Nel 1999 in Austria un gruppo di fisici sparò una serie di molecole a forma di pallone da calcio contro una barriera. Si trattava di molecole, ciascuna formata da sessanta atomi di carbonio, chiamate a volte buckyballs, in onore dell’architetto Buckminster Fuller che costruiva edifici di quella forma. Le cupole geodetiche di Fuller erano probabilmente i più grandi oggetti a forma di pallone esistenti. Le buckyballs erano i più piccoli. La barriera contro cui gli scienziati le proiettavano presentava in realtà due fenditure attraverso le quali le buckyballs potevano passare. Al di là della barriera i fisici avevano disposto l’equivalente di uno schermo per rivelare e contare le molecole che la superavano.

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Buckyballs. Le buckyballs sono simili a microscopici palloni da calcio fatti di atomi di carbonio.

Se dovessimo allestire un esperimento analogo con veri palloni, avremmo bisogno di un giocatore magari con una mira meno precisa ma con la capacità di lanciare i palloni sempre con la velocità scelta da noi. Collocheremmo questo calciatore davanti a una parete in cui ci sono due fenditure. Oltre la parete, e parallela a essa, disporremmo una porta molto lunga. Gran parte dei tiri del giocatore colpirebbero la parete rimbalzando all’indietro, ma alcuni passerebbero da un’apertura o dall’altra ed entrerebbero in porta. Se le aperture fossero appena più larghe del diametro dei palloni, dall’altra parte uscirebbero due flussi altamente collimati. Se le aperture fossero un po’ più ampie, ciascun flusso si allargherebbe un po’ a ventaglio, come mostra la figura qui sotto.

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Calcio verso una parete a due fenditure. Un giocatore che calciasse palloni verso le fenditure aperte in una parete produrrebbe una distribuzione ovvia.

Si noti che se chiudessimo uno dei varchi, il corrispondente flusso di palloni non passerebbe più, ma non si avrebbe nessun effetto sull’altro flusso. Se riaprissimo il secondo varco, aumenterebbe il numero dei palloni che arrivano in ogni dato punto al di là della parete, perché ci sarebbero tutti i palloni che passavano attraverso il varco che era rimasto aperto, e in più altri palloni provenienti dal varco appena riaperto. In altre parole, ciò che si osserva con entrambi i varchi aperti è la somma di ciò che si osserva con il primo varco aperto e il secondo chiuso e di ciò che si osserva con il primo varco chiuso e il secondo aperto. Questa è la realtà a cui siamo abituati nella vita quotidiana. Ma non è quello che i ricercatori austriaci videro quando spararono le loro molecole.

Nell’esperimento effettuato in Austria, l’apertura del secondo varco aumentava effettivamente il numero delle molecole che arrivavano in certi punti dello schermo, ma diminuiva il numero in altri punti, come nella figura qui sotto. Anzi, c’erano punti in cui non arrivava nessuna buckyball quando entrambe le fenditure erano aperte, ma ne arrivavano quando era aperta soltanto una o l’altra delle fenditure. Sembra molto strano. Come è possibile che l’apertura di un secondo varco faccia arrivare meno molecole in certi punti?

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Calcio con buckyballs. Quando vengono sparati palloni da calcio molecolari verso le fenditure aperte in uno schermo, la distribuzione riflette strane leggi quantistiche.

Possiamo farci un’idea della risposta scendendo nei particolari. Nell’esperimento, molti dei palloni molecolari arrivavano in un punto posto a metà strada tra le due posizioni dove ci si sarebbe aspettato che arrivassero se fossero passati dall’una o dall’altra fenditura. A una certa distanza da questa posizione centrale arrivavano pochissime molecole, ma ancora un po’ più in là si osservavano di nuovo altri arrivi. Questa distribuzione non è la somma delle distribuzioni che si formano quando l’una o l’altra delle fenditure sono aperte separatamente, ma vi si può riconoscere l’aspetto caratteristico delle onde in interferenza che abbiamo visto nel III capitolo. Le aree in cui non arrivano molecole corrispondono a regioni in cui le onde emesse dalle due fenditure giungono sfasate, e producono interferenza distruttiva; le aree in cui arrivano molte molecole corrispondono a regioni in cui le onde giungono in fase, e producono interferenza costruttiva.

Nei primi due millenni circa del pensiero scientifico, l’esperienza ordinaria e l’intuizione costituivano la base della spiegazione teorica. Ma con il progresso della tecnologia e l’ampliamento della gamma di fenomeni che si era in grado di osservare, si è cominciato a scoprire che la natura si comportava in modi che erano sempre meno conformi alla nostra esperienza quotidiana e quindi alla nostra intuizione, come mette in evidenza l’esperimento con le buckyballs. Tale esperimento è tipico del genere di fenomeni che non possono essere ricompresi nella scienza classica ma sono descritti da quella che è detta fisica quantistica. In effetti, Richard Feynman scrisse che un esperimento delle due fenditure come quello che abbiamo appena descritto «contiene tutto il mistero della meccanica quantistica».

I principi della fisica dei quanti furono elaborati nei primi decenni del XX secolo, in seguito alla scoperta che la teoria newtoniana era inadeguata alla descrizione della natura a livello atomico o subatomico. Le teorie fisiche fondamentali descrivono le forze di natura e il modo in cui i corpi vi rispondono. Le teorie classiche come quella di Newton sono costruite su una base che riflette l’esperienza quotidiana, in cui gli oggetti materiali hanno un’esistenza individuale, possono essere localizzati in posizioni definite, seguono traiettorie ben determinate, e così via. La fisica quantistica fornisce una struttura che consente di comprendere come la natura operi su scala atomica e subatomica, ma, come vedremo meglio più avanti, impone uno schema concettuale completamente diverso, in cui posizione, traiettoria e perfino passato e futuro di un corpo non sono rigorosamente determinati. Le teorie quantistiche di forze come la gravità o l’interazione elettromagnetica sono costruite nell’ambito di tale schema.

Ma teorie edificate su una base concettuale tanto estranea alla vita quotidiana sono in grado di spiegare anche gli eventi dell’esperienza ordinaria, di cui la fisica classica forniva un modello così preciso? La risposta è sì, perché noi e ciò che ci circonda siamo strutture composite, fatte da un numero inconcepibilmente grande di atomi, maggiore del numero delle stelle presenti nell’universo osservabile. E benché gli atomi componenti obbediscano ai principi della fisica quantistica, si può dimostrare che i grandi aggregati che formano i palloni da calcio, le rape e i jumbo jet – nonché i nostri corpi – riescono a evitare la diffrazione nel passare attraverso le fenditure. Così, sebbene i componenti dei corpi ordinari obbediscano alla fisica quantistica, le leggi di Newton costituiscono una teoria efficace che descrive con grande precisione il comportamento delle strutture composite che formano il nostro mondo di tutti i giorni.

Potrebbe sembrare strano, ma nella scienza ci sono molti casi in cui un grande aggregato appare comportarsi diversamente da quanto fanno i suoi singoli componenti. Le reazioni di un singolo neurone sono ben poco indicative di quelle del cervello umano, e avere informazioni su una molecola d’acqua non dice molto sul comportamento di un lago. Nel caso della teoria quantistica, i fisici stanno ancora cercando di chiarire nei particolari come le leggi di Newton emergano dal dominio quantistico. Ciò che sappiamo è che i componenti di tutti i corpi obbediscono alle leggi della fisica quantistica, mentre le leggi di Newton costituiscono una buona approssimazione per descrivere il modo in cui si comportano i corpi macroscopici formati da quei componenti quantistici.

Le predizioni della teoria newtoniana pertanto sono in accordo con la concezione della realtà cui tutti perveniamo facendo esperienza del mondo che ci circonda. Ma i singoli atomi e le singole molecole operano in una maniera profondamente diversa da quanto avviene nella nostra esperienza quotidiana. La fisica quantistica è un nuovo modello della realtà che ci dà una descrizione di tale universo. Si tratta di una descrizione in cui molti concetti fondamentali per la nostra comprensione intuitiva della realtà non hanno più significato.

L’esperimento delle due fenditure fu eseguito per la prima volta con delle particelle nel 1927 da Clinton Davisson e Lester Germer, due fisici sperimentali dei Laboratori Bell che stavano studiando come un fascio di elettroni – oggetti molto più semplici delle buckyballs – interagiscono con un cristallo di nichel. Il fatto che particelle materiali quali gli elettroni si comportino come onde d’acqua costituisce il miglior esempio del tipo di osservazioni sperimentali sbalorditive che hanno ispirato la teoria quantistica. Poiché questo comportamento non si osserva su scala macroscopica, gli scienziati a lungo si sono chiesti fino a che dimensioni e grado di complessità potesse arrivare un corpo pur continuando a esibire proprietà ondulatorie. Farebbe sensazione se si potesse riprodurre questo effetto con delle persone o con un ippopotamo, ma, come si è detto, in generale quanto più grande è un corpo tanto meno evidenti e significativi sono gli effetti quantistici. Quindi è improbabile che un animale rinchiuso passi come un’onda attraverso le sbarre della sua gabbia. E tuttavia i fisici sperimentali hanno osservato il comportamento ondulatorio con particelle di dimensioni sempre maggiori. Gli scienziati sperano di ripetere in futuro l’esperimento delle buckyballs usando un virus, che non soltanto è molto più grande ma è anche considerato da alcuni un essere vivente.

Ci sono alcuni aspetti della fisica quantistica che è necessario conoscere per comprendere le argomentazioni che proporremo nei capitoli successivi. Uno di quelli essenziali è il dualismo onda-particella. Che le particelle materiali si comportassero come un’onda fu una sorpresa per tutti. Che la luce si comporti come un’onda non sorprende più nessuno. Il comportamento ondulatorio della luce ci appare naturale ed è stato considerato un fatto acquisito per quasi due secoli. Se si proietta un raggio di luce sulle due fenditure dell’esperimento rappresentato qui sotto, ne usciranno due onde che si incontreranno sullo schermo. In certe posizioni le rispettive creste e i rispettivi ventri coincideranno e formeranno una macchia luminosa; in altre, le creste di un raggio si sovrapporranno ai ventri dell’altro, elidendoli e producendo un’area scura. Il fisico inglese Thomas Young eseguì questo esperimento nei primi anni del XIX secolo, convincendo i contemporanei che la luce era un’onda e non, come aveva creduto Newton, un insieme di particelle.

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L’esperimento di Young. La distribuzione delle buckyballs era familiare perché compariva nella teoria ondulatoria della luce.

Si potrebbe allora concludere che Newton si sbagliava nel sostenere che la luce non fosse un’onda, eppure il grande scienziato aveva ragione quando affermava che la luce può comportarsi come se fosse composta di particelle. Oggi chiamiamo tali particelle fotoni. Proprio come noi siamo formati da un grande numero di atomi, così la luce che vediamo nella vita di tutti i giorni è composita, nel senso che è fatta di un gran numero di fotoni: anche una lampadina da 1 watt ne emette un miliardo di miliardi ogni secondo. Solitamente i singoli fotoni non si possono vedere, ma in laboratorio è possibile generare un fascio di luce così debole da ridursi a un flusso di fotoni isolati, che possono essere rivelati individualmente come si rivelano singoli elettroni o buckyballs. Ed è possibile ripetere l’esperimento di Young utilizzando un raggio così diradato che i fotoni raggiungono la barriera uno alla volta, a intervalli di qualche secondo l’uno dall’altro. Se si procede in questo modo, e poi si sommano tutti gli impatti individuali registrati dallo schermo posto oltre la barriera, si trova che nell’insieme formano la medesima figura di interferenza che si sarebbe formata se avessimo effettuato l’esperimento di Davisson-Germer ma avessimo sparato gli elettroni (o le buckyballs) contro lo schermo uno alla volta. Per i fisici questa fu una rivelazione sbalorditiva: se le singole particelle interferiscono con se stesse, la natura ondulatoria della luce è proprietà non soltanto di un fascio o di un grande aggregato di fotoni, ma anche delle particelle individuali.

Un altro dei cardini della fisica quantistica è il principio di indeterminazione, formulato dal fisico tedesco Werner Heisenberg nel 1927. Tale principio dice che la nostra capacità di misurare simultaneamente certi dati, come la posizione e la velocità di una particella, ha dei limiti. Secondo il principio di indeterminazione, per esempio, se si moltiplica l’incertezza della posizione di una particella per l’incertezza della sua quantità di moto (il prodotto della massa per la velocità), il risultato non può mai essere minore di una certa quantità fissa, chiamata costante di Planck. Sembra uno scioglilingua, ma la sostanza del principio può essere formulata in termini semplici: quanto più precisamente si misura la velocità, tanto meno precisamente si può misurare la posizione, e viceversa. Per esempio, se si dimezza l’incertezza della posizione, l’incertezza della velocità deve raddoppiare. È importante osservare anche che, a paragone con le unità di misura comuni come i metri, i chilogrammi e i secondi, la costante di Planck è molto piccola. In effetti, espressa in tali unità, il suo valore è all’incirca 6/10.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.000.

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«Se questo è giusto, tutto quello che credevamo fosse un’onda è in realtà una particella, e tutto quello che credevamo fosse una particella è in realtà un’onda.»

Di conseguenza, se si localizza un oggetto macroscopico come un pallone da calcio, della massa di un terzo di chilogrammo, con un’incertezza non superiore a 1 millimetro in ogni direzione, si può ancora misurare la sua velocità con un’incertezza molto minore di un miliardesimo di miliardesimo di miliardesimo di chilometro all’ora. Questo perché, in tali unità di misura, il pallone da calcio ha una massa di 1/3, e l’incertezza nella sua posizione è 1/1000. Nessuno dei due numeri rende conto di tutti gli zeri presenti nella costante di Planck, e quindi è l’incertezza della velocità a doverlo fare (il che significa che sarà molto piccola). Ma nelle medesime unità l’elettrone ha una massa pari a 0,000 000 000 000 000 000 000 000 000 001, e quindi per gli elettroni la situazione è del tutto diversa. Se si misura la posizione di un elettrone con un’incertezza corrispondente all’incirca alle dimensioni di un atomo, il principio di indeterminazione stabilisce che non è possibile conoscere la velocità della particella con un’incertezza minore di circa 1000 chilometri al secondo, il che significa che la misura non sarà affatto precisa.

Secondo la fisica quantistica, indipendentemente da quanta informazione otteniamo e da quanto grandi siano le nostre capacità di calcolo, gli esiti dei processi fisici non possono essere predetti con certezza perché non sono determinati in modo certo. Al contrario, dato lo stato iniziale di un sistema, la natura ne determina lo stato futuro tramite un processo che è fondamentalmente incerto. In altre parole, la natura non impone l’esito di un qualsiasi processo o esperimento, neppure nella più semplice delle situazioni. Essa consente piuttosto un certo numero di eventualità diverse, ciascuna con una data probabilità di realizzarsi. È come se, per parafrasare Einstein, Dio gettasse i dadi prima di decidere il risultato di ogni processo fisico. L’idea non andava a genio ad Einstein, che così, pur essendo uno dei padri della fisica quantistica, finì per assumere un atteggiamento critico nei suoi confronti.

Potrebbe sembrare che la fisica quantistica mini l’idea che la natura sia governata da leggi, ma non è così. La teoria ci porta invece ad accettare una nuova forma di determinismo: dato lo stato di un sistema a un certo istante, le leggi di natura determinano le probabilità di vari corsi futuri e passati, invece di determinare con certezza il futuro e il passato. Anche se a qualcuno questo non piace, gli scienziati devono accettare le teorie che sono in accordo con l’esperimento, e non restare ancorati ai loro preconcetti.

Ciò che la scienza chiede a una teoria è di essere verificabile. Se la natura probabilistica delle predizioni della fisica quantistica significasse che è impossibile confermare tali predizioni, le teorie quantistiche non sarebbero considerate valide. Ma nonostante il carattere probabilistico delle loro predizioni, possiamo senz’altro verificare queste teorie. Per esempio, possiamo ripetere più volte un esperimento e confermare che la frequenza dei vari risultati è conforme alle probabilità predette. Consideriamo l’esperimento delle buckyballs: la fisica quantistica ci dice che nulla è mai localizzato in un punto ben definito perché, se lo fosse, l’incertezza della quantità di moto dovrebbe essere infinita. In realtà, secondo questa teoria, ogni particella ha una certa probabilità di essere osservata in qualunque luogo dell’universo. Così, anche se le probabilità di trovare un dato elettrone nel dispositivo sperimentale delle due fenditure sono molto alte, ci sarà sempre una certa probabilità di trovarlo invece dall’altra parte della stella Alpha Centauri, oppure nel polpettone servito alla mensa del vostro ufficio. Di conseguenza, se date un calcio a una buckyball quantistica e la fate volare via, per quanto siate abili o la sappiate lunga non sarete mai in grado di dire in anticipo dove ricadrà di preciso. Ma se ripetete molte volte tale esperimento, i dati che otterrete rifletteranno la probabilità di trovare la palla nelle varie posizioni, e gli esperimenti hanno confermato che i risultati sono in accordo con le predizioni della teoria.

È importante capire che le probabilità della fisica quantistica non sono come le probabilità della fisica newtoniana o della vita quotidiana. Possiamo rendercene conto confrontando le distribuzioni generate dal flusso costante di buckyballs lanciate contro lo schermo con la distribuzione dei buchi prodotti dai giocatori di freccette che mirano al centro del bersaglio. Sempre che i giocatori non abbiano bevuto troppa birra, le probabilità di arrivo di una freccetta sono massime vicino al centro, e diminuiscono via via che ce ne si allontana. Come nel caso delle buckyballs, ogni data freccetta può arrivare in qualunque punto, e con il tempo si formerà una distribuzione di fori che riflette le probabilità implicate. Nella vita quotidiana potremmo benissimo descrivere la situazione dicendo che una freccetta ha una certa probabilità di arrivare nei vari punti; ma se lo diciamo, è soltanto perché, diversamente dal caso delle buckyballs, la nostra conoscenza delle condizioni del suo lancio è incompleta. Potremmo migliorare la nostra descrizione se conoscessimo esattamente il modo in cui il giocatore ha lanciato la freccetta, la sua direzione, il suo moto di rotazione, la sua velocità e così via. In linea di principio, quindi, potremmo predire dove arriverà la freccetta con una precisione grande quanto vogliamo. L’uso di una terminologia probabilistica per descrivere l’esito degli eventi nella vita quotidiana è pertanto un riflesso non della natura intrinseca del processo, ma soltanto della nostra ignoranza di certi suoi aspetti.

Le probabilità delle teorie quantistiche sono diverse. Il modello quantistico della natura comprende principi che contraddicono non soltanto la nostra esperienza ordinaria ma anche la nostra concezione intuitiva della realtà. Chi trova tali principi strani o difficili da accettare è in buona compagnia, quella di grandi fisici come Einstein e lo stesso Feynman, la cui descrizione della teoria presenteremo tra poco. Infatti una volta Feynman scrisse: «Credo di poter affermare con certezza che nessuno comprende la meccanica quantistica». Ma la fisica quantistica è in accordo con l’osservazione. Non ha mai fallito un test, ed è stata controllata più di qualunque altra teoria scientifica.

Negli anni ’40 Richard Feynman ebbe un’intuizione sorprendente riguardo alla differenza tra mondo quantistico e mondo newtoniano. Al centro del suo interesse c’era la questione di come si forma la figura di interferenza nell’esperimento delle due fenditure. Si rammenti che la figura che si osserva quando si sparano le molecole con entrambe le fenditure aperte non è la somma delle figure che si formano quando si effettua l’esperimento due volte, una con solo la prima fenditura aperta, e una con solo l’altra fenditura aperta. Quando entrambe le fenditure sono aperte si osserva invece una serie di strisce chiare e scure, dove quelle scure sono le regioni in cui non arrivano particelle. Ciò significa che particelle che sarebbero arrivate nella zona della striscia scura se, per esempio, fosse stata aperta soltanto la fenditura 1, non vi arrivano quando è aperta anche la fenditura 2. Sembrerebbe che, in qualche punto del percorso tra la sorgente e lo schermo, le particelle acquisiscano informazione su entrambe le fenditure. Questo tipo di comportamento è radicalmente diverso da quello che sembrano avere gli oggetti della vita quotidiana, dove una palla seguirebbe una traiettoria passando da una delle aperture e non sarebbe influenzata dalla situazione dell’altra.

Secondo la fisica newtoniana – e anche nel nostro esperimento, se lo effettuassimo con palloni da calcio invece che con delle molecole – ogni particella segue un unico percorso ben definito dalla sorgente allo schermo. In questa descrizione non c’è spazio per una deviazione in cui la particella durante il tragitto passi nei dintorni di ciascuna delle fenditure. Viceversa, secondo il modello quantistico, la particella non ha una posizione definita nell’intervallo di tempo in cui si trova tra il punto di partenza e quello di arrivo. Feynman si rese conto che non è necessario interpretare questo stato di cose nel senso che le particelle non percorrono nessuna traiettoria nel loro viaggio tra sorgente e schermo. Potrebbe invece significare che le particelle seguono ogni possibile traiettoria che connette quei punti. Questo, affermò Feynman, è ciò che rende la fisica quantistica diversa da quella newtoniana. La situazione di entrambe le fenditure ha importanza perché, invece di seguire un unico percorso definito, le particelle seguono tutti i percorsi, e li seguono tutti simultaneamente! Sembra fantascienza, ma non lo è. Feynman propose una formulazione matematica – la cosiddetta somma di Feynman sulle storie – che riflette quest’idea e riproduce tutte le leggi della fisica quantistica. Nella teoria di Feynman la matematica e la descrizione fisica sono differenti da quelle della formulazione originaria della meccanica quantistica, ma le predizioni sono le stesse.

Relativamente all’esperimento delle due fenditure, le idee di Feynman significano che le particelle seguono traiettorie che passano soltanto da una fenditura o soltanto dall’altra; traiettorie che passano dalla prima fenditura, tornano indietro dalla seconda e poi ripassano dalla prima; traiettorie che passano dal ristorante dove si sta servendo quel grosso gambero al curry, e poi girano più volte intorno a Giove prima di arrivare a destinazione; e perfino traiettorie che percorrono avanti e indietro tutto l’universo. Questo, secondo Feynman, spiega come facciano le particelle ad acquisire informazioni su quali fenditure siano aperte: se una di esse è aperta, la particella segue delle traiettorie che vi passano. Quando entrambe le fenditure sono aperte, le traiettorie in cui la particella passa da una fenditura possono interagire con le traiettorie in cui essa passa dall’altra, generando l’interferenza. Potrebbe sembrare stravagante, ma ai fini di gran parte della fisica fondamentale che si fa oggi – e ai fini di questo libro – la formulazione di Feynman si è dimostrata più utile di quella originale.

La concezione di Feynman della realtà quantistica è essenziale per comprendere le teorie che presenteremo tra breve, e quindi vale la pena di dedicare un po’ di tempo a farci un’idea di come funzioni. Immaginiamo un semplice processo in cui una particella si trova inizialmente in una posizione A e si muove liberamente. Nel modello newtoniano la particella si muoverà lungo una linea retta. Trascorso un certo tempo ben definito, la troveremo in una ben definita posizione B lungo tale linea. Nel modello di Feynman una particella quantistica prova ogni percorso che connetta A e B, e a ciascuno di essi viene associato un numero chiamato fase. La fase rappresenta la posizione nel ciclo di un’onda, cioè indica se l’onda è a un massimo o a un minimo o in una qualche precisa posizione intermedia. La regola matematica di Feynman per il calcolo della fase fa sì che quando si sommano le onde di tutte le traiettorie si ottenga l’«ampiezza di probabilità» che la particella, partendo da A, arrivi in B. Il quadrato dell’ampiezza di probabilità fornisce poi l’effettiva probabilità che la particella arrivi in B.

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Traiettorie di una particella. La formulazione di Feynman della teoria quantistica fornisce una descrizione che spiega perché particelle come le buckyballs e gli elettroni formino figure di interferenza quando vengono fatti passare attraverso le fenditure di uno schermo.

La fase con cui ciascun singolo percorso contribuisce alla somma di Feynman (e quindi alla probabilità che la particella vada da A a B) si può rappresentare intuitivamente come una freccia di lunghezza fissa ma che può essere orientata in qualunque direzione. Per sommare due fasi si dispone la freccia che rappresenta una fase consecutivamente alla freccia che rappresenta l’altra (cioè con la coda dell’una coincidente con la punta dell’altra), in modo da ottenere una nuova freccia che rappresenta la somma. Per sommare più fasi basta iterare il procedimento. Si noti che quando le fasi sono allineate, la freccia che rappresenta la somma può essere abbastanza lunga. Ma se le fasi sono orientate in direzioni diverse, tendono a elidersi nella somma, dando come risultato una freccia che può essere anche molto piccola.

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La somma delle traiettorie di Feynman. Gli effetti di differenti traiettorie di Feynman possono rafforzarsi o attenuarsi reciprocamente, proprio come accade alle onde. Le frecce gialle rappresentano le fasi da sommare. Le linee blu rappresentano la loro somma, cioè una linea che va dalla coda della prima freccia alla punta dell’ultima. Nell’immagine in basso le frecce hanno direzioni diverse e quindi la loro somma, la linea blu, è molto corta.

Il procedimento di Feynman per il calcolo dell’ampiezza di probabilità che una particella inizialmente nella posizione A arrivi nella posizione B, prevede che si sommino le fasi, ossia le frecce, associate a ogni traiettoria che va da A a B. C’è un numero infinito di traiettorie, il che rende un po’ complicato l’aspetto matematico, ma il procedimento funziona. Alcune delle traiettorie sono rappresentate nella figura qui sopra.

La teoria di Feynman fornisce una descrizione particolarmente chiara del modo in cui un’immagine newtoniana del mondo può scaturire dalla fisica quantistica, che sembra assai diversa. Secondo la teoria di Feynman, le fasi associate a ciascuna traiettoria dipendono dalla costante di Planck, e poiché questa è così piccola, quando si sommano i contributi di traiettorie vicine tra loro, le fasi normalmente variano in modo incontrollato e quindi, come nella figura qui sotto, tendono ad avere somma zero. Ma la teoria prevede anche che vi siano certe traiettorie per cui le fasi tendono ad allinearsi, cosicché queste traiettorie sono favorite, danno cioè un maggiore contributo al comportamento osservato della particella. Si vede che, per i corpi grandi, traiettorie molto simili a quella prevista dalla teoria di Newton avranno fasi analoghe e si rafforzeranno dando i contributi di gran lunga maggiori alla somma, cosicché l’unica destinazione che abbia una probabilità effettivamente superiore a zero è quella predetta dalla teoria newtoniana, e anzi tale destinazione ha una probabilità molto vicina a 1. Per questo i corpi grandi si muovono proprio come previsto dalla teoria di Newton.

Fin qui abbiamo discusso le idee di Feynman nel contesto dell’esperimento delle due fenditure. In tale esperimento si sparano particelle contro una barriera con delle fenditure e si misura la loro posizione all’arrivo su uno schermo situato al di là della barriera. Più in generale, la teoria di Feynman ci consente di predire la probabile evoluzione, invece che di una singola particella, di un «sistema», che potrebbe essere una particella, un insieme di particelle o anche l’intero universo. Tra lo stato iniziale del sistema e le nostre successive misurazioni delle sue proprietà, tali proprietà evolvono in un certo modo, che i fisici chiamano la «storia» del sistema. Nell’esperimento delle due fenditure, per esempio, la storia della particella è semplicemente la sua traiettoria. Feynman dimostrò che, proprio come nell’esperimento delle due fenditure la probabilità di osservare la particella arrivare in un qualsiasi dato punto dipende da tutte le traiettorie che potrebbero averla portata là, così per un sistema generico, la probabilità di una qualsiasi osservazione è determinata da tutte le possibili storie che potrebbero aver condotto a tale osservazione. Per questa ragione il suo metodo è detto «somma sulle storie» o formulazione della fisica quantistica in termini di «storie alternative».

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Le traiettorie da A a B. La traiettoria «classica» tra due punti è un segmento di retta. Le fasi delle traiettorie che sono vicine al percorso classico tendono a rafforzarsi reciprocamente, mentre le fasi delle traiettorie più lontane da tale percorso tendono a elidersi.

Ora che ci siamo fatti un’idea dell’impostazione di Feynman, è il momento di prendere in considerazione un altro principio quantistico fondamentale di cui ci serviremo più avanti: il principio secondo il quale osservare un sistema implica necessariamente di alterarne il corso. Ma non possiamo guardare con discrezione senza interferire, come facciamo quando un nostro superiore ha uno schizzo di senape sul mento? No. Secondo la fisica quantistica non è possibile osservare «e basta» qualcosa. In altre parole, questa teoria ammette che per compiere un’osservazione si deve interagire con il corpo che si sta osservando. Per esempio, per vedere, nel senso ordinario del termine, un corpo gli proiettiamo contro della luce. Illuminare una zucca ovviamente avrà uno scarso effetto su di essa. Ma proiettare una luce anche fioca su una minuscola particella quantistica – ossia spararle contro dei fotoni – ha invece un effetto apprezzabile, e in laboratorio si dimostra che modifica i risultati degli esperimenti proprio nel modo descritto dalla fisica quantistica.

Supponiamo di inviare, come in precedenza, un fascio di particelle verso la barriera nell’esperimento delle due fenditure, e di raccogliere i dati sul primo milione di particelle che passano oltre. Quando si registra il numero di particelle che arrivano nei vari punti di rivelazione, i dati riproducono la figura di interferenza riportata a pagina 61, e quando si sommano le fasi associate a tutte le traiettorie possibili che vanno dal punto di partenza A di una particella al punto di rivelazione B, si trova che la probabilità calcolata di arrivo nei vari punti è in accordo con quei dati.

Ora supponiamo di ripetere l’esperimento, questa volta illuminando le fenditure, in modo da conoscere un punto intermedio, C, dal quale la particella è passata (C è la posizione dell’una o dell’altra fenditura). Questa è detta informazione su «quale percorso», perché ci dice di ciascuna particella se è andata da A alla fenditura 1 e poi in B, oppure da A alla fenditura 2 e poi in B. Dal momento che adesso sappiamo da quale fenditura è passata ciascuna particella, le traiettorie considerate nella somma relativa a tale particella ora comprenderanno soltanto quelle che passano dalla fenditura 1, o soltanto quelle che passano dalla fenditura 2. Non ne faranno mai parte sia quelle che passano dalla fenditura 1 sia quelle che passano dalla fenditura 2. Siccome Feynman spiegava la figura d’interferenza dicendo che le traiettorie passanti da una fenditura interferiscono con le traiettorie che passano dall’altra, se si accende una luce per determinare da quale fenditura passano le particelle, eliminando così l’alternativa, si farà scomparire la figura d’interferenza. Ed effettivamente, quando si esegue l’esperimento, l’accensione di una luce modifica i risultati trasformando la figura di interferenza di pagina 61 in una distribuzione come quella di pagina 60! Inoltre possiamo modificare l’esperimento impiegando luce molto fioca in modo che non tutte le particelle interagiscano con essa. In tal caso siamo in grado di ottenere informazione su «quale percorso» soltanto per qualche sottoinsieme delle particelle. Se poi suddividiamo i dati sugli arrivi delle particelle in base al fatto che abbiamo ottenuto o no l’informazione su «quale percorso», constatiamo che i dati relativi al sottoinsieme per il quale non abbiamo alcuna informazione su «quale percorso» formano una figura di interferenza, mentre quelli relativi al sottoinsieme per il quale abbiamo tale informazione non mostrano effetti di interferenza.

Quest’idea ha importanti implicazioni per la nostra concezione del «passato». Nella teoria newtoniana si assume che il passato esista come serie definita di eventi. Se vedete in frantumi sul pavimento quel bel vaso che avete comprato in Italia l’anno scorso, e il vostro bambino in piedi lì accanto con aria colpevole, potete ricostruire gli eventi che hanno condotto al malestro: i ditini che mollano la presa, il vaso che cade e va in mille pezzi quando tocca terra. In effetti, una volta che si hanno dati completi sul presente, le leggi di Newton consentono di calcolare una descrizione completa del passato. Ciò è coerente con la nostra idea intuitiva che il mondo abbia un passato ben definito, bello o brutto che sia. Può non esserci stato nessuno a osservare, ma il passato esiste con altrettanta certezza che se ne aveste scattato una serie di istantanee. Di una buckyball quantistica, invece, non si può dire che abbia seguito una traiettoria definita tra la sorgente e lo schermo. Potremmo localizzare la posizione di una buckyball osservandola, ma tra l’una e l’altra osservazione essa segue tutte le traiettorie. La fisica quantistica ci dice che per quanto accurata sia la nostra osservazione del presente, il passato (non osservato), come il futuro, è indefinito ed esiste soltanto come uno spettro di possibilità. L’universo, secondo la fisica quantistica, non ha un unico passato, un’unica storia.

Il fatto che il passato non abbia forma definita significa che le osservazioni che si compiono su un sistema nel presente ne influenzano il passato. Ciò è messo in risalto in modo piuttosto spettacolare da un tipo di esperimento escogitato dal fisico John Wheeler, detto esperimento a scelta ritardata. Schematicamente, un esperimento a scelta ritardata è simile all’esperimento delle due fenditure appena descritto, in cui si ha l’opzione di osservare la traiettoria seguita dalla particella, eccetto che ora si rinvia la decisione se osservare o no il percorso fino a un istante prima che la particella arrivi sullo schermo rivelatore.

Gli esperimenti a scelta ritardata forniscono dati identici a quelli che si ottengono quando si sceglie di avere (o di non avere) l’informazione su «quale percorso» osservando le fenditure. Ma in questo caso la traiettoria seguita dalla particella – vale a dire, il suo passato – è determinata molto dopo che è passata dalle fenditure e che, presumibilmente, ha dovuto «decidere» se passare da una sola fenditura, il che non produce interferenza, o da entrambe, il che la produce.

Wheeler prese in considerazione anche una versione cosmica dell’esperimento, in cui le particelle sono fotoni emessi da potenti quasar distanti miliardi di anni luce. Il raggio luminoso potrebbe essere suddiviso e avviato lungo due differenti percorsi e poi rifocalizzato in direzione della Terra dall’effetto di lente gravitazionale di una galassia interposta. Sebbene l’esperimento sia al di fuori della portata della tecnologia attuale, se si potesse raccogliere un numero sufficiente di fotoni di tale luce, questi fotoni dovrebbero formare una figura di interferenza. Ma, se si mettesse un dispositivo per ricavare informazione su «quale percorso» poco prima del punto di rivelazione, tale figura dovrebbe scomparire. La scelta se seguire una o entrambe le traiettorie in questo caso sarebbe stata compiuta miliardi di anni fa, prima che si formasse la Terra o magari anche il Sole, eppure con la nostra osservazione in laboratorio influenzeremmo la scelta.

In questo capitolo abbiamo illustrato la fisica quantistica servendoci dell’esperimento delle due fenditure. Nel seguito applicheremo la formulazione di Feynman della meccanica quantistica all’universo nel suo insieme. Vedremo che, come una particella, l’universo non ha un’unica storia, ma tutte le storie possibili, ciascuna con la propria probabilità; e che le nostre osservazioni del suo stato attuale influenzano il suo passato e determinano le sue differenti storie, proprio come le osservazioni delle particelle nell’esperimento delle due fenditure influenzano il passato delle particelle. Tale analisi mostrerà come le leggi di natura del nostro universo sorsero dal big bang. Ma prima di discutere come sorsero le leggi, parleremo un po’ di che cosa siano tali leggi, e di alcuni degli enigmi che esse propongono.