la donna – desidero che veniate qui da me. Devo parlarvi.

– Sono un po’ occupato, per il momento.

Le mani scintillanti di Bertha mi fecero segni disperati.

Tutti i suoi brillanti mi indicavano la porta. Daphne insistette.

– Non potete rimandare, Donald? Non vi ruberò molto tempo.

– Mi sembra difficile. Ma di che si tratta?

– Avete letto i giornali?

– Non tutti.

– Hanno pubblicato una fotografia dell’assassino di Malcolm.

– Ebbene?

– Ebbene. Quando ho visto quella fotografia non mi sono più raccapezzata! Al primo momento ho creduto che fosse una fotografia di mio marito, e che il giornale si fosse sbagliato.

– Si rassomigliano?

– Rassomigliano? Come due gocce d’acqua! Sembrano gemelli. Donald, che cosa devo fare?

– Fare che cosa?

– Non voglio parlarne al telefono. Non voglio neanche pensarci. Ma sono sconcertata... non vorrei che ci trovassimo in presenza di una turlupinatura.

– Che cosa intendete dire, precisamente? Mi avete dato forse una foto di voi e Amos invece di quella con vostro marito?

– Ma no, neanche per idea. Non sono poi tanto bestia.

– E allora, che cosa?

– Non vorrei che mio marito m’avesse giocato un tiro mancino...

– Che cosa andate dicendo?

– Vedete... Non mi stupirei affatto se fosse ancora vivo e vegeto. Mi è venuto il sospetto che potrebbe aver inscenato la commedia del delitto per farsi credere morto e squagliarsela con la bionda. Non potreste venire qua da me per discuterne?

– Sono troppo occupato.

– Troppo occupato per accettare un nuovo incarico?

– Dovete mettervi d’accordo con Bertha Cool. È una cosa che riguarda lei. Quando vi sarete accordate, allora mi occuperò della vostra faccenda. Ma prima dovete parlarne con Bertha.

Richiamatela tra dieci minuti.

Riagganciai.

Bertha era tutta un sorriso.

– Bravo! Ecco come bisogna parlare al clienti, Donald! Lascia che si occupi Bertha degli interessi dell’agenzia, soprattutto quando si ha a che fare con una bella donnina. Con le donne, tu ti lasci sempre menare per il naso. Basta che ti facciano vedere un ginocchio o un polpaccio e tu sei pronto a dar loro tutta l’agenzia. Io, invece, guardo soltanto il colore delle loro palanche. Donald, credi che potremo mettere le mani su un po’ di quel denaro dell’assicurazione?

– Questo è affar tuo.

– Ma lei, che cosa... ti ha detto?

– Che forse suo marito non è morto e che potrebbe aver montato la faccenda del delitto per squagliarsela con una bionda.

– Interessante! – esclamò Bertha.

– Sì. Ma non è vero.

– Come puoi dirlo?

– Diamine! La polizia ha identificato il cadavere per mezzo delle impronte digitali.

– E a lei come è saltata in testa un’idea cosi balorda?

– Sai... Data la somiglianza tra Amos e suo marito...

Lo squillo del telefono mi interruppe. Bertha afferrò la cornetta e un attimo dopo me la porse.

– Chi è? – chiesi.

– Interurbana.

Nell’ufficio dell’agenzia abbiamo installato un interruttore mediante il quale possiamo inserire il telefono su un altoparlante, e parlare in un microfono collettivo.

Chissà perché, istintivamente inserii l’altoparlante.

– Pronto. Sono Lam.

La voce di Harvey Clover, il vice-sceriffo, sgorgò dall’altoparlante.

– Lam, mi rincresce, ma ci sono novità nel caso Gage.

– Vi ascolto. Qualsiasi novità mi interessa.

– Ma, questa volta, vi interessa personalmente.

– Che cosa succede?

– Amos Gage ha spifferato tutto. L’intera storia, dall’A alla Zeta.

– Che cosa ha detto?

– Ha detto che l’avete trovato nascosto a Reno, che avete ascoltato il racconto della sua avventura e che non avete avvertito le autorità. Anzi, lo avreste consigliato di rimaner nascosto e di barcamenarsi fino al giorno del suo compleanno. Ha detto che è stato lui a spiegarvi com’era la località in cui aveva ripreso i sensi. In principio, aveva deciso di seguire le vostre istruzioni, ma poi ha avuto paura, e ha pensato bene di disfarsi delle carte di Beckley e di scappare a tutta velocità fuori dal Nevada.

– Molto interessante, non c’è che dire.

– Interessante un corno! È una cosa spiacevolissima, Lam. E non ci piace neanche un poco.

– Neanche a me.

– Questo fa di voi un complice, o quasi. Avete subornato un testimone, avete nascosto delle prove...

– Be’. Che cosa volete?

– Voi.

– Venite ad arrestarmi?

– No. Invito voi a venire qui!

– Come mai?

– Sentite, Lam, corro un grosso rischio, ma ho persuaso il Procuratore Distrettuale ad aspettare il vostro arrivo e ad ascoltare ciò che avrete da dire, prima di portare il caso davanti al Gran Giuri.

– Ne avete parlato alla stampa?

– Non ancora.

– Sicché, volete che venga lì da voi?

– Sì. Allora? Venite o devo mandare a prendervi?

– Vengo, vengo.

E riagganciai.

Bertha aveva gli occhi sbarrati.

– Donald, è vero?

– Che cosa?

– Che sei stato in contatto con Amos Gage.

– Certo. Non avevamo forse l’incarico di ritrovarlo?

– E chi ci aveva dato l’incarico?

– Sandra Eden. Voleva ritrovare a tutti i costi lo zio Amos, ma non aveva denaro per pagare i nostri servigi.

– E tu, di nascosto, sei andato a cacciarti in quella trappola?

– Macché trappola! Di’ piuttosto che mi sono messo al sicuro.

– In che modo?

– Avevamo due incarichi – risposi. – Uno era di trovare Malcolm Beckley, l’altro di trovare Amos Gage. Dovendo proteggere il nostro cliente, non potevo rivelare dov’era Amos Gage finché non avessi riferito alla mia cliente. Naturalmente, una volta scoperto il cadavere tutto è stato diverso. Ho dovuto informarne le autorità, ma non ero tenuto a raccontare come avevo saputo dove si trovava il corpo.

15

Andando a tutta birra, ci vogliono due ore e venticinque minuti da Los Angeles a Bakersfield. lo ne impiegai due.

Harvey mi accolse con le labbra arricciate e lo sguardo severo.

– Lam – disse – ho accettato di correre un brutto rischio per voi.

– Vi ringrazio.

– Ho tentato di nascondere la notizia ai giornalisti, ma qualcosa è trapelato. Non può essere colpa del vostro ufficio?

– No, perbacco!

Mi porse un giornale ancora fresco di stampa. Il titolo, in caratteri cubitali annunciava:

 

INVESTIGATORE CONTRO PROCURATORE DISTRETTUALE.

 

L’articolo diceva che correvano voci in base alle quali Donald Lam, dell’Agenzia COOL & LAM, il quale stava facendo indagini sul caso, sarebbe stato interrogato tra poco dal Procuratore Distrettuale che intendeva rivolgergli alcune domande oltremodo imbarazzanti. Il cronista aggiungeva che non era riuscito a raggiungere Lam ma che la socia, Bertha Cool, aveva fatto capire che non era da escludersi un colpo di scena.

– Che razza di storia è questa? – grugnii.

– Che cosa sa la vostra socia – disse Clover – di questa faccenda?

– Solo quello che le ho detto io.

– E poi?

– Nient’altro.

– E va bene. Se avete un asso nella manica, tenetevi pronto a sfoderarlo. Andiamo dal Procuratore Distrettuale.

La porta si aprì ed entrò un altro aiutante. Clover fece un gesto vago e mi disse: – Vado a vedere se il Procuratore Distrettuale è pronto a riceverci.

– Che tipo è?

– Vedrete – rispose enigmaticamente.

Clover uscì dall’ufficio e io feci un bel sorriso all’aiutante.

– Accidenti, non si può mai fidarsi di nessuno, eh? Come mai Amos Gage ha snocciolato tutta la storia?

L’aiutante si limitò a indicarmi il giornale.

– Io so soltanto quello che ho letto là.

Ripresi il giornale. C’era una breve dichiarazione di James il quale rinunciava a difendere Amos Gage. Era stata proprio questa defezione a spingere Amos a confessare tutto al Procuratore Distrettuale. Il giornale annunciava inoltre che il processo sarebbe stato iscritto a ruolo prima possibile, che il Procuratore Distrettuale Nunnely Ivan aveva promesso la massima solerzia, che il processo avrebbe avuto luogo a una data molto prossima e che il tribunale della Contea di Kern ci teneva a dimostrare che la giustizia non perdeva tempo.

C’era anche un’intervista di Daphne Beckley che aveva posato per i fotografi della stampa in occhiali neri e con le gambe accortamente valorizzate. Il Procuratore Distrettuale affermava che il caso non presentava incognite e che Amos Gage si sarebbe dichiarato senz’altro colpevole. Se non lo avesse fatto, l’Accusa aveva già in mano prove sufficienti per condannarlo. Si sarebbe, comunque, cercato di risparmiare alla signora Beckley la penosa prova di dover testimoniare al processo per l’assassinio di suo marito. La signora Beckley era prostrata dal dolore. Il suo medico le aveva consigliato di fare un viaggio, possibilmente oltremare.

Una redattrice sentimentale aveva scritto un lunghissimo articolo sulla vedova. Stavo appunto leggendolo quando riapparve Clover.

– Per di qua, Lam.

Mi precedette lungo un corridoio e mi fece entrare nell’ufficio del Procuratore Distrettuale. La porta si richiuse alle mie spalle e Clover annunciò: – Nunnely Ivan, ecco Lam.

Nunnely Ivan era un omaccione sui quarantasette o quarantotto anni, con due occhi neri acuti, un po’ troppo vicini. Non mi porse la mano.

– Sedetevi, Lam.

Mi sedetti.

– Ho appreso alcune cose molto antipatiche su di voi, Lam.

– Che cos’hanno di antipatico?

– Rischiate di essere accusato di complicità.

– Complicità in che cosa?

– In un delitto.

– Quale delitto?

– Vi prego. Lam! Niente commedie1 Sto parlando dell’assassinio di Malcolm G. Beckley.

– E con ciò?

– Voi avete consigliato al suo assassino di sottrarsi alla polizia, di nascondere prove a carico, e inoltre non avete segnalato il furto della macchina di Beckley.

Gli sbadigliai in faccia.

– Accidenti a voi, Lam. Non è uno scherzo! Vi siete giocato la licenza, questo ve lo garantisco io.

E non escludo che perdiate anche la libertà. Forza, sbadigliate adesso.

– Proteggevo una cliente.

– Non è vero. Ho parlato al telefono con la signora Beckley. Lei non vi ha mai chiesto di nascondere qualcosa. Voleva soltanto che si ritrovasse suo marito. Lei...

– Ma io non parlavo della signora Beckley! Alludevo ai parenti di Amos Gage.

Preso alla sprovvista, il Procuratore Distrettuale si accigliò.

– Che parenti?

– Una nipotina di quindici anni che ha cercato di essere coraggiosa ma che ha intuito che allo zio Amos era capitata una disgrazia.

A Ivan tutto ciò riusciva nuovo. Restò perplesso.

– Vengo a sapere dal giornali – proseguii – che alla signora Beckley verrà risparmiata la penosa prova del processo.

– Questo non ha niente a che vedere. Stiamo parlando di voi, non della signora Beckley.

– Avete ragione. Mi permettete di fare una telefonata?

– Perché?

– Prima di tutto, che numero ha la signora Beckley? No, no, non fa niente, l’ho qui sul mio taccuino.

Aprii il libricino e mi tirai vicino il telefono. Mentre formavo il numero chiesi al Procuratore Distrettuale:

– Chi ha suggerito che non fosse presente al processo? Voi o lei?

– Io. Le ho detto che la sua presenza non sarebbe servita a nulla e avrebbe soltanto riacutizzato il suo dolore.

Udii una voce all’altro capo del filo.

– Desidererei parlare con la telefonista dell’interurbana – dissi – quella che è incaricata delle telefonate provenienti da Central Creek e da Rommelly, per favore. Suppongo che passino tutte per la stessa linea, non è vero?

– Sì. È l’ufficio del Procuratore Distrettuale?

– Sì.

– Chi è all’apparecchio?

– Donald Lam. Passatemi la telefonista, per favore. Ho fretta.

Dopo alcuni istanti, risuonò un’altra voce.

– Pronto, ascolto. Di che si tratta?

– Vorrei controllare alcune comunicazioni interurbane che sono state fatte nella notte dal cinque al sei. Prima di tutto, una chiamata da Carver City a Los Angeles, al numero 6-5589 di Edgemont.

“Poi, voglio sapere se c’è stata una chiamata da Central Creek, circa trentacinque minuti più tardi, allo stesso numero, Edgemont 6-5589, e infine una telefonata proveniente da Rommelly verso le cinque del mattino, sempre a Edgemont.”

– Che diavolo state facendo? – strillò Ivan furibondo.

– Ciò che avreste dovuto fare voi da un pezzo. Controllo le telefonate.

– È perfettamente inutile! A proposito di quelle telefonate, ho la deposizione giurata della signora Beckley. Mi ha precisato l’ora e il tenore di quelle conversazioni. Ha riconosciuto perfettamente la voce di suo marito. Non ho bisogno di altre prove, io.

– Beato voi!

– Vi ordino di riagganciare. State cercando soltanto di guadagnare tempo. E non siete autorizzato a ficcare il naso nelle nostre indagini.

– Le avete controllate, allora, quelle telefonate?

– Neanche per sogno. Perché? Abbiamo la testimonianza della persona che le ha ricevute. La...

Harvey Clover intervenne.

– Un momento, Nunnely. Già che ci siamo, tanto vale controllare l’ora.

Attesi un po’ e finalmente la telefonista tornò all’apparecchio.

– Non c’è stata nessuna telefonata a quel numero da Carver City, né da Central Creek, né da Rommelly.

– Qualcuno non potrebbe aver chiesto il numero di Edgemont all’interurbana e non aver ottenuto risposta?

– Se l’abbonato non ha risposto, se non c’è stata la conversazione, non ci sono schede.

– Penso che sarà bene che ripetiate questo al Procuratore Distrettuale. Rimanete in linea.

Mi voltai verso Ivan.

– Non ci sono schede relative a chiamate da Carver City, da Central Creek o da Rommelly al numero 6-5589 di Edgemont, nella notte dal cinque al sei. Se quel numero fosse stato richiesto e nessuno avesse risposto, anche in quel caso, non ci sarebbero schede. Se la comunicazione ci fosse stata, ci sarebbe la scheda. Volete parlare alla telefonista dell’interurbana e farvi confermare quanto sto dicendo?

Ivan mi strappò di mano la cornetta.

– Qui Nunnely Ivan, Procuratore Distrettuale. Sentite, noi sappiamo che quelle telefonate ci sono state e posso precisarvi l’ora. Voglio che ritroviate quelle schede.

Fece una smorfia irritata, e squittì nel ricevitore: – Dannazione! Vi ripeto che quelle telefonate ci sono state! Ho la deposizione giurata di chi le ha ricevute!

Tacque, accigliato, poi, più calmo riprese:

– Sentite, non possiamo permetterci di sbagliare. Devo sapere. Quelle telefonate sono state fatte. Vuol dire che i vostri registri sono tenuti male, le schede in disordine. Fate come vi pare, ma trovatele!

Ivan riagganciò di colpo e si voltò verso di me.

– Ne ho fin sopra i capelli della vostra insolenza, Lam. Ho cercato di proteggervi. Ora è finita.

Fece un cenno col capo a Clover e sollevò la cornetta.

– Pronto. Mandatemi i giornalisti.

Si udì nel corridoio il rimbombo di una galoppata e la porta si spalancò. Mi adagiai sulla sedia e accesi tranquillamente una sigaretta.

– Signori – dichiarò Nunnely Ivan – ho cercato di tenere la cosa segreta perché temevo di commettere un’ingiustizia. Questo è Donald Lam, investigatore privato di Los Angeles che si è occupato del caso ed è stato incriminato da Amos Gage in una deposizione che l’accusato ha firmato oggi.

Un fotografo mi mitragliò. Un giornalista cavò di tasca un pacco di fogli e chiese a Ivan; – Fate una dichiarazione alla stampa?

Ivan esitò. Il mio amico Frank Malone mi guardò e aggrottò le sopracciglia.

– Lam, che cosa avete da dire?

– Un mucchio di cose. Farò anch’io una dichiarazione alla stampa.

– Forza! – fece Malone.

– Il Procuratore Distrettuale ha fatto, pochi secondi fa, una scoperta sbalorditiva. Non c’è nessuna scheda, nessun rapporto, nessun appunto di alcun genere che confermi che siano state fatte telefonate da Carver City, da Central Creek o da Rommelly al domicilio di Malcolm G. Beckley.

“Daphne Beckley, la vedova, afferma di aver ricevuto tre telefonate, la prima, di suo marito, da Carver City, la seconda anch’essa di suo marito ma da Central Creek e la terza, cinque ore dopo, da Rommelly, della autostoppista bionda. Il Procuratore Distrettuale ha accertato presso i servizi dell’interurbana che se quelle chiamate fossero state effettuate, sarebbero segnate su schede. Questo significa che quando ha affermato di averle ricevute Daphne Beckley ha mentito. Ciò significa che non era a casa sua la notte tra il cinque e il sei. Grazie alla perspicacia di Harvey Clover, qui presente, la polizia sta controllando un’audace ipotesi. Ve la dirò in due parole. L’autostoppista bionda, che realmente è esistita, altri non era che Daphne Beckley in persona, con una parrucca bionda e un paio di lenti a contatto colorate per modificare il colore degli occhi. D’accordo col marito ha cercato di truffare l’assicurazione di una somma di centocinquantamila dollari.”

– Un momento! – strillò Ivan. – Non avete il diritto...

Harvey Clover mi osservava, battendo le palpebre. Alzò la mano e si voltò verso Ivan.

– Aspettate, Nunnely! Lasciatelo parlare.

Ripresi:

– Malcolm Beckley guadagnava un sacco di quattrini, ma ne spendeva ancora di più. Aveva una polizza–vita di centocinquantamila dollari, in caso di morte violenta. Sua moglie e lui hanno pensato di mettere a punto un delitto perfetto. Tutto è cominciato quando si sono imbattuti, per un puro caso, in un tale che somigliava in modo sbalorditivo a Beckley. Quel tale si chiamava Amos Gage. I Beckley studiarono le abitudini di Gage. Cercarono i suoi amici e conoscenti, le persone che avrebbero potuto preoccuparsi della sua scomparsa. Se volessimo prenderci il disturbo scommetto che scopriremmo che si sono rivolti a un’agenzia di informazioni. Appresero così che Amos Gage andava soggetto a periodiche crisi di etilismo. Durante la sua ultima crisi lo hanno seguito passo per passo e quando Gage è capitato infine alla stazione di servizio di Carver City per mendicare un passaggio, Malcolm Beckley è sopraggiunto anche lui, come per caso. Questo faceva parte del piano. Pochi chilometri più avanti, hanno incontrato l’autostoppista misteriosa, ossia Daphne Beckley, in parrucca bionda e maglione attillato. È salita dietro, e Beckley si è fermato a Central Creek con molta ostentazione per offrire da mangiare ai suoi compagni di viaggio. In realtà, per telefonare a casa sua e assicurare a sua moglie un alibi. Beckley ha fatto finta di chiacchierare al telefono, dopo di che, è tornato dal suoi autostoppisti. Hanno proseguito poi verso Rommelly e, in un punto scelto in precedenza, la signora Beckley ha dato un bel colpo in testa a Gage. Fatto questo, Beckley e sua moglie hanno infilato un sentiero, trascinato Gage giù dalla macchina, e preso dal baule la leva del cric. Il piano era di colpire Gage fino a renderlo irriconoscibile e di abbandonare il suo cadavere in modo che fosse già decomposto quando la polizia lo avrebbe trovato. Hanno infilato nelle tasche di Gage le carte e le chiavi di Beckley. Ma, in quel momento, Beckley ha perso la calma. All’ultimo momento, non ha avuto il coraggio di andare fino in fondo. Lo stomaco gli si è rovesciato ed è andato a rimettere dietro un cespuglio. Poi, probabilmente è andato a lavarsi al ruscello. Sua moglie si è resa conto allora della situazione in cui si trovava. Aveva progettato un omicidio con un pusillanime che non aveva il coraggio di andare fino in fondo. Se avesse ucciso Amos, Malcolm si sarebbe prima o poi sgonfiato e, alla fine, sarebbe andato a confessare tutto alla polizia. Perciò, perché rischiare la camera a gas per una sostituzione di cadavere? A Daphne sarebbe bastato un marito morto per diventare una ricca vedova. Perché non uccidere i due uomini e lasciare che la polizia corresse dietro alla misteriosa autostoppista bionda? Aveva un alibi a prova di bomba, fornitole da suo marito! L’idea le parve ottima e la mise immediatamente in esecuzione. Ma poi, prima che avesse avuto il tempo di ritrasferire la roba di Malcolm dalle tasche di Gage a quelle del marito. Amos è rinvenuto. È salito in macchina e si è allontanato. Il delitto perfetto aveva fatto un po’ cilecca, ma mica poi tanto. La signora Beckley aveva il suo bel cadavere del valore di centocinquantamila dollari. Ora poteva far cadere i sospetti su Amos. A piedi raggiunse dunque Rommelly e chiese un carro-soccorso. Contava infatti che il garagista andasse, non trovasse nessuna macchina con la gomma a terra e tornasse indietro. Ma il giovanotto che andò ad aprirle, le piacque e lei pensò a un tratto che avrebbe potuto rafforzare la favola della bella autostoppista.

“Entrò perciò nel garage e i due discussero di tutt’altro che del carro-soccorso. Quando infine Daphne Beckley decise di andarsene, Tom Alien ritenne che fosse ormai troppo tardi per disturbarsi.”

Nunnely Ivan aprì la bocca per dire qualcosa, ma cambiò idea e restò muto.

– Gli uomini dello sceriffo – proseguii – in seguito a un abile lavoro di deduzione dovuto a Harvey Clover sono riusciti a mettere le mani sullo specchietto di Tom Alien, specchio di cui la misteriosa bionda s’era servita. Ci sono delle impronte perfette e tracce di rossetto. Abbiamo ragione di pensare che quelle impronte siano di Daphne Beckley. Il laboratorio della polizia le sta verificando.”

Tacqui e accesi una sigaretta.

– Per tutto ciò ci vorrebbe conferma – disse Frank Malone. – Forse che...

Clover si alzò di scatto.

– Signori, non sospettavamo affatto che Donald Lam vi avrebbe rivelato tanto. Ha lavorato di concerto con noi, ma non eravamo ancora pronti a fornirvi tutti questi particolari. Vi pregherò di aspettare ancora alcuni minuti.

– Aspettare? Con simili informazioni? – esclamò Malone. – Ma siete matto!

Clover si voltò furibondo verso il giornalista.

– Uscite! Basta costi Siate maledetto Lam, non c’era bisogno che spifferaste tutto.

– Non volevate che facessi una dichiarazione alla stampa? Non li avevate chiamati per questo?

– No. E ora, uscite. Uscite tutti. Avrete una dichiarazione ufficiale tra... tra una mezz’ora. Nunnely, va bene?

– Diciamo tre quarti d’ora, Harvey – fece il Procuratore Distrettuale.

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