VII

La mattina dopo, mentre Dorian faceva colazione, Basil Hallward entrò.

«Son contento di trovarvi, Dorian» disse egli gravemente. «Iersera vi cercai, e mi dissero che eravate andato all'Opera. Io naturalmente sapevo che ciò non poteva essere. Ma avrei desiderato sapere dove eravate andato. Ho passato una brutta sera, nel terrore che a una tragedia potesse seguirne un'altra. Mi pare che avreste potuto chiamarmi, quando avete saputo. Ho letto la notizia per caso, in una edizione serale del "Globe", che sfogliavo al club. Corsi qui subito e, non trovandovi, vi rimasi molto male. Non so dirvi quanto abbia sofferto. Capisco quel che dovete patire voi. Ma dove siete stato? Eravate andato a far visita a sua madre? Pensai un momento di andarvi a cercare là Sul giornale c'era l'indirizzo. In Euston Road, no? Ma temetti d'essere importuno volendo prender parte a un dolore che non potevo alleviare. Povera donna! In che stato deve esser ridotta! È la sua unica creatura, per di più! Che cosa diceva?»

«Come potrei saperlo, caro Basil?» disse Dorian Gray con un'espressione straordinariamente annoiata, sorseggiando da uno squisito calice di vetro veneziano a perline dorate un vino color ambra pallida. «Ero all'Opera. Avreste dovuto venirci. Ho visto per la prima volta Lady Gwendolen, la sorella di Harry. Eravamo nel suo palco. È una donna deliziosa, e la Patti canta divinamente. Non parlate di cose poco allegre. Se non si parla di una cosa, non è mai accaduta. Solo esprimerle, come dice Harry, dà realtà alle cose. Ed ora parlatemi di voi, e di quello che state dipingendo.»

«Siete andato all'Opera?» disse lentamente Hallward, e nella sua voce c'era una rattenuta angoscia. «Siete stato all'Opera, mentre Sybil Vane giaceva morta in una sordida camera? Mi parlate di altre donne che vi sono piaciute, e della Patti che cantava divinamente, mentre alla ragazza che amaste non era ancora stata data la quiete di un sepolcro per l'eterno sonno? Mio caro, quel piccolo corpo bianco si avvia verso deformazioni orrende!»

«Basta, Basil! Non voglio ascoltare!» gridò Dorian, scattando in piedi. «Non parlatemi di questo. Quello che è fatto è fatto. Quello che è passato è passato.»

«"Ieri" è per voi il passato?»

«Che influenza può avere il reale corso del tempo? Soltanto alle persone meschine occorrono anni per liberarsi da una emozione. Un uomo padrone di sé può troncare un dolore, colla stessa facilità colla quale crea un piacere. Non voglio essere in balia delle mie emozioni. Voglio sfruttarle, goderne, dominarle.»

«È tremendo, Dorian. Qualche cosa vi ha completamente mutato. Esteriormente siete lo stesso meraviglioso giovane che giorno per giorno usava venire al mio studio, a posare per il suo ritratto: allora eravate semplice, spontaneo, affettuoso. Eravate la più pura creatura del mondo. Ora mi chiedo che vi è accaduto. Parlate come se non aveste cuore né pietà. È l'influenza di Harry, lo sento.»

Il ragazzo arrossì, e, andando alla finestra, contemplò per un momento il verde giardino ondeggiante nel sole.

«Devo molto a Harry, Basil» disse infine, «... più di quanto non debba a voi. Voi mi insegnaste soltanto a esser vanitoso.»

«Bene, ne fui punito, Dorian... o lo sarò un giorno o l'altro.»

«Non capisco cosa intendiate, Basil» esclamò voltandosi. «Non so cosa vogliate. Che volete?»

«Voglio ritrovare lo stesso Dorian Gray cui facevo il ritratto» disse l'artista tristemente.

«Basil» disse il giovane andando vicino a lui, e posandogli la mano sulla spalla «siete venuto troppo tardi. Ieri quando seppi che Sybil Vane s'era uccisa...»

«Uccisa! Mio Dio! Ma ne siete certo?» esclamò Hallward, guardandolo con un'espressione inorridita.

«Certo, caro Basil! Non penserete suppongo che si tratti di un banale accidente. Certo: si è uccisa.»

Basil nascose il volto colle mani. «Spaventoso» mormorò; e un brivido lo scosse.

«No» disse Dorian Gray «nulla di spaventoso in questo avvenimento. È una delle grandi tragedie romantiche dell'epoca. Di regola gli attori vivono una vita molto banale. O sono buoni mariti, o mogli fedeli, o qualche altra cosa noiosa. Capite quello che intendo – la virtù delle classi medie, e via dicendo. Quanto era diversa Sybil! Ella visse la più bella delle sue tragedie. Fu sempre un'eroina. L'ultima sera in cui recitò – la sera che voi la vedeste – recitò male, perché aveva conosciuto l'amore. Quando ne conobbe l'irrealtà, morì, come Giulietta avrebbe potuto morire. Rientrò nella sfera dell'arte. C'è una martire in lei. La sua morte ebbe tutta la commovente inutilità del martirio, tutta la sciupata bellezza del martirio. Ma, come vi dicevo, non pensate che io non abbia sofferto. Se foste venuto ieri a un certo momento – verso le cinque e mezzo o forse alle sei meno un quarto – mi avreste visto piangere. Anche Harry, che era qui, e mi portò la notizia, non si rese conto di quello che io stavo provando. Ho tremendamente sofferto. Poi è passata. Non posso rinnovare una emozione. Nessuno lo può, tranne le persone sentimentali. Siete molto ingiusto, Basil. Vi precipitate da me per consolarmi. È gentile da parte vostra. Mi trovate già consolato, e andate in collera. Questo è proprio caratteristico delle persone pietose! Mi ricordate la storia che mi raccontò Harry, di un certo filantropo che passò vent'anni della sua vita cercando di riparare un certo torto, o di far correggere una certa legge ingiusta – ora non ricordo bene. Finalmente raggiunse il suo scopo, e provò un grandissimo disappunto. Non aveva più nulla da fare, quasi moriva di noia, e divenne un misantropo convinto. E poi, caro Basil, se proprio volete consolarmi, insegnatemi a dimenticare quello che è successo, o a considerarlo da un logico punto di vista estetico. Gautier mi pare abbia scritto: della consolation des arts? Ricordo che una volta trovai nel vostro studio un libriccino ricoperto in pergamena, e mi cadde sotto gli occhi questa deliziosa frase. Bene, non sarò come quel giovane di cui mi raccontaste quando eravamo assieme a Marlow, quel giovane che diceva che il raso giallo poteva consolarlo di tutte le miserie della vita? Mi piacciono le belle cose che si possono toccare e palpare. I vecchi broccati, i bronzi verdi, le lacche, gli avori scolpiti, i begli ambienti, il lusso, lo sfarzo: possono dare delle sensazioni. Ma per me conta ancor più il clima artistico che esse suscitano, o comunque rivelano. Divenendo lo spettatore della propria vita, come dice Harry, si evitano le sofferenze della vita. So che vi sorprende sentirmi parlare così. Non vi rendete conto di quanto io mi sia evoluto. Quando mi conosceste ero un ragazzo. Ora sono un uomo. Ho nuove passioni, nuovi pensieri, nuove idee. Sono diverso, ma non devo piacervi meno. Sono cambiato, ma voi dovete sempre rimanermi amico. Naturalmente adoro Harry. Ma so che voi siete migliore di lui. Non siete più forte – avete troppa paura della vita – ma siete migliore. Quanto siamo stati felici assieme! Non lasciatemi, Basil, e non guastatevi con me! Sono quel che sono. Non c'è altro da dire.»

Il pittore si sentì stranamente commosso. Il ragazzo gli era infinitamente caro, e la sua personalità aveva determinato una grande svolta nella sua arte. Non osava rimproverarlo oltre. Dopotutto la sua indifferenza era probabilmente soltanto un capriccio passeggero. C'era tanto di buono in lui, tanto di nobile. «Ebbene, Dorian» disse infine con un sorriso triste «da oggi in poi non vi parlerò più di quell'orribile avvenimento. Spero soltanto che non si faccia il vostro nome. L'inchiesta avrà luogo oggi nel pomeriggio. Vi hanno citato a comparire?»

Dorian scosse il capo, ed un'espressione di noia gli si disegnò sul viso, udendo la parola "inchiesta". C'era una sfumatura così rozza e volgare in tutte le pratiche di quel genere. «Ignorano il mio nome» rispose.

«Ma ella lo sapeva, certamente, nevvero?»

«Solo il mio nome di battesimo, e son sicuro che non lo ha mai detto a nessuno. Mi disse una volta che tutta quella gente era molto curiosa di sapere ch'io fossi, e che ella rispondeva invariabilmente che il mio nome era Prince Charming. Era una cosa molto carina. Fatemi un bozzetto di Sybil, Basil. Vorrei aver di lei qualche cosa più del ricordo di pochi baci, e di alcune rotte parole commosse.»

«Cercherò di far qualche cosa, Dorian, se vi fa piacere. Ma dovete venire a posare ancora per me. Nulla mi riesce se non siete là.»

«Non poserò mai più per voi, Basil. È impossibile» esclamò indietreggiando.

Il pittore lo guardò attonito. «Ma caro, che pazzia è questa?» esclamò. «Intendete dire che non vi piace il ritratto che ho fatto di voi? Dove è? Perché gli avete messo davanti un paravento? Fatemelo vedere. È la miglior cosa che abbia mai fatto. Togliete quel paravento, Dorian. È semplicemente vergognoso che il vostro servitore osi nascondere così il mio quadro. Quando sono entrato ho sentito che c'era qualche cosa di spostato nella camera.»

«Il servitore non c'entra, Basil. Credete forse che lasci a lui la cura di disporre gli oggetti nella camera, vero? Accomoda i fiori, qualche volta – niente più. No; sono stato io. La luce batteva sul ritratto troppo forte.»

«Troppo forte? Ma no, caro. È in un bellissimo punto. Fatemelo vedere.» E Hallward si diresse verso l'angolo della camera.

Un grido di spavento uscì dalle labbra di Dorian Gray: si lanciò tra il pittore e il paravento. «Basil» disse, pallidissimo «non dovete vedere. Non voglio.»

«Non devo vedere il mio lavoro? Parlate seriamente? E perché non dovrei vederlo?» esclamò Hallward ridendo.

«Se cercate di guardare, Basil, vi do la mia parola d'onore: non vi rivolgerò mai più la parola finché vivo. Parlo molto seriamente. Non vi do una spiegazione, né voi chiedetemela. Ma, ricordate: se toccate questo paravento, tutto è finito tra noi.»

Hallward si arrestò come fulminato. Guardò Dorian Gray attonito. Non l'aveva mai visto così. Il giovane era pallido d'ira. Aveva stretto i pugni, e le sue iridi erano simili a dischi fiammeggianti turchini. Tremava tutto.

«Dorian!»

«Tacete!»

«Ma che cosa è successo? Certo non guarderò, se non lo volete» disse piuttosto freddamente, volgendosi e andando alla finestra. «Ma, davvero, mi pare un po' assurdo che io non possa guardare la mia opera se penso che la esporrò a Parigi in autunno. Probabilmente prima, e allora dovrò pur guardarla; e perché non oggi?»

«Esporla! Volete esporla?» disse Dorian Gray, mentre una strana sensazione lo invadeva. Il suo segreto rivelato a tutti? La gente a bocca aperta davanti al mistero della sua vita? Non era possibile. Non sapeva in che modo, ma l'avrebbe impedito subito.

«Sì. Credo che non avrete nulla in contrario. Georges Petit raccoglierà i miei migliori quadri per una mostra personale che si aprirà nella prima settimana d'ottobre, in Rue de Sèze. Il ritratto starà lontano non più di un mese. Penso che per quel periodo potrete separarvene senza difficoltà. Non sarete certamente in città. E poi, se lo tenete sempre dietro un paravento, vuol dire che non vi preme molto.»

Dorian Gray si passò una mano sulla fronte. Era madida di sudore. Sentì d'essere sull'orlo di un tremendo pericolo. «Mi diceste un mese fa che non l'avreste mai esposto» gridò. «Perché avete cambiato idea? Voi che avete fama d'esser costante non avete meno capricci degli altri. La sola differenza è che i vostri capricci non hanno alcun significato. Non avrete certo dimenticato d'avermi solennemente promesso che nulla al mondo vi avrebbe potuto indurre a mandarlo a una mostra. E avete detto la stessa cosa anche a Harry.» Improvvisamente tacque, e gli si illuminarono gli occhi. Ricordò quello che Lord Henry gli aveva detto una volta, un po' seriamente, un po' per gioco. «Se volete passare un curioso quarto d'ora, fatevi raccontare da Basil la ragione per la quale non vuole esporre il vostro ritratto. Una volta me lo disse, e fu una vera rivelazione per me.» Sì, forse anche Basil aveva un suo segreto. Glielo avrebbe chiesto. Avrebbe tentato.

«Basil» disse, andandogli molto vicino, e guardandolo fisso negli occhi. «Tutti e due abbiamo un segreto. Ditemi il vostro e vi dirò il mio. Qual era la ragione per la quale non volevate esporre il mio ritratto?»

Il pittore trasalì involontariamente. «Dorian, se ve lo dicessi, forse mi vorreste meno bene, e certamente ridereste di me. Non potrei sopportare nessuna di queste due cose. Se volete che io non riveda mai più il vostro ritratto, sta bene. Potrò sempre guardar voi. Se volete che la mia opera migliore rimanga per sempre ignota, va bene. La vostra amicizia m'è più cara di ogni fama e di ogni celebrità.»

«No, Basil, dovete dirmelo» insistette Dorian Gray. «Credo d'aver il diritto di sapere.» Lo spavento era scomparso, sostituito dalla curiosità. Era deciso a conoscere il segreto di Basil Hallward.

«Sediamoci, Dorian» disse il pittore, turbato. «Sediamoci. E rispondete almeno a una domanda. Avete notato nel ritratto qualche cosa di singolare? Qualche cosa che non vi colpì nei primi tempi, ma poi si rivelò improvvisamente?»

«Basil!» gridò il giovane, serrando con mani tremanti i braccioli della poltrona, e fissandolo con grandi occhi atterriti.

«L'avete notato. Non parlate. Aspettate che abbia detto quel che ho da dire. Dorian, dal momento in cui vi incontrai, la vostra personalità ebbe su me una straordinaria influenza. Fui dominato da voi, nell'anima, nello spirito, nelle energie. Foste per me la incarnazione reale di quell'invisibile ideale, che perseguita noi artisti come un sogno bellissimo. Vi adorai. Divenni geloso di tutti coloro coi quali parlavate. Volli avervi tutto per me. Ero felice solo quando ero con voi. E se eravate lontano da me eravate sempre presente nella mia arte... Naturalmente non vi dissi mai nulla di questo. Non mi sarebbe stato possibile. Non avreste potuto capire. A malapena lo capivo io. Sapevo soltanto che avevo visto il volto della perfezione, e che ai miei occhi il mondo era diventato meraviglioso – troppo bello forse! Perché in queste folli adorazioni c'è sempre un pericolo, perderle non è meno pericoloso di conservarle... Passarono settimane e settimane, e divenni ossessionato da voi. Poi accadde un mutamento. Vi avevo disegnato nella forbita armatura di Paride, col mantello da cacciatore e il lucente stocco di Adone. Inghirlandato di turgidi fiori di loto, eravate seduto sulla prora della nave di Adriano, guardando il Nilo torbido e verde. Chinato sopra una quieta fonte della Grecia, avevate contemplato nel silenzioso argento dell'acqua la meraviglia del vostro viso. E tutto secondo le leggi immortali dell'arte, inconscio, ideale, lontano. Un giorno, un giorno fatale, credo, decisi di dipingere un bellissimo ritratto di voi, vivente, non in costumi di epoche morte, ma colle vostre vesti, e nel vostro tempo. Ignoro se fosse il naturalismo del metodo, o il prodigio della vostra persona, veduta così da presso, senza nebbie né veli; so che mentre lavoravo mi pareva che ogni tocco, ogni strato di colore rivelasse il mio segreto. Ebbi paura che gli altri si accorgessero della mia idolatria. Sentivo, Dorian, d'essermi tradito, d'aver messo in quell'opera troppa parte di me. Allora decisi che il ritratto non sarebbe mai stato esposto. A voi dispiacque ma non capivate cosa rappresentava per me! Harry, al quale raccontai la cosa, rise di me. Ma non me ne curai. Quando il quadro fu finito, ed io rimasi solo con la mia opera, sentii che avevo ragione... Ebbene, qualche giorno dopo l'opera lasciò il mio studio, e appena mi fui liberato dall'intollerabile fascino della sua presenza, mi parve sciocco di avervi visto un mistero oltre la vostra notevole bellezza, e oltre al fatto che io sapevo dipingere. Anche ora penso sia un errore supporre che la passione provata creando si rifletta nell'opera creata. L'arte è assai più astratta di quanto pensiamo. Le forme e i colori sono per noi forme e colori; non altro. Sovente mi sembra che l'arte nasconda l'artista molto meglio di quel che non lo riveli. Così, quando mi giunse quell'offerta di Parigi, pensai che il vostro ritratto fosse la miglior cosa della mostra. Non supposi neppure che poteste rifiutare. Ma ora capisco che avevate ragione. Il ritratto non può essere esposto. Non siate in collera con me, Dorian, per quel che vi ho detto. Lo dissi anche a Henry una volta: voi siete fatto per essere adorato.»

Dorian Gray respirò. Le guance ripresero colore, sulle labbra tornò il sorriso. Il pericolo era scomparso. Per ora era salvo. Eppure non poteva far a meno di provare un'infinita pietà verso il pittore che gli aveva fatto quella strana confessione, e si chiedeva se avrebbe mai potuto subire in tal modo la personalità di un amico. Lord Henry aveva il fascino delle cose estremamente pericolose. Nient'altro. Era troppo intelligente e troppo cinico per potersene innamorare. Sarebbe mai esistito un uomo capace di provocare in lui una strana idolatria? La vita gli preparava anche questo?

«Mi sembra straordinario, Dorian» disse Hallward «che abbiate visto tutto questo nel ritratto. L'avete veramente visto?»

«Ho visto qualche cosa» rispose lui «qualche cosa che mi pareva molto insolito.»

«Bene, non vieterete oltre che io lo guardi, nevvero?»

Dorian scosse la testa. «Non dovete chiedermelo, Basil. Non è possibile che voi vediate quel quadro.»

«Ma un giorno senza dubbio...»

«Mai.»

«Sta bene, forse avete ragione. E adesso addio, Dorian. Voi solo avete veramente influito sulla mia arte. Tutto quel che ho fatto di buono lo devo a voi. Non saprete mai quanto mi sia costato dirvi quel che vi ho detto.»

«Caro Basil, che cosa mi avete detto? Semplicemente questo: che vi pareva di ammirarmi troppo. Non è nemmeno un complimento.»

«Non intendevo farvi dei complimenti. Era una confessione. Ora che l'ho fatto, mi pare d'essermi privato di qualcosa. Forse non si dovrebbe mai esprimere colle parole la propria adorazione.»

«M'aspettavo ben altro dalla vostra confessione.»

«Che mai, Dorian? Avete visto qualche altra cosa, nel quadro? C'era dell'altro?»

«No, nient'altro. Perché lo chiedete? Non parlate di adorazione. È assurdo. Voi ed io siamo amici, Basil, e tali dobbiamo sempre rimanere.»

«Avete l'amicizia di Harry» disse il pittore malinconicamente.

«Oh, Harry» disse il giovane ridendo. «Harry passa il giorno a dire l'incredibile, e la notte a fare l'improbabile. Un genere di vita che piacerebbe anche a me. E tuttavia credo che non andrei da Harry se le cose mie volgessero al peggio. Credo che verrei piuttosto da voi.»

«E posereste ancora?»

«Impossibile!»

«Rifiutando, rovinate la mia vita d'artista, Dorian. Nessuno s'imbatte in due ideali. Accade a pochi di incontrarne uno.»

«Non posso spiegarvelo, Basil, ma non devo più posare per voi. C'è qualche cosa di fatale nel ritratto. Ha una vita a sé. Verrò da voi a prendere il tè. Sarà altrettanto piacevole.»

«Anche più piacevole per voi, temo» mormorò il pittore in tono di rimpianto. «E adesso, addio. Mi dispiace che non mi lasciate guardare ancora una volta il ritratto. Ma è necessario. Capisco benissimo il vostro sentimento.»

Mentre lasciava la camera, Dorian Gray sorrise. Povero Basil! com'era lontano dall'immaginare la ragione vera! E com'era strano che, invece di esser costretto a rivelare il suo proprio segreto, egli era riuscito, per una strana fortuna, a conoscere il segreto dell'amico. Quante cose gli spiegava quella strana confessione! Le assurde gelosie del pittore, la sua tenace fedeltà, le sue lodi stravaganti, le sue strane reticenze – ora capiva tutto, e gliene dispiaceva. Gli pareva di scorgere qualche cosa di tragico in un'amicizia così romanzesca.

Sospirò e suonò il campanello. Il ritratto doveva esser nascosto a ogni costo. Non poteva correre una seconda volta il rischio d'essere scoperto. Follìa lasciar quell'oggetto, anche per un'ora sola, in una camera nella quale tutti i suoi amici potevano entrare.