Nel 2004 il consiglio comunale di Monza vietò ai proprietari di animali da compagnia di tenere i pesci rossi in vasche curve. Il promotore della misura la motivò affermando tra l’altro che è crudele tenere un pesce in una vasca con pareti curve perché, guardando fuori, l’animale avrebbe una visione distorta della realtà. Ma noi come facciamo a sapere che abbiamo della realtà la visione vera, priva di distorsioni? Non potremmo essere anche noi all’interno di una qualche grande boccia di vetro e avere una visione distorta da un’enorme lente? L’immagine che della realtà ha il pesce rosso è diversa dalla nostra, ma possiamo essere certi che sia meno reale?…

La visione dei pesci rossi non è uguale alla nostra, ma gli animali potrebbero ugualmente formulare leggi scientifiche relative al moto dei corpi che osservano all’esterno della boccia. Per esempio, a causa della distorsione, un corpo che si muove liberamente e che alle nostre osservazioni apparirebbe procedere in linea retta, alle osservazioni dei pesci rossi risulterebbe muoversi lungo una traiettoria curva. Nondimeno i pesci rossi potrebbero formulare dal loro sistema di riferimento distorto leggi scientifiche che varrebbero sempre e che consentirebbero loro di fare predizioni sul moto futuro dei corpi all’esterno della boccia. Le loro leggi sarebbero più complicate di quelle vigenti nel nostro riferimento, ma la semplicità è una questione di gusto. Se un pesce rosso formulasse una simile teoria, dovremmo ammettere la sua visione come una descrizione valida della realtà.

Un esempio famoso di differenti descrizioni della realtà ci è offerto dalla vicenda del modello introdotto intorno al 150 d.C. da Tolomeo (c. 85 - c. 165 d.C.) per descrivere il moto dei corpi celesti. Tolomeo pubblicò le sue ricerche in un trattato in tredici libri solitamente noto con il titolo arabo, Almagesto. L’Almagesto comincia spiegando le ragioni per cui si deve pensare che la Terra sia sferica, immobile, posta al centro dell’universo e di dimensioni trascurabili rispetto alla distanza dei cieli. Nonostante il modello eliocentrico proposto da Aristarco, queste convinzioni erano state largamente dominanti tra i greci colti almeno dai tempi di Aristotele, il quale credeva per ragioni di carattere filosofico che la Terra dovesse trovarsi al centro dell’universo. Nel modello di Tolomeo la Terra era immobile al centro mentre pianeti e stelle si muovevano intorno a essa in complicate orbite comprendenti epicicli, simili a ruote che girano intorno ad altre ruote.

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L’universo tolemaico. Nella concezione di Tolomeo la Terra era al centro dell’universo.

Questo modello sembrava naturale perché non avvertiamo la Terra muoversi sotto i nostri piedi (salvo che durante i terremoti o in momenti di forte emozione). La cultura europea delle epoche successive si basò sulle fonti greche che erano state tramandate, cosicché le idee di Aristotele e Tolomeo divennero la base di gran parte del pensiero occidentale. Il modello del cosmo di Tolomeo fu fatto proprio dalla Chiesa cattolica e considerato sua dottrina ufficiale per quattordici secoli. Soltanto nel 1543 un modello alternativo venne proposto da Copernico nel suo libro De revolutionibus orbium coelestium, pubblicato solamente nell’anno della sua morte (benché l’astronomo polacco avesse lavorato sulla teoria per diversi decenni).

Copernico, come Aristarco circa diciassette secoli prima, descrisse un mondo in cui il Sole era fermo e i pianeti gli giravano intorno in orbite circolari. Benché l’idea non fosse nuova, la sua reviviscenza incontrò una violenta opposizione. Si riteneva che il modello copernicano fosse in contraddizione con la Bibbia, che veniva interpretata come se affermasse che i pianeti girano intorno alla Terra, sebbene non contenga nessuna affermazione esplicita in questo senso. In realtà, all’epoca in cui fu scritta la Bibbia si credeva che la Terra fosse piatta. Il modello copernicano causò un acceso dibattito in merito al moto della Terra, che culminò nel 1633 con il processo a Galileo, accusato di eresia per il suo sostegno a tale modello, e per la convinzione «che si possa tener e difendere per probabile un’opinione dopo esser stata dichiarata e diffinita per contraria alla Sacra Scrittura». Galileo fu riconosciuto colpevole, costretto ad abiurare e confinato agli arresti domiciliari per il resto dei suoi giorni. Si dice che abbia mormorato sottovoce «eppur si muove». Nel 1992 la Chiesa cattolica riconobbe finalmente che aveva sbagliato a condannare Galileo.

Allora qual è il sistema reale, quello tolemaico o quello copernicano? Sebbene capiti spesso di sentir dire che Copernico dimostrò che Tolomeo era in errore, questo non è vero. Come nel caso della nostra normale visione del mondo e di quella dei pesci rossi, si possono usare entrambe le descrizioni come modello dell’universo, in quanto le nostre osservazioni dei cieli possono essere spiegate sia assumendo che la Terra sia in quiete, sia assumendo che lo sia il Sole. Nonostante il ruolo che il sistema copernicano riveste nei dibattiti filosofici sulla natura dell’universo, il suo reale vantaggio è che le equazioni del moto sono molto più semplici nel sistema di riferimento in cui il Sole è in quiete.

Un tipo diverso di realtà alternativa è quella che compare nel film di fantascienza Matrix, in cui la specie umana vive inconsapevolmente in una realtà virtuale simulata, creata da computer intelligenti per mantenere gli uomini tranquilli e contenti mentre i computer ne assorbono l’energia bioelettrica (qualunque cosa sia). Può darsi che una simile idea non sia poi così inverosimile, dal momento che molte persone preferiscono passare il loro tempo nella realtà simulata di siti web come Second Life. Come facciamo a sapere di non essere semplicemente i personaggi di una soap opera generata da computer? Se vivessimo in un mondo artificiale immaginario, gli eventi non necessariamente avrebbero una qualsiasi logica o coerenza o obbedirebbero a leggi. Gli alieni che ne avessero il controllo potrebbero trovare più interessante o divertente osservare le nostre reazioni se, per esempio, la luna piena si spaccasse a metà o se a tutti coloro che al mondo fanno una dieta venisse una voglia incontrollabile di torta alla crema di banana. Ma se gli alieni imponessero leggi coerenti, non ci sarebbe alcun modo per stabilire che esista un’altra realtà dietro quella simulata. Sarebbe facile chiamare «reale» il mondo in cui vivono gli alieni e «falso» quello artificiale. Ma se – come noi – gli esseri che vivono nel mondo simulato non potessero osservare il loro universo dall’esterno, non avrebbero alcuna ragione per dubitare della loro immagine della realtà. Questa è una versione moderna dell’idea che noi siamo tutti creature fittizie del sogno di qualcun altro.

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Simili esempi ci conducono a una conclusione che avrà grande importanza in questo libro: non esiste alcun concetto di realtà indipendente dalle descrizioni o dalle teorie. Adotteremo invece un punto di vista che chiameremo realismo dipendente dai modelli: l’idea, cioè, che una teoria fisica o descrizione del mondo è un modello (in genere di natura matematica) unito a un insieme di regole che connettono gli elementi del modello alle osservazioni. Ciò fornisce uno schema con cui interpretare la scienza moderna.

Nel corso del tempo i filosofi, da Platone in poi, hanno discusso sulla natura della realtà. La scienza classica è basata sul presupposto che esista un mondo esterno reale le cui proprietà sono definite e indipendenti dall’osservatore che le percepisce. Secondo la scienza classica, certi corpi esistono e hanno proprietà fisiche, quali velocità e massa, che hanno valori ben definiti. In questa concezione le nostre teorie sono tentativi di descrivere tali corpi e le loro proprietà, e le nostre misurazioni e percezioni corrispondono a essi. Osservatore e osservato sono entrambi parti di un mondo che ha un’esistenza oggettiva, e qualunque distinzione tra essi non ha alcun significato di rilievo. In altre parole, se vi capita di vedere un branco di zebre che litigano per un posto in un parcheggio coperto, è perché c’è davvero un branco di zebre che litigano per un posto in un parcheggio coperto. Qualunque altro osservatore che assista misurerà le stesse proprietà, e il branco avrà quelle proprietà indipendentemente dal fatto che qualcuno lo osservi o no. In filosofia questa tesi è chiamata realismo.

Sebbene il realismo possa essere un punto di vista allettante, come vedremo più avanti, ciò che sappiamo della fisica moderna rende arduo sostenerlo. Per esempio, secondo i principi della fisica quantistica, che è una descrizione precisa della natura, una particella non ha né una posizione definita né una velocità definita a meno che e fintanto che queste grandezze non vengano misurate da un osservatore. Perciò non è esatto dire che una misurazione fornisce un certo risultato perché la grandezza oggetto di misura aveva quel valore all’istante della misurazione. In realtà, in alcuni casi i singoli corpi non hanno neppure un’esistenza individuale ma esistono soltanto come parte di un insieme di molte entità. E se una teoria chiamata principio olografico risultasse corretta, noi e il nostro mondo quadridimensionale potremmo essere ombre sul contorno di un più vasto spaziotempo pentadimensionale. In tal caso la nostra condizione nell’universo sarebbe analoga a quella dei pesci rossi.

I realisti ortodossi spesso sostengono che la prova che le teorie scientifiche rappresentano la realtà sta nel loro successo. Ma differenti teorie possono descrivere in modo soddisfacente lo stesso fenomeno mediante strutture concettuali disparate. In effetti molte teorie scientifiche che avevano avuto successo sono state in seguito sostituite da altre teorie, ugualmente di successo, basate su concezioni della realtà del tutto nuove.

Tradizionalmente coloro che non accettano il realismo sono stati chiamati antirealisti. Costoro ipotizzano una distinzione tra conoscenza empirica e conoscenza teorica, e generalmente sostengono che osservazione ed esperimento sono dotati di significato, ma che le teorie sono soltanto utili strumenti che non contengono alcuna verità più profonda sottostante ai fenomeni osservati. Alcuni antirealisti hanno perfino inteso ridurre la scienza alle cose che si possono osservare. Per questa ragione molti nel XIX secolo respingevano l’idea degli atomi con la motivazione che non se ne sarebbe mai osservato uno. George Berkeley (1685- 1753) si era spinto addirittura a sostenere che non esiste nulla all’infuori della mente e delle sue idee. Quando un amico fece osservare allo scrittore e lessicografo inglese Samuel Johnson (il famoso dottor Johnson, 1709-1784), che la tesi di Berkeley non poteva in alcun modo essere confutata, si dice che Johnson abbia risposto facendo qualche passo verso una grossa pietra, dandole un calcio e proclamando: «La confuto così». Naturalmente il dolore al piede che il dottor Johnson avvertì era anch’esso un’idea nella sua mente, e quindi non stava realmente confutando le concezioni di Berkeley. Ma il suo atto illustrava l’opinione del filosofo David Hume (1711-1776), il quale scrisse che sebbene non abbiamo alcuna base razionale per credere in una realtà oggettiva, non abbiamo altra scelta che agire come se ci fosse.

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«Voi due avete qualcosa in comune. Il dottor Davis ha scoperto una particella che nessuno ha mai visto, e il professor Higbe ha scoperto una galassia che nessuno ha mai visto.»

Il realismo dipendente dai modelli va oltre tutte queste dispute e discussioni tra la scuola di pensiero realista e quella antirealista. Secondo questa concezione, è inutile chiedersi se un modello sia reale, ma bisogna domandarsi soltanto se è in accordo con l’osservazione. Se ci sono due modelli che sono entrambi in accordo con l’osservazione, come la visione dei pesci rossi e la nostra, non è possibile dire che uno sia più reale dell’altro. Ci si può servire del modello che è più adatto nella situazione oggetto di indagine. Ad esempio, per chi si trovasse all’interno della boccia di vetro la visione dei pesci rossi sarebbe utile, ma per chi è all’esterno sarebbe poco pratico descrivere gli eventi, magari da una galassia lontana, nel sistema di riferimento di una boccia sulla Terra, soprattutto perché la boccia sarebbe in moto, dato che la Terra orbita intorno al Sole e ruota sul proprio asse.

Costruiamo modelli nella scienza, ma ne costruiamo anche nella vita quotidiana. Il realismo dipendente dai modelli si applica non soltanto ai modelli scientifici ma anche ai modelli mentali consci e subconsci che tutti noi creiamo per interpretare e comprendere il mondo di tutti i giorni. Non c’è modo di eliminare l’osservatore – cioè noi – dalla nostra percezione del mondo, che viene prodotta mediante la nostra elaborazione sensoriale e mediante il modo in cui pensiamo e ragioniamo. La nostra percezione – e quindi le osservazioni su cui si basano le nostre teorie – non è diretta, bensì è modellata da una specie di lente, la struttura interpretativa del cervello umano.

Il realismo dipendente dai modelli corrisponde al modo in cui percepiamo gli oggetti. Nella visione il cervello riceve una serie di segnali tramite il nervo ottico. Questi segnali non costituiscono il tipo di immagine che considereremmo accettabile sullo schermo del nostro televisore. C’è un punto cieco dove il nervo ottico si connette alla retina, e l’unica parte del nostro campo visivo con una buona risoluzione è un’area ristretta dell’ampiezza di circa un grado intorno al centro della retina, un’area delle dimensioni del pollice quando viene tenuto alla distanza del braccio teso. E così i dati grezzi inviati al cervello sono qualcosa di simile a un’immagine maldefinita con un buco in mezzo. Fortunatamente il cervello umano elabora tali dati, combinando quelli provenienti dai due occhi, colmando le lacune sul presupposto che le proprietà visive di posizioni vicine siano simili, e operando un’interpolazione. Inoltre il cervello riceve dalla retina una gamma di dati bidimensionale e con questa crea l’impressione dello spazio tridimensionale. Il cervello, in altre parole, costruisce un’immagine mentale o modello.

Il cervello è così abile a costruire modelli che, se a qualcuno vengono messi occhiali che fanno pervenire ai suoi occhi immagini rovesciate a testa in giù, dopo un po’ il cervello adegua il modello in modo che il soggetto torna a vedere immagini diritte. Se poi gli si tolgono gli occhiali, vedrà per qualche tempo il mondo rovesciato, prima di tornare a una visione normale. Ciò dimostra che quando diciamo «vedo una sedia» intendiamo semplicemente che abbiamo usato la luce diffusa dalla sedia per costruire un’immagine mentale o modello di quell’oggetto. Se il modello è rovesciato, con un po’ di fortuna il cervello lo correggerà prima che tentiamo di sederci sulla sedia.

Un altro problema che il realismo dipendente dai modelli risolve, o quanto meno evita, è quello del significato dell’esistenza. Come faccio a sapere che un tavolo esiste ancora se esco dalla stanza e non lo posso vedere? Che significa dire che esistono cose che non possiamo vedere, come l’elettrone, o i quark, le particelle che si ritiene costituiscano il protone e il neutrone? Potremmo adottare un modello in cui il tavolo scompare quando esco dalla stanza e ricompare nella medesima posizione quando ritorno, ma sarebbe poco pratico; e se poi, mentre sono fuori, accadesse qualcosa, se per esempio crollasse il soffitto? Come potrei spiegare, sulla base del modello «il-tavolo-scomparequando-esco-dalla-stanza», il fatto che la volta successiva in cui entro il tavolo ricompare rotto, sotto le macerie del soffitto? Il modello in cui il tavolo rimane al suo posto è molto più semplice e si accorda con l’osservazione. Non si può chiedere di più.

Nel caso delle particelle subatomiche che non si possono vedere, quello degli elettroni è un modello utile, che spiega osservazioni come le tracce in una camera a nebbia e le macchie luminose sul tubo catodico di un televisore, oltre a molti altri fenomeni. Solitamente si dice che l’elettrone fu scoperto nel 1897 dal fisico britannico J.J. Thomson al laboratorio Cavendish dell’Università di Cambridge. Thomson stava compiendo esperimenti sui flussi di elettricità all’interno di tubi di vetro vuoti, fenomeno noto con il nome di «raggi catodici». Gli esperimenti lo condussero all’audace conclusione che i misteriosi raggi fossero composti di minuti «corpuscoli» che erano costituenti materiali degli atomi, all’epoca considerati unità fondamentali e indivisibili della materia. Thomson non «vide» un elettrone, e la sua congettura non fu confermata in modo diretto e univoco dai suoi esperimenti. Ma il modello si è dimostrato cruciale in applicazioni che vanno dalla scienza fondamentale all’ingegneria, e oggi tutti i fisici credono agli elettroni, anche se non è possibile vederli.

I quark, a loro volta impossibili da vedere, sono un modello per spiegare le proprietà dei protoni e dei neutroni all’interno del nucleo dell’atomo. Sebbene si dica che protoni e neutroni sono fatti di quark, non osserveremo mai un quark perché la forza di legame tra queste particelle aumenta con la distanza, e quindi quark liberi isolati non possono esistere in natura. Essi si presentano invece sempre in gruppi di tre (protoni e neutroni), o in coppie di un quark e un antiquark (mesoni pi), e si comportano come se fossero tenuti insieme da elastici.

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I raggi catodici. Non possiamo vedere i singoli elettroni, ma possiamo avvertire gli effetti che producono.

Se abbia senso dire che i quark esistono realmente visto che non è possibile isolarne uno fu una questione assai controversa negli anni successivi alla prima formulazione del modello a quark. L’idea che certe particelle fossero fatte di differenti combinazioni di alcuni costituenti subnucleari forniva un principio di organizzazione che dava una spiegazione semplice e convincente delle loro proprietà. Ma per quanto i fisici fossero abituati ad accettare particelle la cui esistenza veniva soltanto desunta da picchi statistici nei dati relativi alla diffusione di altre particelle, l’idea di attribuire realtà a una particella che poteva essere in linea di principio inosservabile era troppo anche per molti di loro. Nel corso degli anni, però, via via che il modello a quark portava a sempre nuove predizioni corrette, l’opposizione si smorzò. È senz’altro possibile che degli esseri alieni con diciassette braccia, occhi infrarossi e l’abitudine di schizzare panna rappresa dalle orecchie facciano le medesime osservazioni sperimentali che facciamo noi, ma le descrivano senza ricorrere ai quark. Nondimeno, secondo il realismo dipendente dai modelli, i quark esistono in un modello che è in accordo con le nostre osservazioni sul comportamento delle particelle subnucleari.

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I quark. Il concetto di quark è un elemento essenziale delle nostre teorie della fisica fondamentale, anche se osservare singoli quark non è possibile.

Il realismo dipendente dai modelli può fornire un quadro concettuale per discutere questioni come la seguente: se il mondo fu creato un tempo finito fa, che cosa accadeva prima? Un filosofo cristiano dei primi secoli, sant’Agostino (354-430), disse che la risposta non era che Dio stava preparando l’inferno per chi faceva domande simili, ma che il tempo era una proprietà del mondo creato da Dio e non esisteva prima della creazione, la quale Agostino riteneva fosse avvenuta abbastanza di recente. Questo è un modello possibile, che è preferito da quanti credono che il resoconto fornito dalla Genesi sia vero alla lettera, anche se il mondo contiene fossili e altre prove che lo fanno sembrare molto più vecchio. (Furono forse messi lì per ingannarci?) Si può adottare anche un diverso modello, in cui il tempo continua a ritroso per 13,7 miliardi di anni, fino al big bang. Tale modello, che spiega la maggior parte delle nostre attuali osservazioni, comprese le testimonianze storiche e geologiche, è la miglior rappresentazione che abbiamo del passato. Il secondo modello – la teoria del big bang – è in grado di spiegare le documentazioni fossili e radioattive nonché il fatto che riceviamo luce da galassie lontane da noi milioni di anni luce, e quindi è più utile del primo. Eppure di nessuno dei due si può dire che sia più reale dell’altro.

Alcuni sostengono un modello in cui il tempo risale all’indietro anche oltre il big bang. Non è chiaro se un modello di questo tipo sarebbe in grado di spiegare meglio le osservazioni attuali perché sembra che le leggi che governano l’evoluzione dell’universo possano cessar di valere in corrispondenza del big bang. Se fosse così, non avrebbe senso creare un modello che comprenda il tempo precedente al big bang, perché ciò che è esistito allora non avrebbe alcuna conseguenza osservabile nel presente, e quindi potremmo anche attenerci all’idea che il big bang sia stato la creazione del mondo.

Un modello è soddisfacente se:

  1. È elegante.
  2. Comprende pochi elementi arbitrari o modificabili.
  3. È in accordo con tutte le osservazioni esistenti e le spiega.
  4. Fa predizioni particolareggiate su osservazioni future, predizioni che possono confutare o falsificare il modello se non sono confermate.

Per esempio, la teoria di Aristotele secondo la quale il mondo era costituito di quattro elementi, terra, aria, fuoco e acqua, e i corpi si comportavano in modo da adempiere il loro fine, era elegante e non conteneva elementi modificabili. Ma in molti casi non faceva predizioni definite, e quando ne faceva, queste non erano sempre in accordo con l’osservazione. Una di queste predizioni era che i corpi più pesanti dovrebbero cadere più rapidamente perché il loro fine è di cadere. Sembra che nessuno prima di Galileo abbia pensato che era importante verificare questa tesi. Secondo la leggenda, lo scienziato pisano l’avrebbe messa alla prova lasciando cadere dei gravi dalla Torre Pendente della sua città. Probabilmente questa è una versione apocrifa, ma sappiamo che Galileo fece rotolare gravi di diverso peso lungo un piano inclinato e osservò che acceleravano tutti nella stessa misura, in contrasto con la predizione di Aristotele.

I criteri sopra citati hanno ovviamente carattere soggettivo. L’eleganza, per esempio, non è qualcosa che si possa misurare con facilità, ma è tenuta in gran conto dagli scienziati perché scopo delle leggi di natura è di condensare in modo economico un certo numero di casi particolari in una semplice formula. L’eleganza si riferisce alla forma di una teoria, ma è strettamente connessa all’assenza di elementi modificabili, in quanto una teoria piena di fattori arbitrari non è molto elegante. Per parafrasare Einstein, una teoria dovrebbe essere semplice fin dove possibile, ma non di più. Tolomeo aggiunse epicicli alle orbite circolari dei corpi celesti in modo che il suo modello descrivesse con precisione i loro moti. Il modello avrebbe potuto essere reso ancora più preciso annettendo epicicli agli epicicli, o perfino introducendo un terzo livello di epicicli. Sebbene un aumento di complessità possa renderlo più preciso, gli scienziati considerano insoddisfacente un modello che risulti complicato per adeguarsi a un insieme specifico di osservazioni, configurandosi più come un catalogo di dati che come una teoria che abbia una probabilità significativa di includere un qualsiasi principio utile.

Vedremo nel V capitolo che molti considerano inelegante il «modello standard» che descrive le interazioni delle particelle elementari fondamentali. Tale modello ha un successo di gran lunga maggiore degli epicicli di Tolomeo, avendo predetto l’esistenza di parecchie nuove particelle prima che venissero osservate e descritto con grande precisione l’esito di numerosi esperimenti nell’arco di diversi decenni. Ma contiene decine di parametri arbitrari i cui valori devono essere fissati in modo da accordarsi con le osservazioni, invece di essere determinati dalla teoria stessa.

Per quanto riguarda il quarto punto, gli scienziati sono sempre molto colpiti quando predizioni nuove e sorprendenti si dimostrano corrette. Per contro, quando un modello risulta carente, è comune la reazione di sostenere che l’esperimento era sbagliato. Se poi si constata che le cose non stanno così, spesso gli scienziati non abbandonano comunque il modello ma cercano di salvarlo apportando delle modifiche. Sebbene i fisici siano in effetti tenaci nei loro tentativi di salvare le teorie che ammirano, la tendenza ad adattarle si attenua via via che le modifiche diventano più artificiose o lambiccate, e perciò «ineleganti».

Se le modifiche necessarie per conciliare una teoria con nuove osservazioni diventano troppo complicate, è segno che occorre un nuovo modello. Un esempio di vecchio modello che cedette il passo sulla spinta di nuove osservazioni è quello di universo statico. Negli anni ’20 del XX secolo la maggior parte dei fisici credeva che l’universo fosse statico, cioè di dimensioni costanti. Poi, nel 1929, Edwin Hubble pubblicò le sue osservazioni che dimostravano che l’universo è in espansione. Ma Hubble non aveva osservato in modo diretto l’universo espandersi. Aveva osservato la luce emessa dalle galassie, la quale porta una firma caratteristica, detta spettro, che dipende dalla composizione di ciascuna galassia e che risulta leggermente modificata se la galassia è in moto rispetto a noi. Perciò, analizzando gli spettri di galassie lontane, Hubble aveva potuto determinarne le velocità. Si era aspettato di trovare tante galassie che si allontanavano quante erano quelle che si avvicinavano. Aveva scoperto invece che quasi tutte le galassie si allontanano da noi, e si muovono tanto più velocemente quanto più sono distanti. Aveva così concluso che l’universo si espande, ma altri, cercando di restare fedeli al precedente modello, tentarono di spiegare le sue osservazioni nel contesto dell’universo statico. Per esempio, il fisico del Caltech Fritz Zwicky propose che per qualche ragione ancora ignota la luce potesse perdere lentamente energia mentre percorreva grandi distanze. La diminuzione dell’energia avrebbe comportato una variazione dello spettro della luce, che, secondo Zwicky, avrebbe potuto assumere l’aspetto osservato da Hubble. Per decenni dopo le ricerche di Hubble molti scienziati continuarono ad aderire alla teoria dello stato stazionario. Ma il modello più naturale era quello di Hubble, dell’universo in espansione, ed è questo che ha finito per essere generalmente accettato.

Nella ricerca delle leggi che governano l’universo abbiamo formulato un certo numero di teorie o modelli: la teoria dei quattro elementi, il modello tolemaico, la teoria del flogisto, quella del big bang e così via. Con l’avvento di ciascuna teoria, la nostra concezione della realtà e dei costituenti fondamentali dell’universo è cambiata. Pensiamo per esempio alla teoria della luce. Newton riteneva che la luce fosse fatta di piccole particelle o corpuscoli. Ciò avrebbe spiegato perché la luce si propaga in linea retta, e Newton si servì dell’idea anche per spiegare perché la luce viene deviata, o rifratta, quando passa da un mezzo come l’aria a un altro, come il vetro o l’acqua.

Ma la teoria corpuscolare non poteva essere utilizzata per spiegare un fenomeno che Newton stesso aveva osservato, e che è noto con il nome di «anelli di Newton». Si ponga una lente su una lastra riflettente piana e la si illumini con luce di un unico colore, per esempio con una lampada al sodio. Guardando dall’alto, si vedrà una serie di anelli chiari e scuri centrati sul punto in cui la lente tocca la superficie. Il fenomeno sarebbe difficile da spiegare con la teoria corpuscolare della luce, ma se ne può dare una giustificazione nel contesto della teoria ondulatoria.

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La rifrazione. Il modello newtoniano era in grado di spiegare perché la luce deviava quando passava da un mezzo a un altro, ma non poteva spiegare un altro fenomeno noto oggi con il nome di anelli di Newton.

Secondo la teoria ondulatoria della luce, gli anelli chiari e scuri sono causati da un fenomeno chiamato interferenza. Un’onda, come quelle più familiari che si formano sull’acqua, è costituita da una serie di creste e di ventri. Quando le onde collidono, se capita che le rispettive creste e i rispettivi ventri corrispondano, si rinforzano reciprocamente, producendo un’onda più grande. In tal caso si parla di interferenza costruttiva, e si dice che le onde sono «in fase». All’altro estremo, quando le onde si sovrappongono, le creste dell’una potrebbero coincidere con i ventri dell’altra. In tal caso le onde si annullano reciprocamente e si dice che sono «sfasate», mentre il fenomeno viene detto interferenza distruttiva.

Nel fenomeno degli anelli di Newton, gli anelli chiari sono posti a distanze dal centro in corrispondenza delle quali la separazione tra la lente e la lastra riflettente è tale che l’onda riflessa dalla lente differisce dall’onda riflessa dalla lastra di un numero intero (1, 2, 3,...) di lunghezze d’onda, producendo interferenza costruttiva. (Una lunghezza d’onda è la distanza tra una cresta e la successiva, o tra un ventre e il successivo.) Gli anelli scuri, viceversa, sono posti a distanze dal centro in corrispondenza delle quali la separazione tra le due onde riflesse è pari a un numero semintero (½, 1½, 2½,...) di lunghezze d’onda, il che produce interferenza distruttiva: l’onda riflessa dalla lente elide quella riflessa dalla lastra.

L’interferenza. Come le persone, le onde quando si incontrano possono tendere o a rinforzarsi o a indebolirsi reciprocamente.

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L’interferenza in una pozza d’acqua. Il fenomeno dell’interferenza si manifesta nella vita quotidiana sugli specchi d’acqua, dalle pozzanghere agli oceani.

Nel XIX secolo, questa fu considerata una conferma della teoria ondulatoria della luce e una confutazione della teoria corpuscolare. Ma all’inizio del XX secolo Einstein mostrò che l’effetto fotoelettrico (oggi utilizzato nei televisori e nelle macchine fotografiche digitali) poteva essere spiegato ammettendo che una particella, o quanto di luce, colpisse un atomo e ne espellesse un elettrone. Così la luce si comporta sia come una particella che come un’onda.

Il concetto di onda probabilmente ci è stato suggerito in origine dall’osservazione dell’oceano, o di una pozza dopo che vi è caduto un sasso. In effetti, se qualche volta avete provato a lasciar cadere due sassi in una pozza, probabilmente avete visto l’interferenza all’opera, come nell’immagine nella pagina precedente. Un comportamento analogo viene osservato anche negli altri liquidi, con l’eccezione forse del vino, qualora se ne sia bevuto troppo. Il concetto di particella era familiare per via di pietre, sassi e sabbia. Ma il dualismo onda-particella – l’idea cioè che un corpo possa essere descritto sia come una particella sia come un’onda – è altrettanto estraneo all’esperienza quotidiana quanto l’idea che si possa bere un pezzo di arenaria.

Dualismi di questo tipo – situazioni in cui due teorie diverse descrivono in modo preciso il medesimo fenomeno – sono compatibili con il realismo dipendente dai modelli. Ciascuna teoria è in grado di descrivere e spiegare certe proprietà, e nessuna delle due può essere definita migliore o più reale dell’altra. Quanto alle leggi che governano l’universo, possiamo dire questo: sembra che non vi sia nessun modello matematico capace di descrivere da solo ogni aspetto dell’universo. Come si è accennato nel capitolo iniziale, pare che invece ci si debba avvalere della rete di teorie chiamata teoria M. Ogni teoria di questa rete è in grado di descrivere i fenomeni in un certo ambito. Dovunque i loro ambiti si sovrappongono, le varie teorie della rete sono in accordo tra loro, cosicché si può dire che sono parti dello stesso complesso teorico. Ma nessuna teoria della rete può descrivere da sola ogni aspetto dell’universo: tutte le forze fondamentali, le particelle che sono soggette a tali forze, e la struttura spaziotemporale in cui tutto ciò si svolge. Sebbene questa situazione non realizzi il classico sogno dei fisici di un’unica teoria unitaria, è accettabile nel contesto del realismo dipendente dai modelli.

Torneremo a discutere del dualismo e della teoria M nel V capitolo, ma prima ci occuperemo di un principio fondamentale su cui si basa la moderna concezione della natura: la teoria quantistica, e in particolare la formulazione di tale teoria in termini delle cosiddette «storie alternative». In questa formulazione, l’universo non ha un’unica esistenza o storia; al contrario, tutte le possibili versioni dell’universo esistono simultaneamente in quella che è chiamata sovrapposizione quantistica. Ciò può apparire stravagante come la teoria in cui il tavolo scompare ogni volta che usciamo dalla stanza, ma in questo caso la teoria ha superato tutte le verifiche sperimentali cui nel tempo è stata sottoposta.