56 GIORNI PRIMA DI NATALE

Ora di pranzo

Il mare cantava i suoi versi, Morvellan si ergeva sulle scogliere come un prete metodista vestito di scuro, impegnato a proclamare le letture con voce severa ai fedeli sottostanti. David percorse il vialetto umido e tappezzato di foglie verso l’appartamento di Juliet, assorto nei suoi pensieri.

«Ciao, mamma.» Gli bastò guardarla in faccia per capire che era ubriaca fradicia. Le serviva per scacciare i brutti ricordi e alleviare la solitudine.

«Oh, oh, David, che bello vederti! Pensavo che avremmo cenato insieme stasera, in cucina.»

«Infatti è così, ma prima volevo parlarti, a quattr’occhi.»

Probabilmente era imbottita di porto. Spesso la madre mescolava le annate migliori con la limonata del supermarket.

«Parlarmi, David?»

«Ci sono un po’ di cose di cui parlare. Carnhallow, per esempio. E poi Rachel.»

«Carnhallow! La vita qui era così piacevole.»

«Mamma...»

Vagava per il corridoio. David si accorse, troppo tardi, di averla già mandata in confusione. Prima ancora di farle qualche domanda, si sarebbe dovuto sorbire uno dei suoi infiniti monologhi sconclusionati.

Facendolo accomodare in salotto, Juliet diede un sorso al suo drink e fissò le foto ingiallite sulla mensola del camino.

«Bene, bene, bene, da dove incomincio? Carnhallow? La vita a Carnhallow non era male un tempo, lo sai? Tuo padre lo amavo davvero allora, prima che diventasse così violento. Voi Kerthen siete tutti uguali, affascinanti, gran seduttori, ma poi, oh...»

Aveva gli occhi sognanti, persa nelle confuse sale da ballo della memoria, eccitata e pronta a danzare, e a cadere... senza nessuno a raccoglierla. Non più.

«Mamma... io...»

Non c’era niente da fare.

«Ti ho mai parlato dei picnic che facevamo? Vieni, vieni. Serviti un porto, Fonseca 2000, ho convinto Cassie a rubartelo dalla cantina. Mi farai chiudere in prigione per questo? Non mi butterai nella miniera di Ding Dong, vero, caro? Mmm... Su, bevi qualcosa. Allora, mi chiedevi com’era la vita qui, caro?»

David prese il bicchiere dalla sua mano tremante, anche se non ne aveva nessuna voglia. Non poteva farci niente, doveva lasciarla parlare. La memoria a breve termine di Juliet faceva spesso cilecca, ma del passato non dimenticava neppure una virgola, e lei adorava raccontare di quando era giovane. Perché ormai non le restava altro.

David provò una gran pena per la madre. Una volta morta lei, sarebbero rimasti solo lui e Jamie, gli ultimi Kerthen. Le voleva ancora un gran bene. Lei l’aveva protetto quando suo padre era ubriaco e lo trattava con crudeltà. E adesso lui sopportava i suoi monologhi.

«Oh, le feste che organizzavamo qui, David, prima che tu nascessi! Certe feste, feste estive, qui, e a Lamorran, Trelissick, Lanihorne Abbey... Mazzi di fiori ovunque, così tanti fiori, e tutte le ragazze dei villaggi, da Zennor a Geevor a Morvah, me le ricordo, facevano quelle fatine con la malvarosa...»

David si accomodò sulla poltrona nel salottino strapieno di cianfrusaglie e si lasciò sommergere da quel mare di parole, frammenti segnati dall’Alzheimer di uno stile di vita ormai perduto per sempre. Una metà di quei ricordi provenivano dai genitori di Juliet, da sua nonna e dalla sua bisnonna, altri appartenevano all’infanzia e alla giovinezza della donna. Eppure questi caotici cimeli di famiglia erano inestimabili, forse la ragione stessa per cui David cercava disperatamente di rimanere aggrappato a Carnhallow. Gli ultimi ricordi, la vecchia gloria, i Kerthen di un tempo, i Kerthen di Carnhallow. In qualche modo lui avrebbe potuto ripristinare quei fasti, chissà...

La madre bevve un sorso del porto da duecento sterline, poi lo mescolò alla limonata da due soldi, quindi riprese a divagare in tono lirico: «Tu non te ne puoi ricordare, è stato molto tempo prima che nascessi – ti ho avuto così tardi, a quarant’anni, troppo tardi per un fratellino, pensavamo tutti che non sarei mai riuscita a... hai capito, no? È stata una gioia immensa, sei stato una grande sorpresa. Ma a me non sarebbe dispiaciuto essere sterile, non tanto, anche se Richard mi avrebbe lasciato di sicuro. La vita era bella, non volevo che cambiasse. Avrei voluto rimanere giovane per sempre con le feste e i balli». Il suo sorriso era eccitato, gli occhi chiusi, sprofondati in un sogno a voce alta. «E poi i pranzi... i pranzi erano una meraviglia, David. Aspic di piselli alla menta, prosciutto di Bradenham e pernice bianca.»

«Mamma, cara...»

«E poi, in estate, le nuotate. Mia sorella e io e tutti i nostri amici eravamo sempre scalzi, correvamo per i prati, giù fino al mare.» Un altro sorso di porto, un secondo spruzzo di limonata della Lidl. «Un giorno faceva così caldo che ci siamo tuffati direttamente dal barcone nella baia, e quando siamo tornati a nuoto sulla spiaggia qualcuno ci aveva piegato i vestiti e dopo siamo andati con i pony Dartmoor sulle dune e giù fino a Carnhallow, attraverso il Ladies Wood, e nell’aria c’era profumo di trifoglio bianco, me lo ricordo bene, e di paglia di grano, ed era tutto così bello, quell’immensa marea di campanule nel verde, e poi siamo arrivati a casa e sul tavolo di olmo c’era, oddio, c’era di tutto, piatti di aragosta, e poi miele, e panna freschissima. Ci hanno dato il latte con un goccio di brandy e vaschette di lamponi bianchi di Carnhallow. Che meraviglia, che meraviglia!...»

Un ultimo sorso di porto.

«Ed è stato allora che mi sono innamorata di tuo padre, David. Lui era andato a studiare a Oxford e io lo conoscevo pochissimo ed ero mezzo innamorata dei suoi cugini, ma poi l’ho visto, era bellissimo, è arrivato a piedi dal Ladies Wood. Un giovanotto in gilè e camicia bianca macchiata di resina rossa, e mi ha portato in giardino... Tu non puoi ricordare il giardino com’era a quei tempi, vecchio, vecchio, vecchio, David, così vecchio. I muri di cinta in pieno sole, con i garofani rosa, e la maggiorana, e il timo, e al centro, nell’aiuola verde, c’era una carriola, ed è stato lì che mi ha fatto sedere e ci siamo baciati. Tuo padre e io, per la prima volta.»

Qui perse la parola. Era finita questa danza di ricordi sconnessi? «Mamma, vorrei farti una domanda.»

Adesso era assente, lo sguardo perso nel vuoto. David si rese conto che la preferiva quando era su di giri, anche se magari leggermente svagata.

«Una domanda, caro?»

«Sì, una domanda. Secondo te, Jamie e Rachel vanno d’accordo? Perché mi sembra di percepire una leggera tensione. E Rachel si comporta in maniera sempre più strana e fa commenti spesso fuori luogo. In più, non fa altro che ficcare il naso dappertutto e riempirmi di domande.» David si lasciò sfuggire un sospiro esasperato. «Dev’essere successo qualcosa, qualcosa di sbagliato.»

«Quello che succede è la vita, caro. Jamie vuole già bene a Rachel, io lo capisco. Sarà una buona sostituta, vedrai. Lei lo confonde, di sicuro lui è confuso. Del resto, siamo tutti confusi.»

«Sì, certo. Ma Rachel si comporta in maniera strana e credo che non faccia bene a Jamie. La dinamica che si è instaurata tra loro... non va bene, e sta facendo peggiorare le cose.»

«Bene. Cosa può essere? Tensione a Carnhallow, che strazio. Perché non chiedi a Nina come mai c’è questa tensione?»

Lui si irrigidì. Era tutta colpa della demenza, lo sapeva che le rubava il cervello, ma sentire quelle parole lo fece soffrire. «Mamma?...»

«Perché non glielo chiedi? Lei lo sa meglio di chiunque altro cosa significa venire a vivere qui, e vedrai che ti saprà spiegare cosa sta vivendo Rachel.» Parlava in fretta, in tono concitato, eppure i suoi occhi erano lucidi e attenti mentre giocherellava con la collana di perle. «Sì, mio caro, chiedi a sua madre, o chiedi a tua moglie, sei stato tu a sceglierla e a farle fare quello che voleva, perciò lei riuscirà a capirlo meglio di chiunque altro, non credi?»

«Ma, mamma...»

Juliet era sempre più nervosa, quasi arrabbiata.

«Ora basta con questa storia, devo andare a riposarmi. Sono letteralmente esausta. Su, su, adesso vai. Arriva un mucchio di gente domani. Dovremmo portarli fuori con il calesse se è una bella giornata, sono anni che non lo usiamo più, vero, in primavera, quando le siepi sono tutte gialle e piene di ranuncoli... Che bello, che bello! E poi tutto rosa, con i crescioni dei prati...»

Le lacrime cominciarono a rigare le sue guance.

«Mamma...»

«No.»

La sua cara mamma, con i suoi modi impeccabili d’altri tempi, lo stava rimproverando aspramente. «No, David, adesso no. Ti prego, vai via. Starò meglio domani. Adesso lasciami sola. Lasciami con tutta quella gente, non ricordo più neanche come si chiamano. La casa è piena di gente e non so neanche chi sono. Li vedo, li vedo. Tu l’hai fatta venire qui e io devo guardarli, di notte, alla finestra, giù a Morvellan. È una vera ingiustizia.»

David la conosceva bene, e sapeva che questo sbalzo d’umore non sarebbe passato tanto in fretta. Anche se in effetti questa volta era peggio del solito. «Okay, mamma, me ne vado.»

Lei agitò una mano per salutarlo, senza dire una parola.

David richiuse piano la porta. Inalando l’aria fresca, guardò in lontananza il groviglio di alberi scuri del Ladies Wood, giù fino al mare. Le bacche d’autunno brillavano rosse sui sorbi, come macchie di sangue sui rami neri.

A modo suo, la madre di David aveva perfettamente ragione. C’erano troppi fantasmi e ricordi a Carnhallow. L’intensità del passato era eccessiva. L’ultimo paio di mesi anche lui aveva sentito il bisogno di tenersene lontano, anche se era da sempre che metteva in gioco tutto pur di conservare la casa e farla rimanere in possesso della sua famiglia.

“Ti prego, vai. Comincia una nuova vita. Vai.”

Eppure non poteva. Non poteva essere il primo Kerthen ad abbandonare Carnhallow, il primo ad andarsene dopo mille anni. Si sentiva imprigionato. Il passato pesava su di lui come l’oceano sopra i tunnel di Morvellan. Era uno dei tanti minatori tra le molte generazioni di Kerthen che estraeva la vita dalla roccia spietata.

Mentre tornava nell’Ala Est, dando calci alle foglie cadute, ripensò a quei giorni e a quelle ore tremende. La ricerca del corpo di Nina, le auto della polizia parcheggiate attorno a Morvellan.

I sommozzatori avevano passato giorni e giorni a frugare nelle miniere, nei condotti dei pozzi tutti collegati – Jerusalem, Coffin Clista e la grande diagonale del Wethered Cut –, immergendosi nelle acque gelide e pericolose alla ricerca del suo corpo, ma fin da subito fu chiaro a tutti che trovarla sarebbe stato un vero miracolo.

Una settimana dopo la scomparsa di Nina, i detective l’avevano invitato a sedersi e gli avevano riferito il verdetto del medico legale.

Quasi tutti i morti affogati affondano nel giro di pochi minuti, gli avevano spiegato, perché l’acqua riempie i polmoni e i corpi non riescono più a rimanere a galla. Comunque, a meno che non vi siano legati dei pesi o gli abiti non siano particolarmente pesanti, i cadaveri tornano in superficie nel giro di qualche giorno per via dei gas che si formano e li gonfiano, facendoli spuntare letteralmente fuori dall’acqua come macabre paperelle di gomma.

Ma certe volte non succede. Come nel caso di corpi affogati in un’antica e intricata miniera sott’acqua. Quel genere di cadaveri era molto difficile da rintracciare.

Perciò Nina, o meglio il corpo di Nina, poteva essere ovunque, disse l’agente. Un giorno, chissà quando, sarebbe potuto riemergere, o almeno i suoi resti orribilmente decomposti; oppure non l’avrebbero mai più ritrovato. David ripensò al modo in cui l’agente aveva aggiunto, quasi a mo’ di battuta: «In effetti Morvellan sarebbe un posto perfetto dove gettare la vittima di un omicidio, anche se non si tratta ovviamente del vostro caso. Altro caffè?».

Aveva accettato la brodaglia insapore, ma il retrogusto di quella chiacchierata gli era rimasto impresso per mesi.

Omicidio.

In fondo al vialetto, prima di girare a destra verso il portone principale, David si fermò, attirato dalla lugubre canzone che il mare intonava in lontananza. Come i minatori che alla domenica in chiesa cantavano inni alla loro miseria, tanti anni prima.

Un posto perfetto dove gettare la vittima di un omicidio.