CAPITOLO 39
Henri d'Aulnay-Pradelle entrò nel vasto ufficio postale in rue du Louvre a metà pomeriggio e scelse una panca che gli permettesse di osservare le file delle caselle che tappezzavano il muro, non lontano dalla monumentale scalinata che conduceva al piano superiore.
La numero 52 era collocata a una quindicina di metri da lui. Finse di essere assorto nella lettura del giornale, ma capì ben presto che starsene lì non avrebbe pagato. Nell'ipotesi più probabile, gli imbroglioni, prima di svuotare la casella, dovevano controllare per un bel po' la situazione per assicurarsi che non ci fosse nulla di anomalo, senza contare che difficilmente sarebbero passati a metà giornata, ma piuttosto la mattina. Insomma, ora che si trovava sul posto, si vedeva impelagato nel peggiore dei suoi timori: quel giorno i truffatori rischiavano di più a recarsi a riscuotere gli ultimi acconti che a prendere un treno per l'altro capo dell'Europa o una nave per l'Africa.
Non sarebbero più venuti.
E lui aveva il tempo contato.
Quel pensiero lo gettò nello sconforto. Mollato dal suo collaboratore, scaricato dai soci, rinnegato dal suocero, lasciato dalla moglie, senza più nessuna prospettiva di fronte alla catastrofe che si annunciava...
Aveva vissuto i tre giorni peggiori della sua esistenza, fino a quella chiamata in extremis, quel fattorino corso a cercarlo con la massima urgenza, quella frase scarabocchiata su un biglietto da visita di Marcel Péricourt: "Venga immediatamente da me".
Il tempo di prendere un taxi, di arrivare in boulevard de Courcelles, di incrociare Madeleine al piano di sopra... Sempre con quel sorriso stampato, quella lì, un'oca in procinto di fare l'uovo. Non sembrava nemmeno ricordarsi che due giorni prima lo aveva freddamente condannato.
"Ah, tesoro, ti hanno trovato?"
Sembrava sollevata. Che troia. Aveva mandato il fattorino a cercarlo fin dentro al letto di Mathilde de Beausergent, come diavolo era venuta a saperlo.
"Non ti avranno interrotto prima dell'orgasmo, spero!" gli chiese.
E vedendo che Henri le passava davanti senza risponderle, aggiunse: "Ah, sì, sali da papà... Ancora una questione tra uomini, quanto siete pesanti...".
Dopodiché incrociò le mani sul ventre e tornò alla sua attività preferita che consisteva nell'indovinare se fossero i piedi che facevano quei bitorzoli, o i talloni, o i gomiti, sguazzava come un pesce, quella bestiolina, quanto adorava parlarle.
Man mano che il tempo passava, che gli innumerevoli clienti si affollavano agli sportelli, che venivano aperte tutte le caselle postali tranne quella che lui teneva d'occhio, Henri cambiò postazione, panca, piano, salì dov'era consentito fumare scrutando il pianterreno.
Quell'inerzia lo uccideva a fuoco lento, ma cos'altro fare? Riprese a maledire il vecchio Péricourt, per colpa del quale lui stava lì a girarsi i pollici, impotente. Lo aveva visto molto provato. Quell'uomo sarebbe morto in piedi, però lo sfinimento si leggeva in tutta la sua persona, nelle spalle curve, nelle occhiaie violacee... Era un po' che dava segni di debolezza, ma il suo stato sembrava ulteriormente peggiorato. Al Jockey, si mormorava che, dopo il malore che lo aveva colpito nel novembre scorso, non fosse più veramente lo stesso. Persino quell'autentica sfinge del dottor Blanche abbassava lo sguardo quando si parlava di Marcel Péricourt, era tutto dire. Indizio sintomatico, in Borsa, alcune azioni del suo gruppo erano date in ribasso. In seguito erano risalite, ma comunque...
Che per Henri sarebbe stata la fine quando il vecchio testone fosse crepato, sempre troppo tardi, era un'idea insopportabile. Se solo avesse potuto lasciarci la pelle ora piuttosto che tra sei mesi o un anno...
Certo, il testamento era blindato, proprio come il contratto di matrimonio, ma Henri serbava una fiducia incrollabile nella sua capacità di ottenere ciò che voleva dalle donne, qualità che era stata smentita solo dalla sua, di donna (il colmo dei colmi). Se necessario, ce l'avrebbe messa tutta, e di Madeleine avrebbe fatto un solo boccone; della fortuna del vecchio, avrebbe avuto la sua parte, parola di soldato. Che sfacelo. Aveva voluto troppo o troppo in fretta... Inutile rivangare il passato, era così, Henri era un uomo d'azione, non si perdeva certo in lagne.
"Ha delle grosse grane che la aspettano" gli aveva detto il vecchio Péricourt quando Henri si era seduto davanti a lui, con ancora in mano il biglietto da visita che gli intimava di correre lì.
Henri non aveva risposto perché era vero. Ciò che era ancora rimediabile - i piccoli problemi nei cimiteri - diveniva, con l'accusa di corruzione di un dipendente statale, una difficoltà quasi insormontabile.
Quasi. Cioè non completamente.
Intanto, però, se Péricourt lo reclamava, se si abbassava a chiedere di lui, se arrivava a farlo cercare nel letto di una delle sue amanti, significava che ne aveva un tremendo bisogno.
Di cosa si trattava per ridursi a chiamare lui, Henri d'Aulnay-Pradelle, di cui pronunciava il nome con sdegno? Henri non ne aveva la più pallida idea, sapeva solo che era lì, nello studio del vecchio, seduto e non più in piedi, e non era lui a chiedere qualcosa. Intravedeva una luce all'orizzonte, una speranza. Non fece nessuna domanda.
"Senza di me, i suoi problemi sono insolubili."
Henri commise un primo errore dovuto all'amor proprio: si permise una piccola smorfia scettica. Péricourt reagì con una veemenza che il genero non gli conosceva.
"Lei è un uomo morto!" gli urlò. "Ha sentito? Morto! Con tutto quello che le piove addosso, lo Stato le requisirà tutto, i suoi beni, la sua reputazione, non si rimetterà mai più! E finirà in galera."
Henri apparteneva a quella specie di uomini che, dopo un. madornale errore tattico, sono capaci di manifestare un eccellente intuito. Si alzò e si diresse alla porta.
"Resti lì" urlò Péricourt.
Senza l'ombra di un'esitazione, Henri fece dietrofront, attraversò la sala con passo deciso, piantò i palmi delle mani sulla scrivania del suocero, si chinò e disse: "Allora la smetta di rompere le palle. Lei ha bisogno di me. Non so perché, ma le sia chiara una cosa: qualunque cosa mi chiederà, le mie condizioni non sono cambiate. Il ministro è roba sua? Benissimo, allora intervenga personalmente presso di lui, faccia gettare nella pattumiera tutto ciò che mi incrimina, non voglio più nessun indizio contro di me".
Dopodiché, si riaccomodò in poltrona, accavallò le gambe, proprio come se si trovasse al Jockey in attesa che il maggiordomo gli portasse il suo bicchiere di acquavite. Chiunque altro, in questa situazione, avrebbe tremato, chiedendosi che cosa si sarebbe preteso in cambio, ma non Henri. Da tre giorni rimuginava sulla rovina che incombeva su di lui, si sentiva pronto a tutto. Mi dica chi bisogna uccidere.
Péricourt dovette spiegare tutto: il monumento ai caduti che aveva ordinato, la truffa su scala nazionale, ma di cui era forse la vittima più illustre, la più in vista. Henri ebbe il buongusto di non sorridere.
E cominciava a capire quello che il suocero gli avrebbe domandato.
"Lo scandalo è imminente" spiegò Marcel Péricourt. "Se la polizia li arresta prima che se la squaglino, tutti se ne approprieranno, il governo, la giustizia, i giornali, le associazioni, le vittime, gli ex combattenti... Non voglio. Li trovi lei."
"Per farne che?" "Questo non la riguarda."
Henri era sicuro che Péricourt non lo sapesse neanche lui, ma non erano fatti suoi.
"Perché proprio io?" domandò.
Si morse immediatamente la lingua ma era troppo tardi.
"Per trovare delle carogne, ci vuole una carogna della stessa pasta."
Henri incassò lo schiaffo. Péricourt rimpianse quell'insulto non perché si fosse spinto troppo oltre, ma perché rischiava di essere controproducente.
"Per giunta, il tempo incalza" aggiunse con tono più conciliante. "E' questione di ore. E ho solo lei sottomano."
Verso le diciotto, dopo una decina di cambi di posizione, dovette arrendersi all'evidenza: la strategia dell'attesa all'ufficio postale del Louvre non avrebbe funzionato.
Almeno, non quel giorno. E nessuno poteva dire se ci sarebbe stato un domani.
Quale soluzione aveva Henri, se non quella di aspettare alle Poste del Louvre l'ipotetica venuta dei clienti della casella numero 52? Il tipografo che aveva stampato il catalogo?
"Non ci vada" aveva detto Péricourt. "Dovrà fare domande, e se si sparge la voce che ci si preoccupa di quella tipografia, si risalirà ai clienti, a quella società, alla truffa, e scoppierà lo scandalo."
Escludendo la tipografia, rimaneva la banca.
Il Ricordo Patriottico aveva ricevuto pagamenti dei suoi clienti, ma per sapere a quale banca erano stati versati i fondi raccolti, ci voleva tempo, un'autorizzazione, tutte cose di cui Henri non poteva disporre.
Tornava sempre al punto di partenza: l'ufficio postale o nulla.
Ubbidì al suo temperamento e scelse la trasgressione. Nonostante il divieto di Péricourt, si fece condurre alla tipografia Rondot, rue des Abbesses.
Nel taxi, sfogliò per l'ennesima volta il catalogo del Ricordo Patriottico che il suocero gli aveva consegnato... La reazione di Péricourt andava al di là di quella di un uomo d'affari agguerrito, vittima di una truffa, lui ne faceva una questione personale. Allora, di cosa si trattava?
Il taxi rimase a lungo bloccato in rue de Clignancourt. Henri chiuse il catalogo, vagamente ammirato. Andava alla ricerca di truffatori provetti, una banda organizzata, esperta, contro cui aveva poche chance perché possedeva pochi elementi e disponeva di ancora meno tempo. Non poteva impedirsi di provare una certa ammirazione per la qualità di quella frode. Quel catalogo rasentava il capolavoro. Se non fosse stato proteso verso un risultato da cui dipendeva la sua vita, ne avrebbe sorriso. Invece, si giurò che se si trattava della sua pelle contro la loro, avrebbe sterminato quella piccola banda con una bomba a mano, con il gas mostarda, con la mitragliatrice, se necessario. Se gli avessero lasciato il minimo spiraglio per passare, avrebbe fatto una strage.
Sentiva gli addominali, i pettorali indurirsi, le labbra serrarsi...
Proprio così, pensò. Lasciatemi una chance su diecimila, e siete morti.