5. ASSASSINII NEL CLUB DE GOURMETS
Il cliente di Carvalho è molto ben vestito, anche se il corpo cicciottello, le guance gonfie e arrossate e i trascurati occhiali pieni di diottrie sminuiscono la sua condizione di uomo ricco. Firma un assegno con la Cartier d'oro, mentre al polso dell'altra mano sfoggia un orologio Cartier e un ricchissimo anello d'oro con le iniziali, sempre dello stesso gioielliere. Alza lo sguardo e consegna l'assegno a Carvalho.
"Non ho mai pagato così di gusto."
"Signor Gorospe, non ho niente in contrario a farmi pagare di nuovo da lei purché lo faccia di gusto."
La contemplazione dell'assegno lo soddisfa e lo dimostra.
"Pagare e mangiare, due cose che bisogna fare sempre di gusto e senza paura."
"Bravo! Lei è dei miei! Le piace mangiare bene?"
"Mi piace sapere tutto su quello che mangio."
"La memoria è selettiva e ricordo soltanto i piatti memorabili che ho mangiato. Mia moglie, manco la ricordo. Avendola scoperta adultera, lei mi risparmia il mensile che avrei dovuto passare a quella cretina. Vede. Grazie alle sue indagini risparmio un sacco di soldi. Ricordo, ricordo sempre, gli eccelsi pasti che ho consumato, quello che ho mangiato da Girardet ogni volta che ci sono andato. Lei c'è stato, da Girardet?"
Carvalho nega con la testa.
"Allora, quando torna in Europa, non se lo deve perdere. Anche se il grande Girardet minaccia pure lui di ritirarsi, come Robuchon. Anche lui si ritira in piena gioventù. Di Girardet ricordo un cartoccio di capesante e scampi assolutamente geniale, come ricordo il Potpourri Pantagruelico di Troisgros o il pollo al sale di Bocuse. Pensi un po' che semplicità! Pollo al sale! Girardet è il più completo, ma Troisgros aveva fatto cose geniali. Lo sapeva che Troisgros aveva ideato un dessert chiamato Arance Tango?"
"Come si cucina? Come si mangia?"
"Genialmente elementare. Come tutto quello che fa Troisgros. Arance, granatina, Grand Marnier, zucchero a velo, ma… davvero non ha assaggiato il Potpourri Pantagruelico di Troisgros?"
Carvalho nega di nuovo con la testa.
"Vuole assaggiarlo?"
"Non opporrei la benché minima resistenza."
"Splendido! Domani celebriamo una cena rituale al mio Club de Gourmets e il piatto principale è il potpourri di Troisgros. Lei è invitato! Al ristorante di Lucho Reyero. Un grande professionista e un vero gentiluomo. Una pecora nera dell'oligarchia più sedimentata che finalmente ha messo la testa a posto e si dedica alla ristorazione."
Gorospe, entusiasta davanti alla scoperta complicità del detective, prende un biglietto da visita dal taschino e lo porge a Carvalho con la mano più Cartier di tutte le sue rimanenti mani Cartier.
Si apre il sipario di Tango Amigo e Adriana Varela si avvicina madreperlacea e splendente a due metri scarsi dal pubblico. Il bandoneón chiede silenzio.
Mangiano per dimenticare,
bevono per ricordare.
Insalata Creso,
un buon pasticcio di formaggio,
beccacce Maître Richard.
Melanzane Stendhal!
Arance Tango!
Spicchi d'arancia,
bicchiere Grand Marnier,
sciroppo di granatina,
zucchero a velo;
bucce d'arancia,
sciroppo di granatina,
per la fragranza basta un bel bollore;
gli spicchi macerati
nel Grand Marnier,
lo sciroppo rosato,
guarnizioni di buccia.
E se mi domandate
cosa c'è qui del tango,
che vi rispondano
gli inventori della ricetta.
Mangiano per ricordare
quel che hanno mangiato.
Bevono per dimenticare quel che hanno vissuto;
tanghi di limoni,
tanghi di aceto,
i tanghi dolciastri
nessuno li vuole;
ma un buon gourmet
mangia quello che sogna,
non gli importa il prezzo
di quel che non suona.
Bevono per dimenticare,
mangiano per ricordare.
Insalata Creso,
un buon pasticcio di formaggio,
beccacce Maître Richard,
melanzane Stendhal.
Arance Tango!
Alma, dignitosamente ubriaca, contempla il tentativo fallito di Muriel di mordere un orecchio ad Alberto. Carvalho e Norman hanno scelto di imbambolarsi contemplando i saluti di Adriana dopo l'interpretazione. Alma emerge da dietro i bordi del bicchiere e scopre di nuovo i suoi due accompagnatori.
"Allora mi ha detto: non impicciarti della mia vita! Benissimo. Benissimo. Non m'impiccerò della sua vita. Capisci? A partire da quel momento ho ricominciato a darle del lei. E ho aggiunto: spero che mi consegni il suo lavoro comparativo sul Canto generale di Neruda e il Conquistador di Archibald MacLeish nei tempi previsti, ho girato i tacchi e l'ho lasciata lì."
"Chi?" domanda Carvalho allontanando lo sguardo dal palcoscenico.
"Vale a dire che io parlo, parlo, parlo, e per voi è come se stessi parlando a un ombú. Vi stavo raccontando la mia lite con Muriel. È isterica, insopportabile. Ha paura di affrontare suo padre e ha paura di chiarire la sua relazione con Alberto. Guardateli. Muoiono dalla voglia di andare a letto insieme. E un giorno o l'altro lo faranno. Dovrei fare la ruffiana in questa faccenda?"
"Ma stai parlando della tua allieva o di tua figlia?" domanda Norman.
A Carvalho l'osservazione non è piaciuta e dedica a Norman la propria fronte aggrottata.
"Cosa intendi dire?" chiede Alma.
"Che Muriel è soltanto un'allieva, intelligente, brava, stupenda, certo, ma soltanto un'allieva. Non è tua figlia!"
"Norman!" interviene Carvalho.
"Tu, Pepe, non impicciarti. Lo so. Non è necessario che me lo ricordi, Norman. Non parlarmi con questo tono, forestiero. O ti mollo un calcio nei coglioni."
Alma avvicina il suo viso di sfida a quello di Norman.
"Non voglio litigare, Almita," risponde Norman perdendo la faccia.
"Io sì."
Norman si ritira dal banco ridendo e Alma cerca di seguirlo e provocarlo, ma Carvalho la prende per il braccio e la trattiene. Immediatamente, Alma gli si rannicchia sul petto, in cerca di coccole. Carvalho l'abbraccia e le accarezza le guance con i polpastrelli. Vuole sentire la pelle della donna e la voce di lei diventa fievole quando a un tratto confessa:
"Sono completamente sola".
"Hai noi, i tuoi amici."
"Grazie che ti consideri mio amico, gagliego. Io l'ho sempre detto, i gaglieghi sono dei grandissimi stronzi ma se diventi amica di un gagliego diventi amica di un grandissimo stronzo amico. Logico, no?"
"Giusto, dico io."
"Giusto, dice."
Ma Alma scoppia a piangere. Carvalho non sa come aiutarla, anche se cerca di trasformare il suo abbraccio in un laccio di calore.
"Cos'hai, adesso?"
"Quel miserabile di un Norman! Ha detto che Muriel non è mia figlia, che è soltanto mia allieva!"
"È vero, no?"
"Che gliene importa a lui se io la considero come una figlia, come la figlia che ho perduto?"
Carvalho appoggia i gomiti al banco, portandosi le mani alla testa, per lasciarla poi cadere tra le braccia incrociate.
"Cos'hai? Ti cade la testa?"
"Non ho né il cervello né lo stomaco in vena di melodrammi. Non voglio bere per mettermi al tuo livello, mi spiace. Domani mi aspetta una cena in un club di gourmet e voglio arrivarci con il fegato di un bambino alla sua prima comunione."
"Ci sono bambini che fanno la prima comunione con la cirrosi."
A Carvalho viene da ridere senza voglia e Alma ne è contagiata. Norman torna conciliante, rassicurato dalle grandi risate che ormai si fanno Alma e Carvalho. Passa un braccio sulle spalle della donna.
"Allora, Almita, niente più incazzatura?"
È centrico, centrista, centrato il colpo di ginocchio che Alma assesta nel mezzo della patta di Norman, che si torce dal dolore, con un ghigno reso ieratico dal cerone bianco e dalle ferite nere degli occhi tinti dal rimmel, un rimmel indignato dalle risate di Alma, anche da quelle di Pepe, ma il gagliego si sta proteggendo la patta con entrambe le mani.
Norman dorme rigirandosi di continuo, suda, respira male, si solleva, sgranando gli occhi sconcertato nel vedere Carvalho, in piedi accanto al suo letto. Verifica con lo sguardo se si trova davvero a casa. Ci si trova.
"Cosa fai qui?"
"Volevo parlarti, ma senza Alma."
"Cosa succede? È capitato qualcosa ad Almita?"
Salta giù nudo dal letto e Carvalho gli guarda il pene eretto. Norman se ne accorge e si copre con tutte e due le mani.
"Guarda un po' come mi diventa quando dormo, e poi, quando davvero mi serve, zacchete, se ne torna nel guscio."
Carvalho non sembra molto interessato alla faccenda. Norman si mette un paio di jeans troppo larghi per i suoi fianchi. Si versa una tazza di caffè freddo che se ne stava da giorni nella caffettiera. Non solo è la caffettiera di sempre, ma è anche il caffè di sempre. Norman non si è nemmeno lavato. Strofinandosi gli occhi e sbadigliando, aspetta che Carvalho dica qualcosa.
"Bene, cosa succede?"
"Ieri hai avuto una discussione con Alma a proposito del suo rapporto con Muriel."
"Lei era isterica e io non ero da meno. Anch'io ero isterica."
"Certo. A volte sembrate due isteriche."
"Anche tu hai molto, molto dell'isterica."
"Lo ammetto, anch'io sono un'isterica. Ma la faccenda non è tanto facile da risolvere. Ho i miei sospetti a proposito dell'identità di Muriel."
"Cosa intendi dire?"
"Muriel è la figlia del Capitano."
Norman apre la bocca e la lascia aperta in attesa di tutte le parole o di tutte le mosche di questo mondo. Esce a poco a poco dal suo stupore man mano che Carvalho parla.
"Muriel non parlava mai di suo padre, della sua famiglia. Alma lo attribuiva a un'infelice relazione famigliare, un padre autoritario, anche se stimato, e una madre malata o malandata, senza conoscerne bene la ragione. Durante l'incontro di Bum Bum Peretti cui ho assistito con Alma e Muriel, ho notato che tra Muriel e il Capitano c'era qualcosa. Poi la stessa Muriel mi ha confermato che suo padre era presente all'incontro. Ce l'ha raccontato."
"Sembra una telenovela brasiliana!"
"Sulle prime ho temuto che Muriel fosse una spia del Capitano nel nostro, chiamiamolo così, gruppo. Ma no, se fosse una spia non ci avrebbe rivelato che suo padre era lì in quell'occasione."
"Hai detto qualcosa ad Alma?"
"No."
"Perché?"
"Perché la storia non è tanto semplice. Muriel sembra essere la figlia del Capitano, ma è davvero la figlia del Capitano?"
Norman si copre la faccia con le mani.
"Non dire altro, intuisco dove vuoi andare a parare."
"Non fare la scena da Actor's Studio. Non è il momento. Mi sono rivolto all'organizzazione delle nonne di plaza de Mayo. Volevo soltanto sapere se il Capitano avesse avuto una paternità logica, cioè, del tutto insospettabile."
"E?"
"Non ci sono dati. Non si sa nemmeno se sia sposato, né quando si sia sposato, come se avesse alzato un paravento dietro al quale nascondere la vita privata di un capitano con troppi cognomi. Quello vero è Doñate, ma Muriel non figura nel registro di allievi di Alma come Doñate ma come Ortínez. Non c'è nemmeno l'indirizzo, ma la giustificazione 'Motivi riservati'. Sul registro, Muriel figura come figlia di madre nubile e porta il cognome della madre. Ortínez. Ha esattamente l'età che dovrebbe avere la figlia di Alma e Raúl."
"Non volevo sentirti dire questo! Proprio questo!"
"Non è comunque provato. Chi può provarlo se non si eseguono analisi del sangue? Un caso quasi incredibile, certo. Allora ho chiesto alla nonna cui mi ero rivolto se potevo esaminare il dossier del Capitano e lei non me l'ha lasciato portare via, ma soltanto consultare sul posto. In un foglietto sciolto, indipendente dal resto dell'indagine, veniva menzionato un incontro del capitano Gorostizaga, uno dei cognomi del nostro Capitano, con tutte le persone implicate appartenenti alla famiglia Tourón–Modotti. Sarebbe normale, ma c'è un incontro che risulta sorprendente e che è registrato come indagine del nonno di una bambina scomparsa. Indovina il nome del nonno?"
Né l'indovina né lo vuole indovinare.
Carvalho si stringe nelle spalle e si accinge ad andarsene.
"Cosa intendi fare?"
"Cenare stasera a un club di gourmet."
"Non fare il frivolo. Non mi dici il nome del nonno che ebbe contatti con il Capitano?"
"Evaristo Tourón."
Non c'è bisogno di domandarlo, ma Norman ripete più volte interrogando: il padre di Raúl? Carvalho non gli risponde, ma Norman del resto non vuole che gli si risponda.
"Cosa intendi fare?"
"Ho chiamato mio zio a Barcellona e gli ho lasciato diversi messaggi. A quanto pare non è in casa delle nipoti. Gli ho lasciato la domanda così espressa: perché era stato in contatto con il Capitano?"
"Bisognerebbe domandarlo anche a Raúl. Si continua a non sapere nulla di lui?"
"Nessuna traccia. Sparito come sempre. E se appare, non posso creargli delle false aspettative. Immagina se si trattasse soltanto di false coincidenze e intuizioni e che lo scoppio della notizia colpisca in pieno Muriel, Raúl, la stessa Alma."
Carvalho inizia la ritirata.
"E te ne vai così?"
"Cosa vuol dire 'così'?"
"Non ci mettiamo a piangere un po' insieme?" implora Norman inutilmente, perché Carvalho gira sui tacchi e Norman deve piangere le sue lacrime nella solitudine più assoluta.
Doña Lina Sánchez de Pardieu fa la boccuccia di rosa dopo aver domandato:
"Quanti anni dice che ho?".
Carvalho sa che ne ha ottantadue, ma sa anche di non poterglielo dire.
"Difficile da precisare. Tra i sessanta e i settantadue?"
"Ottantadue!"
È stato quasi un grido di affermazione della propria capacità di dissimulare la sconfitta operata dal tempo.
"E tenga conto che non ho potuto curarmi, come altre. Mio marito era un militare, di quelli a cavallo, di cavalleria, e poi è passato alla cavalleria blindata. Conosco tutte le guarnigioni dell'Argentina in cui ci siano carri armati e mezzi blindati. È lì che sono nati tutti i miei cinque figli, la più piccola è María Asunción. L'ho chiamata come una mia zia di Santander, un posto che si trova in Spagna, alla quale volevo molto bene, come sempre si vuol bene alle zie nubili. Non è vero? Come si vuole bene ai nonni. Come ho voluto bene ai miei nonni e come me ne vogliono i miei nipoti, meno quelli avuti da María Asunción. Per loro è come se non esistessi. Sono vent'anni che non la vedo. Mi scrive. Mi chiama per telefono. Sempre meno. Non so manco dove vive, ma so invece che è molto infelice perché le sue lettere sono sempre più tristi e più strane. Vuole leggere l'ultima?"
La libertà di movimento nella Residenza Geriatrica Leopoldo Lugones dipende esclusivamente dalla capacità di camminare dei suoi ospiti, e quando dona Lina si mette in piedi cerca il bastone appeso a un bracciolo della poltrona e accetta l'aiuto del braccio di Carvalho. Lungo il corridoio che porta alla sua stanza rievoca la figlia assente.
"Gli altri miei figli vengono di tanto in tanto, molto di tanto intanto, non mi scrivono mai, né telefonano. María Asunción non viene mai, e non mi telefona, ma mi scrive, mi scrive molto."
È una stanza doppia e su un letto si vede la statua giacente di una vecchia viva con gli occhi in lotta con il soffitto dipinto di blu indaco.
"È un vegetale. Non sente, non ricorda, non piange nemmeno."
Da una scatola di legno di sandalo che aprendosi diffonde la melodia di una barcarola, la vecchia prende l'ultima lettera di María Asunción e la consegna a Carvalho. Mentre lui legge, le labbra della donna recitano un testo imparato a memoria:
Cara madre, so che stai bene e approfitto di un momento di tranquillità dello spirito per farti sapere che anch'io sto bene e che ti voglio bene, anche se non posso venirti a trovare perché ho delle difficoltà che mi impediscono di muovermi, le stesse di sempre. Il lavoro di Ernesto è molto impegnativo, e tra le molte cose che lo tengono impegnato ci sono io. Come vedova di militare sai già che non abbiamo la stessa libertà di movimento dei civili, ed Ernesto ha sempre dovuto svolgere compiti molto delicati.
Ti spedirò presto una mia foto. Il giorno che mi sentirò bella. Ricordi che mi dicevi che ero la bambina più bella di Rosario quando stavamo a Rosario, e la più bella di San Miguel quando papà venne destinato a Tucumán?
Un milione di baci.
Tua figlia.
MARÍA ASUNCIÓN
"Non ha più la bella grafia di un tempo. Le trema la mano. Ah, Signore! Io credo che la mia povera María Asunción sia malata e non vuole che mi preoccupi. Era una ragazza bellissima. Suo padre soleva dire: l'ho fatta a dovere. Ho cominciato dai piedi e ho continuato a farla bene fino alla testa."
"Conosce suo marito?"
"No."
Non nasconde nulla. Semplicemente, non conosce il genero.
"Non sa il suo cognome?"
"Doñate, credo che si chiami Doñate."
"Non ha nipoti?"
"No. Non lo so. María Asunción non me l'ha mai detto."
"L'indirizzo di sua figlia?"
"Buenos Aires, è tutto quello che so. Anche se credo che viva in una zona dove ci sono alberi e uccelli perché a volte ne parla nelle sue lettere."
Si ostina ad accompagnarlo fino alla porta. Come ha fatto a trovarmi? Amici comuni. Non vuole dirle che nella scheda di madre nubile di María Asunción Pardieu figura come figlia di Antonio Pardieu Bolos e Adelina Sánchez Fierro. Prima di abbandonare la residenza di Mar del Plata, telefona a don Vito e gli da appuntamento per quando sarà appena tornato a Buenos Aires.
"Ho il tempo contato. Questa sera non voglio perdermi la cena al Club de Gourmets."
Nel Patio Bulrich, Altofini ricorda i tempi di quando era un grande consumatore, ancor prima che comprare venisse detto consumare e che la ricchezza avesse il nome di capacità acquisitiva. Si guarda di profilo nelle vetrine dopo aver esaminato ogni bottone e ogni filo della sartoria e camiceria di importazione, le delikatessen e gli champagne che gli rievocano notti, tanghi di lusso.
"È stata una buona idea incontrarci qui, il Patio Bulrich è il simbolo dell'inizio dei consumi moderni a Buenos Aires, ma continuo a non capire perché non ci siamo visti in ufficio, come sempre."
"Non volevo visite inopportune. Orecchie indesiderate. Siamo in un momento molto delicato, don Vito."
"Si riferisce a noi due o al mondo?"
"Il mondo non esiste, noi sì. Mi riferisco al caso fondamentale che mi ha portato a Buenos Aires. A mio cugino. Sospetto di non aver proceduto nel senso giusto per quanto riguarda l'insieme della mia indagine. Infatti credo di non aver avuto voglia di sapere la verità, perché non avevo voglia di tornare in Spagna. So chi si è tenuto la figlia desaparecida di Raúl e ho bisogno di trovare la tana del sequestratore prima che ci arrivi Raúl. Ma devo muovermi senza che Alma se ne accorga perché o scopre tutto e precipita gli eventi, o sbaglio e le creo false speranze."
"Ai suoi ordini."
"Bisogna seguire la ragazza perché ci conduca a casa sua."
"Ha localizzato la ragazza?"
"Credo di sì. È un'allieva di Alma."
"Santo Cielo!"
È orrore teatrale quel che dilata le fattezze di don Vito fino a trasformarle in paesaggio e perlustrazione speculativa sulla rivelazione; don Vito si domanda mille volte com'è mai possibile, insieme a Carvalho, regista muto in cerca della porta della facoltà da cui deve uscire Muriel. Carvalho lascia che il suo socio filosofeggi sulla grandezza e piccolezza di Buenos Aires.
"Dodici milioni di abitanti ed è come se tutti ci conoscessimo! Non è vero?"
"La ragazza ora si chiama Muriel Ortínez Ortínez, ma è stata iscritta come Pardieu Pardieu e il suo domicilio non figura. È un'informazione riservata, il che da idea del trattamento da vip di cui godono il padre o i genitori. Lei non l'ha mai vista."
Parcheggia l'auto nelle vicinanze della facoltà di Lettere. Manca un quarto d'ora alla fine delle lezioni e Carvalho spiega bene a don Vito le caratteristiche della ragazza, e nel farlo si riconosce sentimentalmente colpito, come se stesse descrivendo un personaggio molto speciale della sua stessa famiglia, un personaggio degno di protezione.
"Non deve seguirla in modo brusco. Non la deve spaventare. Nemmeno inquietarla. Non la segua se la ragazza non si lascia seguire."
"Ma perché mi parla come se fossi scemo, Carvalho?"
"Sta di fatto che io non posso seguirla perché lei mi conosce."
Muriel esce in mezzo ad altri ragazzi, anche se parla soprattutto con Alberto. Il ragazzo si è legato la chioma bionda con una fettuccia nera, è tutto preso a dare spiegazioni, affettuoso.
"Ha un'aria di famiglia," vuole ammettere don Vito.
Nella cucina profilattica di chez Reyero si tiene un'assemblea di cuochi e aiutanti di cucina. Tra l'attivismo verbale e gestuale degli interessati, spicca la passività di un cuoco, eminente per la maggior dimensione del suo berretto bianco inamidato e francese, e il ghigno delle sue labbra non solo è sprezzante, ma conseguenza dell'aver pronunciato milioni di volte il dittongo eu. Il suo sprezzo è ricambiato a iosa dai colleghi e soprattutto dal rappresentante della corporazione, Magín.
"Colleghi…"
"E noi colleghe, non ci siamo?" interviene una donna.
"Colleghi e colleghe, capisco la vostra posizione, critico soltanto il fatto che non abbiate detto nulla quando vi hanno annunciato che oggi, il giorno di riposo di tutti voi, ci sarebbe stata una cena straordinaria."
"Ci tolgono la sola giornata di libertà in cambio di una mancia ridicola!" dice un cuoco.
"Che cucinino le signore mogli dei gourmet," protesta di nuovo la donna.
"Avete tutte le ragioni del mondo, ma il proprietario aveva preso l'impegno e non può tirarsi indietro a poche ore dall'avvenimento."
"Una soluzione salomonica, chi vuole restare resti pure, e quelli che non vogliono, se la filino," dice un altro cuoco. "Cosa pensa di fare il grand chef?"
"Quello lì è un francese maledetto e crumiro," aggiunge sdegnosa una seconda voce femminile.
Il grand chef interviene nella più assoluta impassibilità:
"Moi, je suis un artiste. Ce soir je deviendrai heureux de pouvoir faire la cuisine pour les plus importants gourmets de Buenos Aires. Je ne comprend pas des actitudes grémialistes, corporativistes par rapport à l'art magique de la cuisine."
"Fatelo tacere!" dicono contemporaneamente diverse voci.
"Se non sa lo spagnolo, che traduca in uruguaiano!"
"Alzino la mano quelli che restano!" propone Magín, e predica con l'esempio.
Altri tre, una donna e due aiutanti.
"Compagni, è un compromesso," giustifica Magín. "In questi tempi in cui noi lavoratori siamo particolarmente indifesi, non è il caso di offrire al padrone dei motivi per sbatterci la porta in faccia. Se gli affari gli vanno bene, non potrà licenziarci. Non so se io come maître e il grand chef in cucina con tre aiutanti soltanto possiamo bastare a onorare l'impegno."
"Fa' sapere al Grande Sfruttatore che conti sul grand chef, sul grand maître e su tre grandi figli e figlie della loro madre leccapentole e leccaculi."
L'irritabile donna parte di nuovo all'attacco e fa esplodere la riunione. Partono nei suoi confronti tentativi di aggressione ai quali non prende parte Magín, ormai partito verso l'alto, ai piani del ristorante, in cerca di don Lucho, un quarantenne azzimato, vestito tra Milano e Londra, nel seno di un ufficio ricoperto da una moquette verde con una buca da golf. Con la mazza in alto Lucho Reyero si blocca sentendo bussare alla porta, e l'abbassa svogliatamente quando Magín affaccia la testa.
"Con permesso."
"Ebbene? Che accordi ha preso il Soviet Supremo?"
"Io rimango in testa al servizio di sala, il grand chef mantiene la parola e con lui tre aiutanti. Gli altri, non ci si può contare."
"Gli altri dureranno poco in questa casa. Voglio che renda loro la vita impossibile, in modo da costringerli ad andarsene."
"Io mantengo i miei impegni, ma non vado in cerca di medaglie. Era il loro giorno libero e ciascuno può fare quel che vuole nella sua giornata di libertà."
"Benissimo, Lenin. Badi a che tutto riesca alla perfezione, perché altrimenti dopodomani organizzo di persona una serrata e tutti quanti potete andare a lavorare in una paninoteca."
Gli ordina imperiosamente con un cenno di andarsene. Ormai solo, Reyero va al mobile bar, prende una bottiglia di cristallo di rocca e si versa un lunghissimo sorso di whisky che beve come se fosse acqua. Poi contempla attraverso il cristallo la sala da pranzo vuota, soddisfatto dalla sensazione di armonia e comfort che gli trasmettono i legni laccati in diverse tonalità di bianco e porpora e i tendaggi.
"Signore e signori, lo spettacolo sta per iniziare."
Magín è tornato in cucina e ne esamina i contenuti: un primo piatto composto da un cartoccio di capesante e scampi al coriandolo (capesante, scampi, cipolla, cipollotti, burro, vino bianco, salsa di pomodoro, coriandolo in un macinino per le spezie, pepe rosa, saliera, macinapepe), un secondo di Potpourri Pantagruelico (stinchi di manzo, codini di maiale salati, stinchi di vitello, stinchi d'agnello, cosce di pollo, ossi di manzo, carote, rape, porri, sedano verde, fagiolini, fagioli secchi, riso, aceto, olio di arachidi, burro, scalogni, cipolle, teste d'aglio, prezzemolo, cerfoglio, timo, alloro, chiodi di garofano, sale grosso, pepe, zucchero, mazzetti di erbe aromatiche, senape, cetriolini) e dessert composti da Arance Tango (arance, sciroppo di granatina, Grand Marnier, zucchero a velo), sorbetto di kiwi (kiwi, succo d'arancia, di limone, recipiente con aspartame), Mont–Blanc con marrons glacés (marrons glacés, crema Chantilly, Chartreuse) e soufflé ai fiori di acacia "Liliana Mazure" (grappoli di fiori d'acacia, Armagnac, uova, burro, crema pasticciera, zucchero a velo e da glassa, sale). A Magín piacciono le cose ben fatte, perfezionismo complice che non è del tutto capito dai suoi colleghi corporativisti, ma che non vuole nemmeno identificare con la sottomissione castrata dello chef. Monsieur Drumond cammina tra composizioni da natura morta ispezionando tutto con la soddisfazione di un intendente dell'imperatore. Applaude puerilmente se stesso e balla un valzer utilizzando una schiumarola come presunta dama. Sempre ballando va alla cella frigorifera, l'apre. Vi stanno appesi grossi pezzi di carne, agnelli interi, mezzi maiali e sugli scaffali di marmo i più svariati prodotti del supermercato galattico. Nonostante le congelazioni, la faccia di monsieur Drumond arrossisce.
Güelmes accetta il sigaro offertogli da Ostiz con una mano piena di riserbo, come se stesse per ritirare l'offerta all'ultimo momento. Nella sala più riservata del Club El Aleph appena ricostruito, campeggia su una parete una massima di Borges scritta in lettere d'oro: "Nelle repubbliche fondate dai nomadi, è indispensabile il concorso di forestieri per tutto ciò che riguarda la costruzione muraria".
"Non posso concedervi molto tempo. Stasera ho un impegno cui non posso mancare."
"Una cena al Club de Gourmets."
Ostiz si rassegna al fatto che il signor ministro dello Sviluppo conosca una delle sue debolezze e aspetta che Güelmes o Morales facciano la prima mossa, ma non sarà il direttore generale della Sicurezza a farlo, perché i suoi occhi badano a Güelmes e il ministro non bada a nessuno. Ha la giocata in testa, negli occhi, nelle labbra controllate e calcola mentalmente il ritmo.
"A questa cena parteciperà il capitano Doñate. Credo che sia questo il suo vero nome. Lo adopera soltanto per incontri civilizzati, ma non ho nulla da spiegarle a proposito di Doñate. Il capitano Doñate è il suo militare da camera e lei è il suo finanziere di famiglia."
"Il capitano Doñate è un eroe della guerra delle Malvinas."
"E della guerra sporca."
"Io continuo a chiamarla guerra contro la sovversione."
"Uno scrittore straniero che aveva assistito alla prima Fiera del libro della Democrazia, nel 1984, mi confidò di aver avuto l'impressione che il paese non fosse cambiato. A presiedere l'inaugurazione era Alfonsín, naturalmente, un leader democratico, ma lo accompagnavano lo stesso presidente della corporazione in carica durante la dittatura, lo stesso cardinale primate, in seconda fila lo stesso capo in pectore dell'associazione industriali, lei stesso."
"Videla e gli altri militari avevano già pagato un prezzo per la dittatura."
"I responsabili civili, no."
"Cosa vuole? Sbattere in galera l'ottanta per cento della popolazione?"
"Non esageri con le percentuali. Alla fine voi eravate soli."
"Molto alla fine. Ma non credo che siate venuti qui per commentare il Processo con me."
Güelmes tace, sapendo che il suo silenzio e la sua sicurezza innervosiscono Ostiz, anche se il finanziere è abituato a giocare a ogni genere di roulette russa.
"Nella catena da voi formata durante il Processo appare un anello debole. Il capitano Doñate si era tenuto la figlia di certi finti desaparecidos e fu lei a montare l'intera operazione di occultamento. Fu lei il finanziatore di Doñate e del suo gruppo, fu lei a organizzargli uno splendido isolamento dal quale di tanto in tanto irrompe come sequestratore, torturatore, assassino, impunemente…"
"Dimostratelo."
"Adesso possiamo dimostrare il rapporto di María Asunción Pardieu, Ostiz, e del capitano Doñate con la bambina Eva María Tourón, figlia di Raúl Tourón e Berta Modotti. Eva María Tourón fu iscritta nel 1977 come figlia della madre nubile María Asunción Pardieu, con i nomi di Muriel Pardieu Pardieu, ma in realtà María Asunción Pardieu viveva more uxorio con il capitano Doñate. Inoltre, adesso non si fa chiamare Pardieu, ma Ortínez, e Muriel conosce se stessa come Muriel Ortínez Ortínez. Persino il falso atto di nascita andò a finire in fumo. Comincia a ricordare la situazione?"
Ostiz richiama l'attenzione del direttore generale, scavalcando il protagonismo di Güelmes.
"Ci sono prove?"
"Le ha avute qualcuno a cui lei non piace, Ostiz. E con qualche ragione."
Ostiz chiude gli occhi e rivolge uno sguardo indignato al sigaro. Si è spento. Respira tre volte a fondo. Riaccende il sigaro. Da tre o quattro tiri per regolare l'accensione.
"Prima di accettare quel che insinua lei voglio sapere che ci guadagno io da questa mossa."
"È soltanto in condizione di non perdere."
"Non sta cercando me?"
"No."
"Soltanto il capitano Doñate?"
"Sì."
"Possono dargli la caccia senza che venga palesata la mia presunta partecipazione?"
"Non abbiamo pensato ad altro."
"A che cosa vi servo, allora?"
"Vogliamo le prove materiali e circostanziali, nei dettagli, del caso Eva María Tourón, per muovere un'azione legale contro il capitano Doñate. In cambio, lei non apparirà nell'incartamento. Nessuno saprà che fu lei a creare l'infrastruttura per il reinserimento civile del Capitano, Nueva Argentinidad inclusa, che fu lei a comprargli la casa in cui vive tramite uno dei suoi prestanomi, che fu lei a sovvenzionargli il sistema di sicurezza che lo aveva reso invulnerabile. Nessuno saprà che lei fece uccidere alcuni desaparecidos ingombranti e ultimamente, direi quasi ieri, il finanziere Gálvez, noto anche come Robinson Crusoe."
"Quel cretino aveva cominciato a rovinare tutto. È stato suo figlio, vero?"
Güelmes non risponde.
"Ma Richard Gálvez non si accontenterà della caduta del Capitano. Vorrà anche la mia testa."
Güelmes gli rivolge un ampio sorriso.
"Cerchi di non consegnargliela di persona. Noi non gliela daremo."
"Cosa bisogna fare?"
"Aspettare che Pollicino trovi le briciole che gli abbiamo seminato per raggiungere la casa dell'Orco."
Magín esce per respirare un po' l'aria della Recoleta. Si sta facendo buio. È nervoso e si accende una sigaretta. Guarda l'insegna, la facciata del ristorante, la piccola luce nell'ufficio di don Lucho, l'ombra del proprietario con una mazza in mano. Don Lucho ripone la mazza da golf nella sua custodia. Si versa un altro bel sorso di whisky e se lo scola come se gli fosse ancora rimasta sete. Va alla finestra sulla strada e solleva le persiane. Vede Magín sul marciapiede che guarda verso la finestra, lascia cadere la persiana e si siede dietro la scrivania. A un tratto apre un cassetto. Unico abitante, una pistola nera, una Luger luccicante con l'odore della recente ingrassatura. La prende, l'accarezza, la impugna puntando su obiettivi che vede soltanto lui. Rimette la pistola nel cassetto. Pensa con urgenza. Riapre il cassetto, afferra la pistola e pulisce le impronte con una pelle di daino. La richiude nel cassetto perché crede di udire delle voci fuori dalla finestra.
La Jaguar più cara di tutte le Jaguar di Buenos Aires si è fermata davanti al locale. Un autista in uniforme apre la portiera e Gorospe scende dalla vettura. Impartisce istruzioni e va verso il ristorante. Magín lo aspetta sulla porta.
"Don Leandro, lei è il benvenuto."
"Ma come, Magín, non avete un portiere?"
"Oggi è giorno di riposo per i lavoratori del ristorante. Il lavoro è volontario," risponde Magín, e vedendo il gesto contrariato di Gorospe, aggiunge: "Non si preoccupi, signore. Si è provveduto a tutto."
In cucina lo chef francese da l'ultimo tocco a un piatto e dirige l'elaborazione di un altro con una precisione irritante. Solo tre aiutanti, una donna e due uomini, eseguono gli ordini del cuoco, che all'improvviso ha recuperato l'uso dello spagnolo dopo aver assaggiato un fondo di cottura con una punta di delusione.
"Alleggeritemi questo fondo! Da quanto tempo era in frigorifero?"
"Dai tempi di Alfonsín," dice Lupe beffarda.
Davanti allo sguardo disperato di Drumond gli altri ridono, con tanto piacere che a un aiutante cadono gli occhiali dentro a una pentola. Guarda a destra e a sinistra sperando di non essere osservato. I suoi occhiali stanno cuocendo e li ritira veloce, li pulisce e se li rimette. Approfittando della momentanea carenza di occhiali, il cuoco più giovane ha toccato le tette della cuoca, che rifiuta l'approccio indicandogli il cuoco talpone come se si trattasse di un pericolo.
In sala da pranzo entra una coppia di coniugi sulla quarantina, rispettando i dieci metri di distanza che Gorospe si era guadagnato. Lui ha la pelle appena uscita dalle mani di una massaggiatrice austriaca di novanta chili con la treccia bionda e lei è appena emersa da una cascata di profumi del club Inés Bouza, dotato persino di terme romane. Trasudano ricchezza. Lei sembra una divorziata dall'ottimo aspetto sposata con un divorziato con la griffe. Magín fa una riverenza e Gorospe va loro incontro.
"Dora, Sinaí, ma che belle facce felici!"
"Leandro! Sempre il primo!" esclama la donna.
"Per essere il primo a baciarti."
Si scambiano i baci di protocollo. Ma le braccia di Gorospe cingono la donna e le sue mani si dilettano a palparle la schiena e il sedere. Lei lo scosta con sorridente discrezione e il marito protesta:
"Queste mani, Gorospe, queste mani. E tua moglie?".
"Non l'ho portata proprio per via di queste mani."
Ride della propria battuta e aggiunge, a un tratto serio: "Niente di tutto ciò. Ho divorziato".
"Quando? Ma come ce l'avevi nascosto bene!" esclama Dora.
"Giovedì scorso non avevo niente da fare, pioveva. Sapete quanto è triste la pioggia a Buenos Aires. Divorzio sempre quando non ho nulla da fare."
Dora ride. Magín li aggredisce con un vassoio pieno di calici di kyr.
"Mi permetto di suggerirvi un aperitivo proposto dallo chef, champagne Roederer Premier, ammorbidito da qualche goccia di liquore di Napoléon al mandarino."
"Adoro la cultura del kyr, ma senza cassis. Non sopporto il cassis! Che buona idea ha avuto lo chef!" dice Dora.
"Venite dal golf?" domanda Gorospe.
Sinaí nega con la testa, incapace di pronunciare parola perché sta assaporando il cocktail con devozione
"Al golf, oggi?" ribatte Sinaí. "È pieno di intrusi della nuova classe del regime. Delizioso. Questo kyr è delizioso!"
"Delizioso," ripete Dora prolungando la prima o all'infinito, per abbandonarsi con il respiro stanco e armato sulla esse.
"Questo cocktail mi sembra una stronzata per froci, e mi scusi, Magín, ma non c'è paragone con un buon Sauternes come aperitivo o uno sherry secco, o se volete, un porto bianco freddo con una fettina di limetta, il mio preferito."
Magín non consente a Gorospe di proseguire. Gli porge un calice già pronto. Si illuminano gli occhi del degustatore.
"Porto bianco e freddo con una fetta di limetta!"
Bacia Magín che non sa come evitare il bacio.
"Sei il miglior maître giustizialista che io conosca."
"Il signore è molto amabile."
Carvalho arriva a piedi. Guarda l'orologio ed esamina la facciata del ristorante. Legge il menu illuminato che c'è sulla porta. Accanto a lui si sente una voce severa.
"Stasera non siamo aperti al pubblico."
"Io non sono il pubblico. Sono ospite del signor Gorospe."
Magín lo squadra dalla testa ai piedi. Gli ospiti di Gorospe solitamente non sono così. Quando Carvalho entra nel ristorante, Gorospe, Dora, Sinaí, Dolly e Hermann, tedeschi di origine e per solidità, stanno ancora bevendo.
"Bisogna mangiare per vivere, ma di tanto in tanto bisogna vivere per mangiare," sostiene Hermann.
"Durante la settimana, dieta, noiosa ma sana. Hai provato la dieta Atkins?" propone Dolly.
"Non credo in nessuna teologia dell'alimentazione. Credo nel piacere del cibo," risponde Gorospe.
Il gruppo si volta quando la porta incornicia Carvalho e Magín. La coppia suscita curiosità, per via dell'imbarazzo di Magín e dell'indecisione dell'altro. Evidentemente non è dei loro.
"Questo signore dice che…"
"Questo signore è mio ospite," taglia corto Gorospe.
Prende Carvalho per un braccio e lo conduce verso il gruppo.
"Vi presento un grande gourmet spagnolo, il signor Carvalho. Oggi rappresenterà in mezzo a noi la memoria del gusto culinario spagnolo, che in buona parte è la nostra stessa memoria, beh, per quelli di noi che sono di origine gagliega. Attento, Carvalho, che qui presto sarà tutto pieno di ebrei, maccheroni e tedeschi."
Ridono per lo scherzo di Gorospe. Durante le presentazioni, Carvalho si compiace di guardare Dora, ma nonostante l'aperto, persino intelligente, sorriso della donna, dalle sue labbra esce un catalogo di semplificazioni etniche.
"Spagnolo, che bello. Beh, suppongo che lei sappia già che noi argentini quattro quarti, vale a dire da più di tre generazioni, abbiamo una pessima opinione degli stranieri: gli italiani ci sembrano degli zotici, gli spagnoli poco intelligenti, gli ebrei inquieti, insicuri, potenzialmente sovversivi."
Gorospe trasforma la teoria di Dora in soliloquio, con il sistema di continuare a presentare Carvalho nel tempio fin quando entrano due gemelli.
"I Ferlinghetti!" grida Gorospe come se fosse un presentatore del circo. "Due gocce d'acqua in un oceano di soldi e whisky!"
Magín serve da bere alla gente man mano che arriva. Cerca di essere gentile con Carvalho.
"Anch'io sono spagnolo di origine. Di Santander."
Carvalho rifiuta il kyr e indica quel che sta bevendo Gorospe.
"L'avevo già capito che lo spagnolo era un vero gourmet," dice Gorospe soddisfatto. "Il cerchio si chiude, ormai mancano solo i Fieldmann, Cari, Sara, Ostiz e Doñate."
"Doñate viene?" Sinaí è interessato.
"Viene," dice secco Gorospe.
"Come sempre, arriverà all'ultimo minuto, proprio mentre qualcuno starà dicendo: Doñate è in ritardo," commenta un Ferlinghetti.
"Allora dillo e arriverà," conclude Dora.
Sono già abbastanza sopraffatti dall'alcol e dalle bollicine quando Gorospe attira la loro attenzione.
"La magrolina!"
Una giovane bella, magrissima, esagerata Audrey Hepburn, è entrata dalla porta. Tutti la baciano, con un'ansia che sorprende Carvalho, come se temessero di non fare più in tempo a baciarla.
"Ma quanto sei bella e magra. Con tutto quel che mangi! Non sai quanto ti invidio," le dice Dora.
"Brucio bene," risponde Cari. "Questo è tutto. Ed eccessi come quelli di oggi me li permetto solo di tanto in tanto."
Un Ferlinghetti la bacia per ultimo, in modo esagerato, scandaloso, mentre l'altro rivolge un'occhiata piena d'odio al fratello. Entrano anche i Fieldmann, Isaac e Rebecca, gioiellieri abbronzati dal sole dei campi da golf. Sono i più vecchi tra i presenti. Di nuovo il rituale dei saluti. Dalla scala di comunicazione con il piano superiore scende ora don Lucho, canticchiando una canzone ubriaca:
Bevo e offro, pago un giro
ho bisogno di uccidere il ricordo.
Senza un amico, lontano da casa,
sul suo petto voglio riversare la mia pena.
"Tutto in ordine, Lucho. Mancano Sara, Ostiz e, come no, Doñate," Gorospe da il bollettino di guerra.
"Avete invitato Sara?" domanda don Lucho.
"Non è socia del club?"
Lucho non vuole dissimulare male la sua contrarietà, ma rimane cortesemente sorpreso davanti a Carvalho.
"Un grande gourmet spagnolo," informa protettivo Gorospe.
"Questo lo sappiamo già, ma non ci hai detto altro di questo misterioso personaggio," lo rimprovera Dora.
"Sono un detective privato," aggiunge Carvalho.
A Gorospe non piace troppo che Carvalho riveli il suo mestiere, ma non è disposto a smettere di sorridere.
"Molto privato?" chiede Dora.
"Quello che consentono i tempi," risponde Carvalho. "In futuro tutta la polizia sarà privata, come anche le carceri."
"Speriamo di non offrirle della materia prima, stasera. Che nessuno uccida nessuno," raccomanda don Lucho.
Ci sono occhiate di curiosità rivolte a Carvalho, occhiate che lo accusano tuttavia di essere un estraneo, di non essere dei loro. Allevia la situazione l'ingresso di un'energica e spigolosa donna in sedia a rotelle guidata con le sue stesse mani come se stesse partecipando a una corsa para–olimpica. È Sara, gli bisbiglia all'orecchio Gorospe. Don Lucho le rivolge uno sguardo pieno d'odio, tra i salamelecchi di tutti i presenti. Cercano di aiutare Sara a sistemarsi in mezzo a loro, ma lei lo impedisce energicamente. Non c'è abbastanza tempo per mascherare l'atteggiamento compassionevole come semplice accoglienza, perché il finanziere Ostiz si impossessa della sala da pranzo e delle sue genti con il semplice sistema di entrarvi a braccia aperte. Fa scivolare gli occhi sul viso di Carvalho senza fissarlo quando vengono presentati e il detective insinua:
"Mi pare che ci siamo già conosciuti".
Ostiz fa la faccia incerta ma disponibile.
"A tavola!" grida Gorospe. "Lo sapete già che Doñate non si farà vivo se non quando saremo seduti. È un gesto magico."
Si siedono cercando di scompagnarsi al massimo. Lucho si impadronisce della sedia a rotelle di Sara e la spinge verso la tavola mentre china la testa su quella della donna.
"Figlia di puttana!" mormora don Lucho all'orecchio di Sara.
Lei non ci bada. Non perde né la fermezza né il sorriso e risponde a Lucho:
"Cornuto, cornuto, cornuto".
Lucho si ritira e torna nel suo ufficio.
"Magín, cominci a servire le entrées," ordina Gorospe. "Doñate è in ritardo."
Appena pronunciata la frase, Doñate appare sulla porta. Carvalho cerca di dissimulare l'atteso soprassalto. Doñate, il Capitano.
Magín entra in cucina. I piatti con le entrées sono pronti.
"Per stuzzicare l'appetito," dice Drumond con più accento francese del solito mentre controlla il contenuto dei piatti pieni di piccole cose, "sashimi de thon frais mariné au soja, artichaut déguisé et la marinade de légumes nouveaux aux agrumes, carpaccio de morue…. Merde!" La cosa corretta sarebbe servirli uno dopo l'altro, ma…
"Li mangeranno comunque," è l'opinione di Magín.
Inatteso si sente un forte rumore di pentole. Il cuoco con gli occhiali precotti ha lanciato una pentola sul più giovane. La donna fa un gridolino isterico e protegge il suo amante.
"Puttana!" grida il cuoco talpone. "Ma cosa credete? Che non vi abbia visti? Avete passato tutta la sera a pomiciare."
Impugna un grosso coltello e avanza verso di loro, ma il cuoco e Magín riescono a bloccarlo.
"Un po' di calma!" grida Magín. "Tu!" esige indicando la donna, "Mettiti la divisa da cameriera e seguimi."
In sala da pranzo entrano Magín e la cuoca appena travestita da cameriera. Hanno le facce e i piatti da entrées. Il Capitano sta finendo le presentazioni e ora è la volta di Carvalho. Si esaminano per filo e per segno.
"José Carvalho Tourón, detective privato."
Riescono a non porgersi la mano, e si accontentano di un inchino di testa.
"Ci chiamiamo allo stesso modo. José Doñate, ufficiale dell'esercito in pensione," risponde il Capitano.
"Che ti sia ritirato, non ci crede nessuno," lo accusa Sinaí
Evidentemente gli altri non ci credono, perché sfugge qualche risatina, nonostante il rispetto ovviamente dovuto al Capitano. Ostiz gli parla in disparte e a quanto pare Doñate lo vede con un solo occhio e lo ascolta con un solo orecchio, perché con l'altro si riguarda Dora, golosamente, e guarda Carvalho con fare dissuasivo. Senza dubbio, sembra un altro, più amabile.
"Dora, se le altre signore presenti non fossero belle come te, direi che sei molto bella," dice il Capitano.
"Poeta!" esclama Dora compiaciuta.
Ma il Capitano è amabile soltanto con Dora. Carvalho nota la frase che le sue labbra masticano sotto il naso di Ostiz: "Va' a farti fottere". Ostiz cerca di farlo tornare alla ragione, ma il Capitano non collabora. Sinai si alza con gravita e segnala la collezione di vini che aspetta su un tavolo adiacente.
"Avrei preferito dei vini francesi, forse qualche sudafricano, che sono eccellenti, ma Gorospe mi ha costretto a scegliere: i miei vini!"
Applausi generali.
"Una breve spiegazione perché do per scontato che tutti voi siate esperti in materia. Ho scelto un Côtes de Arezzo come spumante, beh, come champagne, noi argentini non dobbiamo chiedere il permesso a nessuno per chiamare champagne il nostro champagne. Un Riesling Sinaí dell'89 assolutamente bevibile, e come omaggio a mia moglie applausi entusiasti uno Château Dora giovane che si può alternare con un vino più corposo, lo Château Margaux Francesca, il nome di mia madre, che nonostante quel, che si possa pensare non è un'imitazione dello Château Margaux! bensì un Merlot della più pura tradizione di Mendoza."
"Molto bene!" dice a voce alta Gorospe. "Sapete che quanto a vini io sono sempre nazionalista e soprattutto quando non si può bere un buon vino francese." Gli altri protestano. "Questo mi ricorda un aneddoto del grande poeta della negritudine, Senghor, senegalese, è chiaro, cui una volta avevano domandato: conosce be ne la cucina senegalese? E lui aveva risposto: abbastanza da preferire quella francese."
Tripudio generale, ma ormai sono immersi nel compito di annusare i piatti, assaggiare le squisitezze con la punta della forchetta ed emettere gridolini di piacere.
"Ohh! Geniale!" dicono alcuni.
"Che delicatezza! Che consistenza!" dicono altri.
"Che gliene pare, Carvalho?" domanda Gorospe. "Questo piccolo esempio di sashimi di tonno. Profumo di mare, consistenza dell'aria, gusto sfuggente."
"Assolutamente sfuggente," interviene Cari.
"Terso, è la parola," insinua un Ferlinghetti.
"Terso. Sembra un bacio dato con la lingua," aggiunge Sara.
"A chi stai pensando, Sara?" chiede il Capitano. "Lucho non è con noi?"
"L'ho pregato, ma non ha voluto," risponde Gorospe indicando in alto.
Dal suo osservatorio, don Lucho contempla i commensali. Tiene una pistola in mano e la punta sull'invalida, mentre imita il suono dello sparo con la bocca. Bang. Bang. Bang. In cucina, la cuoca, semitravestita da cameriera, ha raggiunto i livelli più alti di isteria.
"Questa è una truffa! Me ne vado!"
Si toglie il grembiule e lo getta sul tavolo di servizio, esattamente dentro una casseruola dove languono dei calamari ripieni di funghi. Drumond e suo marito cercano di trattenerla.
"Lupe, per favore, perdonami. Sono un cornuto."
"Certo che sei un cornuto, imparalo una volta per tutte! Sei un cornuto!" grida la cuoca.
"Non insultarmi, Lupe!"
"L'hai detto tu!"
Il cuoco brandisce di nuovo il coltello e si lancia sulla moglie. Si interpone il cuoco più giovane colpendo l'uomo con una pesante pentola di rame. Si sente il rumore del cranio rotto. L'uomo crolla a terra e il panico trasforma i volti di tutti quelli che lo circondano. C'è panico anche sul viso di Magín, che ha appena servito alcuni piatti con i cartocci di capesante, ma altri sono rimasti e la cuoca cameriera è in ritardo. Finalmente la si vede apparire. Trema ancora, ma porta i due piatti attesi. Li depone davanti al Capitano e a Carvalho con nervosismo, con l'occhio su una macchia rossa che ha sul petto.
"Salsa di pomodoro?" domanda il Capitano.
"No. Ragù. Ragù al pomodoro," risponde la cameriera.
"Scusate, è una giornata fuori dalla norma, non può essere tutto perfetto," si scusa Magín.
"È perfetto. Questo cartoccio è merveilleux. Lo dica al cuoco," commenta Dolly con infinita comprensione.
"Il cuoco verrà a dirci la ragione intima del menu," comunica loro Magín.
"Adesso non può," interviene nervosa la cuoca.
"Appena potrà," ordina Magín.
Magín va verso la cucina al seguito della cuoca.
"Avete sentito?" dice il secondo Ferlinghetti. "La ragione intima del menu! Ha il dono della parola."
"La cucina ha fatto l'uomo. C'è una teoria materialista dell'origine del linguaggio che suppone sia nato intorno al fuoco dell'uomo primitivo dove si stava arrostendo una costata di bisonte osi bolliva un pot–au–feu" suggerisce Carvalho.
"Una teoria materialista, dialettica?" chiede il Capitano.
"Senza dubbio," aggiunge Carvalho. "Il teorico cui mi riferisco è un materialista dialettico. Si chiama Faustino Cordón."
"Marxista? I marxisti mangiano?" domanda Dora con aria incredula.
"Io ho conosciuto gourmet marxisti," dice il Capitano.
"Vivi o morti?" chiede il primo Ferlinghetti compiaciuto del proprio sarcasmo.
La grassa risata del fratello viene affrontata dal Capitano con uno sguardo di acciaio.
"Il piacere non ammette ideologie, né violenza. La buona tavola ammansisce gli spiriti e unifica i criteri," dice Gorospe.
"Il piacere non ammette neanche i nazionalismi?"
È Dora a interrogare i presenti.
"Chi è disposto a spezzare una lancia o a spaccare una faccia in difesa della cucina argentina?"
La proposta di Dora viene accolta con una serie di smorfie sprezzanti, fin quando Gorospe li traduce in sentenza.
"Fatto sta che non esiste. C'è del cibo argentino eccellente, l'asado, per esempio, le empanadas. Ma non c'è una cucina argentina degna di tale nome. Bisogna distinguere tra cibo e cucina."
"Lei la pensa allo stesso modo? Non è nazionalista? Almeno così mi è stato detto."
Il Capitano sostiene lo sguardo di Dora e risponde a lungo, lentamente:
"Vediamo. Una cosa è la patria e un'altra il cibo. I sapori più cari sono quelli della memoria, legati all'educazione del mangiare, e per questo ci piacciono l'asado e la cucina delle nostre madri o delle nostre nonne. Ma è vero che la cucina argentina non può competere con altre culture gastronomiche nazionali. Ditemi voi qual'è il piatto più sofisticato che abbiamo prodotto: il matambre!29 E quanto di più creolo possiamo presentare: la carbonada.30 Come avrebbe detto Borges: che miseria!".
Applausi.
Magín entra in cucina seguendo la cuoca. Esamina sorpreso la situazione. Mancano Drumond e i due cuochi. Si apre la porta della cella frigorifera ed escono Drumond e il cuoco giovane che chiude immediatamente lo sportellone.
"E Santos?" domanda Magín.
"Mio marito è andato via," risponde la cuoca. "Ci ha ripensato ed è andato via."
"Figlio di puttana!" grida Magín. "Che cosa facciamo adesso?"
"Ce la caveremo," dice la cuoca.
"Drumond, mi piacerebbe che spiegasse il menu ai soci del club."
Drumond si beve un bicchiere interminabile pieno di gin con un filo di acqua tonica e succo di limetta.
"Crede che sia questo il momento di mettersi a bere?" chiede Magín.
"Bien sûr."
Sale sul treno alla stazione di Retiro, sempre con il suo stile vittoriano, quel ferro istoriato che tanto lo aveva riempito di meraviglia fin da quando era bambino, come se il ferro avesse deciso di scherzare con la propria consistenza. Scende dove finisce la vecchia linea e conosce i moderni convogli della tratta riciclata come treno turistico e trattiene la curiosità che lo spingerebbe a scendere a ogni stazione, ora che sono state tutte trasformate in centri commerciali. Il reticolo urbano viene lentamente sostituito dalle vecchie case con giardino e finalmente gli alberi della Buenos Aires del nord preannunciano l'arrivo al Tigre. La stazione terminale è irriconoscibile, inserita in una zona commerciale improntata a quelle yankee, e Raúl accelera l'andatura per raggiungere quanto prima i canali, con la gioia deformata dall'urgenza e dalla diffidenza, la gioia che quando era bambino proseguiva intatta fino al labirinto fluviale, l'evidenza stessa della possibilità del paradiso, con la morbosa curiosità di contemplare le acque tentando di individuarvi ancora qualche traccia delle ceneri di Roberto Arlt che in esse erano state disperse. L'appuntamento è sulla scialuppa di salvataggio a Puerto Escobar, e appena si accomoda accanto alla ringhiera di babordo, come convenuto, gli si siede a fianco uno dei visitatori del primo appuntamento. Non dovevano dirsi nulla. Non si dicono nulla quando scendono a una delle fermate fluviali accanto a un precario distributore di benzina per salire subito dopo su una lancia che li sta ad aspettare. La strada somiglia ormai a quella seguita l'ultima volta, ed ecco la casa quasi in mezzo alla foresta, fatta marcire dall'umidità e dal disamore, ma una casa bella per viverci, e a Raúl passa per la testa la possibilità di chiederne il prezzo durante l'incontro.
L'anfitrione è sempre lo stesso e senza preamboli lo costringe a sedersi e ad ascoltarlo.
"Sono in grado di darle notizie eccellenti. Le indagini da noi compiute ci portano a dare un senso alla sua ricerca. Sua figlia è viva. È nelle mani del capitano Doreste che lei aveva conosciuto come Gorostizaga, Ranger nell'argot dei militari."
Raúl ha voglia di piangere e gli si strozza la voce quando domanda:
"Dov'è? Come posso fare per riaverla? Che prove posso portare?".
Si sente studiato e deduce che la rivelazione ha una seconda puntata.
"Le prove dipendono da un accordo."
"Da un accordo, con chi?"
La sfinge prende tempo, non per riflettere ma per incitare la veemenza convulsa di Raúl.
"Sono disposto ad accettare qualsiasi accordo in grado di restituirmi mia figlia."
La sfinge è soddisfatta.
"Buon principio. Lei si era messo in contatto con Richard Gálvez Aristarain, che le aveva rivelato l'esito di certe indagini svolte da suo padre, il famoso Robinson. Infatti, i risultati delle indagini dei Gálvez coincidono con quelli ottenuti da noi."
"Ma voi chi siete?"
"Noi siamo noi. A caval donato non si guarda in bocca, signor Tourón. Il signor Gálvez agiva in questa faccenda per vendicarsi di Ostiz, che ritiene il mandante dell'assassinio di suo padre. Ostiz ha in pugno il Capitano e sua figlia, certo, ma Ostiz non deve apparire in questa storia. Deve cominciare con una denuncia contro il Capitano e la moglie, Pardieu da signorina, che si era prestata all'inganno dell'adozione di Eva María Tourón come figlia di una ragazza madre. La bambina adesso si chiama Muriel Ortínez Ortínez e ha quasi vent'anni."
Il nome Muriel gli suona famigliare, come se lo avesse sentito pronunciare di recente intorno a lui.
"Lasciare al margine Ostiz. Gálvez non lo accetterà."
"Di Richard Gálvez ce ne occuperemo noi."
"Perché mi aiutate? Voi chi siete?"
"Lei vada a cercare sua figlia e si occupi del Capitano. Tutto il resto sta a noi. In questo dossier troverà l'indirizzo della famiglia del Capitano, i tempi dell'azione perché non spicchino il volo, l'équipe di avvocati che le verrà in aiuto. Non mischi questa storia con le nonne di plaza de Mayo perché si complicherebbero le cose e non riusciremmo a ottenere le prove definitive. Nelle prossime ore il Capitano e la sua troupe di motociclisti non saranno in casa e le due guardie fisse saranno neutralizzate. Lei avrà la strada libera per arrivare da María Asunción Pardieu, la moglie del Capitano che vive lì sotto falso nome, perché Pardieu è il suo cognome da nubile con il quale venne registrata come madre di Eva María. Lei deve entrare nella casa e presentarsi così: mi chiamo Raúl Tourón e sono il padre di Muriel."
Nel suo ufficio, Lucho Reyero estrae la foto di una donna dal sottomano della scrivania. La contempla.. Ha gli occhi umidi e parla con il ritratto.
"Potevi anche lasciarmi, sempre, faceva parte delle regole del gioco, ma lasciarmi per quella schifosa, per quella lesbicona… Cos'ha lei che non ho io? Come ha avuto le palle di venire qui?"
Si alza e va verso il vetro. I suoi occhi localizzano Sara e la insulta.
"Schifosa! Degenerata! Lesbica di merda!"
Bussano alla porta.
Dall'altro lato della porta arriva la voce di Magín.
"Don Lucho. La cucina si sta svuotando. Sta accadendo qualcosa di strano."
"Ma vada a cagare, Magín."
Torna alla contemplazione voyeuristica della sala, dove i commensali continuano a conversare animatamente.
"Mi piacerebbe," dice Gorospe, "che i più silenziosi, Cari, la nostra giovane attrice, Carvalho e Doñate ci dessero la loro opinione su questo Riesling Sinaí."
"Pura frutta," avanza Cari.
Sinaí fa una smorfia, ma non smette di sorridere.
"Direi che non corrisponde esattamente alle caratteristiche del Riesling e si avvicina piuttosto a un Frankonen, più simile al vino bianco della Borgogna, ma con questo bouquet più primaverile chela signorina ha colto," osserva Carvalho segnalando Cari.
"D'accordo con la diagnosi e accetto in quanto sono amante del Frankonen, che ebbi occasione di assaggiare in Germania ai miei tempi di addetto militare. I tedeschi chiamano Bocksbeutel la bottiglia, perché sostengono che ha la forma delle…"
"Di che cosa?" domanda Carvalho maliziosamente al Capitano.
"Avanti! Avanti! Di che cosa?" esige Dora.
"Che lo dica Gorospe, lui è più diretto di me," dice il Capitano, sfuggevole.
"Palle di toro," spiega Gorospe.
Scoppiano le risate. Ferlinghetti Secondo fa un gesto contrariato e riconduce la conversazione al punto di partenza enologico.
"Il Frankonen non ha nulla a che vedere con i Riesling, che sono vini più secchi, profumati, sottili, con un bouquet in cui si fondono in meravigliosa armonia il tiglio, l'acacia, la zàgara e, a volte, non sempre, un pizzico di cannella."
"Un poeta!" esclama Cari.
"Semplicemente un corretto lettore del Larousse des Vins" taglia corto Ferlinghetti Primo.
Ma ormai un Drumond livido entra in sala seguito da Magín. Davanti alla presenza del grande cuoco, i commensali fingono di applaudire, ma gli applausi risultano muti. Drumond china la testa come un attore e guadagna sicurezza man mano che parla uno spagnolo senza errori con musica francese.
"Ecco qui alcuni svariati omaggi della nouvelle cuisine. Le entrées fanno parte della cucina dietetica, la minceur exquise di Gerard, il mio maestro."
"Gérard, a Sainte–Eugénie! Ricordi che siamo stati lì, mangiando per dimagrire?"
"Mangiare per dimagrire?" domanda Gorospe scandalizzato. "Teologia dell'alimentazione! Teologia della colpa! Ma continui, continui, monsieur Drumond."
"Subito dopo le capesante di quel mago di Girardet, il grande cuoco svizzero della sottigliezza."
"Un applauso per Girardet!" chiede il primo Ferlinghetti.
Applauso breve ma esperto.
"Il Potpourri Pantagruelico di Troisgros è un piatto simbolico, ludico, un omaggio alla passione argentina per la carne, perché non dobbiamo dimenticare che è composto da carni di manzo, vitello, maiale, agnello, pollo, ossi bovini, tutti cotti a dovere. Un gran piatto barocco ma tenuto leggero, con il piacere di ciascuna consistenza e il tocco degli oli speciali di noce e di nocciolina americana," precisa Drumond.
"Chapeau!" esclama Dora.
"Nei dessert mi sono permesso di andare dalla squisita ovvietà delle Arance Tango di Troisgros, omaggio all'Argentina cosmopolita, al Mont–Blanc di marrons glacés di Bocuse, passando dal sorbetto di kiwi di Gérard, che agirà ora come trou normand prima della carne, e una folle fantasia, sempre di Troisgros: il soufflé al fiore di acacia 'Liliana Mazure'!" esclama Drumond ormai in piena apoteosi.
"Geniale," dicono tutti.
"Una curiosità," interrompe Carvalho. "Perché si chiama 'Liliana Mazure' il soufflé ai fiori di acacia?"
Drumond sorride cautamente.
"Che ne sarebbe della cucina senza il mistero? Non è per scortesia, ma mi consenta, mon ami, di portarmi il segreto nella tomba."
L'entusiasmo è delirante, soprattutto tra le donne, al punto che Dora sale su una sedia, prima per battere le mani al di sopra del rumore altrui e subito dopo per fotografare lo chef. Drumond si ritira radioso, un'uscita di scena perfettamente studiata per settimane.
"Che ne sarebbe della cucina e della vita senza il mistero?" aggiunge Sara.
"Tu stessa sei un mistero," le dice Ferlinghetti Primo.
"Il mio unico mistero è che sono paraplegica e per di più una diversa."
Ferlinghetti Secondo avvicina le labbra al piccolo orecchio di Cari, glielo morde e poi sussurra:
"Anche tu sei diversa come Sara? Diversa? Molto diversa!".
Cari ride un po' scioccamente.
"Il cibo risveglia il ricordo di altro cibo," attacca Gorospe. "Ricordate, Dora e Sinai, quel memorabile pranzo a Parigi, al Carré des Feuillants? Può darsi che non sia il ristorante con più stelle della guida Michelin, ma è di una regolarità squisita, e abbiamo mangiato quel civet di cacciagione. Nell'autunno del millenovecentonovanta e…"
"Due," puntualizza Sinai. "Esattamente nel 1992. Magnifico. È vero. Soltanto mi aveva dato fastidio che nella carta dei vini ci fossero vini catalani, spagnoli, e non ci fosse nessun vino argentino."
"Un collega olandese mi aveva fatto provare un vino sudafricano straordinario in Olanda. Un Jacobsdal Pinotage. Così buono che l'ho ordinato a Città del Capo. Splendido," dice Fieldmann senza smettere di mangiare e guardare quanto è rimasto nel piatto degli altri.
"Ha buona memoria soltanto per i vini e per i nostri litigi. Credo che se li segni, gli uni e gli altri, nell'agenda," accusa la signora Fieldmann.
Nella cucina del ristorante, Lupe se ne sta ancora accasciata sulla sedia senza reagire. Finalmente sembra rendersi conto di quanto è accaduto. Il cuoco giovane lavora a ritmo lento e la sorveglia a distanza. Drumond bada soltanto alla cena. Il cuoco si avvicina timidamente alla donna.
"Non è stato possibile fare diversamente!"
Lupe esce definitivamente dai suoi pensieri e guarda l'amante con odio crescente.
"Assassino! Era il padre dei miei figli!"
Drumond fa segno di mettere fine alla discussione. Lupe si alza. I suoi occhi sono quelli di una pazza mentre cerca qualcosa sul tavolo. Vede il coltello già brandito dal marito, lo prende e senza dar tempo a Drumond di fare un solo gesto lo conficca nel ventre dell'amante, che esprime tutta l'incredulità esprimibile da un cuoco pugnalato che sta per cadere morto. Magín entra in quel momento. Guarda sconcertato Drumond. Lupe guarda senza vedere. Magín si mette le mani tra i capelli.
"E la cena? Come facciamo con la cena?" chiede infine.
Silenzio ostinato da parte di Drumond. Dalla sala arrivano i gorgheggi delle donne e la lotta delle voci maschili per imporsi le une sulle altre.
"Un luogo comune è che in Germania si mangi male," dice Hermann. "Si mangia male nella Germania dozzinale che ha perso le tradizioni per via di un progresso mal digerito e dell'invasione di barbari di ogni genere."
"Ti riferisci agli yankee?" domanda Sinaí.
"E ai turchi e ai polacchi e agli altri tedeschi" aggiunge Hermann. "Quelli lì non soltanto non sanno mangiare, ma non hanno nulla da mangiare visto come li ha lasciati la barbarie comunista. Ma io ricordo la cucina di mia nonna… solida, squisita, contadina, da gente che alleva gli animali."
"L'inferno sono gli altri," bisbiglia Dora. "Io a questo ci credo. È assolutamente vero."
"È un tuo pensiero?" chiede Ferlinghetti Primo.
"No. Di Sartre."
Magín torna dalla cucina. Porta tutti i piatti che gli riesce tra le mani, sulle braccia.
"Per l'amor di Dio, Magín," dice Dora, "se è necessario aiutiamo noi."
La maggior parte delle donne si alza e si mette in marcia per la cucina. Magín grida, senza poterle trattenere per via delle braccia occupate.
"No!"
Il grido è tanto stentoreo da paralizzarle. Magín posa i piatti davanti a ciascun commensale con la dignità e il savoir–faire che gli sono rimasti. Quando è libero, si spiega.
"Vi prego di scusarmi. Mi è sfuggito un grido, ma una cucina senza mistero non è una cucina. Il cibo non avrebbe lo stesso sapore se penetraste nel recinto sacro di Drumond."
"Verissimo. Queste mode postmoderne di consentire che i commensali entrino nelle cucine dei ristoranti agiscono come un preservativo sul palato," dice Gorospe.
Cari ride.
"Ci sono preservativi da palato? Leandro!" grida Sara. "Che cosa penseremo di te?"
"Quel che volete. La verità è la verità."
I sorbetti sono già serviti. Dora chiude gli occhi e parla senza aprirli.
"È vero. Aprono un buco nell'anima per far posto agli altri cibi."
"Roba da froci," borbotta Gorospe. "A me questa sembra roba da froci."
"Leandro, che cos'hai contro gli omosessuali?" domanda Cari.
Gorospe si alza, va all'altro lato della tavola, prende una mano di Cari, gliela bacia.
"Nulla. Bibamus atque amemus… mea Lesbia…"
Alcuni sorridono, ma non Carvalho, sorpreso del fatto che gli aforismi poetici di don Leandro siano così popolari, anche se nessuno osa dire quello che pensa. Magín aspetta che finiscano il sorbetto. È un fascio di nervi che continua a versare vino, non sempre dove dovrebbe. Quando torna in cucina la signora Fieldmann non riesce a contenersi.
"Cosa succede a quest'uomo?"
"Quel che gli succede non interessa noi," dice il Capitano. "È una serata eccezionale la nostra missione consiste nel mangiare."
"Degustare," corregge Gorospe.
"Attendo con impazienza il Potpourri Pantagruelico," interviene Sinaí. "La carne è il nostro forte, anche se non vogliamo farlo credere. Io ho visto il grande Jorge Luis Borges far fuori una bistecca di mezzo chilometro e ricordo invece quella sua poesia di Fervore di Buenos Aires in cui esprime la sua ripugnanza giovanile per le macellerie."
"Recitala, Sinaí!" grida Gorospe.
"Non è il momento," si scusa Sinaí.
Dora e gli altri si sommano alla richiesta. Gorospe si rivolge a Carvalho.
"Sinaí non solo recita come un attore, non è vero, Cari?; scrive anche poesie. Quando arriveremo allo Château Margaux si metterà a recitare."
Sinaí non si può rifiutare di fronte alle tante preghiere e declama:
"Più vile di un lupanare
la macelleria firma come un affronto la strada.
Sopra la porta
una cieca testa di vacca
presiede la tregenda
di carne sgargiante e marmi finali
con la remota maestà di un idolo"31
"Molto bene!" gridano applaudendo fino a spellarsi le mani gli altri commensali. "Squisito! Meraviglioso!"
Hermann cerca di parlare con Carvalho a tu per tu.
"Ammiro la gente che ha il dono della parola. Io ne sarei incapace, eppure sono tedesco, e la Germania è la patria della migliore poesia al mondo. Hölderlin, Heine, Benn, Hofmannsthal."
"Brecht," aggiunge Carvalho.
"Brecht? Forse. Non mi piace. È forte in sovversione e per lui poesia e teatro non sono che un pretesto. Non è vero, Cari?"
"Cosa?" domanda Cari distrattamente.
"Tu, come attrice, che cosa ne pensi di Brecht?"
"Brecht?" ripete Cari mentre ripassa il suo archivio mentale angosciosamente.
"Non è vero che non ti piace?" domanda Hermann.
"Pseh!" sentenzia Cari.
"Lo vede? Che cosa può dire un messaggio sovversivo alle generazioni di oggi?"
Rivolge la domanda a tutti i commensali.
"Per favore," interrompe la signora Fieldmann senza smettere di masticare, "andate a parlare di politica in toilette."
"Perché in toilette, Rebecca?" chiede il Capitano. "Tutti i posti vanno bene per parlare di politica, e io raccolgo la sfida di Hermann. Ti rispondo io. La sovversione, vecchio mio, non dice nulla alle generazioni di oggi, ma la sovversione né si crea né si distrugge, semplicemente si trasforma. Oggi i sovversivi si nascondono nelle organizzazioni non governative. Di cosa vi sorprendete? Forse qualcuno dei vostri figli ci milita? Se così è, teneteli d'occhio. Nella vita e nella Storia il male esiste, altrimenti, come potremmo distinguere il bene?"
"Verissimo," conferma il primo Ferlinghetti.
"Anche nella vita?" domanda Cari.
"Anche," aggiunge il Capitano.
"Tu sei sempre capace di distinguere il bene dal male?" domanda Sara al Capitano.
"Sempre," risponde il Capitano.
"Complimenti."
"Li accetto."
"Ma dal suo punto di vista morale, come vede gli errori?" domanda Carvalho.
"Se sono incipienti, rimediabili; altrimenti, passibili di sterminio. La convivenza è così difficile che non possiamo autodistruggerci con l'errore."
"Immagini che qualcuno a lei vicino, un essere amato, commetta un errore," prosegue Carvalho.
"Si riferisce a qualcuno in concreto?" puntualizza il Capitano.
"Non ho il piacere di conoscere chi le sta vicino."
"Mi sono creato un mondo su misura. Non mi lascio muovere dagli altri. Sono io a fare le mosse."
"L'uomo di acciaio inossidabile!" esclama Sara. "E i sentimenti?"
"I miei sentimenti sono miei e intrasferibili. Appena trasferisci i tuoi sentimenti, questi diventano osceni."
Il Capitano alza il calice di vino, brinda a Sara, poi a Carvalho e in particolare a Ostiz, che non ricambia il brindisi e beve insieme a tutti, tranne Carvalho, con il quale comincia a sostenere un duello di sguardi. Ma ormai Magín è di ritorno per ritirare i piatti, e quando i commensali vedono libero lo spazio immediato, inondano la tavola di conversazioni rumorose e incrociate. Magín versa il vino e finalmente comincia a distribuire il Potpourri Pantagruelico. La ricchezza del piatto lega con i visi dei commensali, che sembrano ingerire la particola della prima comunione. Gorospe si alza e batte il calice con il cucchiaino, chiedendo silenzio.
"Amiche, amici. Una volta ogni due mesi ci riuniamo in questo Club de Gourmets per mangiare."
Risate.
"Detto così può sembrare una brutalità perché il fatto di mangiare non è di per sé estetico, ricorda l'aspetto primitivo dell'operazione. Uccidiamo per mangiare e mangiamo per sopravvivere. Questo lo fanno tutti gli animali, ma soltanto l'uomo ha trasformato quest'operazione in cultura, non soltanto in memoria animale, ma in cultura. Non intendo rovinarvi la cena, ragazzi e ragazze, compagni della mia vita, come dice il tango," fa una pausa fin quando si spengono le risate, "ma voglio sottolineare quel che stiamo per mangiare. Potpourri Pantagruelico! La volgarità di un'antologia delle carni, di cui noi argentini siamo tanto appassionati, e la gloria del primo grande testo letterario moderno a favore del piacere, della cultura: Gargantua e Pantagruel, di Rabelais. Guardatelo!", e come se non gli dessero abbastanza retta, ripete: "Guardatelo! Che cosa vedete?".
"Una macelleria," dice Sara beffarda.
I convitati scoppiano in rumorose risate. Persino Gorospe ride.
"D'accordo. Ma grazie alla cultura, la brutalità della carne morta è diventata poesia, una sintesi meravigliosa di sapori, di aromi. E prima di ficcare il coltello e i denti, voglio brindare alla cultura: alla cultura che ci ha salvati dall'essere soltanto degli assassini e dei cannibali!"
Si mettono in piedi.
"Alla cultura!" gridano brindando.
E si lanciano sul piatto con voracità da cannibali. Intanto, nel suo ufficio, Lucho Reyero si toglie la giacca, il gilet, i pantaloni, i reggicalzini, i calzini lunghi, le scarpe, la camicia. Sembra intontito mentre intreccia pantaloni e camicia per formare una specie di corda. Guarda il soffitto. I suoi occhi si fermano sul lampadario.
Tango Amigo vuoto di pubblico. Il barman controlla i rifornimenti. Adriana dialoga con l'orchestrina e prova l'attacco di Arance Tango, Silverstein monologa a bassa voce ma gesticola come se fosse già davanti al pubblico. Un atto interrotto perché Raúl è entrato nel locale, e dall'ingresso illuminato fatica a distinguere quel che si muove nella penombra sul fondo. Silverstein non ha abbastanza mani per i gesti che gli ispira l'arrivo del fuggiasco. Raúl bisbiglia qualcosa che mette Norman in agitazione facendogli seguire l'amico, senza giustificare la fuga, come mosso da finalità più importanti di tutte quelle implicite in Tango Amigo. Ormai nel taxi, entrambi restano in silenzio finché Silverstein capisce che si stanno avvicinando a Villa Freud.
"Font y Rius?"
"Non intendo invitare Güelmes. Lui è il potere."
Norman assente con gli occhi e si trasforma nella comparsa di Raúl quando scende dall'auto nel giardino ricoperto di ghiaia della clinica e avanza lungo il giardino verso le porte laterali dell'ufficio di Font y Rius. Li aspetta oltre i vetri e non domanda nulla quando apre la porta, si toglie il camice bianco, controlla il contenuto delle tasche, si liscia con le mani più l'incipiente calvizie che gli stessi capelli e sospira rassegnato. Reagisce invece davanti al taxi.
"Lo mando via. Andiamo con la mia macchina."
A pagare è lo stesso Font y Rius che, ormai al volante, si rivolge a Raúl, seduto accanto a lui.
"Sei sicuro di tutto quello che mi hai raccontato?"
"Sicuro."
"E quella gente che ti ha facilitato la soluzione della storia dopo averti sequestrato, chi è?"
"E cosa ce ne importa?"
"Che cosa ce ne importa? Nulla di nulla."
Quello del guidatore fu un lungo monologo attraverso i paesaggi in fuga che li allontanavano dal centro convenzionale di Buenos Aires verso San Isidro e poi verso i ponti sul Tigre e la promessa del confine dell'aperta campagna dove la città ha già perso il suo nome.
"Quando mi uccisero la povera Alma e caddi in mano ai militari, alla Escuela de Mecánica de la Armada, pensai che la mia vita fosse finita. Ero convinto che tutti voi foste morti. Berta, Norman, Pignatari, Güelmes, tu, tanti altri, veramente morti, morti i cui nomi soltanto noi ricordiamo e ricorderemo, anche se erano appena nomi di battaglia, non meno reali di quelli dati dai loro genitori. Nessuno potrà negare il nostro altruismo, un altruismo suicida, perché se bisogna stabilire un valore convenzionale, questo valore è proprio l'altruismo. Poi, misteriosamente, sono sopravvissuto. Qualcosa è dovuto accadere perché sopravvivessimo, e pensai: qualcuno ha patteggiato un miracolo, che sia benedetto. Smisi di essere altruista. Pensavo soltanto a me, io ero il mio unico progetto. Odiavo persino un po' le due sorelle, Berta e Alma, perché le accusavo di avere provocato la mia insufficiente passione attivista. Questo era anche il tuo caso, Raúl, non il tuo, Norman. Tu militavi per insensatezza. No. Non ringraziarmi. Ed è stato difficile metabolizzare quella dialettica tra altruismo e sopravvivenza. Associarci con il Capitano fu una canagliata contro noi stessi, anche se Güelmes presentò la cosa come la dialettica tra padrone e schiavo nella fase in cui lo schiavo diventa uguale al padrone per finire col distruggerlo. Questo è stato il possibilismo di un'intera generazione di argentini. Di Alfonsín e anche dopo, di Menem. Il risultato è ovvio. Non modifichi la cultura del potere; è la cultura del potere a modificarti. Mi seguite? Dove voglio andare a parare? Non c'è altra vittoria se non quella di distruggere i capitani, tutti quelli che sono come il Capitano, e quel che stiamo facendo è vincere la guerra. Non è vero?"
Si impadronisce del volante con più decisione che mai e non nota nemmeno che i suoi compagni tacciono, che non gli risponderanno mai.
Nella cucina, Magín, Drumond e la cuoca continuano a impuntarsi.
"Su questa non si può contare," dice Magín disperato, "se n'è andata chissà dove."
"Io servo i dessert, fosse anche l'ultima cosa che faccio. Mon Dieu! Qu'est–ce que j'ai fait pour mériter ça?"
La cuoca esce dalle sue fantasticherie e li guarda con un'espressione pazza, pazza da legare.
"Per rispetto della cena non ho chiamato la polizia," le fa sapere Magín, "né l'ho raccontato al padrone, che si è chiuso nel suo ufficio. Adesso è tardi, ormai."
"Quando avranno bevuto l'ultimo bicchiere di Armagnac, quando avranno esalato l'ultima boccata di fumo e se ne andranno a casa, chiami la polizia e, se è necessario, ecco qui le mie mani. Je suis disposé pour le sacrifice! Moi, le plus important élève de Robuchon!"
"Di cosa state parlando?" domanda Lupe uscendo definitivamente dal letargo. "Perché avete ucciso mio marito? Assassini! Dov'è il mio Santos?"
"Sta per mettersi a gridare!" esclama Magín preso dal panico. Lupe grida con tutte le sue forze.
"Assassini!!"
Quelli in sala si girano verso il luogo da cui proviene il grido mentre Drumond e Magín tentano di bloccarla.
"Avete sentito un grido?" chiede la signora Fieldmann.
"Stanno scannando un porco per la cena di mezzanotte," commenta il primo Ferlinghetti coronando l'intervento con una grassa risata.
Gli invitati non ci badano troppo, ma la signora Fieldmann segue con orecchio attento quanto accade in cucina, dove il maître e il cuoco tappano la bocca a Lupe e le legano le mani con un grembiule souvenir di Mar del Plata, a mo' di camicia di forza. Non sanno che cosa fare fin quando Drumond indica la cella frigorifero.
"Dentro!"
Drumond l'apre e Magín spinge Lupe gettandola all'indietro. Crede di vedere qualcosa di strano e sta per affacciarsi, ma Drumond chiude rapidamente e si piazza davanti alla porta.
"Lasciamola dentro."
"Ma mi pare di aver visto…"
"Niente. Non ha visto niente. Il mio grande maestro, Michel Gérard, o è stato Robuchon?, mi ha detto un giorno in cui io ero molto nervoso perché nulla mi riusciva bene: Drumond, cessons de jeter de l'huile sur le feu, voulez–vous, et d'alimenter une polémique stérile… O si cucina o si polemizza."
"Bisogna ammettere che lei è un professionista di grossa levatura, monsieur Drumond."
"Mio caro Magín, le ideologie e le mode passano, ma la professionalità, elle reste!"
In ufficio, Lucho continua a esaminare l'improvvisata corda dell'impiccato o dell'evaso di Alcatraz che pende dal lampadario. La guarda dal basso. Prende il ritratto della moglie e se lo passa sui genitali.
"Porca," dice Lucho facendo la linguaccia. "Impara una buona volta che cos'è un uomo!"
Getta il ritratto contro la parete e le sue deboli carni si rompono. Va con decisione verso la corda appesa. Gli importa ben poco la baldoria in sala di cui gli giunge il rumore.
"Con questo piatto mi vengono in mente tutte le idee sul lavoro ben fatto come solo valore etico indiscutibile. Le prospettive etiche sono tanto relative!" dice Sinaí. "Ma invece un lavoro ben fatto è un lavoro ben fatto. Per questo mi piace Borges, anche se non fa strettamente parte del mio mondo, della mia cordata ideologica."
"Borges era un anarchico di destra," insinua Carvalho.
"Questa è una semplificazione!" l'accusa Gorospe.
"Di destra o di sinistra, ma era un anarchico. Come me. Come la maggior parte delle persone singolari. Se sono sincero, questo sta a voi dirlo. Ma lui faceva delle opere ben fatte e molte le conosco a memoria," puntualizza Sinai.
Guarda fisso Carvalho. Carvalho non sa perché lo faccia e volge lo sguardo a destra e sinistra, alle sue spalle, nel caso accada qualcosa che lui non ha notato. Finalmente Sinaí si decide e recita tutto d'un fiato:
"Un paio di anni fa, ho perduto la lettera, Gannon mi scrisse da Gualeguaychú, per annunciarmi l'invio di una versione, forse la prima in spagnolo, della poesia The past, di Ralph Waldo Emerson, e aggiungeva in un poscritto che don Pedro Damián, di cui forse conservavo qualche ricordo, era morto qualche sera prima di congestione polmonare…".
Gli applausi lo costringono a fermarsi.
"Riuscite a indovinare il brano che ho recitato?"
"Il paragrafo iniziale di L'altra morte, nell'Aleph." dice Ostiz orgoglioso di sé.
"Borges! Borges! Borges è come il porco o come la Madonna, di Borges nulla va sprecato ed è utile a tutti," li accusa Sara. "Io, sinceramente, preferisco Sábato. È meno trito."
"Da quando Ernestito si è messo a fare il frate della Mercede nel tentativo di riscattare quella ciurma di desaparecidos, non riesco più a sopportarlo, né lui né quello che scrive."
Sinaí più che informare rimprovera.
"Inoltre, paragonare Borges a Sábato è come paragonare la Santissima Trinità al papa, a qualsiasi papa."
"Ottimo, ottimo, Sinaí."
Ancora un po' e ormai le bottiglie invadono la totalità della tavola. Magín entra per ritirare quelle vuote. Sono molte. Il vino rosso scorre lungo le gole alla velocità dell'acqua, alla velocità della sete. La signora Fieldmann è ubriaca nonostante l'aria piena di contegno e cerca di palpare i genitali del marito, che l'uomo protegge disperatamente tra un boccone e l'altro.
"È il suo primo viaggio in Argentina?" chiede Sinaí a Carvalho.
"Sì."
"Cosa pensa degli argentini?"
"Perché non gli chiedi che cosa pensa delle argentine, per essere più sincero?" interrompe Gorospe. "Insomma, Sinaí, recita quello che ti pare, ma non fare domande imbarazzanti."
Sinaí si alza, un tantino furioso.
"Io chiedo quel che mi gira… e tu chi sei, per riprendere proprio me! Scribacchino! Ricco scribacchino, ma pur sempre scribacchino!"
"Sinaí, per amor di Dio," supplica Dora.
"Scribacchino, a me? Sono il miglior pubblicista del Sudamerica!"
"Io vendo il mio vino litro a litro e tu ti imbottisci di soldi per che sei culo e camicia con la banda menemista, quei descamisados in camicia di seta!" aggiunge Sinaí.
"Se non fosse per le ordinazioni ufficiali il tuo vino non servirebbe manco per fare l'aceto!"
"Signori!" li rimprovera Hermann.
"Lascia perdere. Lo sai che dopo gli passa," intercede Dolly in loro favore.
Gorospe e Sinaí si chinano sulla tavola fino a ravvicinare le facce. Le scostano.
"Da vicino sei orribile," gli dice Sinaí.
"E tu somigli alla morte in quel film di Bergman."
Sinai si siede e recupera Carvalho.
"Non risponda alla mia domanda sugli argentini. Ma neanche a quella sulle argentine. Le argentine, che vadano a farsi fottere! Sono carne da psicoanalista e prima o poi ci portano noi dallo psicoanalista, dallo stesso psicoanalista che se le fotte. Mi risponda a proposito dell'Argentina! Che gliene pare, di quest'Argentina?"
Carvalho studia la risposta. Beve il vino fino a scolare l'intero calice. Il Capitano prende l'iniziativa di riempirglielo di nuovo e lo incita maliziosamente a rispondere.
"Aspettiamo la sua risposta. Lo sguardo di uno straniero può essere molto utile. Che ne pensa, lei, di quest'Argentina?"
Carvalho accentua la sua faccia da straniero.
Lucho Reyero da l'ultima occhiata alla riunione dei suoi commensali che, silenziosi, aspettano una risposta da Carvalho. Lucho ha preso una decisione. Trasporta la poltrona sotto il lampadario da cui pende la corda improvvisata. Vi sale. Si stringe un nodo intorno al collo. Tira la corda per verificare che sia ben legata ai bracci del lampadario. Chiude gli occhi e si lascia cadere.
Carvalho guarda a uno a uno tutti i presenti. Finalmente si decide.
"Non credo che esista."
"L'Argentina non esiste?" domanda Sinaí sorpreso.
"Che cosa dice quest'uomo?" chiede sorpreso il primo Ferlinghetti.
"Dove siamo, allora? In Paraguay?" domanda Cari.
"Lasciatelo parlare," chiede Sara.
"A questo signore, gagliego per la precisione, succede come a Borges, che una volta aveva detto: Buenos Aires è orribilmente brutta, e Pepe María Peña gli aveva risposto: sta di fatto che Borges è cieco."
Sinaí ride della propria genialità.
"A che cosa si riferiva quando ha detto che l'Argentina non esiste?" vuole sapere Sara.
"Non esistono nemmeno la Spagna, né l'Europa, San Marino probabilmente sì. Ma le realtà complesse non ammettono astrazioni metafisiche."
"Comincio a capire," dice Gorospe più tranquillo. "Lascialo parlare, vinattiere."
Sinaí glielo concede e si appoggia alla spalliera per ascoltare.
"Ci sono molte Spagne possibili e insieme reali," continua Carvalho, "come esistono molte Argentine possibili e reali. Chi può parlare in nome di queste totalità tanto complesse?"
"Ma faccia un esempio. Qualcosa che la colpisce al di sopra di tutto," gli chiede il Capitano.
Carvalho pensa e finalmente sospira guardando faccia a faccia prima il Capitano e poi Sinaí.
"I vuoti."
"I che cosa?" chiede Sinaí.
"I vuoti che hanno lasciato trentamila esseri umani, i vuoti che hanno lasciato i cosiddetti desaparecidos."
Il silenzio che ne consegue ha la consistenza di una besciamella densa colorata con inchiostro di calamaro. Sara osserva con curiosità un po' sarcastica ciascuno dei presenti. Persino i Fieldmann hanno smesso di masticare, nonostante abbiano la bocca piena.
"Dimentichiamo la faccenda," chiede Gorospe. "Le siamo grati della sua sincerità semplificatrice da straniero."
"Semplificatrice?" domanda Sara.
"È il luogo comune! Il tango, Maradona, i desaparecidos!" grida istericamente il secondo Ferlinghetti.
Nel silenzio, frutto della stanchezza, si sente con particolare chiarezza la voce di Ostiz.
"Trentamila desaparecidos, lei dice, dice che ne sente la mancanza, che nota il loro vuoto. Io credo che a scomparire furono troppo pochi, che resti ancora troppa gentaglia da sterminare." Adesso è Ostiz a guardare il Capitano e a chiudere il discorso in sua vece.
"Tutti quelli che non sono scomparsi per sempre risuscitano, Doreste. Non sono desaparecidos reali. La prossima volta avremo imparato la lezione che ci hanno impartito i morti senza sepoltura."
"La colpa di tutto è dei radicali, i radichetas di merda, e del loro impegno per la catarsi. I radicali sono una merda." Sinai torna alla carica: "Anche i peronisti, peggio ancora. Ma i desaparecidos erano l'Aids. Come l'Aids morale della nazione. Lei ignora il clima che c'era in Argentina alla morte di Perón, quando i sovversivi facevano i loro comodi. Nemmeno i mafiosi peronisti erano in grado di fermarli, come venne dimostrato quando la Confederazione Generale del Lavoro ritirò il suo appoggio a quella troia di Isabelita e fu il presidente in carica Italo Luder a dichiarare lo stato di assedio e ad autorizzare le Forze armate ad annientare la sovversione armata della sinistra. I sovversivi venivano a prenderci. La mia vita o la tua, preferisco la mia. Qui in Argentina, come in Cile, come in Uruguay, come a Berlino, è stata vinta la battaglia dell'Occidente contro il comunismo. Che cosa sono trentamila desaparecidos? Quanti di noi sarebbero morti se avessero vinto loro? Il Processo di Riorganizzazione Nazionale, il Processo, fu inevitabile e provvidenziale. Poi… quanto accadde con i militari è un'altra faccenda. Videla fu l'unico all'altezza delle circostanze".
"Con un bel paio di coglioni," scoppia Dolly.
"Ma dobbiamo ringraziare il signor Carvalho di avere parlato con tanta sincerità," dice Sara timidamente.
"Va da sé che i luoghi comuni offendono, ma…," comincia adire Dora.
"Non interpretatemi male. Io non voglio uccidere nessuno, né maltrattare nessuno, né fare niente di simile. Con queste mani io non ho ucciso una mosca," aggiunge Sinaí.
"Lo hanno fatto altri per te," lo rimprovera Sara con un delizioso sorriso.
"E per te, no?"
"Anche."
"Ma ho diritto alla legittima difesa!" grida Sinaí. "Agivano contro di noi! Venivano a toglierci le terre, le industrie, la religione, i nostri valori, l'ordine sacro. Non è vero, mio Capitano?"
Si morde le labbra appena posta la domanda. Il Capitano lo fulmina con lo sguardo. Sinaí parte all'attacco di Carvalho.
"E quanto a lei, signor Carvalho, voglio esserle amico, e domani riceverà a casa sua una selezione delle mie bottiglie migliori, sarà un onore per me se lei vorrà assaggiarle."
Al di sopra di così tanta conciliazione si ode la voce di Sara.
"Complimenti, signor Carvalho, per esserne uscito vivo. Ma un'altra volta non parli di corda in casa dell'impiccato."
La gioia è ora generale. Il Capitano e Carvalho si sostengono lo sguardo.
"Non avete sentito un colpo?" interviene di nuovo la signora Fieldmann.
Lucho ora è caduto a terra. Perde sangue dal naso. Su di lui pende la corda fallita dell'impiccato. Geme con il naso schiacciato sul pavimento. A un tratto capisce quanto sia ridicola la situazione. Seminudo, si siede sul parquet. Si tocca il naso e, abbassandogli occhi, esamina il sangue che gli cola sul corpo.
"Sangue!" esclama guardando dappertutto senza sapere che fare.
Magín e Drumond tengono in piedi la loro Grande Guerra gomito a gomito.
"I dessert?" chiede Magín a Drumond.
"I dessert," pensa Drumond. "Vuole che la aiuti?"
"Non si è mai visto un cuoco servire in tavola," lo rimprovera Magín.
"Capisco," dice Drumond enfatico.
Drumond aiuta Magín a caricarsi dei piatti con il dessert Arance Tango. Magín sembra uno spaventapasseri pasticciere con mani, braccia, spalle piene di piatti, mentre si appresta a entrare in una sala dove cominciano a formarsi i gruppetti.
"Se accetti l'invito, ti porto in aereo privato nella mia tenuta," propone il secondo Ferlinghetti all'attrice.
"E il rodaggio?" domanda la donna. "Dopo tutto quel che ho faticato a imparare la parte."
"Chi è il produttore?"
"Ponti Asiaín," risponde Cari.
"Siamo amici intimi. Il suo yacht è ormeggiato accanto al mio a San Isidro," dice Ferlinghetti con voce profonda e sguardo da serpente.
Dora si alza e pretende che Gorospe la lasci sedere accanto a Carvalho. Lo fa e lei gli si attacca affettuosamente a un braccio.
"Vengo a convincerla del fatto che l'Argentina non è tanto truce quanto lei s'immagina."
"Non ha bisogno di convincermi di qualcosa in cui credo già, ma sarò felice di averla seduta al mio fianco."
"Avete sentito?" chiede Dora agli altri. "È un cavaliere. Un cavaliere spagnolo!"
Ma il contatto fisico con Carvalho è reale. Il ginocchio di Carvalho si imbatte nella coscia di Dora. Da vicino la donna è bellissima e mostra una scollatura da cui si affaccia pelle umana di prima qualità. Lei non può fare a meno di notare lo sguardo di Carvalho sui suoi seni e gli dice a voce bassa:
"È un cavaliere, ma non guarda come un cavaliere".
"Mi piace quel che vedo. E più vicino è, meglio è."
"È un'insinuazione?"
"Mi piacerebbe molto, moltissimo, parlare con lei di vini."
"Anche a me," avvicina la bocca all'orecchio di Carvalho. "Non faccia caso a tutta questa gente, sono dei reazionari figli di puttana. Tutti della Triple A.32 López Rega li aveva organizzati ancora prima della morte di Perón."
Carvalho la guarda sorpreso. Lei ha recuperato una certa distanza e lo contempla come se avesse appena commesso una birichinata.
"Anche Sara?"
Lei gli dedica un sorriso neutro, ma gli parla di nuovo all'orecchio.
"Quella lì è una lesbica figlia di puttana che ha soffiato la moglie al padrone di questo ristorante. Se le interessa, tenga conto che lei a quella donna non interessa."
Quando ritira il viso torna a comporre l'espressione della più sorridente innocenza.
"Lei è sovversiva?"
"Prima di trasformarmi in donna oggetto ho voluto essere una scienziata sociale. La scienza è neutrale. Non è della Triple A."
"La scienza è di chi se ne impossessa."
"Le donne pure?"
La voce di Gorospe interrompe il loro colloquio a tu per tu.
"Sinai, tua moglie si sta dando da fare con il mio amico gagliego."
Sinaí guarda la moglie con occhi ubriachi e affettuosi, e recita un'altra poesia:
"Fuggi, gazzella galattica, se credi di fuggire,
perché la tua fuga ritorna
e mi trova infondo alla tua follia
come tuo unico somaro".
"Che le avevo detto, Carvalho? Il vinattiere è poeta. Questa poesia è certamente sua."
"Lo si nota," è l'opinione di Sara.
"È una delle più belle che mi ha dedicato," dice Dora prendendo sul tavolo una mano del marito e sorridendogli innamorata.
Il telefono è diventato impertinente, una, due volte, esaurisce tutto il tempo della chiamata. In assenza di subalterni, lo prende Dolly e si impone gridando sul rumore della tavolata.
"Pepe Carvalho! Vogliono il signor Pepe Carvalho!"
Il detective va al telefono sotto la vigilanza degli occhi del Capitano. La voce di don Vito impone le condizioni della chiamata.
"Non faccia il mio nome. Dica sì o no."
"D'accordo."
"Devo comunicarle che, seguendo la ragazza, mi trovo davanti al vero domicilio del suo Capitano e stavo già per entrarci perché non avevo individuato guardie esterne quando ho visto altri tre personaggi che girano intorno alla casa. Riesce a indovinare chi è uno di loro?"
"No."
"Suo cugino Raúl, e accanto a lui vedo un tizio molto strano, coi capelli bianchi, più magro di uno stecchino, che si muove come un ballerino classico."
"So chi è."
"L'altro sembra indeciso. È alto e piuttosto stempiato."
"Anche quello so chi è. Una riunione di moschettieri. Non sono tre, e nemmeno quattro. Sono cinque. Ne mancano due per formare il quintetto."
"Li lascio entrare? Vado per primo io? Che faccio?"
"Ricorda il nome da ragazza della signora che vive nella casa?"
"L'ho scritto qui. Pardieu. María Asunción Pardieu."
"Suoni il campanello, o quel che c'è, faccia il nome della signora e le spieghi tutto quel che sappiamo e che vogliamo."
"Non preferisce che la aspetti?"
"Ancora non ci hanno servito i dessert e non me li voglio perdere. Le spiego poi."
Si apre la porta della cucina. L'apparizione del maître materialmente coperto di dessert li lascia in silenzio e stupefatti. Come se fosse la cosa più naturale del mondo, il maître raggiunge il tavolo e con abilità circense posa i piatti ciascuno al suo posto senza sbagliare di un millimetro. Saluta. Va a cercare i rimanenti. I commensali si guardano sconcertati e non levano gli occhi dalla porta di comunicazione con la cucina. Il maître ricompare con un'esibizione analoga e gli altri dessert.
"Per il momento l'Arancia Tango," informa Magín rivolgendosi a tutti. "I marrons e il soufflé di acacia si stanno completando. Il soufflé va mangiato quando è bello gonfio."
Saluta e si ritira senza dare le spalle.
"Ma… voi avete visto quel che ho visto io?" domanda loro Gorospe senza notare di aver detto un'ovvietà.
Lucho Reyero raccoglie gli indumenti sparsi nel suo ufficio e li indossa anche se stropicciati. Indossa tutto, giacca e cravatta incluse. Con la totalità degli indumenti stropicciati al suo posto, sembra un vagabondo di lusso. Verifica il proprio aspetto davanti allo specchio. Si sistema la spilla della cravatta e infila un fazzoletto bianco di seta nel taschino della giacca. Rimane soddisfatto di sé. Va alla scrivania e riprende la pistola. La esamina. È carica.
Magín entra in cucina. Drumond controlla i soufflé individuali nel forno, ormai gonfi.
"Questi non potrà servirli da solo. Pas possible! Mentre lei va e viene, i soufflé si afflosciano. Tragique!"
"Vado a vedere se Lupe si è calmata."
Drumond cerca di trattenerlo, ma non fa in tempo. Magín apre la porta della cella frigorifera e ha un brivido. Attaccati ciascuno a un gancio per appendere i quarti di bue, pendono i due cuochi morti. A terra, Lupe, morta anche lei, evidentemente congelata. Magín le prende il polso.
"Morta!" esclama Magín in preda all'orrore, senza capire del tutto quello che vede. A mezzo metro da lui, Drumond gli impedisce di avanzare minacciandolo con un uncino.
"Non dica nulla. Non faccia nulla."
"Mi faccia uscire."
"La cena non è terminata. Non voglio che me la rovini."
Magín non sa che cosa rispondergli, né ha sufficienti riflessi per impedire che Drumond lo rinchiuda a sua volta nella cella.
"Mi spiace, lei era un grande professionista," gli grida lo chef dall'altro lato della porta.
"E i soufflé? Chi servirà i soufflé?"
"È vessatorio per un grand chef, ma lo farò io."
"Si afflosceranno! Quando saranno in tavola sembreranno una quiche lorraine. Un disastro!" lo avverte la voce sempre più disperata di Magín.
Drumond medita.
"Proprio vero."
"Ma che cosa si crede?" lo rimprovera Magín indignato. "Di essere l'unico professionista di questa città, di questo paese, di questo mondo? Forse intende insultare gli argentini negandomi la condizione del grande professionista? Qual'è il mio compito? Contare i morti o servire i soufflé?"
"Servire i soufflé, indubbiamente," risponde Drumond.
"È quello che sto per fare," dice la voce di Magín rinvigorita da un indizio di speranza. "Ciascuno ha quel che si merita, anche quelli che stanno qui dentro."
Drumond sembra pienamente d'accordo. Butta via l'uncino. Apre la porta della cella e fa uscire Magín, indicandogli la strada della sala. Appena lì, Magín entra nella parte del maître e si dispone a ritirare i piatti vuoti. Con un gesto leggero attira l'attenzione di un commensale.
"Un porto di quarant'anni, gran riserva Noval. È quello scelto dal sommelier prima di tornarsene a casa. Ma forse voi preferite delle acquaviti fredde, dell'Armagnac, del cognac."
"Giustissimo! Ma Magín, che cosa sta accadendo in cucina? Lei è il solo a servirci. E la cuoca?" chiede Gorospe.
"Ha avuto un'improvvisa indisposizione."
"Accidenti, com'è ridotta stasera la cucina," dice Dolly aiutandosi con un gesto di stupore.
"Se si trattasse soltanto di questa cucina," lamenta la signora Fieldmann. "Voi riuscite a trovare del personale come si deve? Dicono che a Buenos Aires c'è crisi, ma manco più le paraguaiane si riescono a trovare. Mia sorella che vive a Parigi dice che lì è una meraviglia. Una coppia di domestici, marito e moglie polacchi, che erano solisti di violoncello. Sono straordinari."
"Anche se poco ortodosso e in onore alla soddisfazione dovuta al fatto di disporre di un pubblico di connaisseurs come quello che stasera ci onora, lo chef e io serviremo i soufflé al fiore di acacia 'Liliana Mazure'."
Magín da per terminata la spiegazione e se ne torna in cucina.
"Il potpourri era delizioso, ma l'altro protagonista è senza dubbio questo. Un soufflé ai fiori di acacia!" dice Gorospe esaltato.
"Che delicatezza!" aggiunge Cari.
"Le Arance Tango sono pur sempre una stronzata alla portata di tutti, ma questo è un piatto serio. La ricetta originale è di Troisgros e mi sono preso la libertà di portarla."
Gorospe prende dalla tasca un foglietto di carta e lo allunga a Sinaí.
"Leggi."
"Perché io? Che legga Cari, è lei l'attrice."
"Leggi tu, che sei poeta."
Sinaí si mette in piedi e legge.
"Tempo di preparazione: trenta minuti. Tempo di cottura: diciotto minuti."
"Così poco tempo!" interrompe Dolly.
Sinaí la fulmina con lo sguardo e prosegue.
"Cento grammi di grappoli di fiori di acacia, due centilitri di cognac, due rossi d'uovo, cinque chiare d'uovo, un cucchiaino di burro, un ottavo di litro di crema pasticciera…" Interrompe la lettura: "Ma queste quantità non servono manco per cominciare".
"È una ricetta indicativa per quattro persone. Va' avanti."
"Zucchero a velo, zucchero da glassa, sale… Operazioni preliminari. Prima: i fiori: tenere da parte due grappoli interi di fiori d'acacia e staccarne il resto, fiore dopo fiore…"
Mentre Sinaí legge con voce da declamatore professionista, Lucho sosta davanti alla porta che conduce in sala, pronto a uscire. Si mette la pistola nella tasca della giacca stando sull'attenti come per accingersi a un'azione epica. Torna davanti allo specchio e verifica il suo penoso aspetto raffazzonato. Non gli importa. Smette di guardarsi e cammina con decisione verso la porta, la apre, in cima alle scale contempla gli ignari commensali e comincia a scendere i gradini lentissimamente, proprio mentre la porta della cucina si apre e appaiono Drumond e Magín con i vassoi e i soufflé. I commensali li ricevono con applausi. I soufflé vengono deposti maestosamente davanti a ciascun commensale.
"Se penso a quanto mi piacciono le acacie, e sto per mangiarmele. I loro fiori, poi," dice Cari rattristata.
"A me da ragazzina piacevano i coniglietti e adesso il mio piatto preferito è il coniglio alla cacciatora," chiarisce la signora Fieldmann.
"E gli uccellini?" domanda Gorospe. "I tordi, perché risultino saporiti, devono morire affogati nel vino."
"I gastronomi dell'epoca di Brillat–Savarin mangiavano crudi certi gustosissimi uccellini," aggiunge il secondo Ferlinghetti.
Cari non può sopportare l'informazione. Ha dei conati di vomito, sulle prime sembrano comici, ma poi sono reali, incontenibili, simili a ondate, brutali, e si mette a rigettare abbondantemente sui pantaloni del signor Fieldmann.
"Ma fai qualcosa!" incita il marito la signora Fieldmann.
"Cosa fa questa ragazza?" chiede Dolly con la faccia nauseata.
I pantaloni del signor Fieldmann sono lordi di vomito, un vomito che ha spruzzato anche la gonna di Versace indossata dalla moglie. Drumond cerca di salvare la situazione.
"Per favore! Non guardate! Il dessert è ottimo!" Prende un cucchiaio e assaggia un po' del soufflé dal piatto di Sinaí, abbastanza seccato della sfrontatezza dello chef. "Non guardate e pensate a mangiare!"
Crisi di nausea collettiva. Drumond e Gorospe accorrono in aiuto delle vittime sempre più numerose. Magín si lascia cadere in una poltrona e si accende un sigaro disinteressandosi della faccenda. Spiritualmente lontani da tutto, da tutti, Carvalho, il Capitano, Sinaí e Sara prendono il dessert e si scambiano occhiate di approvazione. Gorospe smette di rendersi utile, corre verso il suo piatto, lo assaggia.
"Squisito!"
E senza ripetere l'assaggio torna alle sue opere assistenziali.
Ostiz e il Capitano approfittano della situazione per parlare tra di loro. Il finanziere non guarda il Capitano negli occhi, ma dalle sue labbra escono parole dure, e a Carvalho arriva uno scampolo di discorso.
"Hai esagerato."
E la risposta del Capitano:
"Allora, mi molli di punto in bianco, no?".
Lucho è arrivato agli ultimi tre gradini. Non sa se continuare ascenderli. Contempla la situazione tragicomica dei commensali. Prende la pistola dalla tasca della giacca e tenendola in mano termina la discesa e va verso la tavola dove il banchetto è andato a farsi benedire.
"Lucho! Luchito!" grida Dora, la prima ad accorgersi del ritorno di Reyero. "Ti è venuta voglia di stare con noi? Adesso?"
In decimi di secondo, tutti notano la pistola che tiene in mano e quanto il pistolero abbia perso il controllo di sé.
"Che ti succede, Lucho?" domanda spaventato Gorospe.
Lucho alza la pistola. Guarda con determinazione Sara e le punta l'arma addosso. Sara e Lucho si scambiano sguardi carichi d'odio. Lui sta per sparare. Sara spinge indietro la sedia a rotelle e Drumond resta nella linea di tiro. Uno sparo secco e lo chef crolla a terra. Chi non era già isterico grida come se lo fosse. Sinaí estrae una pistola dal reggicalzini e la punta su Lucho con l'intenzione di sparare. Il Capitano gli da un colpo sul braccio e devia il proiettile.
"Non dobbiamo ucciderci tra di noi," dice il Capitano guardando Ostiz.
Lucho verifica stupidamente la presenza della pistola nella sua mano. Il Capitano gli si avvicina.
"Dammi questa pistola."
Lucho gliela consegna. Il Capitano si volta con la pistola in mano. Davanti a lui, spettacolo di commensali a mezz'asta. Soltanto Carvalho sembra saldo, tiene una mano nascosta sotto la giacca e sostiene lo sguardo del Capitano.
Raúl prende il comando, seppur stupito dalla facilitazione offerta dal cancello aperto sul giardino, dalla solitudine del viale alberato che conduce all'ingresso principale, che consente di constatare che la linea retta è la distanza più breve al cuore segreto della vita della bestia. I tre uomini guardano i quattro punti cardinali in cerca di una qualsiasi minaccia, guardano persino in alto, nel caso il pericolo arrivi dal cielo, o arrivi in ultima istanza una voce con il divieto di un qualche dio, ma la casa è sempre più grande, più vicina, bisogna fare qualcosa quando si trovano ai piedi della scalinata che conduce alla porta principale. È Raúl a salire con decisione, senza verificare lo stato d'animo dei suoi compagni preme il campanello, una, due volte, e tutti e tre auscultano l'anima nascosta della casa fino a percepire un rumore di passi e una confusa presenza dietro il vetro molato. Si apre la porta e don Vito li accoglie con un sorriso complice e triste.
"Vito Altofini, il socio di Carvalho. Vi stavo aspettando. Potete entrare."
Tutti e tre insieme non hanno una sola spiegazione da dare al sorprendente anfitrione che li guida lungo l'ampio atrio da cui parte la scalinata per i piani superiori e li conduce nel salone sovraccarico di mobili di grosse canne con tappezzerie policrome, tachistes, in contrasto con la signora pallida, ex bionda, ex bella, che si strofina le mani sulla gonna, come se volesse pulirle di sporcizie invisibili.
"Doña María Asunción, questi signori sono venuti con il mio stesso proposito, e uno di loro, glielo presento in modo particolare, don Raúl Tourón, è il vero padre di Muriel."
La donna guarda il soffitto e don Vito fa altrettanto, mentre avverte gli ultimi arrivati.
"La ragazza è di sopra. Siamo d'accordo che parleremo di tutto l'accaduto senza chiamare Muriel. È di sopra. Ma ora, don Raúl, lei è qui, è lei che deve decidere."
"Che tutto proceda."
Don Vito invita la donna a parlare e lei manda giù prima un sorso della bevanda scura che sta in un calice sul tavolino ricoperto da una tovaglia di cretonne.
"Adesso scopro che parlare mi è tanto difficile quanto restare in silenzio."
Ha bisogno di bere di nuovo.
"Tutto è iniziato in una nuvola di inconsapevolezza. Lui mi chiedeva, fai questo, fai quest'altro, e io lo facevo. Avevo ricevuto una cultura militare fin da quando ero nata ed ero stata educata per essere la moglie di un militare, di guarnigione in guarnigione, prima al seguito di mio padre, poi di mio marito. E se accanto a mio padre tutto era o bianco o nero, ma alla luce del giorno, vivere con mio marito significò entrare nell'ombra. Non si poteva sapere, parlare, non si poteva nemmeno dire come ci chiamavamo, dove vivevamo. Ho vissuto come una desaparecida dal giorno in cui è diventato un esperto della guerra sporca, e se all'inizio mi teneva informata, in seguito nemmeno più quello. Dava per scontato che tutto quello che faceva lo dovevo accettare, che dovevo vivere come una spettatrice e approvare la bontà delle sue azioni. Sta di fatto che non ho cominciato a ribellarmi fino al momento in cui ormai era inutile farlo e allora, è chiaro, non mi sono ribellata. Non alzo nemmeno la testa quando li vedo entrare o uscire. Entrano ed escono, entrano ed escono. Senza neanche guardarmi. Senza vedermi."
"La bambina, doña María Asunción. La bambina. Le abbiamo chiesto notizie della bambina."
"Certo, certo. Non vi sto parlando d'altro. Vivevamo in certi edifici militari non identificabili dall'esterno e un mattino mi ha portato la bambina. È nostra. Così come ve lo dico. È nostra. Non gli ho chiesto dei suoi genitori. Non gli chiedevo mai niente su quello che intuivo stesse succedendo nella Escuela de Mecánica de la Armada e in tanti altri posti. Mi disse che in ventiquattr'ore dovevamo traslocare e trasferirci a un indirizzo da non comunicare nemmeno ai nostri parenti più stretti. Nemmeno a tua madre. Andrai tu a trovarla, mi disse. E non una parola a proposito della bambina. Mi spiegò confusamente che la piccola era per legge soltanto mia e che per via della sua iscrizione all'anagrafe con il mio solo cognome, non solo non dovevo quasi farmi vedere in pubblico insieme a lui, ma dovevo persino cambiare cognome. Non dovevano associare l'uno all'altra. Uscire di casa era diventato una rischiosa avventura, notturna, quasi travestiti quando lo facevamo insieme, e a poco a poco abbiamo smesso di farlo. Io ho smesso di uscire. Sono quindici anni che non esco più e se lo faccio appaiono quei mosconi, quegli spaventosi motociclisti che mi si mettono alle costole. Mi proteggono, dice il ciccione. Il ciccione è quello che mi parla di più."
"E il suo rapporto con la bambina?"
"Non ce l'ho. L'ho avuto. Ma non ce l'ho. Quando è arrivata lei io ho smesso di vivere. Sonnecchio quando esce. Sonnecchio quando torna. Qualche volta le domando: va tutto bene, Muriel? E lei fin da piccina mi risponde, sì, mamma, tutto bene. È molto affettuosa, poverina, e mi perdona tutto. La sento discutere con lui, cerca di giustificarmi. Nemmeno io riesco a giustificare me stessa. Quando era piccina, ho cercato di farle da madre, ma lui non mi lasciava, lui faceva da padre e da madre, sempre. Metteva a repentaglio i suoi incarichi per poter passare tutto il tempo con Muriel, e quando lui non c'era si faceva avanti il ciccione e mi sostituiva. Con me non si sentivano sicuri."
"Perché?"
"Forse perché in fondo capivano che io non volevo la bambina."
"Non la voleva?"
"Lei è il padre?"
"Sì."
"Mi dispiace, signore. No. Non la volevo. La compativo e mi comportavo benissimo con lei, ma cerchi di capirmi, lui aveva organizzato tutto da solo, il responsabile era lui."
"Non la voleva. Non la voleva."
Spiega a se stesso Silverstein sul punto di piangere, sorpreso della spina dorsale mostrata da Raúl, che continua a condurre l'interrogatorio verso il finale necessario.
"Il finale necessario. Il finale necessario."
Silverstein continua a spiegare a se stesso quel che sta accadendo. E a un tratto Raúl propone il finale necessario.
"Sarebbe disposta a confermare a un giudice tutto quel che ci ha raccontato?"
Non esita la donna quando risponde:
"Sì".
Raúl alza la testa verso il soffitto. Muriel è di sopra. Gli basterebbe salire qualche gradino per recuperare sua figlia, ma la mano di Silverstein gli si posa sul braccio e Font y Rius decreta:
"Non ancora, Raulito".
Raúl Tourón assente, don Vito ratifica la decisione come se Raúl gli stesse chiedendo il suo parere, ma Tourón si rivolge alla donna, che contempla malinconicamente tutto il proprio passato nel fondo del bicchiere vuoto.
"La miglior cosa da fare è che lei se ne venga con noi prima che loro tornino. Bisognerebbe presentare la denuncia con il suo avallo oggi stesso."
Un sì sibilante scivola dalle labbra della donna mentre accetta il braccio di don Vito per alzarsi e camminare verso la porta con le gambe tanto tremanti quanto quelle di Altofini.
Pascuali, circondato da auto della polizia e da ambulanze, guarda il cielo in cerca di una stella che illumini un po' la notte così buia e confusa, ma la sua ricerca viene interrotta quando i commensali cominciano a uscire. Il Capitano e Pascuali si salutano con un veloce gesto delle dita portate alla fronte. Il poliziotto quasi si scompone quando vede comparire Carvalho dietro al Capitano.
"Anche lei qui? Ma ha il dono dell'ubiquità?"
"No. Sono poliedrico. Sono un gourmet."
Vladimiro esce di corsa.
"Capo! Nella cella frigorifera ci stanno tre cadaveri!"
Pascuali entra precipitosamente nel ristorante. Il Capitano e Carvalho hanno ascoltato la notizia senza battere ciglio.
"Chissà che cosa succede nel retrobottega dei migliori ristoranti," commenta il Capitano.
"Se lo sapessimo non andremmo più al ristorante," gli risponde Carvalho.
Gorospe, desolato, cerca di recuperare prestigio consolando quelli che vanno via. Dora sostiene intenzionatamente lo sguardo di Carvalho prima di salire nella macchina che le apre l'autista in uniforme. Il Capitano osserva lo scambio di occhiate.
"Può essere un errore. Sinaí è molto geloso."
"Tutta la mia vita non è che una serie crescente di errori."
"È terminata la tregua dei gourmet."
E si stanno già separando quando Carvalho riprende un argomento dimenticato e attira l'attenzione del Capitano.
"L'altra sera l'ho vista all'incontro di boxe."
"Boxe?"
"Bum Bum Peretti."
L'allarme è scattato nelle pupille del Capitano.
"Sua figlia era venuta con noi, con Alma, con me."
"Non so di che figlia mi parla. Non sono nemmeno sposato."
"Giurerei che lei abbia notato la presenza di Muriel."
Il Capitano mastica le parole.
"Non oltrepassi i limiti. A partire da qui non cederò di un millimetro. Baratro. Baratro puro."
"Andiamo tutti a nanna. Dice che la tregua è terminata, ma mi pare che per lei siano finite molte cose, Capitano. Tra l'altro, la sua amicizia con Ostiz, non è vero?"
Doreste incassa il colpo e si sta già allontanando da Carvalho quando sente l'ultimo commento del detective.
"I miei saluti a sua moglie, da signorina Pardieu."
Il Capitano non si gira. È tanto teso che la poca carne rimastagli in viso sembra sul punto di scoppiare e nella cecità delle sue energiche falcate quasi inciampa in Ostiz, fiancheggiato dalle sue guardie del corpo. Non si salutano, e sulle labbra del finanziere c'è una smorfia di disprezzo, ma quando il ciccione arriva alla sua altezza, dalla bocca di Doreste escono ordini concreti che allarmano il suo scudiero, al punto di farlo guardare a est, ovest, nord, sud, quasi fosse imminente lo sbarco nemico e, anche se il Capitano cammina lentamente verso la sua macchina, il ciccione ci va di corsa come se la vettura non lo aspettasse. Carvalho vede i due barellieri che portano fuori il corpo semisvenuto di Drumond e i poliziotti che scortano Lucho in manette. Carvalho va accanto alla barella. Si china su Drumond e gli domanda qualcosa, davanti allo sguardo di Pascuali che si avvicina diffidente per ascoltare la domanda.
"Il soufflé, perché si chiama 'Liliana Mazure'? Che variante contiene?"
"Gli aggiungo un po' di champagne, in omaggio a un'amica. A lei piace lo champagne," risponde Drumond.
Portano via Drumond. Pascuali è sconcertato, ancor più quando Carvalho esclama:
"Che strano!".
"Cosa ci trova di così strano?"
"Quando e a che cosa aggiunge lo champagne? Champagne e crema pasticciera sono difficili da legare."
Pascuali non capisce e non capirà mai la profonda preoccupazione che turba Carvalho.
"Quella rivelazione, era così importante?"
Carvalho si ferma a guardare l'ispettore come se fosse un imbecille. Non a lungo. I suoi occhi devono abituarsi ad accettare che tra il pubblico intorno a Chez Reyero c'è suo zio. Evaristo Tourón in persona. Lo zio d'America. Lo zio d'Europa. E che mentre si incontra con il vecchio nella sua ritirata tra una cerchia di motociclisti aperta dall'immensità del ciccione, il Capitano e don Evaristo si guardano e il militare non riesce a sostenere il suo sguardo.