Due uomini in fuga
Nel quale compare "740", il compagno sconosciuto, e due strani viaggiatori occupano una locomotiva per inseguire un sogno esotico
Primo giorno - Firenze-Civitavecchia-Olbia
La storia comincia all'alba, nel Mar di Sardegna, col traghetto "Aurelia" che si mette a vibrare dalla chiglia alla ciminiera in mezzo a nubi alte come torri e con l'odore di vernice, ruggine e salsedine che diventa odore di terra.
Comincia col mio compagno di viaggio che sbuca in coperta come Achab, annusa l'aria sottovento con faccia feroce, e poi si accende la pipa, cercando a Occidente, nel labirinto color cenere dei monti di Gallura, una linea nera e sottile. La ferrovia.
Per una volta, ladies and gentlemen, non allacciatevi le cinture. Don't fasten the seat belts. Si parte in treno, la Cenerentola dei trasporti. Si fa l'Italia in seconda classe, per linee dimenticate. Buttate dunque a mare duty free, gates, flights, hostess e check in. Lasciate le salette business a parlamentari e commendatur. Questo è un viaggio "hard", fatto di scambi, pulegge, turbocompressori e carbone. E noi lo faremo, anche a costo di farci sbattere da una squinternata vagona baldracca, un glorioso rudere che cigola e scorreggia sulla rete di ferro, in attesa di rottamazione.
Borbottìo di caffè espresso, trillo di un cellulare. Il sole buca le brume del Tirreno, gabbiani rosa planano controluce, il Mistral si sveglia, nelle gabbie sul ponte i cani inquieti abbaiano e l'Isola emerge come una schiena di testuggine. Scendiamo nel garage in mezzo a sardi insonnoliti e alla ciurma dei turisti. Portiamo entrambi uno zaino e una borsa di scartoffie. Ed entrambi abbiamo quell'espressione un po' così, un po' padana un po' boema, degli sgobboni del Nordest.
In tasca, un'idea corsara. Percorrere 7480 chilometri, come la Transiberiana dagli Urali a Vladivostok. Una distanza leggendaria, un gomitolo lungo come l'Asia da srotolare dentro la Penisola. Non sappiamo ancora dove andremo e in quanto tempo consumeremo questo buono chilometrico che nessun biglietto può contenere. Sappiamo solo che il nostro è un conto alla rovescia che ci obbligherà a scendere al chilometro zero. E che Vladivostok - la fatamorgana, quasi una donna misteriosa - ci seguirà fino alla fine, tessendo per noi un viaggio parallelo.
Il compagno di viaggio? Non posso dirvene il nome. Porta occhiali scuri e un cappellaccio a tese larghe, per nascondersi. Deve farlo, perché ha una faccia nota, anche troppo. Anche la sua voce è riconoscibilissima. Dopo la partenza da Firenze, in treno l'hanno beccato tre volte, come Simon Pietro. Per questo non vede l'ora di darsi alla latitanza. Vuol sparire nella rete, e aspetta questo viaggio clandestino come una liberazione.
Tentiamone l'identikit. Età: sui 45. Segno zodiacale: Pesci. Carattere: moderatamente lunatico. Sguardo: spiritato. Bioritmi: passa da silenzi abissali a lunghi monologhi. Manie: odia le robinie, le piante infestanti, spie dell'abbandono dei territori. Segni particolari: è un hidalgo, chiede dedizione ed è capace di grandi slanci. Avvertenze: non fategli domande prima delle undici. Morde.
Pedigree: è figlio di un "muso nero", un macchinista su locomotive di linea. É un marchio genetico. I bambini comuni adorano automobiline, betoniere e scavatrici. Lui no, il suo giocattolo è il demone col fuoco dentro. La sua mamma è la macchina nera che respira. La sua donna è una locomotiva. "Puoi farla andare - dice - come una sciantosa e come un'indossatrice, come una casalinga e come una puttana. Dipende da chi la porta". Per addormentarsi, legge orari ferroviari. Nella sua casa di campagna si chiude in una stanza dove i trenini fischiano e corrono per fantastiche gallerie elicoidali.
Chiamatelo, per ora, con un numero: "740". Che non è "il" Settequaranta, la leggendaria dichiarazione dei redditi. É "la" Settequaranta, la più straordinaria locomotiva italiana. Cercate in un libro di storia patria la sua linea forte, tarchiata, inimitabile. Un'icona nazionale, come il naso di Bartali o la divisa dei Carabinieri. L'archetipo, il paradigma della vaporiera. I ferrovieri dicono: prima Dio fece lei, e poi tutte le altre, "a sua immagine e somiglianza".
Ovviamente a somiglianza della macchina, mica di Dio.1
Olbia, vento leggero, si sbarca. Il popolo dei gommati si disperde in cinque minuti e noi restiamo soli con l'edicola che apre, il ticchettìo del primo Bancomat, la prima panetteria e la prima bandiera di Forza Italia in fondo alla strada. Al bar chiediamo un caffè corretto alla sambuca e un fernet, per smaltire la traversata. La stazione è lontana. Una volta la rotaia arrivava ai traghetti, ora l'hanno "razionalizzata", e ci tocca pedalare. Ma chissenefrega, l'avventura comincia.2
"740" fa strada. É lui che studia gli orari, a me viene l'emicrania. Lo seguo un po' a distanza, come Sancho Panza. Non ho locomotive nella genealogia: ma vengo da una città di grandi ferrovie perdute. Trieste, quella dell'Orient Express, dei treni per Sofia e Vienna. Oggi è quasi un binario morto, ma le sue linee restano le più belle d'Italia. Volano tra le vigne e il mare, tra Alpi e Danubio. Treni di frontiera, dove basta uno scambio per incontrare l'Altrove. Sentirli che passano, la sera, mi rassicura e mi fa sognare.
Stazione di Olbia, la vecchia automotrice 668 per Sassari è in attesa al binario due. A bordo nessun turista. Solo donne mediterranee dall'occhio rapace.
"740" bussa alla cabina di guida. Si presenta, entra a colpo sicuro, la storia del muso nero gli apre tutte le porte. Gigioneggia: "Sono cresciuto a cavallo del cofano di una 772, quello largo come il serbatoio di una Harley Davidson. É per questo che ho le gambe storte". Risate, è fatta.3
Uno scossone e si parte nella luce bassa del mattino, la 668 fa tu-tun in mezzo a lecci, lentischi e rocce emergenti, lo scompartimento si riempie di profumo di mirto. É deciso: d'ora in avanti viaggeremo su treni con finestrini apribili. Niente aria condizionata, niente treni che somigliano ad aerei.
L'aereo è globale, totalitario, imperscrutabile. Sta in cielo, e il cielo è di nessuno.
La rete di ferro, invece, è di tutti. É il popolo, la nazione.
Il treno, non l'aereo, ha fatto l'Italia. Un piccolo treno come questo che arranca tra praterie e fichi d'India. Siamo in ballo. Il viaggio comincia.
(mancano 6843 chilometri - 2 agosto 2002)