27

Rimasi sveglia tutta la notte a riflettere sul da farsi. Judah e i miei genitori non si aspettavano certo di vedermi tornare prima di venerdì e fino ad allora non avrebbero avuto motivo di sospettare che fosse successo qualcosa. Gli altri passeggeri, tuttavia, avrebbero potuto pensare che non fossi risalita a bordo. Avrebbero dato l’allarme? Oppure Bullmer aveva propinato loro qualche storia per spiegare la mia scomparsa? Magari che ero stata trattenuta a Trondheim per chissà quali motivi, o che improvvisamente avevo deciso di rientrare a casa.

Non ne ero sicura. Cercai di immaginare chi potesse preoccuparsi abbastanza da porsi delle domande. Non avevo molte speranze che Cole, Chloe o gli altri passeggeri si mettessero a indagare. Non mi conoscevano. Non avevano i nomi né i recapiti dei miei familiari. Molto probabilmente avrebbero accettato le spiegazioni di Bullmer senza tante storie.

E che dire di Ben, allora? Lui mi conosceva bene, abbastanza da sapere che non ero il tipo da filarmela da Trondheim di prima mattina senza neanche un saluto. Però non ne ero certa. In circostanze normali forse si sarebbe messo in contatto con Judah o con i miei genitori, ma in quel momento i nostri rapporti non si potevano definire esattamente normali. Io lo avevo quasi accusato di essere complice di un omicidio e, a parte la sua legittima rabbia, probabilmente non si sarebbe stupito se fossi scomparsa dalla nave senza neppure un arrivederci.

Di tutti gli altri ospiti, quella su cui puntavo maggiormente era Tina: incrociavo le dita che avrebbe chiamato Rowan, non vedendomi tornare. Tuttavia mi sembrava un’eventualità troppo remota da cui far dipendere la mia vita.

No. Io stessa avrei dovuto prendere in mano la situazione.

Arrivò l’alba. Non avevo chiuso occhio, ma sapevo cosa dovevo fare: quando bussarono alla porta ero pronta.

«Avanti» dissi. La porta si socchiuse e la ragazza infilò dentro la testa, guardinga. Mi vide tranquillamente seduta sul letto, ben lavata e ripulita, con il libro in grembo. «’Giorno» la salutai.

Appoggiò a terra il vassoio del cibo. Stavolta vestiva i panni di Anne – foulard in testa, niente sopracciglia disegnate a matita – ma non si muoveva come lei, bensì come la ragazza che avevo visto in precedenza: posò con impazienza il vassoio, poi si raddrizzò senza nessuna traccia della grazia riflessiva che invece sfoggiava quando impersonava la moglie di Richard.

«’Giorno anche a te» rispose. Notai che anche la sua voce suonava diversa: le consonanti, prima cristalline, ora venivano tagliate o pronunciate in modo indistinto. «L’hai finito?» Indicò il libro con un cenno del capo.

«Sì. Puoi portarmente un altro?»

«Immagino di sì. Quale vuoi?»

«Non ha importanza. Uno qualsiasi. Scegli tu.»

«Okay.» Tese la mano per riprendersi La campana di vetro, che le consegnai, poi mi feci coraggio per la mossa successiva.

«Mi dispiace» proseguii impacciata. «Per il vassoio.»

A quelle parole le venne da sorridere, un lampo di denti bianchi e regolari, e un luccichio malizioso negli occhi scuri.

«Lascia perdere. Io avrei fatto lo stesso. Stavolta però te l’ho portato di gomma. Sai com’è... cascarci una volta, passi, ma due...»

Guardai la colazione posata a terra. Il fragile vassoio di melammina era stato sostituito da un altro di plastica più spessa e morbida, simile a quelli che si usano nei bar.

«Come potrei lamentarmi?» Mi sforzai di sorridere. «Me lo sono meritato.»

«La tua pillola è nel piattino. Però mi raccomando, comportati bene, eh?»

Annuii e lei fece per andarsene. Mi si bloccò il respiro in gola. Dovevo fermarla, dire qualcosa. Qualsiasi cosa potesse evitarmi un altro giorno e un’altra notte lì da sola.

«Come ti chiami?» buttai lì disperata.

Si girò, sospettosa. «Cos’hai detto?»

«So che non sei Anne. Mi ricordavo dei suoi occhi. La prima sera lei li aveva grigi, tu no. A parte questo, è un travestimento molto convincente. Sei davvero una brava attrice, sai?»

Per qualche istante mi guardò senza capire, e io temetti che sarebbe uscita sbattendo la porta, lasciandomi lì per altre dodici ore. Mi sembrava di essere uno di quei pescatori che stanno tirando su un grosso pesce con una lenza sottile: avevo i muscoli tesi per lo sforzo ma al contempo cercavo di non fare movimenti bruschi né di mostrare la tensione a cui mi sentivo sottoposta.

«Se invece mi sono sbagliata...» ripresi cauta.

«Sta’ zitta» ribatté, feroce come una leonessa. Il volto completamente trasformato, ora era in preda a una furia selvaggia, gli occhi scuri pieni di rancore e diffidenza.

«Scusami» dissi umilmente. «Non volevo... comunque senti, che importanza ha? Tanto non posso andare da nessuna parte. A chi vuoi che lo racconti?»

«Fanculo» sbottò aspra. «Ti stai scavando la tomba con le tue stesse mani, te ne rendi conto?»

Annuii. Ma questo lo sapevo da qualche giorno, ormai. Di qualunque cosa lei cercasse di autoconvincersi – e qualunque illusione io volessi farmi – c’era un unico modo per uscire da quella stanza.

«Non credo che Richard mi lascerà libera» ripresi. «Lo sai anche tu, vero? Perciò, che io conosca o meno il tuo nome non conta nulla.»

Il suo viso sotto il costoso foulard era pallido come la cera. Quando riaprì bocca, parlò con amarezza.

«Sei stata tu a incasinare tutto. Perché non potevi farti i fatti tuoi e basta?»

«Stavo cercando di aiutarti!» esclamai, per poi pentirmi subito dopo del mio tono: le parole mi erano uscite di bocca a un volume spaventosamente alto, in quella stanzetta. Deglutii e ripetei a voce più bassa: «Stavo cercando di aiutarti, non lo capisci?»

«Ma perché?» La sua era per metà una domanda e per metà un grido di frustrazione. «Perché? Mi conoscevi appena... perché hai continuato a ficcare il naso?»

«Perché sapevo come ci si sente a trovarsi nei tuoi panni! Io lo so... so cosa si prova a svegliarsi nel cuore della notte temendo per la propria vita.»

«Ma non si trattava di me» ringhiò. Percorse la piccola cabina a grandi falcate. Da vicino mi accorsi che le sue sopracciglia mostravano una vaghissima ombra di ricrescita. «Non si è mai trattato di me.»

«Prima o poi succederà, però» risposi, fissandola in modo che non distogliesse il suo sguardo dal mio. Non potevo permettermi di mollarla proprio ora: doveva rendersi conto di cosa stesse facendo. «Quando Richard si sarà impadronito dei soldi di Anne... cosa credi che farà? Si metterà al sicuro.»

«Zitta! Non sai nemmeno di cosa stai parlando. Lui è un uomo stupendo. È innamorato di me.»

Mi alzai in piedi, al suo stesso livello. Ci guardavamo dritto negli occhi, i nostri visi ad appena qualche centimetro di distanza.

«Sono solo balle, e tu lo sai» ribattei. Mi tremavano le mani. Se l’avesse presa male, avrebbe potuto chiudere la porta a chiave e non tornare mai più, ma dovevo fare in modo che guardasse in faccia la realtà, per il mio bene e per il suo. Se fosse andata via adesso, con ogni probabilità saremmo morte entrambe. «Uno innamorato di te non ti avrebbe picchiata né ti avrebbe costretta a travestirti da sua moglie morta. A cosa credi che serva tutta questa farsa? A stare con te? No, non serve a questo. Altrimenti lui le avrebbe chiesto il divorzio... solo che lei si sarebbe tenuta i soldi. Era l’erede di una dinastia di miliardari. Quella è gente che non azzarda un matrimonio senza un contratto prematrimoniale.»

«Chiudi quella bocca!» Si tappò le orecchie con le mani, scuotendo la testa. «Non hai la più pallida idea di quel che stai dicendo. Nemmeno io avrei voluto trovarmi in una situazione simile!»

«Davvero? Credi sul serio che sia una coincidenza il fatto che si sia innamorato di una che assomiglia in modo impressionante ad Anne? Ha progettato tutto sin dall’inizio. Tu sei solo uno strumento per arrivare al suo scopo.»

«Ma cosa ne sai, tu?» ringhiò la ragazza. Mi voltò le spalle e si diresse verso il punto dove avrebbe dovuto trovarsi la finestra, se ce ne fosse stata una, poi tornò indietro. Nella sua espressione ora non c’era nulla dell’affaticata serenità di Anne: era solo un fascio di paura e di furia.

«Tutti i soldi, senza la moglie a controllarlo... credo che l’idea gli sia venuta con la malattia di Anne, e di colpo si è accorto di quanto fosse allettante: un futuro senza Anne, ma con i suoi soldi. E quando i dottori l’hanno dichiarata fuori pericolo, lui non voleva più rinunciarci... giusto? Poi ha visto te, e il suo piano ha cominciato a prendere forma. Dove ti ha pescata? In un bar? No, aspetta» soggiunsi ricordando l’immagine sulla macchina fotografica di Cole. «È stato al club, vero?»

«Tu non sai niente di questa storia!» urlò la ragazza. «NIENTE!»

E prima che potessi aggiungere altro girò sui tacchi, aprì la porta con mano tremante e uscì in fretta, La campana di vetro ancora stretto sotto il braccio. La porta si richiuse con un tonfo dietro di lei, poi ecco la chiave che grattava incerta nella serratura. Qualche passo più in là un’altra porta sbattuta, e infine il silenzio.

Mi risedetti nella cuccetta. L’avevo fatta dubitare di Richard abbastanza da fidarsi di me? Oppure stava salendo da lui per riferirle la nostra conversazione? C’era un unico modo per scoprirlo. Aspettare.

A mano a mano che le ore scivolavano via senza che lei tornasse, però, cominciai a chiedermi quanto sarebbe durata quell’attesa.

E quando lei non ricomparve con la cena, e la fame cominciò ad artigliarmi lo stomaco, cominciai a sospettare di aver agito nel modo peggiore possibile.