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Per la forma, il peso e la cattiveria, Bertha Cool mi ricordava invariabilmente un grosso rotolo di filo spinato. I suoi occhietti acuti mi osservarono lanciando scintille.
– Il Principe Azzurro! Babbo Natale in persona! Mi hai fatta passare per la Strega, per poter recitare meglio la parte del Principe Azzurro con la ragazzina!
– Desideravo sapere che cosa voleva.
– Io so benissimo che cosa voleva. Cerca compassione, calore e carità. È questo il guaio, con te.
Hai tutte le ignobili virtù del cosiddetto sesso forte. Basta che una donna, di qualsiasi età, sbatta le ciglia e sprema una lacrimuccia, ed eccoti pronto a fare il cavaliere della Tavola Rotonda. Se tu non fossi così scemo, capiresti la vita. Quella marmocchia ha una madre. La madre è abbastanza grande per essere dritta. Se ci manda la piccola, non lo fa perché è troppo ammalata per muoversi, ma per pizzicarci la corda del sentimento.
Mi limitai a sorridere.
– Perché volevi vedermi?
– Non ho il minimo desiderio di vederti! Tu e le tue arie cavalleresche! Tu e il tuo magnanimo cuore! Che Dio ti spacchi, Donald, se lo non avessi le natiche ben piantate sulla cassaforte, ci ridurresti sul lastrico in quattro e quattr’otto!
– Può aspettare?
– Che cosa può aspettare?
– Quella cosa urgente che avevi da dirmi!
– Porca miseria, no, non può aspettare!
– Allora, ti ascolto.
– Oh, no – sogghignò Bertha. – Dopo tutto, non ha alcuna importanza. Non si tratta che di cinquecento dollari di acconto, di cinquanta dollari al giorno di compenso, di trecento dollari per le spese e di un premio di cinquecento dollari una volta concluso l’affare, In un modo o in un altro.
Nessuna importanza, ti ripeto.
Bertha fece un gesto impaziente con le mani, come per gettare qualcosa nel cestino della cartaccia, e i brillanti alle dita scintillarono.
– Noi non abbiamo bisogno di simili miserie. Per carità! Siamo troppo fieri e troppo indipendenti per preoccuparci di una banale questione di denaro. Denaro, che cos’è ‘sta roba? A che serve? Vuoi mettere con la corsa ai miraggi? Mi scuserete! L’agenzia Cool e Lam lavora solo per i brefotrofi.
Bertha si stava scaldando. Fece il gesto di afferrare il ricevitore del telefono: – Come dite? Duemila dollari? Spiacente, la cosa non ci interessa. I nostri agenti sono tutti sguinzagliati alla ricerca di un orso di pezza che una bimba di cinque anni non ricorda più dove ha cacciato.
Bertha finse di riagganciare brutalmente. Aprii la porta.
– Dove diavolo vai? – strillò.
– Via. Ho da fare, io!
– Il tuo daffare! Una marmocchia dinoccolata con gli occhi blu! Che Dio ti fulmini! Torna qua e parliamo seriamente.
– Sarebbe ora! Finora non hai detto che fesserie!
Bertha strinse i denti da bulldog, e le gote le fremettero indignate. Fece scintillare di nuovo i brillanti e raccolse un pacco di foglietti.
– Stai a sentire! Malcolm Greenlease Beckley è scomparso da più di otto giorni. Sua moglie, Daphne Beckley, è fuori di sé. Vuol ritrovare il consorte.
– Perché?
– Perché? – squittì Bertha. – Accidenti a te, come vuoi che lo sappia? Sarà innamorata del povero babbeo, suppongo.
– Assicurazione?
– Come? Qual è il motivo di questa domanda?
– Il premio di cinquecento dollari. Nessuna moglie si sogna di offrire un premio dopo appena una settimana di separazione.
Gli occhi di Bertha tentarono di incenerirmi, ma in fondo ad essi apparve un lampo di ammirazione e di interesse.
– Sei un maledetto furbastro, Donald. A volte mi chiedo come fai... E altre volte, mi stupisco che qualche donnina avida non sia ancora riuscita a fregarti i denti d’oro, la camicia e il resto.
– C’è di mezzo dunque un’assicurazione?
– Settantacinquemila dollari, e il doppio in caso di morte accidentale.
– Da dove cominciamo?
– Comincerai con l’andare dalla signora Beckley. Nome, Daphne. Dalla voce, deve essere un boccone da re.
– E mi lasci andar solo?
– Non preoccuparti. Il lato spiccioli è già completamente sistemato. Puoi andarci e lasciare che faccia la smorfiosa. Non cambierà nulla. Il prezzo è già stato fissato e stai tranquillo, Donald, che non cercherà di imbrogliarti. Sa che da parte mia non otterrà una riduzione neanche del cinque per cento. Perciò troverai la nostra cara piccola cliente con gli occhi bassi. Ma se la grassa Bertha non avesse fissato la tariffa, avresti dovuto affrontare una girandola di gambe accavallate e di occhiate assassine.
– Dove posso trovarla?
– Appartamenti Ringolds. Numero 721. Ti aspetta. Vai, ti racconterà la sua triste storia, a meno che non abbia cambiato idea mentre tu ti diverti a tenere la mano di quella piccola magrolina nella tua.
– E le spese? – m’informai.
– Abbiamo trecento dollari. Se le spese oltrepassano tale somma, dobbiamo scucire di tasca nostra.
– Non basteranno.
– Debbono bastare.
– Bene. Vado a incassare un assegno di trecento dollari sulla nota spese.
Bertha inarcò un sopracciglio con aria corrucciata.
– Potresti anche cominciare con cinquanta dollari, e prelevarne secondo le necessità.
– Io non lavoro in questo modo. Il mio metodo consiste nel cominciare con trecento dollari, salvo rimborsare poi quelli che non avrò speso.
La faccia di Bertha divenne paonazza e la grassona emise alcuni suoni inarticolati, ma io non attesi l’esplosione. Infilai la porta, chiusi accuratamente l’uscio e tornai nel mio ufficio.
Sandra Eden stava ancora chiacchierando con Elsie Brand. Diedi un’occhiata agli appunti della mia segretaria.
– Niente foto? – domandai.
– Ritiene che sua madre debba averne qualcuna.
– Come siete venuta qui? – domandai a Sandra.
– Con l’autobus.
– Volete rientrare in macchina?
– Con voi?
Annuii. Gli occhi della ragazzina s’illuminarono.
– Ne sarei entusiasta!
– Venite, allora.
Mi fermai alla cassa per prendere i trecento dollari, feci salire Sandra nel macinino dell’agenzia e partimmo.
La casa in cui viveva Sandra era piuttosto decrepita e la signora Eden non si aspettava visite.
– Sono spaventosa – disse – non posso ricevere nessuno.
– Non sono venuto per vedervi, ma per ascoltarvi. Inoltre, ho fretta.
La donna fece un gesto di falsa esasperazione, ma lo sguardo che rivolse a Sandra era affettuoso.
– Sandra mi aveva detto che sarebbe venuta da voi – disse. – Ho tentato di dissuaderla. Ci vogliono quattrini per assumere Investigatori.
– Eh, già!
– Ma, vedete – replicò la donna con una risata forzata.
– In questo momento, siamo un po’ a corto.
– Parlatemi dello zio Amos.
– Si chiama Amos Gage. Deve entrare in possesso, quanto prima, dell’eredità di suo zio.
– Come si chiamava lo zio?
– Elbert.
– E quel denaro?
– È bloccato. Se Amos Gage arriva a trentacinque anni senza mai essere stato condannato per un reato importante, incassa l’intero patrimonio. Se muore prima di aver compiuto trentacinque anni, e se incorre in una condanna, il denaro deve essere diviso tra varie opere pie.
– Quanti anni ha, adesso?
– Farà i trentacinque fra una quindicina di giorni. Fino a quel giorno, il fide-commissionario gli versa un mensile.
– Buffa situazione. Solo che guidi un momento in stato di ubriachezza, l’eredità gli sfuma sotto il naso.
– Perché dite questo?
– Perché quello è un delitto grave e moltissimi c’incappano.
– Be’, lui... È... Credo che sia stato questo a impensierire suo zio. Capirete, mio cognato ha un debole per la bottiglia.
Annuii.
– Sandra ve l’ha già detto?
– Sentite, vorrei udire la vostra versione.
– Voi... Voglio dire, la vostra agenzia accetta di aiutarci?
– Non lo so ancora. Mi auguro che ci si possa metter d’accordo.
– Non ho un soldo.
– Lo so.
– E se anche lo troverete, può darsi che sia un colpo duro.
– Come mai?
– Temo che possa aver guidato un’auto ubriaco o roba di quel genere... magari è in prigione, chissà dove. Forse sarà stato abbastanza furbo da dare un nome fasullo.
– E la patente di guida?
– Non avrà commesso l’errore di mostrarla. Può averla gettata via.
– È intelligente?
– Sì, abbastanza, ma è più furbo che intelligente.
– Bene. Lo troveremo, e se è in prigione per aver guidato in stato di ubriachezza, che cosa succede?
– Ci rimette l’eredità.
– Quanto?
– A quest’ora, dev’essere sui settecentocinquanta mila dollari, credo. L’eredità iniziale era di circa mezzo milione, ma il denaro è stato investito accortamente e le azioni sono salite.
– E se lo troviamo e non è in prigione?
– Allora mi aiuterà. Avrei tanto bisogno di lui, questo mese, ma temo... Non penso ad altro, signor Lam. Mi angoscia il fatto che nessuno abbia sentito parlare di lui. Ho proprio paura che sia finito in prigione.
– Quando avete avuto sue notizie per l’ultima volta?
– Posso fidarmi di voi, signor Lam?
– Sì. D’altronde, sarà meglio.
– Lui ha le sbornie cicliche, come si dice. Quando però gli viene la crisi e sa che passerà un periodo di piena, rendendosi conto di quel che gli capiterebbe se guidasse ubriaco, al primo bicchiere mette le chiavi della macchina in una busca e me le fa avere.
– Abita vicino a voi?
– Qui accanto.
– In un appartamento?
– No, un villino.
– Dove lascia la macchina?
– Nel garage, dietro la casa.
– Bene. Sicché, vi manda le chiavi, avete detto. E poi?
– Io le conservo finché la crisi non è completamente passata. Capita a volte che venga a mendicare le chiavi, ma io non gliele consegno se prima non ha superato la crisi.
– Come fate a sapere quand’è finita?
– Be’, non è più lo stesso. È difficile spiegarvelo.
– Avete sposato suo fratello?
– Sì.
– E vostro marito è morto?
– Sì.
– Vi siete risposata?
– Appunto.
– Sandra è figlia del primo marito?
– Però ha cambiato nome quando ho sposato James Eden.
– Perché?
– La sua famiglia mi ha sempre odiata. Tutti, tranne lo zio Amos.
– E Elbert?
– Non mi ha mai accolta. Alla morte del mio primo marito, Elbert mi ha chiuso la porta in faccia. Non ha voluto vedere mai più né me, né Sandra.
– Come si chiamava il vostro primo marito?
– Norman Gage.
Lasciai perdere.
La signora Eden indugiò un attimo e proseguì:
– Per tornare ad Amos, anche questa volta ho ricevuto una busta contenente le chiavi della macchina. Sapevo che lo zio Amos era “partito”, probabilmente per festeggiare in anticipo il suo trentacinquesimo compleanno, ed ero terribilmente preoccupata e piena di apprensione.
– E poi?
– Pochi giorni fa, ho ricevuto una cartolina postale, da Carver City. Era partito in tutti e due i sensi. Ma mi diceva che gli era passata la sbornia e che rientrava.
– Da Carver City?
– Sì.
– Come, intendeva rientrare, se non aveva le chiavi della macchina, né un soldo in tasca?
– Facendo l’auto-stop.
Inarcai le sopracciglia.
– Quando lo zio Amos si sbronza – spiegò la donna – io... dovete capire, signor Lam, è una specie di strana necessità. Non è solo la voglia di bere, ma un desiderio più profondo, qualcosa di psicologico, o di fisiologico, non saprei... Questo...
– È tempo perso cercar di scoprire perché bevono gli ubriaconi “celibi”. Nessuno ci capisce un’acca.
– Già, lo zio Amos è fatto così. Beve finché non ha più un soldo. Riceve trecento dollari al mese.
Si chiama fidecommesso. A farla breve, per timore della sua prodigalità, suo zio non ha voluto che avesse troppo denaro da sperperare.
– Vedo.
– Perciò, quando ha speso tutto, cerca di solito una stazione di servizio diretta da un membro del Rotary.
– Del Rotary? Perché?
– Perché è socio anche lui. Dice che ne trova sempre qualcuno. Si rivolge dunque al padrone del garage e gli chiede di aiutarlo a fare l’autostop. A volte incappa in un tale pieno di buona volontà che gli procura una macchina che va nella sua direzione. Altre volte, il garagista si limita a chiudere un occhio, mentre lo zio interroga gli automobilisti di passaggio. Lo zio Amos sceglie di preferenza automobilisti soci del Rotary.
– E riesce a tornare a casa?
– Sì. Qualche volta arriva in due o tre tappe. A volte, ha la fortuna di fare il tragitto in un colpo solo.
– Cosicché avete ricevuto una cartolina dello zio Amos.
– Imbucata a Carver City, si. Mi diceva che tutto andava bene, che la crisi era passata, ch’era completamente al verde e che aspettava un colpo di fortuna in un garage diretto da un Rotariano.
Sperava di essere di ritorno tra ventiquattro ore.
– E poi?
– Silenzio. Silenzio assoluto.
– Non avete pensato di avvertire la polizia?
– Già, ma se ha fatto qualcosa di storto e la notizia diventa ufficiale?
– Ossia?
– Se è in prigione, faranno rapporto e si verrà a sapere.
– Mentre invece noi...
– Se lo rintracciasse un’agenzia privata... insomma, come vostra cliente, dovreste proteggermi, no? Non sareste tenuti a dire tutto ciò che sapete. Potreste aiutarlo a uscire di prigione in modo che... be’, insomma, senza che si sappia.
– Volete dire che siete pronta a nascondere la verità pur di permettergli di incassare l’eredità?
La donna chinò un attimo gli occhi, poi li rialzò con un gesto di sfida.
– Sì! Quella disposizione testamentaria è crudele e ingiusta. Ha contribuito a far perdere allo zio Amos ogni fiducia in se stesso. Se l’avessero lasciato in pace, se la sarebbe cavata benissimo.
Sapeva anche lui che aveva bisogno di curarsi, ma quel fidecommesso è un marchio di disprezzo. È odioso. In base al testamento, lo zio Amos incassa trecento dollari al mese, ma deve presentarsi personalmente all’ufficio del fide-commissionario, un avvocato, che gli versa i trecento dollari in contanti e lo zio Amos firma una ricevuta. E, ogni volta, l’avvocato ci aggiunge di sua iniziativa un sermone. Lo zio Amos esce di là talmente furibondo che si precipita nel primo bar che incontra.
Mi voltai verso Sandra.
– Immagino che Sandra sia al corrente di tutto ciò?
– Non abbiamo segreti tra noi – disse la madre.
– Avete una sua fotografia?
– Ne ho una, una istantanea di noi tre, presa sei mesi fa.
– È somigliante?
– Credo di sì. Naturalmente è una fotografia fatta da un dilettante, ma a me sembra buona.
– Vediamola. Vorrei vedere anche quella cartolina postale, l’avete conservata?
La donna si alzò e si diresse a uno scaffale di libri da cui prese un volume delle “Avventure di Ellery Queen”. Vicino c’erano tre Conan Doyle, alcuni romanzi di Rex Stout e un volume intitolato “I delitti di Los Angeles”. Mi accigliai.
– Le letture di Sandra – mi spiegò la signora Eden. – Si nutre di letteratura gialla, questa ragazza. Ecco la foto. La tengo in un libro perché non si sciupi.
Mi porse la fotografia, e andò a prendere la cartolina postale, in un piccolo secrétaire. Le esaminai tutte e due, e m’infilai in tasca la foto.
– E dopo Carver City, non avete avuto più notizie di Amos Gage?
– No.
– Bene. Ci farò su un pensierino e vedrò se possiamo aiutarvi – dissi restituendole la cartolina.
Le strinsi la mano, e Sandra mi accompagnò alla porta.