La signorina a vapore

 

Si viaggia sulla 640, locomotiva italiana del 1907 leggera, veloce ma affamata di montagne d'acqua e carbone

 

Quattordicesimo giorno: Firenze-Siena-Monte Amiata e ritorno

 

Firenze-deposito, notte fonda. Passiamo i binari nella pioggia, sembriamo curdi in fuga. Siamo anche vestiti da clandestini, con roba acquistata dai vu'cumprà.

Non è per gioco: oggi è la gran giornata, ci si affumica, si viaggia sulla locomotiva. Roba seria, Firenze-Prato-Siena e ritorno, 220 chilometri. Dobbiamo fare in fretta, per acchiappare l'ultimo pezzo della "Veglia del fuoco", il rituale che serve a pre-riscaldare la vaporiera. Ventiquattr'ore no-stop di cure, controlli, a dosare acqua e carbone.

 

Paolini è in calore, e quando è in calore non sai mai se cerca una donna o una locomotiva. Stavolta non ho dubbi. Vuole la nera "640", numero 148 di serie, che lo aspetta ansimando piano sotto la pioggia, come Lili Marleen accanto al lampione.

 

Attorno, ombre al lavoro. Scherzano: "stamane la fo schiantare", e svelano subito il rapporto erotico con la creatura. Spiegano che va corteggiata, portata all'orgasmo con lentezza, ma che "ne vale la pena, perché poi ti fa morire".

Dicono: "Non l'è mai sazia", perché in un giorno divora trenta metri cubi d'acqua e una montagna di carbone.

Presentazioni nel semibuio. Paolo Dellai, 23 Piero Capecchi, Gabriele Gori. Tutti macchinisti, un'équipe irripetibile. Marco li conosce, fanno parte della sua personale massoneria ferroviaria. Stavolta possiamo farne il nome, il viaggio è fuori ordinanza e noi non siamo in plancia da illegali. Mi mostrano le ruote enormi, spiegano che la "640" non è una "regina" come la "740", la matrona capace di rimorchiare in salita decine di vagoni. Questa è una piccola italiana a garretti alti, classe 1907, leggera e veloce, con la falcata lunga per divorare la pianura. Per questo la chiamano "signorina".

 

É l'ora. Gabriele apre una pompa e tutta la macchina sfiata, si gonfia. É un gioco delicatissimo di fuoco e acqua. Guai se uno dei due prevale. "O te tu rimani senz'acqua spiega - o te tu rimani senza carbone". Se succede, la signorina si inginocchia, va giù di pressione. Piero dà l'ultima lubrificata alle bielle e alle giunture. Poi si parte senza scossoni, con una dolcezza sorprendente, sulle rotaie traslucide.24

 

Albeggia, si passa davanti alla cabina-apparati, la torre di controllo delle ferrovie. "Che Bin Laden vi centri!", grida Paolo, tutto sbilenco a babordo.

Una scena da "Amici miei", con risate e sfottimenti. La locomotiva non è un lavoro per malinconici o inappetenti. O ti diverti o scendi. Ormai si va veloci sulle rotaie bagnate, la cupola di Santa Maria Novella, alta sulla città, è il faro dei ferrovieri-naviganti. Gabriele spala montagne di carbone, "roba bona dice comprata in Russia".

 

Urlo a "740": com'è l'alba? Lui: "Lattiginosa!". E la locomotiva? "Corusca a fumida!". E il cuore? "Vola oltre l'ostacolo!". Adesso si stantuffa bene, ma prendere appunti in bilico fra la locomotiva che ti sbatte e il tender che si agita è una scommessa: dopo cinque minuti il mio taccuino è un impasto di pioggia e fuliggine. E siamo già a Prato, dove ci si aggancia a un convoglio di gitanti su sei vagoni Belle Époque con sedie di legno.

Partenza alle 7.40, come nella canzone di Battisti. Ed è la corsa lungo l'Arno, tra officine, campi nomadi e archeologie industriali. La velocità sale a 80, la caldaia ingoia da morire. Impossibile addormentarsi su una locomotiva. É una lotta continua, e anche per questo non c'è un posto per sedersi. Più facile assopirsi su un pendolino, dove il pilota sta in poltrona, in un felpato silenzio, come davanti a un videogioco. Urla, casino infernale, solo in barca ho visto una concitazione simile, durante le regate.

Cielo nero da temporale, elettricità da Ghostbusters. I ferrovieri russi in corsa per Vladivostok direbbero che c'è una maga - Baba Yaga - nel cielo. La locomotiva va, in un'aureola iridescente di pioviggine, il fumo è come una bandiera sfilacciata giallo sporco in preda al vento forte. E quando il tachimetro tocca i 100, scoppia un'euforia incontrollabile, anche i manometri cantano.

"Ragazzi, m'avete regalato sei mesi di vita", urla Piero. E senti che la tua fiducia per questa gente non assomiglia a quella per il pilota di un aereo. Non è solo professionale. É anche morale.

 

Buchiamo un arcobaleno, e Paolo indica dei campanili. Grida: "Fucecchio! Lì l'è nato Montanelli!", che Dio l'abbia in gloria. "Certaldo! Lì l'è nato Boccaccio!".

Dalla strada la gente ci saluta, la locomotiva semina allegrie primordiali. A

Empoli Paolini mi annuncia che ci mancano tremila chilometri esatti, non so come faccia a tenere il conto. Lo guardo: ha il muso nero, le rughe sono cordoni di fuliggine. Anch'io sono così, faccia da top gun.

 

Si morde l'ultimo pezzo di Val D'Elsa e, dopo la salita delle Badesse, si entra trionfalmente in Siena. La "640" tira il fiato, c'è una sosta di cinque ore prima del ritorno, e i gitanti vanno a pranzo. Ma noi non siamo sazi, è in partenza la littorina che fa il giro delle Crete Senesi, fin sotto il monte Amiata. Saltiamo a bordo sporchi di fuliggine tra i turisti, con in mano quattro panini al salame e una bottiglia bona di Rosso di Barbi. Puzziamo come capre, la locomotiva ci ha messo in corpo una fame bestiale, riempiti di una felicità infantile.

 

Il trenino è la "990", la mitica Freccia delle Dolomiti, Milano-Cortina, carenata, color toffee. Ma che delusione. Viaggi nel paesaggio più straordinariamente italiano d'Italia e l'altoparlante, invece di spiegartelo, ti propina un'atroce musica americana anni Cinquanta. Risultato, i gitanti chiacchierano, i bambini digitano telefonini, altri fanno merenda, tutti sono indifferenti al paesaggio.

 

Ecco, l'Italia è anche questo. Gente simpatica e bambini grassi che viaggiano senza sapere dove sono, a bordo di un treno caciarone, dove la musica è scritta da altri. Ma che posso farci, this land is my land. Nel bene o nel male è la mia patria.

(mancano 2738 chilometri - 15 agosto 2002)