4. “Ebbra d’aria sono io”
Nel soggiorno della Homestead, sulla parete al di là del pianoforte posto sul tappeto di Bruxelles a decorazioni floreali, era appesa un’incisione intitolata Il cervo minacciato. La nobile selvaggina, colta allo scoperto e circondata da cani che guaivano in silenzio, mentre il cacciatore a cavallo gli puntava al petto una lancia perpetuamente in bilico, stava chiaramente per morire di puro terrore.
Era precisamente così che si era sentita Emily quando Whitman aveva pronunciato la sua velata sfida riguardo alla capienza del cesto.
Il sudore le era spuntato sulla fronte, e le membra non sembravano più sue. Il cielo… il cielo sembrava così pesante, che di colpo si convinse che il Firmamento si sarebbe spezzato, ricoprendola di Azzurro…
Così era fuggita.
Come un bambino spaventato dalle ombre, era corsa via dal cortile posteriore degli Evergreen, attraversando il boschetto e raggiungendo il riparo della sua camera alla Homestead.
Lì era rimasta per i due giorni seguenti, raggomitolata sotto le trapunte. Perfino Carlo era stato escluso.
(E quale fra tutte le possibili fonti di imbarazzo l’aveva colpita nello stesso momento, se non le temute mestruazioni? Era ben misero conforto il fatto che le Dorate Pillole Periodiche di Francia del dottor Duponco avessero in certa misura alleviato la maledizione. Dov’era la Pillola da prendere per i suoi Nervi?)
Fra crisi di autopunizione e di lacrime, nella sua mente Emily aveva forgiato una poesia, affinché quel periodo di dolore non andasse interamente sprecato.
Un Cervo Ferito – salta più alto –
ho sentito dire al Cacciatore -
non è che l’Estasi della morte -
e poi la Brughiera tace!
La Roccia Percossa che sgorga!
L’Acciaio pestato che scatta!
Una Guancia è sempre più rossa
dove la Febbre la brucia!
L’allegria è la Corazza dell’Angoscia
di cui questa si arma guardinga
perché nessuno noti il sangue
E “sei ferita!” gridi!
Non appena Whitman aveva parlato, aveva intuito l’allegoria. I doppi sensi che si liberavano con tanta facilità dalla sua lingua e dalla sua penna avevano ancora la capacità di spaventarla quando a emetterli era, inaspettatamente, un altro.
Whitman le aveva proposto… no, ordinato!… una relazione totale e aperta. Non basta, avrebbe anche potuto dire chiaramente: che tu mi dia questi pezzetti di carta scribacchiati, aspettandoti la mia opinione in cambio (dando valore a ciò che prima avevi disdegnato, una volta scoperta la mia fama). No, se ti avvicini a me, devi farlo nuda. Devi trattarmi da donna a uomo, da anima ad anima, senza trattenere nulla, se vuoi avere il vero succo dei miei frutti, la vera carne della mia lingua.
Ed era proprio questo che Emily dubitava di poter fare.
Anche se lo desiderava.
Solo una volta si era aperta completamente a un altro.
E guarda come era andata a finire.
Non che la colpa fosse del caro George. C’erano pochi uomini in grado di opporsi alla disapprovazione di Edward Dickinson, e il sognatore, l’intellettuale George Gould, più grande di Emily, amico di Austin e primo della classe ad Amherst, non era fra quelli. Quando il Cavaliere aveva scoperto la loro innocente ma fervida relazione e cacciato via George, né lui né Emily avevano trovato l’energia di protestare, anche se era in gioco il futuro di entrambi.
Ed era stato allora che Emily si era imposta la Candida Scelta: il Matrimonio Celeste, simboleggiato dall’abbigliamento sempre niveo, in luogo di quello terreno che ora non avrebbe mai conosciuto.
Come poteva, con una simile prova alle spalle, trovare la forza di dare a Whitman ciò che lui palesemente esigeva?
No, era impossibile…
Qualcuno bussò perentoriamente. Prima che Emily potesse replicare, la porta si spalancò.
A grandi passi entrò Lavinia, portando il vassoio della cena.
– Lo giuro, Emily… tu e Mamma sarete la mia morte! Non ho mai visto due adulte più bambine! Quasi quasi mi sposo e mi libero di tutte e due! Così vedremo per quanto tempo questa casa resterà a galla!
Emily si drizzò seduta sul letto, affascinata dall’indignazione della sorella. – E chi sposeresti, Vinnie? C’è un potenziale spasimante di cui dovrei sapere?
– Uff! Non preoccuparti, un marito potrei tirarlo fuori, se mi ci mettessi d’impegno. E magari lo faccio. Bene, ecco la tua cena. E guarda di non lamentarti se il mio pane indiano non è buono come il tuo!
Vinnie depositò il vassoio e si girò per andarsene. Alla porta, si fermò.
– Non credo che ti interessino le notizie su Papà.
– È ancora a Boston?
– Molto più lontano. Anche se il Partito non è riuscito a convincerlo a concorrere quest’anno, l’hanno persuaso a dare il suo aiuto al candidato presidenziale, John Bell. Il Cavaliere sta andando a Washington, e poi si dirigerà a sud e a ovest. Non si può dire quanto tempo starà via. E dovremmo essere tutte riconoscenti per la sua assenza. Se fosse qui, costretto ad assistere con i suoi occhi a quanto stanno escogitando Austin e quei suoi compari fuori di testa, gli verrebbe un colpo apoplettico! Già tutta la città è in tumulto!
Il dolore le aveva quasi scacciato dalla mente Austin e i suoi folli progetti di viaggio nell’aldilà. Ora tutta la strana atmosfera degli Evergreen tornava ad avvilupparla.
– Cosa sta facendo Austin?
Vinnie arricciò il naso e sbuffò. – Se vuoi scoprirlo devi alzarti. Io non sono l’Harper’s Weekly.
Detto questo, sbatté la porta.
Cinque minuti dopo, con la cena ancora intatta, Emily era vestita in cima alle scale.
All’ingresso posteriore, esitò. Ce l’avrebbe davvero fatta a darsi la forza per un’altra spedizione in quel folle serraglio che era diventata la casa del fratello? E se la bestiale madame Selavy l’avesse afferrata un’altra volta? E se l’azzimato signor Crookes avesse tentato di darle un altro schioccante bacio sulla mano? E se il fanatico sguardo del signor Davis l’avesse nuovamente trafitta come una Farfalla su un Cartoncino? E se avesse incontrato Sue, la Lady Macbeth sua cognata? E se avesse incontrato Whitman? Come rimpiangeva ora di avergli dato le sue poesie, le Chiavi delle Intime Camere del suo Cuore…
Costringendosi a soggiogare quei beffardi demoni mentali, Emily spalancò la porta posteriore.
Il cancello era fiancheggiato da folti cespugli di lillà in fiore, bianchi e porpora, che diffondevano intorno al portico il loro dolce profumo come una nuvola.
Con l’ispida testa nuda sepolta tra i fiori pendenti, inalando come un orso profonde boccate della loro inebriante fragranza, c’era Whitman.
Immobile, Emily gelò e bruciò allo stesso tempo. Ma non fu solo il Gelo, perché sentiva gli Scirocchi strisciare sulla sua Carne. Ma neppure era solo il Fuoco, perché i suoi piedi di Marmo avrebbero potuto tener freddo un Presbiterio.
Whitman ritrasse la testa dai fiori. Minuscoli, perfetti boccioli gli si erano attaccati alla barba e ai capelli, rendendolo un autentico Pan. La camicia da lavoratore, con il colletto aperto, rivelava sul petto un ciuffo di peli (che l’ultima volta Emily aveva scorto insaponati) analogamente decorati.
– Quando i lillà fioriscono davanti alla porta – declamò Whitman – io esulto con l’eterno ritornare della primavera!
Poi, rimettendosi in testa il cappello floscio e prendendo dolcemente la mano di Emily, disse: – Venite, ma femme, passeggiamo un po’.
Inerme, Emily lo seguì.
Senza dire niente, gironzolarono per un po’ fra le aiuole fiorite, quei bambini curati con tanto amore dalla loro padrona. Poi Whitman le parlò.
– Quelle che mi avete dato non erano semplicemente poesie. Non soltanto un libro. Chiunque le tocchi, tocca una donna.
Quelle parole erano molto più di quanto Emily avesse mai sperato di sentire in vita sua. Costringendosi con uno sforzo di volontà a non svenire, improvvisò una risposta diretta.
– Voi direste, allora, che le mie poesie sono… vive?
Whitman fece un gesto ampio, a comprendere tutto lo scenario verde attraverso cui passeggiavano tenendosi, implausibilmente, per mano. Se qualcuno dei suoi concittadini l’avesse vista in quel momento, non l’avrebbe davvero ritenuta la Bella di Amherst?
– Non è indiscutibilmente vivo ciò che vedete davanti ai vostri occhi in questo momento? Voi stessa non siete viva, con il sangue che pulsa dentro di voi e il respiro che emana fumo davanti a sé? Come può una cosa che scaturisce con sincerità da una persona viva non essere a sua volta viva? Non dubitate! Sono davvero vive! Dentro di loro ribolle l’afflato divino, come nel canto di un tordo solitario.
Emily sentì tutto il suo essere riempirsi di fiducia e vitalità. La costante ansia che si annidava nel suo petto cominciò a diminuire. Ma le parole seguenti di Whitman la frenarono, minimizzando la nuova euforia.
– Eppure, come il triste zufolare di quel solitario uccello senza compagna, le vostre poesie esibiscono una grave carenza, un filone morboso che minaccia di avvolgersi come un rampicante attorno al tronco vivo delle vostre canzoni, fino ad abbattere tutto l’albero.
Emily si irrigidì e cercò di ritrarre la mano, ma Whitman non glielo permise. Così fu costretta a parlare con durezza mentre era ancora in contatto intimo con lui.
– Non sono consapevole di una pecca tanto atroce come quella che voi adducete, signore. Ma naturalmente attendo le indicazioni di una persona tanto dotta.
Whitman non si offese per il tono freddo, ma invece sorrise. – Io sono tutt’altro che “dotto”, signorina Dickinson, tranne in quanto ho spigolato dalle strade di Brooklyn e dalle rive e dai sentieri della mia nativa Paumanok. E come attestano il mio borsellino e le mie recensioni, non sono un favorito delle accademie! Però i miei occhi sono acuti quanto basta per trovare le lettere di Dio lasciate cadere ovunque. E ciò che questi vecchi occhi, e il mio cuore, mi dicono della vostra poesia è questo: è troppo appartata, troppo rarefatta, troppo un prodotto della mente e del focolare, come se non aveste un corpo né un mondo in cui camminare. Voi avete quella sottile facilità di “vedere il mondo in un granello di sabbia”, come la metterebbe il signor Blake. Però sembrate incapace di vedere il mondo come il miracolo autosufficiente di se stesso! Per voi, tutto deve rappresentare qualcosa di etereo. Tramonti, api e arcobaleni… perfezioni che esistono in quanto tali, e che voi insistete ad ammantare delle vostre fantasie! Niente può rappresentare se stesso da solo, ma voi dovete piegarlo per rappresentare una “Verità”. Se continuerete in questa vena, è la mia predizione, gradualmente raffinerete voi stessa e la vostra poesia fino a rendervi inesistenti!
Emily non diede una risposta immediata. Tanto sincera e vibrante era stata la voce di Whitman che lei fu costretta a riflettere sulla validità di quelle osservazioni.
Era davvero possibile che la sua vita isolata, per metà scelta e per metà imposta, minacciasse la sua poesia con la sua portata limitata? Fino a quel momento era stata così convinta di avere una visione chiara di ciò che era veramente importante. C’erano forse meraviglie e domande al di là della sua comprensione? Era come un daltonico, che credeva di sapere cosa sono i colori, ma non li conosceva…?
Esitando, Emily cercò di dare voce alle sue apprensioni.
– Ciò che condannate con tanta facilità, signor Whitman, potrebbe essere vero. Ma se anche le mie pecche fossero quelle elencate? Sono parte della mia stessa natura, una crepa che mi attraversa come quella della Campana della Libertà. E forse è proprio quella crepa a darmi un timbro distintivo. In ogni caso, è troppo tardi per cambiare.
Whitman si fermò e si voltò a guardarla nel profondo degli occhi, con sincerità. – Su questo punto avete assolutamente torto, signorina Dickinson. So di cosa parlo. Per tutta la gioventù mi sono mosso in una nebbia di sentimenti falsi e sogni gretti, avvertendo solo vagamente che stavo mancando il bersaglio. È stato a trentasette anni che mi sono svegliato trovando la mia vera natura e ho cominciato a plasmare le mie canzoni. Non è mai troppo tardi per cambiare e crescere.
– Per un uomo, forse, può essere vero. Al vostro sesso è concesso mettersi alla prova, lanciarsi in situazioni chiarificatrici che allargano lo spirito. Ma a noi donne tali libertà non sono permesse. Sposa, madre o sterile vecchia, questi sono i limitati ruoli che la società ci permette.
– C’è un briciolo di verità generalmente accettata in quanto dite… come nell’asserzione che una comune prostituta non è una regina!
Emily boccheggiò, che linguaggio sconcio! Ma Whitman, imperterrito, proseguì.
– Ma io dico che una comune puttana è una regina! E dico anche che una donna non è meno di un uomo, e può fare tutto ciò che le piace! Ascoltatemi, Emily!
Il suono del suo nome le scardinò la mente. Il profumo dei lillà le scorreva nel sangue come vino.
– Io… io non so cosa dire. Come posso avventurarmi nel mondo? Sono stata ferita…
– Pensate che gli squarci di tenebra siano caduti solo su di voi? Ci sono state volte in cui il meglio che ho fatto mi sembrava vuoto e sospetto. I miei grandi pensieri, o almeno io così li ritenevo, non erano magra cosa in realtà? Né siete solo voi a sapere cos’è essere malvagi… se è questo che vi turba. Io sono colui che sa cos’è essere malvagi. Io ho parlato a vanvera, ho provato vergogna, risentimento, invidia, ho mentito, rubato! Io ho provato colpa ira, lussuria, caldi desideri che non osavo esprimere. Io sono stato ribelle, vano, avido, meschino, infido, codardo, maligno! Dentro di me non mancavano il lupo, il serpente, il maiale! Ma io li contengo tutti! Io non ripudio il male, lo affermo! Le mie poesie produrranno male quanto produrranno bene. Ma in questo mondo non è mai esistita una cosa come il male!
– Le vostre parole, signor Whitman, si contraddicono…
Whitman era rosso in volto. – Mi contraddico! Molto bene, mi contraddico! Sono largo, contengo moltitudini!
Cercando di calmarlo, Emily disse: – Ma voi non sapete nulla della mia Ferita Più Profonda, signore. Fu… un affare del Cuore…
Le sue parole sembrarono avere l’effetto desiderato. Whitman divenne tranquillo e pensieroso. – Anche in quello ho avuto una triste esperienza. Signorina Dickinson… Emily… se condivido qualcosa di privato con voi, posso chiedervi un favore in cambio?
– Quale?
– Volete tralasciare fra di noi queste indesiderabili formalità e chiamarmi “Walt”? So che tradizionalmente la differenza d’età esige che ci apostrofiamo in un certo modo, ma io non osservo tali convenzioni.
Sentendo il calore salirle alle guance, Emily chinò la testa. – Sembra una cosa piuttosto piccola…
– Molto bene, allora. Vi prego, guardate…
Emily sollevò gli occhi. Vide Whitman estrarre dalla tasca un piccolo taccuino rilegato a mano (molto simile ai suoi libriccini). Lo aprì a una pagina centrale e poi lo girò verso di lei.
Dal taccuino la fissò il ferrotipo di un volto, una donna piacente con i riccioli neri e le mani strette alla spalliera della sedia su cui era seduta di fianco.
Whitman tornò a girare il libro verso di sé. Baciò l’immagine, chiuse le pagine e ripose in tasca il prezioso ricordo.
Il cuore di Emily era prossimo a scoppiare. – Oh, Walt! È… è morta?
– Molto peggio! Sposata!
Emily era scandalizzata, ma anche fremente.
– Ci conoscemmo quando ero direttore del New Orleans Crescent. La scorsi per la prima volta al Théâtre d’Orléans, durante una performance del Don Giovanni di Mozart. Soccombendo al licenzioso influsso tropicale di quel porto meridionale, ci innamorammo follemente. Il suo corpo elettrico esalava una nube divina che generò un’attrazione ardente e lo stesso avvenne per lei. Molte sono state le nostre ore di gioia. Ma lei era una donna dell’alta società, che non poteva permettersi la macchia di uno scandalo o di un divorzio. Lo strazio supremo fu per noi quando ci rendemmo conto che il nostro amore era condannato e che dovevamo separarci. Lei è l’unica donna che ho adorato con tanta forza e così sarà per sempre.
Per qualche motivo inesplicabile, la frase conclusiva di Whitman la sconfortò lievemente. Ma non al punto di oscurare le più grandi emozioni che albergava in petto. La rassomiglianza fra la sventura di Walt e il suo stesso rapporto, condannato in partenza, mise il sigillo finale all’affetto che quasi di nascosto era nato nel suo cuore per quel robusto poeta brizzolato.
Stringendo saldamente la grande mano di Walt fra le sue, disse: – Tu conosci davvero la mia anima, allora, Walt.
– Emily… ti ho stimata molto prima che tu nascessi.
Trovarono una panchina in pietra e si sedettero per un po’, fianco a fianco e in silenzio.
Ma col passar dei minuti, l’irritante Ronzio di una Mosca si insinuò crescendo nella mente di Emily, finché dovette dargli voce.
– Walt… prima hai usato l’aggettivo “morboso” in riferimento alle mie poesie…
– Sì, Emily, è così. Perché temo che tu abbia un interesse eccessivo per la morte.
Emily aprì la bocca per protestare, pronta a catalogare la suprema importanza della Morte nello schema delle cose, ma Walt alzò una mano per fermarla.
– So tutto ciò che stai per dire, cara Emily. Ti assicuro che anch’io ho pensato a lungo e con forza alla morte. Come è magnifico nascere, so che è altrettanto magnifico morire. Non fosse per la morte, e di certo è una falsità anche solo parlarne come due cose separate, la vita stessa sarebbe priva di significato. Sì, ho sentito i sussurri della morte celeste per tutta la mia vita, nella voce delle onde che si infrangono sulla riva e nel querulo richiamo degli uccelli marini. Ma diversamente da te, io non bramo la morte, né le do più del dovuto. Sono troppo impegnato a vivere, troppo occupato a indulgere nei miei sacri sensi per prestare alla morte più attenzione di un rapido cenno della testa. Mentre tu, cara Emily, sembri più intenta ad abbracciare la Morte a te, come un amante!
Emily era sdegnata. – Io aggrapparmi alla morte! Chi si è fatto coinvolgere nel folle piano di mio fratello per penetrare le ombre dell’aldilà? Tu, non io!
Walt si alzò. – Tu non conosci la piena portata della nostra spedizione nella Terra dell’Estate, Emily. Non è un abbraccio alla morte, ma un audace assalto scientifico al suo territorio, per strappare un nuovo sapere, che sarà di beneficio a tutti i viventi.
Sollevando di peso Emily con la sua forza taurina, Walt disse: – Vieni con me, e vedrai!