8. Storia di un pesce

 

Il delicato compasso sembrava una coppia di stuzzicadenti nelle zampe ursine di Jacob Cezar. Le punte dello strumento di misurazione scomparivano nei riccioli lanosi sul testone di Dottie Cezar. Seduta masticando un rametto di salice per pulirsi i denti e sorseggiando da un uovo di struzzo una bevanda portata da casa, l’ottentotta si sottoponeva pazientemente all’esame. Passava il tempo leggendo Nana di Balzac nell’originale francese, ridacchiando di tanto in tanto.

Cezar leggeva le misurazioni, proprio come i marinai sui vapori del Mississippi che scandagliavano la profondità e urlavano: – Mark twain! Segna due!

– Tre firgola sei, cinque firgola nofe, dieci firgola dodici…

Agassiz, seduto al tavolo da lavoro, disegnava le misure in un intricato grafico, riportandole simultaneamente in file e colonne. Alla fine sollevò la mano per segnalare che aveva abbastanza dati.

– Ecco – disse lo scienziato – proprio come sospettavo. Craniometricamente e frenologicamente parlando, la vostra compagna ottentotta non possiede uno sviluppo cranico sufficiente per classificarla come pienamente senziente. Come gli altri della sua razza, il suo sviluppo mentale è più vicino a quello di uno scimpanzé.

– Cosa diafolo antate blaterando?

Agassiz si irritò. – Sentite, amico, è tutto qui, nero su bianco, matematicamente incontrovertibile. Ma come, il suo bernoccolo della Sagacia è praticamente concavo! Per non parlare della distorsione lungo il Nodo del Raziocinio e della sua ipertrofica Curva dell’Amorosità. E il volume totale della cavità cranica è chiaramente deficitario. Se Sam Morton entrasse in possesso del suo teschio e lo preparasse, scommetto che non riuscirebbe a farci entrare che pochi grammi di pallini.

Disgustato, Cezar gettò il compasso dall’altra parte della stanza. Una delle punte si infilò nel dipinto del luogo natale di Agassiz. – Siete foi qvello che ha la testa piena di pallini, Louie! Non senziente… Ma come fate a tire una cosa simile dopo aver fissuto per un mese praticamente in crembo a Dottie?

La metafora diede i brividi ad Agassiz. – Non c’è alcuna animosità personale in questo, Jacob. È rigorosamente una conclusione scientifica! E con la scienza non si discute! Certo, la vostra compagna esibisce certe qualità istintive che potrebbero ingannare il profano, facendo ritenere che possa ragionare come un umano. Ma un’analisi più attenta rivelerà che Dottie non si avvicina al vero raziocinio più di un… un… – Agassiz cercò disperatamente un termine di paragone adeguatamente improbabile – Tursiops truncatus, il delfino tursiope!

Posato il libro, Dottie parlò. Agassiz fu costretto ad ammettere che il suo inglese, per quanto ancora rudimentale, era considerevolmente migliorato dal suo arrivo.

– Professor Agassiz, supponiamo che io concordi con voi di essere inferiore ai rappresentanti della vostra razza bianca. Supponiamo che io mi definisca un animale. Non credete che persino gli animali meritino un trattamento morale?

– Be’, sì, entro certi limiti… A meno che non siano in gioco dei benefici per l’umanità, cioè.

– E allora come giustificate il vile abuso a cui sono sottoposti gli schiavi negri nella vostra terra di adozione? Le frustate, la separazione dei membri di una famiglia, il massacrante lavoro dall’alba al tramonto…

Agassiz tossì e si schiarì la gola. Prese un fazzoletto e si soffiò il naso. Scoprì di non riuscire a sostenere lo sguardo della donna africana. – Questo è ridicolo. Mi sto umiliando a discutere di metafisica con un cane! Ma non sia mai detto che Agassiz non raccolga una sfida, per quanto assurda! Per prima cosa, impudente creatura, il sistema americano è una condizione preesistente, alla cui creazione non ho preso parte. Dal punto di vista morale mi ritengo distaccato dall’intera questione. Tuttavia, se si volesse difendere il sistema, si potrebbero trovare molte buone argomentazioni. Primo: è riuscito a portare il Cristianesimo a molte anime che altrimenti avrebbero continuato a languire nell’ignoranza spirituale. Secondo: le condizioni di vita materiale dei negri d’America sono infinitamente superiori ai loro vecchi standard. Il legno e i mattoni hanno sostituito fango e rami spinosi. Pane croccante e latte fresco sono molto meglio di larve e radici.

– Una larfa è buonissima, se cotta bene – si intromise Cezar.

Agassiz ignorò l’interruzione. – E terzo, il lavoro che non richiede l’uso del cervello, il più adatto alla loro costituzione, ha permesso al paese nel suo complesso di godere di un più alto livello di vita. E se questo deve essere procurato a prezzo di qualche frustata (mai somministrata se non quando è davvero meritata, da quanto capisco), allora la loro servitù è pienamente giustificabile. E comunque come potrebbero vivere diversamente se fossero liberi?

Impassibile, Dottie disse: – Lo fate sembrare così attraente, Professor Agassiz. Forse vi andrebbe di prendere il posto di uno schiavo, anche solo per un giorno o due?

Infuriato, Agassiz balzò in piedi. – Che ridicolo suggerimento! Immaginate me, Louis Agassiz, in un campo di cotone mentre guaisco qualche spiritual negro! Vedete, Jacob, quanto poco i processi mentali di questa creatura assomiglino a quelli di un vero essere umano? Ora perfino voi dovete ammetterlo.

– Tutto qvello che tefo ammettere è che per federe foi con un sacco di cotone sulla schiena che cantate qvalche filastrocca da vangatore del Dahomey pagherei almeno un dollaro.

– Bah! Questa folle discussione non ci porta da nessuna parte.

Cezar assunse un’espressione cupa. – Qvesto è certo, Louis. Non abbiamo più itea occi di due settimane fa qvando siete uscito di prigione, su dofe si trofa T’guzeri. Und foi sapete cos’è occi, fero? È la fine del perioto nel qvale la cosina di Zaartjie ha assorbito tutte le firtù dell’infuso di dacka. Ora in qvalunqve momento T’guzeri può antare al Punto Cosmogonico e attifare il feticcio.

– Non c’è bisogno di ricordarmelo. Non credete che sia preoccupato anch’io? Ma cosa possiamo fare? Ho esaurito il mio intelletto e non ho ancora idea di come mettere le mani su quel furfante. Ero certo che nell’ultimo posto in cui abbiamo indagato saremmo riusciti a trovarlo.

– A intrecciare gomene al Ropewalk?

– Be’, lì usano la canapa… No, ammetto che siamo in alto mare. Ora possiamo solo sperare che Kosziusko o Bopp riescano a mettere le mani su di lui prima che faccia qualcosa di brutto. Anche se non gradisco la prospettiva che uno di quei due maniaci ottenga il feticcio per i suoi scopi. Ma forse si faranno a pezzi tra loro, come i gatti di Kilkenny.

– Sono entrambe brutte prospettife und preferisco non pensarci. Bene, prima di deprimermi ancora di più, me ne fado sulla barca per una pipa. Forse a me und Dottie ferrà in mente qvalcosa. Folete unirfi a noi?

– No. Ho degli affari personali da sbrigare.

Usciti Cezar e Dottie, Agassiz chiamò Jane.

– Puoi rubare qualche minuto ai tuoi compiti domestici, cara Jane? Sono un po’ scombussolato. A proposito, ti ho mai detto prima che il rossore delle tue guance mi fa venire alla mente la delicata sfumatura dei fiori di melo?

Jane fissò sul pavimento, mentre con la punta del delicato stivale schiacciava un invisibile insetto sul tappeto. – Signor… Professore, non so più come prendere questi vostri complimenti. Vedete, da qualche giorno c’è qualcosa che turba i miei pensieri.

Agassiz non trattenne l’impazienza. – Be’, allora sputa fuori, ragazza!

– Va bene. Ma non dovete far caso se non arriverò subito al punto. Questo è difficile da dire. Non sono ancora sicura dei miei sentimenti, dopo tutti i libri nuovi che ho letto.

– Libri? Quali libri?

– Solo un po’ di letteratura che mi ha prestato la signorina Dottie. Volantini di Sojourner Truth e delle sue amiche. Opuscoli che parlano di come le donne sono sempre state messe sotto, calpestate, usate e abusate dagli uomini, che le seducono e poi le gettano via. Come noi produciamo più della metà della ricchezza del mondo, ma riceviamo molto meno di quanto ci spetta. Come mettiamo al mondo e alleviamo tutti i bambini, puliamo tutte le case, cuciniamo tutti i pasti, e in cambio riceviamo solo botte, e la notte andiamo a letto piene di lividi, piangendo. Come siamo costrette a mandare i nostri figli e mariti (per quanto indegni!) in qualche stupida guerra in terra straniera, una guerra che non abbiamo certo cominciato noi donne! Di come le donne sono quasi i negri del mondo!

La voce di Jane si era fatta sempre più forte, finché quell’ultima stupefacente affermazione fu quasi un grido.

Agassiz era esterrefatto. Di colpo si rese conto che la sua mandibola era sul punto di scardinarsi come quella di un boa constrictor (Boa constrictor) e richiuse di scatto la bocca.

Tremando, Jane disse con tono di sfida: – Ecco, l’ho detto! Ora, c’è altro, signore?

– No-no, no. Ehm, grazie per aver condiviso questi nuovi sentimenti, Jane. Forse potremmo discuterne più a lungo stasera tardi…? No? Come pensavo. Bene, questo pomeriggio prenditi pure tutto il tempo che vuoi per il tè, Jane.

– Ho tutte le intenzioni di farlo!

Quando la cameriera ribelle fu uscita sbattendo la porta, Agassiz cominciò a imprecare sottovoce. Che quell’ottentotta bruciasse per sempre tra le più bollenti fiamme dell’inferno!

Per placarsi e consolare i suoi frustrati istinti genetici, il naturalista trasse di tasca un bigliettino molto spiegazzato, e lo rilesse per l’ennesima volta.

 

Carissimo, dolcissimo Louis,

 

mi sembra incredibile che siate veramente mio; che mi abbiate scelta per essere un giorno vostra moglie. Dite che desiderate avermi continuamente al fianco, per adornare la vostra casa con “i miei occhi sorridenti”. Oh, come lo sogno! L’unico posto sulla terra che posso chiamare casa è dove siete voi.

 

Prego ogni notte che l’alba di quel giorno sorga presto!

 

La vostra adorante,

 

Lizzie

 

A cosa servivano le carezze di una sguattera quando aveva l’amore incondizionato di una bella, aggraziata e ben introdotta ragazza di buona famiglia, tra i cui cugini si potevano includere anche i ricchi e influenti Perkins, Gardiner e Cabot?

Consultando l’agenda e lo splendido orologio svizzero regalatogli con le lacrime agli occhi dai cittadini di Neufchâtel prima della partenza, Agassiz vide che era giunta l’ora del suo appuntamento con il piantatore di riso del South Carolina, Rory Cohoon. Il piantatore era stato presentato da Lowell (Cohoon era amico di molti proprietari di piantagioni che fornivano i materiali grezzi al magnate tessile) e, per quanto Agassiz non avesse alcun interesse a incontrare il sudista, ritenne fosse meglio compiacere il suo mecenate.

Ebbe il tempo di aggiungere solo poche linee al suo schizzo per il grandioso Museo di Storia Naturale che intendeva costruire a Cambridge, prima che Cohoon venisse annunciato.

– Come va, dico, come va, Professor Ah-gaaass-iiiz! Fatevi stringere la vostra erudita mano, figliolo!

Cohoon era vestito tutto di bianco, compreso il cappello a tesa larga. Un grosso sigaro sporgeva da un angolo della bocca. Le dita erano coperte da mezza dozzina di anelli. La perla del fermacravatta era grande come un uovo di quaglia (Colinus virginianus).

– Sono lieto di conoscervi, signore. Non ho mai avuto il privilegio di salutare un gentiluomo del Sud finora. Posso farvi portare qualcosa da bere?

– Lo fate un Silver, dico, un Silver Horseshoe in queste zone yankee? Se sì, allora portalo, figliolo. Portalo, dico!

Un po’ sconcertato, Agassiz temporeggiò. – Un momento, signor Cohoon, mi informo.

Chiamata Jane (sperando che Cohoon non notasse gli occhi cerchiati di rosso e l’espressione acida), ripeté la richiesta.

Jane tirò su col naso. – Volete dire tre parti di whiskey, due di bourbon, una parte di vermouth, una spruzzata di amaro, un goccio d’acqua di fonte e una strizzata di lime?

– Splendido! È proprio quello! Che ragazza intelligente, dico, che ragazza intelligente!

– Uh, sì, concordo…

Jane presto tornò con le bevande. Dopo aver rumorosamente ingollato una sorsata enorme e averlo dichiarato “proprio splendido”, Cohoon giunse all’argomento della sua visita.

– Io sono un piantatore di riso, figliolo. Cinquanta schiavi e cento acri sott’acqua. Forse voi non lo sapete, ma piantare riso richiede molto più cervello del cotone. Non si può gettare, dico, non si può solo gettare il seme, bisogna sistemare ogni pianta una per una. Bisogna sapere quando allagare e quando prosciugare. Il raccolto è sempre incerto. E poi c’è la manutenzione di dighe, chiuse e canali. Tutto considerato, è un affare diabolico e rischioso.

Il Silver Horseshoe cominciava a elevare i processi mentali di Agassiz a nuovi livelli di profondità. – Posso immaginarlo bene.

– Ora, il mio problema è che il negro medio non è abbastanza sveglio neanche per allacciarsi le scarpe, figuriamoci per padroneggiare l’arte della coltivazione del riso. Io e i miei sorveglianti dobbiamo tenerli sempre sott’occhio. Sembrano mandare tutto all’aria non appena giri la schiena! Quello che speravo di sapere, dico, di sapere da voi, era se esisteva un modo per selezionare negri più svegli. Potreste farmi un programma per aumentare la loro intelligenza, generazione dopo generazione? Lo so che parliamo di una cosa a lungo termine, ma sarebbe di immenso beneficio per il Sud. E forse, dico forse, potremmo aggiungerci anche qualche altro fattore, già che ci siamo? Potremmo fargli braccia più lunghe e magari una riduzione, dico una riduzione, della quantità di sostentamento che richiedono? La loro dannata avena costa una fortuna!

Agassiz diede seria attenzione all’interessante richiesta. – Be’, dobbiamo tenere conto delle intrinseche limitazioni del plasma germinale dei negri, signor Cohoon. Anche negli africani più svegli le abilità mentali sono molto limitate, e cercare di ottenerne di più con gli incroci è come spremere acqua da un sasso. Ora mi sembra di capire che non prendete in considerazione l’aggiunta di sangue bianco di razza inferiore alla linea…

Cohoon balzò in piedi, livido in volto. – Signore, cosa state implicando? State per caso ripetendo, dico ripetendo, quelle scurrili voci sulla mia adorata Lily Belle? In quel caso parleranno le Derringer, all’alba sotto i rampicanti!

– Vi prego, signore, sedetevi! Non intendevo offendere! Stavo parlando da un punto di vista strettamente teorico. Aborro l’incrocio delle razze esattamente come voi.

Cohoon si calmò e tornò a sedersi. – Molto, dico, molto bene, allora. nessuna offesa. L’onore di un uomo, voi capite…

Congiungendo le dita, Agassiz disse: – La vostra idea ha molte implicazioni. Se potessimo effettivamente creare una nuova razza di negri, più docili e più intelligenti, la cosa avrebbe vaste ripercussioni per la nazione nel suo complesso. Dovete lasciarmi il tempo di riflettere su questo progetto e poi vi scriverò i risultati.

– Splen… dico splendido! Beviamoci sopra!

Suggellato l’accordo, Agassiz e Cohoon trascorsero il tempo in piacevole conversazione.

– Io e la mia famiglia siamo diretti a nord, a Saratoga Springs, per l’estate. Nelle Carolinas fa così caldo che ti bolle il sangue. Per uomini e bestie non è un clima adatto. Porto con me anche i cani da caccia, adesso sono in albergo con Lily Belle. Ho preso una stanza anche per i cani, pensate! Naturalmente, alla piantagione la vita continua. I negri sono nei campi, dico, quindici ore al giorno. Naturalmente il sole, dico il sole, non li infastidisce. Non possono diventare più neri di così, ah, ah!

Anche Agassiz rise. Si versarono altri drink.

– Quella storia, figliolo, mi ricorda uno dei miei schiavi. Era un malfamato negro libero di Philadelphia finché non lo feci rapire. Fingeva di fare l’avvocato, o qualche altro stupido lavoro. Mi scocciava, dico, mi scocciava di brutto. Be’, una volta messo in catene, gli dissi che poteva riguadagnarsi la libertà. Ci mise tre anni di lavoro straordinario, dico tre anni! Non appena tornato in città, lo feci rapire ancora. Altri tre anni e lo liberai… per un certo prezzo. Proprio prima di partire, gli schiavisti me lo hanno scaricato sulla porta per la terza volta. Tutto assolutamente legale nel mio stato, naturalmente. Avreste dovuto vedere come gridava quel bastardo dalla testa di lana!

Quando finalmente Agassiz riuscì a liberarsi del gioviale piantatore, era pomeriggio tardi e gli girava la testa. Rendendosi conto che quel giorno non aveva ancora fatto visita al suo staff, si avventurò barcollante al laboratorio.

Maurice era seduto a una piccola scrivania, fuori dall’ingresso del laboratorio.

– Avete le carte in ordine?

Agassiz aveva mal di testa. – Carte? quali carte?

– L’autorizzazione di sicurezza, i permessi e il patrocinio. In triplice copia.

– Certo che non ho nessuna di queste sciocchezze. Ma cos’è? Cosa succede?

– Abbiamo messo in funzione un nuovo sistema, un apparato per amministrare le risorse del proletariato. In breve, il laboratorio ha subito la collettivizzazione. Abbiamo modificato il concetto di falansterio di Fourier.

– All’inferno la collettivizzazione! Questo è il mio laboratorio! – Agassiz prese a martellare sulla porta. – Aprite, là dentro! Smettete subito queste sciocchezze!

– Non servirà a niente urlare. Sono in sciopero.

– Sciopero?!

In quel momento la porta si aprì e si affacciò Edward Desor. – Oh, sei tu, Agass. Per favore, adesso vattene, abbiamo da fare. E ti suggerirei di non fare troppo il prepotente, in futuro. Da quanto ho visto del tuo comportamento licenzioso, non sei in posizione di pretendere niente.

La porta si richiuse in faccia ad Agassiz prima che potesse replicare.

– Ve l’’avevo detto che non gradivano essere disturbati…

Agassiz si prese la testa fra le mani. Era troppo suonato per occuparsi della rivolta. Aria… gli serviva aria fresca. Quando avesse riacquistato il dominio di sé, gliel’avrebbe fatta vedere.

Dal prato dietro casa Agassiz guardò verso la nave di Cezar. Per un momento pensò di vederci doppio. Poi si rese conto che la Dolly Peach, assente da quando aveva insultato il suo capitano, era ormeggiata accanto alla Sie Koe.

Barcollando, Agassiz salì sulla passerella della nave sudafricana ed entrò in cabina. Cezar, Stormfield e l’ottentotta erano intenti a confabulare animatamente.

Quando entrò Agassiz, Stormfield si alzò aggressivamente in piedi.

– Professore, sono qui per quelle adeguate e umili scuse che mi dovete!

– Io volevo solo…

Stormfield lo interruppe. – Mi basta! Non sia mai detto che il vecchio Dan’l non sa quando sotterrare l’ascia. Adesso portate qui la vostra carcassa. Stiamo tenendo un consiglio di guerra. Vedete, sappiamo dove si trova la vostra Sorgente della Creazione e quando quello stregone progetta di andarci.

I fumi si schiarirono all’istante dal cervello di Agassiz. – Dov’è? Ditemelo!

– Dove, se non al dannato Marblehead?

– Il vostro porto?

– Ee-saat-tooo! Ma so che non mi crederete senza una spiegazione e allora sedetevi e ascoltate.

«Prima che l’Uomo Bianco giungesse in questo paese, nel punto dove oggi sorge Marblehead c’era un insediamento indiano. Era accuratamente evitato da tutti gli altri pellerossa, i Narragansett e i Pequot, dato che la tribù in questione, i Miskatonick, aveva fama di essere impura e corrotta. Sapete, le acque al largo di Marblehead pullulavano di strane creature, anzi, sembravano nascerne di nuove ogni giorno, e gli indiani del posto erano contaminati dal contatto ravvicinato con quelle bestie bizzarre.»

– Volete dire – esclamò Agassiz, speranzoso – che si cibavano di quelle strane carni, violando così dei tabù alimentari?

– No signore, intendo proprio quello che ho detto! Gli indiani avevano rapporti carnali con le creature. Almeno, quelle che potevano farlo.

Agassiz boccheggiò e dovettero rinfrescarlo con un sorso da una delle uova di struzzo di Dottie.

– Lo so, è dura da mandar giù, se non lo sai da quando eri bambino, come me. Ma è vero. I Miskatonick scopavano ed erano scopati da alcuni di quei pesci, facendo nascere strani incroci, alcuni dei quali vivevano sulla terra, altri in mare.

«Ora, un giorno del 1629, Clem Doliber venne cacciato da Salem, a un passo dai Miskatonick. Clem era un infame farabutto, senza legge e senza paura. Infatti, era stato buttato fuori a calci perché si era intrattenuto con la scrofa da esposizione di uno dei suoi vicini e aveva sparato al padrone quando, offeso, aveva chiesto a Clem di staccarsi perché altrimenti se ne andava il gusto della pancetta. Così, dato che non aveva altro posto dove andare, Clem si dirige al villaggio dei Miskatonick.

«Quando arriva, non trova nessuno, umano, animale o mezzosangue. Le pentole sono ancora sul fuoco e le coperte sono calde. Non c’erano segni di lotta o di massacri. Riuscì solo a trovare una larga striscia di bava che portava al mare… o che veniva dal mare. Allora Clem si sistema in un teepee vuoto. Questo fu l’inizio dell’occupazione bianca di Marblehead.

«Gli anni seguenti videro un afflusso di profughi e desperados di ogni sorta. Marblehead divenne la discarica di tutte le Tredici Colonie. Peggio del Rhode Island, che è tutto dire! Avevamo fuorilegge di ogni specie, da ogni parte del globo. I miei antenati, per esempio, venivano dall’isola di Man e adoravano Manannan mac Lir, Dio del Mare. Perseguitati dall’Arcivescovo di Canterbury, fuggirono verso il rifugio del Nuovo Mondo.

«E mi vergogno molto ad ammetterlo, ma questi bianchi avevano principi morali fiacchi come quelli degli indiani, e non furono immuni dal fascino marino dei tritoni e continuarono a mescolare con loro le essenze vitali.»

Agassiz sollevò stancamente una mano. – Fermatevi qui, Capitano Stormfield. Vi aspettate seriamente che io creda a questa favola? È assolutamente e scientificamente impossibile che pesci e uomini possano incrociarsi.

– Impossibile, dite! E allora cosa dite di questo?

Stormfield arrotolò una manica del maglione e mostrò la parte inferiore del braccio muscoloso.

Dal polso in su, c’era un disegno di ruvide scaglie verdi. Mentre girava il braccio per mostrarlo ad Agassiz, le scaglie brillarono alla luce della candela.

– Questa non è una panzana, Louie. Io sono pesce per almeno un ottavo, come tutti gli altri a Marblehead. Se facessi l’arpioniere, finirei per chiamare “zio” un tonno.

Cezar si intromise. – Io gli credo, Louie. Durante la Rifoluzione non per niente hanno chiamato i ragazzi di Marblehead “reggimento anfibio”! Come credi che siano riusciti a prentere Vashington attrafersando il Delavare con tanta facilità? Accitenti, Danny mi tice che sono solo saltati in acqva per spingere le barche come telfini ammaestrati!

Agassiz ritrovò infine la voce, anche se era solo l’ombra della sua tonante imperiosità. – Vi prego, tirate giù la manica… grazie. Quella è una vista a cui nessun uomo di scienza dovrebbe mai essere esposto. D’accordo. Supponiamo che vi conceda questa incredibile storia come prolegomeno. Come fate a essere sicuro che T’guzeri progetti di mettere in atto il suo progetto nella vostra assurda città?

– Perché me l’hanno detto direttamente le persone che sanno. Vedete, a Marblehead ci sono sempre state due fazioni. Ci sono uomini e donne quasi del tutto umani che vivono fianco a fianco con il popolo-pesce senza pensarci due volte. In genere si tengono alla larga, tranne quando un cugino ricoperto di alghe viene a fare una visita da amico. Sanno che da certi scogli e secche è meglio tenersi alla larga, facendo i debiti saluti e omaggi quando passano davanti a certe baie o altri posti.

«Ma c’è anche l’altra fazione: gli umani corrotti e contorti, dal sangue più sottile e più freddo degli altri, e questi si associano con i peggiori del popolo-pesce ogni volta che possono. Adorano gli stessi dèi del popolo-pesce, come Dagon e Pahuanuiapitaaiterai. Queste canaglie collaborano con i tritoni nei loro piani oscuri e diabolici.

«Uno di loro (non il peggiore, sono contento di dirlo) è mio cugino, Howard Phillips. Proprio stamattina è stato lui a parlarmi, in termini generali, lo capite, di quello che T’guzeri e i suoi compari hanno progettato per domani notte. Inutile dirlo, non ho perso tempo a precipitarmi qui con la notizia.»

Il capitano Stormfield incrociò le (scagliose) braccia sul petto e attese, orgoglioso, la reazione di Agassiz.

Il naturalista scrutò il trio trepidante. Ma si aspettavano davvero che desse credito a quella storia ridicola? Neppure il Barone di Münchhausen in persona aveva mai concepito una cosa altrettanto folle. Stavano forse cercando di farlo passare per fesso, solo per coglierlo con i pantaloni calati, per così dire, all’ultimo momento?

Il capitano Stormfield disse: – Scusatemi un attimo. – Afferrò un mestolo e lo riempì d’acqua da un secchio accanto al boccaporto. Abbassando il collo alto del maglione, inumidì le vistose branchie.

Gli occhi di Agassiz assunsero le dimensioni di quelli di un lori (Nycticebus tardigradus). Quando si riprese, almeno in parte, disse: – La Guardia Costiera ha messo una corvetta armata a mia disposizione. La requisirò per domani notte.